[RPF] Come on, come on, I see no changes (Guti/Raúl)

Jan 15, 2011 16:49

Titolo: Come on, ocme on, I see no changes
Fandom: RPF Schalke/Besiktas
Personaggi/Pairing: Guti/Raúl
Rating: NC17
Conteggio Parole: 1338 (fidipu)
Prompt: Guti/Raúl, "Non sei cambiato" "Ed è una brutta cosa?" per il p0rn fest #4 di fanfic_italia.
Avvertimenti: slash, angst
Note: Il titolo è rubato a 2Pac, (~ Changes).
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.

~ Come on, come on, I see no changes.

Lo guardi, e Guti è troppo bello e tu un po’ lo detesti, e lo detesti davvero, perché neppure la Turchia è riuscita a renderlo meno bello, a rubare anche solo un’ombra della sua perfezione. Tu ti senti strapazzato a morte dalla Germania, dal tedesco che non è fatto per la tua bocca, dalla novità di svegliarti in un posto che non è la tua Madrid; ti senti imbruttito, più triste, scompigliato sempre, certe volte fuori posto persino quando sei in campo, persino dopo un gol, e lui continua ad essere bello in maniera ridicola, con la sua faccia da attore americano e la pelle bianca e i tatuaggi e gli occhi limpidi.
Gli accarezzi i fianchi con le mani bene aperte, detesti il modo in cui la sensazione è sempre uguale, da trent’anni; ha perso peso, forse, giusto un po’, o forse cambiare paese gli ha reso le ossa più dure, più forti, mentre tu ti senti spiazzato, un bambino appena messo al mondo, destabilizzato e perso e non è giusto che lui sia ancora perfettamente a proprio agio, non è giusto che non stia male come stai tu. Gli mordi una spalla e Guti sibila per il dolore e il piacere che gli invadono il sangue; ti risollevi, e lui è ancora impeccabilmente meraviglioso, abbandonato languidamente tra i cuscini troppo gonfi, le labbra arrossate e le gambe spalancate attorno alla tua vita.
Ti bacia, sporgendosi un po’ e attirandoti a sé semplicemente con gli occhi, e lo senti muoversi piano, discretamente, finché la punta del tuo sesso non trova spazio tra le sue natiche e allora Guti quasi ti sfugge, perché scivola in giù sul materasso, spingendosi contro di te senza preoccuparsi del dolore, semplicemente perché ti vuole e non ha intenzione, naturalmente, di lasciare che tu ti faccia aspettare.
Lo assecondi dopo un istante, intrufolando un braccio tra il materasso e la sua schiena per sorreggerlo e poterlo baciare mentre ti spingi dentro di lui - caldo come lo ricordavi, stretto come se fosse la prima volta e lo detesti, lo detesti, detesti il modo in cui sembra essere sempre al di sopra degli eventi, indisturbato dal fatto che la Terra gira su se stessa e il Sole sorge e tramonta e certi giorni tu non sai più neppure cosa fartene del tuo cognome; - e Guti ti accoglie con la solita facilità, con il solito gemito soffiato quasi timidamente sulle tue labbra.
Lo sollevi ancora, senza sforzo, finché non crolli all’indietro, seduto sul materasso, con Guti in grembo, che allarga le cosce più che può per riuscire a calarsi pienamente su di te. Ti morde le labbra, e con due dita gli sistemi una ciocca di capelli dietro l’orecchio - indugi ad accarezzargli una guancia, perché è bello davvero e tu, ancora dopo così tanti anni, non riesci a credere che sia tuo. Guti sa esattamente a cosa stai pensando, e ti guarda con un affetto che non è cambiato mai - lo detesti, lo detesti, detesti il sorriso innamorato che ti concede e ti scioglie il cuore e detesti anche il bacio leggerissimo che ti regala, prima di stringersi tutto attorno a te in una morsa quasi soffocante. La mano che avevi intrecciato ai suoi capelli dorati precipita giù lungo la sua spina dorsale, in una carezza un po’ ruvida che si estingue alla base della sua schiena: allarghi le dita e ti sembra di poterlo stringere tutto, così, ti sembra di poter davvero decidere i suoi movimenti, il modo in cui si solleva e affonda su di te e geme, geme, geme, aggrappandosi alle tue spalle e inarcandosi all’indietro e ogni tanto mormorando il tuo nome e una preghiera sconnessa.
