[Distretto di Polizia] Comeback (Luca/Alessandro)

Dec 30, 2008 23:02

titolo Comeback
beta faechan
fandom Distretto di Polizia
personaggi Alessandro Berti, Luca Benvenuto, nominee Irene & vari
pairing Luca/Ale
rating NC-17
conteggio parole mi rifiuto di ammetterlo.
prompt dimenticare Irene @ Italian p0rn fest
note C'è tutto, tutto quello che di Lucale sono riuscita ad immaginare. Tutto. *si dissangua*
disclaimerNon mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo. Puro fangirling.
~ I commenti sono l'amore. I lurker sono il male.

~ Comeback.

È dannatamente vero che in America tutto è possibile. Non avresti scommesso un centesimo sulla buona riuscita di questa vacanza oltreoceano, anzi, sei stato più volte tentato di disertare il volo e rimanere un anno chiuso in casa; invece eccoti, cinque mesi dopo essere arrivato, che già hai un posto fisso e pagato quasi onestamente, come commesso-cassiere-tuttofare in questa piccola videoteca.

Sinceramente, non credevi che ti sarebbe andata così bene: stare tutto il giorno dietro un bancone, a dar retta a clientela svitata, non ti dispiace nemmeno. Hai un sacco di tempo libero, perché la maggior parte dei clienti ama vagabondare per ore tra gli scaffali, e all’inizio ti sentivi quasi a disagio, non sei mai stato abituato a startene con le mani in mano, e volevi a tutti i costi dare consigli per gli acquisti, tentavi di fare conversazione, e alla puntuale, immancabile risposta Grazie, do solo un’occhiata, ti incazzavi pure.

Pian pianino, poi, ti sei adattato al nuovo stile di vita, e adesso sei capace di stare per ore nell’ozio più totale, semplicemente osservando le persone, senza neanche annoiarti.

C’è una ragazza, una cliente più o meno abituale, che ti ricorda tantissimo Giuseppe. È un po’ maldestra, fa la faccia incazzosa ma in fondo è gentilissima. Qualche volta avete chiacchierato del più e del meno, hai scoperto che ha un forte accento scozzese e ama i muffin ai mirtilli. Ti sei ripromesso di portare qualche muffin ai mirtilli anche a Giuseppe, quando tornerai in Italia.

Ad Elena invece somiglia, proprio fisicamente, un ragazzo che viene ogni santo mercoledì alle tre, e poi ritorna il venerdì sera. Affitta sempre film di ambientazione storica oppure cagate fantasy, ma qualche volta ha preso, non senza una punta di imbarazzo, degli innominabili polpettoni romantici. Forse questo tizio è davvero il gemello perduto di Elena.

Tutte queste reminiscenze della tua vecchia vita italiana ti servono a non pensare che sei solo come un cane. Sei in America da cinque mesi che, a pensarci, sono un’eternità; certo, hai un lavoro e una casa che sta in piedi da sola, ma non sei riuscito a trovarti uno straccio di amico decente. Hai conosciuto parecchi ragazzi, circa un milione di ragazze e pure qualche vecchio, ma a nessuno di loro hai raccontato nulla di te, a parte l’ormai canonico, “No, non Alexander, it’s… A-les-saaaaan-dro, why yeah, I’m Italian”.

Di questo passo, dimenticare Irene sarà una faticaccia. Tu sei qui per questo, d’altra parte: prenderti una pausa dallo stress di essere Alessandro Berti, l’inappuntabile Ispettore di Polizia segnato da mille e mille perdite, e lasciare che il cervello e il cuore si ricarichino. A star solo senza far niente, però, inevitabilmente finisci a pensare ai bei tempi andati, e davvero, è abbastanza controproducente, come terapia post-traumatica.

Una signora che non hai mai visto affitta due copie di Salvate il Soldato Ryan e una vecchissima, malandata cassetta di Titanic. L’Alessandro di un mese fa le avrebbe proposto di prendere un DVD con tanto di contenuti speciali, ma l’Alessandro di un mese fa si è stufato di esistere, ha fatto le valigie ed è andato a morire di dolore.

*

La proprietaria della videoteca sembra uscita da un film, anche lei.

