[RPF Basket] Puede ser que el malo sea hoy

Sep 23, 2013 03:49

Titolo: Puede ser que el malo sea hoy (1/2)
Fandom: RPF Basket
Personaggi/Pairing: Juan Carlos Navarro/Ricky Rubio, Pau Gasol, Marc Gasol, #everyone!!1!
Rating: PG14
Conteggio Parole: 2269 (W)
Avvertimenti: slash, fluff
Note: Headcanon per quel che è accaduto dopo la semifinale Francia-Spagna. Parte uno di due perché volevo far accadere altre cose ma sono troppo stanca e, certo, avrei potuto aspettare domani e pubblicare tutto insieme, ma volete mettere la soddisfazione di far finta di aver scritto una long. *ride*
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.



Puede ser que el malo sea hoy.

Non gli si spezza il cuore perché, dopo il ginocchio, Ricky non ha fretta di sentire altre parti di sé andare in frantumi; ma ci va vicino, ci va troppo fottutamente vicino, perché annichilire in quel modo la Serbia gli aveva cacciato in testa il dubbio che magari, magari, magari anche così - ma in fondo Ricky ha sempre sospettato che, con tutto il torneo addosso, il suo meglio, quando pure fosse riuscito a tirarlo fuori, non sarebbe bastato.

Ora Ricky tiene il conto delle partite col numero di minuti che gli ci vogliono al mattino per tirarsi fuori dal letto, e perdere in semifinale lo rende incazzato e deluso ma non gli sfila il pavimento da sotto i piedi; la Francia è pur sempre la Francia, e non è peggio di non giocare i play-off.

Ricky non ci sta già più pensando, davvero; ma, quando s’è infilato un paio di boxer e calzini puliti, a mettersi la tuta rosso acceso della Spagna nemmeno ci pensa. Rovista nel borsone tra la sua scorta vitalizia di asciugamani e mutande e oltre un pacco di biscotti che non ricordava di avere, finché non trova dei jeans e un maglioncino tutto grinze e, una volta che è immerso nella stoffa un po’ ruvida e per niente adatta a fare sport, sospira contento.

Fuori dagli spogliatoi si tiene incollato al muro, gli occhi bassi e le spalle strette per scoraggiare chiunque voglia chiedergli una foto; Calde e Pablo sono già accampati nel bus, perciò non è che Ricky stesse fuggendo dal palazzetto.

Si appropria del posto che all’andata era di Rudy, piega la testa contro il finestrino, e chiude gli occhi.

Quando arrivano in albergo, Ricky è ancora intontito dalla mezz’ora di sonno che ha avuto la pessima idea di concedersi, perciò ci mette un minuto a processare il fatto che, in cima al gruppo, Calde sta ridendo - e non è la risatina educata e notevolmente di circostanza che Calde si cava da bocca quando un’autorità qualsiasi fa una battuta tremenda, ma una risata piena, la risata vera e sciropposa di Calde, quella riservata alle videochiamate coi suoi figli e ai film di Woody Allen e a quando è davvero, davvero contento.

Ricky sbatte le palpebre e fa un passo avanti, curioso di scoprire cos’è che abbia fatto il miracolo di risollevare il morale di Calde - perché Calde l’ha presa molto alla lettera, la responsabilità di aver ereditato una squadra d’oro - ma Marc, che pur essendo alle sue spalle ha comunque gli occhi venti centimetri più in alto, emette un verso che comincia ruggito e continua risata e finisce in una specie di squittio deliziato, e si fa largo oltre Ricky e Rudy e Victor e Sergi come un coltello nel burro fuso.

“C’è Pau?” domanda Ricky, e, dal nulla, si sente inquieto e scontento e nervoso, come se Pau fosse la mano di Dio mandata a rispedirlo a casa per lo schifo di torneo che sta facendo.