Lo senti vibrare, sotto la tua mano, e sai che vorrebbe abbandonarsi ad un ritmo più frenetico e piacevole per entrambi, ma non glielo concedi, semplicemente premendo piano le dita sulla sua pelle; e lui, assurdamente, ti dà retta, continuando a muoversi piano, come in una danza del suo corpo bianco contro il tuo più scuro, prendendoti profondamente e sospirando senza controllo. Chiude gli occhi, si rilassa a poco a poco, e poi preme la fronte sulla tua e ti guarda, e nemmeno te lo ricordi più che sei impossibilmente duro e che lui è perfetto e strettissimo attorno al tuo sesso congestionato: ci sono solo i suoi occhi, ora, che sono sempre gli stessi, e il suo sorriso incerto, e il piacere infinito che ti dà restare in silenzio, accanto a lui, immerso nel calore familiare del suo corpo.
Ti bacia.
«Non sei cambiato,» dice, così piano che avrebbe potuto essere un battito delle sue ciglia. Vorresti dirgli che non è vero, che sei cambiato da morire, che ha bisogno di un paio di occhiali se ti vede sempre uguale a te stesso. Vorresti dirgli che è lui, in realtà, che assurdamente non ha fatto una piega, anche se il suo mondo è andato sottosopra esattamente come il tuo; vorresti dirgli che lo detesti un po’, infatti, e lo detesti davvero, per la sicurezza di cui ancora riesce a vestirsi. Vorresti dirgli un milione di cose, accusarlo di tante altre - del fatto che si è lasciato alle spalle Madrid, voi due, come se non fosse stato nulla d’importante, nulla d’irrinunciabile, - e poi la smetti. La smetti di volergli cucire addosso un Guti che non esiste, la smetti di renderti cieco alla verità tremenda e dolorosa che Guti è distrutto esattamente quanto te, confuso e perso e triste esattamente quanto te, e lo nasconde, certo, perché è un adulto e tutte le cazzate, ed è bravo, ma comunque non più di quanto lo sia tu, Raúl.
«Ed è una brutta cosa?» gli chiedi, allora, e Guti si ferma completamente contro di te, ride piano, contento davvero.
«Sì,» ti mormora, sulle labbra, la voce splendidamente bassa e arrochita e dolce come miele e perfetta. «Speravo che la lontananza ti rendesse un po’ più, sai,» accenna vagamente allo spazio inesistente tra i vostri corpi, al contrasto delle tue mani sulla pelle chiara dei suoi fianchi, al modo in cui siete immobili e insieme quando ogni singola cellula del tuo corpo ti strilla a gran voce di prendertelo e amarlo fino allo sfinimento. «Passionale, magari?»
Lo guardi, da sotto in su, stringendo gli occhi e fingendoti offeso, ma non lo convinci neanche per un decimo di secondo perché stai già sorridendo; con un colpo di reni lo spingi all’indietro, allora, seguendolo nella caduta sul materasso e ridendo contro la sua gola quando precipita tra i cuscini e il fiato gli sbuffa via dai polmoni tutto in una volta. Guti geme piano, appena riprendi a muoverti, e attira il tuo viso contro il suo per baciarti e aggrapparsi distrattamente ai tuoi capelli mentre finalmente cedi al bisogno di lui e lo prendi, con tre mesi di voglia e nostalgia e amore ingolfati nei fianchi.
Quando viene, hai la lingua nella sua bocca e poi ti sembra di vedere le stelle; il tuo orgasmo ti fa tremare con una violenza inaudita e gli crolli addosso, strappandogli un mugolio soddisfatto per il modo in cui i tuoi fianchi ancora si incastrano contro i suoi. Ridi piano, il sangue annegato di endorfine e del sorriso lieve di Guti. Ti guarda, - ti ama, - le guance arrossate e gli occhi liquidi, e con un dito disegna il profilo del tuo naso, delle tue labbra. Sai perfettamente di non essere bello né perfetto quanto lui, ma in questo momento non ti importa e non riesci neppure a sentirti imbarazzato.
«O capitano, mio capitano,» mormora, impossibilmente sensuale, e tu devi chiudere gli occhi e concentrarti per impedirti di saltargli addosso ancora. Vorresti dirgli che non sei più il suo capitano - che non sei più il capitano di nessuno, in effetti, - ma dal modo in cui ti sorride capisci che potrebbe morderti - e lo farebbe, - se osassi dare aria alla bocca per una cosa così stupida, perciò decidi di lasciar perdere.
Lo guardi soltanto, e Guti è troppo bello, e tu un po’ lo detesti, e lo ami davvero.

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