È una signora di mezza età, una tosta bastarda ma col cuore tenero, che ti vuole bene dal profondo dell’anima e per questo preferisce starsene alla larga. In negozio non c’è praticamente mai, lascia a te la gestione di tutto. Il primo giorno ti ha insegnato a trattare con il ragazzo butterato che vi consegna le cose, ha scarabocchiato su un Post It un paio di numeri di telefono illeggibili da chiamare in caso di emergenza, e poi se n’è andata, col gatto sotto il braccio.

Torna una volta ogni tanto, giusto per assicurarsi che tu sia ancora vivo. Non degna la cassa di un’occhiata, controlla che nessuno abbia invertito l’ordine dei cofanetti di Star Wars, spolvera una vecchia foto che la ritrae assieme a un Gary Oldman spaventosamente giovane e se ne va, col gatto sotto il braccio.

Purtroppo per te è una maniaca dell’ordine, e pretende che ogni tre settimane (è pazza! È pazza!) tu ti metta a fare l’inventario. È il tuo capo e il suo gatto è malvagio da morire, quindi non è che puoi lamentarti più di tanto, però davvero, è una fatica sovrumana, soprattutto tenendo conto del fatto che il negozio è piccolo, certo, ma c’è più roba che in un centro commerciale.

Il giorno delle consegne, comunque, è il peggiore di tutti. Il tizio butterato ti ha fortunatamente preso in simpatia (sarà il fascino italiano), perciò ti dà una mano con gli scatoloni, ma Dio, scaricare dal camion decine di scatole pesanti una tonnellata e poi sistemarle in bell’ordine in un retrobottega striminzito e polveroso non è esattamente il tuo sport preferito. Rimpiangi i giorni dell’archivio di Parmesan, quei fascicoli grossi quanto una tua gamba sono leggeri come piume, se paragonati a questi malefici pacchi.

E soprattutto non riesci a capire perché, una volta disimballati e aperti e svuotati, gli scatoloni continuino a pesare veramente troppo. È una cosa che va contro ogni logica, contro ogni legge della fisica, della chimica e dell’astrologia e - ding dong! - Dio, cosa vogliono, adesso?

Sulla porta c’è un’enorme cartello con su scritto CLOSED, chi può essere così cretino da entrare?

“Sorry,” ansimi, emergendo dal retrobottega insieme a tre scatoloni di nuovi successi da sistemare sugli scaffali, “we’re closed.”

“Oh, perfetto. Posso invitarti a pranzare con me, allora?”

Sei sorpreso di sentirti rispondere - in italiano, un italiano perfetto, autentico, non il balbettio quasi ridicolo di certi Americani che pretendono di esser poliglotti, - ma non è solo per la grammatica e l’intonazione. È proprio la voce, quella voce, l’ultima che ti saresti aspettato di sentire, qui, adesso. Ti tremano le mani mentre appoggi gli scatoloni al sicuro sul bancone, e quasi non hai il coraggio di sollevare lo sguardo, perché ti senti un idiota ad aver anche solo sperato in una cosa così assurda.

Potrebbe essere una coincidenza, potrebbe essere tutta una tua fantasia, ispirata dai quintali di polvere che hai respirato da stamattina, e invece no. Meraviglioso e sorridente, accanto allo scaffale dei fantasy c’è Luca.

“Dio Cristo,” balbetti, e mentre gli corri incontro ti accorgi di avere le ginocchia molli. “Luca, sto sognando.” Lui accoglie sogghignando il tuo abbraccio, si lascia strapazzare, ricambia la stretta. Sospiri, sentendo la presa familiare della sua mano su un fianco, e poi i tratti morbidi del suo viso premuti contro il tuo collo. Lo chiami di nuovo, giusto per assicurarti che sia vero, che ci sia davvero lui, qui, dopo una vita che non lo vedi, ad abbracciarti come nessun altro oserebbe mai.

Gli abbracci di Luca sono sempre straordinari, è come se il suo corpo si fondesse col tuo, e separarsi da lui è doloroso fisicamente, come sarebbe doloroso privarsi di un rene o di un mese di vita, ma lui rimedia afferrandoti una mano e costringendoti alla vostra stretta, a quell’acrobazia un po’ gangster che non ricordi più da dove mai è venuta fuori.

“Che cazzo ci fai qua?” gli chiedi, sorridendo come non ti capitava da millenni. I suoi occhi stanno praticamente luccicando, e le tue ginocchia si commuovono.

“Passavo da queste parti,” risponde, lo spiritoso.

