[REAL] U-Pink (Tomomi/Kiyoharu)

Jun 06, 2009 23:59

titolo U-Pink
fandom REAL
personaggi Tomomi Nomiya, Kiyoharu Togawa
pairing Tom/Kiyo
rating PG
conteggio parole 1861 (W)
prompt AU!fluff @ fanfic_italia [ fluffathlon]
note AU di U-Blue. Nomiya è un samurai e Kiyo il suo amyketto del cuore. ♥ Più il cliché totale dei ciliegi in fiore, sì, lo so, odiatemi.
disclaimer Non mi appartengono, non esistono, non ci guadagno.
~ I commenti sono l'amore. I lurker sono il male.



~ U-Pink.

Prima di partire per l’ennesima guerra, vai a trovare Kiyoharu. Sai che detesta avere gente in casa, perciò ti fermi sul doma e aspetti che lui barcolli fuori, imbronciato e appeso alle stampelle che gli ha costruito quel bastardo impertinente di Tora.

“Che vuoi?” borbotta Kiyo, e da come ti guarda capisci che è decisamente incazzato con te. Come al solito. E c’è una parte di te che ama profondamente il fatto che lui sia capace di non cambiare mai.

“Facevo una passeggiata, sono fioriti i ciliegi. Vieni con me?”

Kiyo spalanca gli occhi e arrossisce; digrigna i denti, adesso è furioso. Fa sempre così, quando si sente oltraggiato: pensa che tu stia prendendo in giro la sua gamba malconcia.

“Per domani, il daimyo ha organizzato un’altra spedizione militare.”

Questo sembra calmare la tempesta nei suoi occhi.

“Va bene, andiamo,” cede, infine, perché sotto sotto lui è un tipino sensibile e non resiste al fascino dell’armatura (o al fascino di una passeggiata tra i fiori di ciliegio) (o al tuo fascino) (oh, sì, dev’essere il tuo fascino). Ti inginocchi, allora, davanti a lui, porgendogli la schiena.

“Dai, sali.”

Ecco, forse proporgli di farsi portare in spalla non ha esattamente migliorato il suo umore. Di nuovo, ti mostra quell’espressione scandalizzata che è la faccia che fa più spesso, quando è intorno a te.

“Stupido.”

Ridi dell’insulto, e ti batti una mano tra le scapole.

“Coraggio. Non ti faccio cadere.”

Kiyoharu esita per un’eternità, combattuto tra l’orgoglio, la dignità e l’innegabile voglia che sicuramente gli attanaglia lo stomaco di stringersi al tuo corpo forte di guerriero impavido. Oh, sì, ormai hai imparato a conoscerlo.

Alla fine, si risolve a caracollare finché non riesce ad infilare le gambe tra le tue braccia.

Lo senti tremare quando sfiori la destra, quella che un Oni codardo si è portato via parecchie fioriture di ciliegi fa. Se solo tu non fossi stato in battaglia, quell’anno, quel bastardo non avrebbe osato farsi vivo, e Kiyoharu correrebbe ancora al tuo fianco durante le feste del villaggio, ecco la verità.

“Tieniti forte,” suggerisci, e strattoni le sue braccia finché non sei soddisfatto della sua stretta intorno al tuo collo.

Arraffi le stampelle, potrebbe averne bisogno, e ti avvii per strada.

Kiyo si vergogna e tenta di nascondersi dietro la tua schiena: un gruppetto di bambini prende a corrervi attorno in cerchi sempre più stretti, ridendo, ma tu ridi più forte di loro.

“Smettila,” borbotta Kiyoharu, direttamente nel tuo orecchio.

“Che c’è che non va?”

“Non ridere.”

I bambini continuano a strillare e ridere e indicare, e Kiyo solleva la testa dalla tua spalla e li fulmina, uno per uno, con lo sguardo (loro, terrorizzati, scappano, e non ridono più), prima di lanciare un’occhiataccia colossale anche a te.

“Ridono di me, zuccone. Non devi assecondarli.”

La rivelazione ti lascia vagamente perplesso, perché pensavi che qualcuno avesse raccontato ai bambini una bella storia divertente che li avesse messi di buon umore.

“Perché mai dovrebbero ridere di te?”

Non ha senso, ridere di Kiyo: è la persona più forte, buona e bella che tu abbia mai conosciuto. D’accordo, la maggior parte del tempo è parecchio scontroso, ma è un uomo, se fosse costantemente, smielatamente affabile sarebbe ancor più ridicolo.

“Kiyo?”