Marc intanto fa una confusione d’inferno, e il gruppo di giocatori si spande nella hall, e Ricky finalmente ci capisce qualcosa; e non è più rimbambito di sonno, perché non è Pau che Marc sta stritolando. C’è anche Pau, naturalmente, ma un po’ in disparte, e con un sorrisino arrendevole osserva suo fratello ridere, sciogliere l’abbraccio frantuma-gabbia-toracica, e poi chinare la testa per blaterare chissà cosa direttamente contro la faccia di Juan Carlos.

Ricky sente la propria faccia liquefarsi in una cosa morbida e sorridente, e quasi gli cade il borsone tanto improvvisamente si rilassa tutto.

Juan Carlos sgomita Marc fuori dal proprio campo visivo - non riuscirebbe a spostarlo di un millimetro neanche tra cent’anni, ma Marc è davvero felicissimo e si fa da parte esagerando terribilmente il contatto - e scambia un abbraccio con Sergi, dandogli un paio di schiaffetti amichevoli sulle guance rasate; Ricky vede un angolo del ghigno di Sergi, e Juan Carlos annuisce, “Era anche ora,” dice, “un barbone ci basta,” e accenna al Chacho lì accanto, e poi sta abbracciando anche lui.

Ricky lo guarda fare il giro del gruppo intero, ed è così rapito che, quando alla fine arriva il suo turno, è così sorpreso a vedere Juan Carlos fermarglisi davanti che fa un balzo ridicolo, il cuore che gli schizza su così forte da rimbalzargli contro il soffitto del cranio per riprecipitare giù di nuovo, ma troppo in fondo nel petto.

“Uhm,” scolla Ricky, e sta già sorridendo. “Ciao. Non stavi facendo terapia per la caviglia?”

Juan Carlos gli concede di vedere solo un’ombra di sorriso. “Mi avete rubato il fisioterapista,” osserva, ragionevolmente. Ricky ridacchia, struscia la suola di una scarpa sul pavimento lucido di marmo. Un attimo dopo, ha attorno alle spalle le braccia di Juan Carlos, e si ritrova col mento incastrato sulla sua spalla, il suo corpo tiepido addosso; l’abbraccio frigge giusto a metà il pensiero deprimente che Ricky stava facendo, e cioè che gli pareva di essere tornato a La Coruña, con Juan Carlos lì a portata di mano, abbronzato e allegro e spettinato, e lui troppo codardo per allungarsi a prendere anche solo una misera pacca sulla schiena.

E invece non è per niente come un mese fa; Juan Carlos lo abbraccia, e a Ricky sembra di star lì un secolo quando in realtà è giusto un po’ più a lungo di quanto sia strettamente necessario. Ricky ha espirato forte, a un certo punto, e si è ripiegato il più possibile per poter ficcare la faccia contro il collo di Juan Carlos. È esattamente quello di cui aveva bisogno - è, esattamente, quello di cui ha bisogno sempre, a prescindere da quanti punti Tony Parker abbia appena finito d’infilare alla sua squadra.

Pensare a Tony Parker è una pessima idea, perché Ricky si sente d’un tratto malissimo, avvilito e stropicciato e, quando Juan Carlos fa un passo indietro, con un patetico filo di voce mormora, “Mi dispiace.”

Non ce la fa neanche ad alzare gli occhi, ma la prima nocca dell’indice di Juan Carlos picchietta due volte sotto il suo mento, e Ricky obbedisce, e non aveva dubbi che Juan Carlos avrebbe arricciato il naso e tirato giù le sopracciglia.

“Non essere sciocco,” brontola, ed è uno schifo d’incoraggiamento, davvero, ma il cervello di Ricky gli è tanto asservito che va immediatamente in sciopero; Juan Carlos deve accorgersene, perché annuisce, vagamente soddisfatto, e poi si rivolge al resto della comitiva. “È ora di cena, direi.”

La cena è a buffet, e Ricky, col vassoio in mano, tentenna stupidamente intorno alla porta finché non arriva Juan Carlos - sta discutendo di Breaking Bad con Pablo, Pau e Marc che li precedono come due pacate montagne di guardie del corpo - e può mettersi in fila vicino a lui. Pablo, che è la nuova persona preferita di Ricky nell’intero universo, si congeda con un sorrisetto, dicendo di voler andare ad attaccare la sezione formaggi prima che Rudy ne faccia incetta.

Ricky si ritrova giusto accanto a Juan Carlos, allora, e si pigia contro il suo braccio anche se non c’è la minima ressa, solo perché ne ha voglia; Juan Carlos lo tollera pacificamente.

“Non ti facevo tipo da mangiare a scrocco,” dice Ricky allegramente, servendosi una generosa porzione di un’insalata di farro che nessun altro prima di lui ha avuto il coraggio di toccare. “Voglio dire, da Pau me l’aspetto-”

“Pau è molto commosso dalla considerazione,” commenta Pau, alzando gli occhi al soffitto e scegliendo d’ignorare il fatto che sta effettivamente mangiando a scrocco.

“-ma tu mi sorprendi, Juanki, davvero.”

Juan Carlos ha optato per il riso e piselli - i piselli sono davvero molto verdi, potenzialmente radioattivi, - e se ne ammonticchia nel piatto due cucchiaiate striminzite prima di voltarsi verso Ricky e inarcare un sopracciglio.

“Non mangio a scrocco, Rubio,” dice. “Ho una stanza in questo albergo, per chi mi hai preso.”

Passano oltre altri due possibili primi piatti, verso una selezione di carni da far venire l’acquolina in bocca al più convinto vegetariano, e Ricky sta ancora processando l’informazione.

“Oh,” sillaba, alla fine, mentre il suo subconscio ha già puntato le cotolette di pollo, tre o quattro passi più in là; non dovrebbe darsi alla frittura a meno di ventiquattr’ore dalla prossima partita, ma anche chi cazzo se ne fotte. “Non stai con Pau?”

Pau trasale come se provasse dolore fisico e Marc ridacchia, ne approfitta per rubare una costoletta dal suo piatto e nasconderla sotto mezzo chilo di purè di patate, ma Ricky non si accorge di nulla di tutto ciò perché Juan Carlos, gli occhi ostinatamente inchiodati agli hamburger, è arrossito.

“No,” mugugna alla fine, le guance rosa e deliziose e Ricky contempla brevemente la possibilità di sporgersi a morderle. “È stato-è stata una cosa dell’ultimo momento. Non avevo in programma di venire, onestamente”

“Ow,” ridacchia Ricky. “Juanki, mi ferisci.”

Juan Carlos scrolla le spalle, noncurante, ma gli regala pure un ghigno furbo cui Ricky risponde con un sorriso enorme, perché è del tutto senza speranza e ormai ha accettato l’evidenza dei fatti.

Juan Carlos prende un misero petto di pollo alla griglia, e poi deve fermarsi ad aspettare mentre Ricky si riempie il piatto di cotolette e patatine fritte.

“Ti pare una buona idea?” chiede, ma è una domanda retorica, e neanche si cura di aspettare che Ricky gli risponda; tenendo il vassoio con una sola mano, appoggiato allo stomaco sul lato lungo, Juan Carlos tira Ricky per la manica della maglietta fino al tavolo successivo, dove procede a svuotargli nel piatto un’intera zuppiera d’insalata mista.

“Juanki,” ride Ricky, quando tra le mani ha praticamente una foresta. Juan Carlos lo zittisce con un gesto vago, si rifornisce a propria volta di insalata, poi adocchia un piatto di spinaci bolliti, ci pensa su, e alla fine lo prende intero, piazzandolo in un angolo vuoto del vassoio di Pau.

“Metà di quello è per te,” dice a Ricky, decisamente minaccioso. Ricky si sente così scemo e tiepido e contento che ridacchia e non ha una preoccupazione al mondo.

“Mi sento una mucca,” si lagna Ricky, mentre rumina l’ultimo boccone di radicchio e rucola e lattuga con carote alla julienne. Juan Carlos fa un verso di assenso.

“Le mucche hanno bisogno di spazi aperti,” dice, a voce bassa. Ricky ci mette un attimo a rendersi conto dell’offerta orribilmente celata.