“Stupido,” borbotta, e dal tono capisci che non ha intenzione di parlare ancora di questa cosa. Strano, perché in genere le persone sembrano provare un irrefrenabile bisogno di sfogare su di te i loro problemi, dubbi, affanni, ma di nuovo, Kiyo non è esattamente una persona qualunque.

“Uh, Kiyo, ti va della soba? O… non so, insomma, ho fame, Kiyo, mangiamo!”

E svolti bruscamente a sinistra, seguendo un buon odore di carne arrosto. Kiyoharu non fiata, semplicemente si aggrappa più saldamente al tuo collo.

Alla fine, hai saccheggiato un chiosco di dolci, e questo ti ha reso felice. Anche perché hai preso anche una vaschetta piena di buone cose, che hai intenzione di mangiare sotto i ciliegi.

Torni a dirigerti in direzione del parco, e poi ti accorgi di star passando davanti alla casa di Azumi quando lei, che spazza diligentemente la strada, vi saluta con un sorriso triste. Ti costringi a entusiasmarti e salutarla di rimando, Kiyo sbuffa qualcosa, poi tenti di spiegarle (a gesti) (e non è che Kiyo rischia di cadere per colpa della tua esuberanza, sei sempre molto attento alla sua sicurezza) (d’accordo, forse è quasi scivolato, ma non si è schiantato a terra ed è questo che conta, no?) che siete di fretta, e fuggi.

“Ti piace abbastanza, quell’albero?” domandi, un minuto dopo, a Kiyo, indicando un ciliegio bello e fiorito enormemente in mezzo ad un prato incredibilmente verde.

Ti volti un pochino per riuscire a guardare il tuo passeggero e lo vedi tutto corrucciato.

“Che c’è, Kiyo?”

“Niente. Solo, hai corso ad una velocità folle e devo riprendermi,” sbuffa, quasi imbarazzato, e per un attimo sei sul punto di lanciarti in uno spontaneo elogio delle tue capacità di corridore, ma una contrazione tempestiva del tuo stomaco ti ricorda che sarebbe molto indelicato, da parte tua, perciò ti mordi la lingua e ti limiti a ridere rumorosamente.

Raggiungi l’albero prescelto (strano che non ci sia nessuno in giro, eppure i ciliegi sono eccezionalmente belli!) (oh, forse c’entra qualcosa la partenza di domani) (stupide persone, davvero, come si fa a dimenticarsi della meravigliosa fioritura dei ciliegi per qualcosa di tanto idiota come la guerra?) (e se lo dice un samurai, insomma, la cosa dovrà avere qualche valore, no?), e aiuti Kiyo a sedersi per terra. Lui incrocia le gambe, pensieroso, e tu ti lasci cadere al suo fianco.

Ovviamente, sbatti la nuca su una radice sporgente.

Prendi a rotolare in maniera piuttosto comica, intimamente speri di strappargli una risata, e in effetti Kiyo fa una smorfia divertita. Puoi ritenerti soddisfatto, ecco, perciò ti ricomponi e, dopo esserti assicurato che il danno non sia poi tanto grave, sospiri, ti stiracchi, ti sistemi meglio sull’erba, sbadigli e ti metti a contemplare il cielo che s’intravede tra i rami carichi di petali rosa.

Lui, zitto zitto, pure fissa le nuvole, ma ogni tanto si distrae a guardare qualcosa all’orizzonte.

Resti assorbito dal silenzio per una decina di respiri, poi senti la tua voce interrompere il silenzio ed è molto facile cominciare a parlare di cose.

Kiyo ti ascolta ad intervalli di tempo, ogni tanto addirittura annuisce oppure ti guarda con quel faccino perplesso che ormai è la sua espressione standard nei tuoi confronti, e la maggior parte delle volte non sai se gioirne o sentirtene offeso (puntualmente finisci per andarne vergognosamente fiero, ma non è questo il punto, ecco) (no, non lo è) (davvero).

“È vero che domani andate in guerra?” domanda ad un tratto, interrompendo il tuo eccelso ricamare retorico intorno ai prati verdi e i cieli azzurri e i cani pelosi.

“Sì, Kiyo. Non ti sei accorto che tutto il villaggio è sottosopra per questa cosa?”

Lui scrolla le spalle e non ti guarda, torna a fissare una sottile striscia di fumo che accarezza il fondo del cielo.

“Non devi preoccuparti, eh,” lo rassicuri, “tornerò sano e salvo, come al solito.”