“Oh,” sillaba. “Sì. Spazi aperti,” annuisce. “Ti va di portarmi a passeggio, magari?”

Juan Carlos scrolla le spalle. “Dobbiamo metterti un campanaccio al collo, prima.”

“Oh, ti prego no,” esclama Alex, teatralmente. “Fa già abbastanza casino così!”

Ricky si ritiene molto offeso, ma non ha bisogno di aprir bocca perché Jorge ha già allungato un’amorevole manata dietro la nuca di Alex.

“Oooh, kinky,” sghignazza Marc, sfregandosi le mani. Jorge diventa porpora, minaccia di raccontare aneddoti imbarazzanti in diretta tv durante la prossima cronaca, e Juan Carlos, sotto il tavolo, picchietta un piede contro quello di Ricky.

Ricky balbetta il congedo più incomprensibile della storia, e poi scatta in piedi e fuori dalla sala da pranzo così in fretta che si sorprende che non ci sia nessuno ad aspettarlo nella hall con una medaglia olimpica da consegnargli; Juan Carlos lo raggiunge con tutta calma, ed è un po’ strano vederlo solo quando Marc e Pau sono nello stesso continente, ma Ricky non ha intenzione di lamentarsi.

“Uhm,” mormora, eloquente. Juan Carlos accenna un’espressione esasperata, ma è da un po’ che Ricky sospetta che, in realtà, quella sia una reazione positiva. Juan Carlos è strambo, con le emozioni.

Ricky pensava che avrebbero lasciato l’albergo - c’è un centro commerciale nei paraggi che forse è ancora aperto, ma questo è tutto quello che sa, - ma Juan Carlos si dirige verso gli ascensori e, una volta dentro, pigia il bottone per l’ultimo piano.

“La terrazza?” domanda Ricky, e sta già implorando ogni santo di cui ricorda il nome che a nessun altro sia venuto in mente di andare lassù. Juan Carlos lo guarda, come a soppesarlo.

“Se hai freddo possiamo passare per la tua stanza. Ce l’avrai una felpa, spero.”

Ricky ride, senza fiato. “No, non è quello.”

“Sicuro?”

“Sicuro, Juanki.”

“Terrazza, allora.” Juan Carlos si ficca le mani nelle tasche. “E non chiamarmi Juanki.”

Le porte dell’ascensore si aprono con uno scampanellio; Ricky segue diligentemente Juan Carlos nel disimpegno.

“Oh? E come dovrei chiamarti?” lo prende in giro allegramente. “Vostra Altezza?”

Juan Carlos è già appoggiato al maniglione antipanico della porta che conduce sulla terrazza, ma si ferma un attimo e fa un’espressione pensierosa.

“Vostra Altezza non suona male.”

Ricky ridacchia - poi rabbrividisce, tentando di non darlo troppo a vedere, quando Juan Carlos apre la porta e l’aria fredda dell’esterno invade l’anticamera.

La terrazza è completamente, magnificamente deserta perché fa un freddo fottuto; Ricky si tira giù le maniche del maglioncino, si avvicina al parapetto per sbirciare di sotto.

“Ti serve una felpa,” dice Juan Carlos, alle sue spalle, critico.

“Sto bene,” ridacchia Ricky, ma saltella da un piede all’altro perché star fermo gli pare un azzardo, e spera che, nella penombra, Juan Carlos non si accorga che non riesce a smettere di rabbrividire.

“Lo vedo,” replica Juan Carlos, un cazzotto di quel suo sarcasmo asciutto; si avvicina a Ricky di un paio di passi, e poi mormora, così piano che a Ricky viene il dubbio che non volesse farsi sentire, “Vieni qui.”

Ricky stava già andando prima di sentirselo chiedere; di nuovo, la sua fronte atterra contro il collo ruvido di barba di Juan Carlos, e Ricky avvolge le braccia strette attorno alla sua vita, sospirando contento. Una mano di Juan Carlos si arriccia sulla sua nuca, l’altra pigia alla base della sua schiena, attirandolo ancora un po’ più vicino.

( seconda parte)

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