Kiyoharu Togawa, l’unico uomo che vorresti avere al tuo fianco quando sarai troppo vecchio e malconcio per tener ben ritta una spada, si volta lentamente a guardarti e ti scocca uno sguardo di ghiaccio.
“Chi ha detto che non devi crepare?” commenta, lapidario (è proprio di cattivo umore, eh) (ma no, non può essere vero) (non può pensarlo davvero) (è ridicolo) (oh, Kami del cielo, e se fosse vero?) (se a Kiyo non importasse di te?) (ridicolo) (no, sul serio, è ridicolo: stiamo parlando di Kiyo) (oh, insomma).

“Ah, Kiyo, per un attimo ci ho creduto davvero,” ridi, e ti premi una mano sul petto per calmarti il respiro. Perché, sì, per un attimo ci hai creduto davvero, e hai pensato di poter morire per una cosa del genere.

La faccia di Kiyo dice guarda che ero serio, ma sai che non è così. Nessuno è così sciocco da pensare di poter vivere senza di te, davvero.

Ridacchi, e ti sollevi a sedere.

“Ti va di mangiare qualcosa?”

“Hai ancora fame?!”

“E non dirlo in quel tono! Guarda che razza di corpo mi trascino in giro! Guarda i muscoli! No, Kiyo, dico, guardali! Tocca!” insisti, perché lo scemo si ostina a non voler appoggiare le sue manine sottili sul tuo possente bicipite. “Hai idea di quanta energia ci voglia per essere un samurai del mio calibro?”

La sua espressione scettica, ormai, non ti convince nemmeno un po’.

Dalle pieghe dell’hakama estrai il pacchetto di dolci al miglio che avete comprato prima, ti impicci con i lacci che sigillano quelle bontà nella scatoletta e ti ritrovi ad implorare l’aiuto di Kiyo.

“Kiyoooooo!”

“Dammelo, idiota, ci penso io,” borbotta, e poi, mentre spacchetta tutto con una semplicità disarmante, lo senti borbottare qualcosa a proposito del fatto che combini sempre disastri (non è esattamente una cosa carina da dire, ma è comunque Kiyo a parlare) (e poi, per strane ragioni, qualunque cosa lui dica ti sembrerà sempre un atto d’amore) (qualunque cosa lui dica e faccia) (qualunque cosa lui dica, faccia e tocchi) (oh, insomma).

“Ecco, tieni.”

“Aw, grazie, Kiyo.”

Mangi (senza star zitto un attimo).

Gli offri qualcosa, lui spilucca un dolcetto e sembra un uccellino. Si offende parecchio, quando gli riveli il malsano paragone. Forse non ha tutti i torti.

“Nooo, Kiyo, non offenderti!” ti lamenti, comunque, buttando all’aria quel che rimane del pacchetto di dolci e gettandoti su di lui. Kiyoharu fissa, scandalizzato, il tuo decollo e poi il tuo drammatico atterraggio su di lui, e mentre rotolate sull’erba sembra sia sul punto di vomitare.

Alla fine riesci ad immobilizzarti sul prato, con Kiyoharu che stramazza con un gemito sul tuo petto.

“Sei ancora intero, Kiyo?”

“…ecille.”

“Come?”

“Imbecille,” ripete, in un ringhio anche inquietante.

“Oh, sono felice che tu stia bene.”

“Non per merito tuo, comunque,” borbotta, tirandosi a sedere.

Ha le guance in fiamme, i capelli scompigliati e ciuffi d’erba appiccicati dappertutto.

Non è bello, di più.

Sorridi, e una tua mano va, automaticamente, a toccargli una guancia. Lui non si ritrae, e (ovviamente!) non oppone resistenza nemmeno quando te lo attiri contro.

Tiene gli occhi fissi a terra, pure quando lo abbracci, e se gli sfugge uno sbuffo, è solo perché è uno scemo e vuol fare la personcina imperturbabile. Gli basta un pochino, però, per arrendersi, e allora si aggrappa alla sua schiena ed ecco, è per questo frammento di sincerità da parte sua che esisti.

“Non azzardarti a crepare,” borbotta.

Sorridi, mentre lui ti stritola contro di sé, il viso nascosto dalla frangia e poi contro il tuo petto, e non ci vuole un genio per capire quali sono le parole che Kiyo non ha il coraggio di dirti.

(E per quella che è forse la centesima volta, ti riprometti che, al ritorno, sarai tu a dirglielo, a chiedergli se ha voglia di essere l’Unico Uomo della tua vita) (oggi, però - ehi! Guarda quel cane che vi viene incontro!) (È un po’ spelacchiato - un po’ tanto spelacchiato, a dire il vero, - ma è bellissimo comunque!) (E, non mi dire, Kiyo ha paura dei cani)

real: tomomi nomiya, real, real: kiyoharu togawa, } 2009, › ita, » challenge: fluffathlon

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