“Dio, Luca, non ci credo. Ah, ma certo che pranzo con te, non c’è nemmeno bisogno di chiederlo! Qua sto sistemando un po’ di cose che ci hanno consegnato giusto dieci minuti fa, ma a mezzogiorno stacco… ah, cazzo, mancano tre ore a mezzogiorno… non so, non voglio tenerti qua a prender polvere, se vuoi andare da qualche parte mentre io mi organizzo così-” Luca interrompe il tuo monologo sollevando una mano. “Sì, dimmi.”

“Calmati, Ale. Sto qua, anzi, guarda, se vuoi ti do una mano.”

Si accinge a sollevare uno scatolone ma tu lo fermi, e mentalmente ringrazi i super-riflessi da poliziotto.

“Non osare! Non te lo permetto, non scherzare!”

“D’accordo, d’accordo. Allora mi siedo,” dice, arrendevole, e si accomoda dietro al bancone, “e ti guardo faticare, ok?”

“Perfetto. Anzi, fai così, dimmi un po’ come hai fatto a trovarmi. E da quanto stai qua, comunque?”

Luca sorride e si mette a raccontare, giochicchiando con un portachiavi. Tu sei talmente felice di sentirlo parlare che ti perdi buona parte della storia, ma non importa, perché Dio, c’è Luca, il tuo Luca, che è venuto in America dall’Italia e ti è mancata così tanto, la sua voce.

È arrivato due giorni fa, di notte. Ha avuto qualche disavventura con un tassista semi-ubriaco, poi la receptionist dell’albergo voleva a tutti i costi infilarsi nella sua camera per fare porcate, ma alla fine lui è riuscito pure a dormire bene. Trovare te è stato più difficile, invece.

L’agenzia di viaggi che ha organizzato la tua vacanza si era rifiutata di fornirgli tutti i dettagli delle varie prenotazioni, per tutela della privacy, avevano detto; perciò Luca sapeva solo che eri atterrato a Seattle, cinque mesi fa, e avevi lì affittato una macchina. Insomma, supponendo che tu non avessi abbandonato gli States, Luca aveva solo dieci milioni di chilometri quadrati da setacciare.

“Ma la fortuna era in agguato,” ridacchia Luca, e dice di aver incontrato un vecchio compagno di scuola, pure lui emigrato in America. Questo tizio, Antonio, era qualcosa di molto simile ad un migliore amico, per Luca, ai tempi delle superiori, e quando gli chiedi se hanno passato mezza giornata a chiacchierare come ragazzine, Luca annuisce, quasi in imbarazzo.

“Tra le tante cose, Antonio a un certo punto mi ha detto di aver incontrato un altro italiano, proprio qualche giorno fa. Questo tizio era così abbattuto che doveva aver passato un guaio, ha detto, e stava tranquillamente prendendo un caffè quando Antonio gli va a sbattere contro. Chiede scusa, si offre di pagarli il conto, in un impeto di altruismo, poi a un certo punto gli domanda se per caso è italiano, e il tipo risponde di sì.
Antonio lo aveva capito dal fatto che il tizio - cioè tu, Ale, - stava prendendo un espresso in un bar gestito da italoamericani, e gli Americani non prendono mai l’espresso. Gli ho fatto un paio di domande, quanto era alto il tizio, colore dei capelli, e appena Antonio mi nomina delle orecchie spaventosamente vistose ho capito che eri tu.”

“Ehi!” protesti, allegramente: Luca è così soddisfatto di sé che perdi qualunque voglia di offenderti davvero.

“Mi sono fatto dare l’indirizzo del bar,” continua, “ho girato un po’ per il quartiere, ho chiesto in giro, ed eccomi.”

“Sei fantastico, Luca,” mormori, sistemando un’infornata di film horror. “Tutto questo casino per trovare me, sono lusingato.”

“Beh,” minimizza lui, “certo, se tu mi avessi dato un numero di telefono, sarebbe stato tutto più facile.”

Questo ti fa sentire in colpa. È vero, non hai lasciato nessun tipo di recapito, hai cambiato numero di cellulare e non controlli le e-mail da duecento anni; Luca avrebbe tutto il diritto di alzarsi, ora, e pestarti a sangue. Ti viene in mente che forse lui è qui proprio per questo: ucciderti di botte perché sei un idiota, uno screanzato e pure un imbecille.

“Non sei venuto qui per picchiarmi, vero?” chiedi, e cominci a pensare che risponderà di sì. Incontri il suo sguardo - potresti svenire - e Luca scuote piano la testa.

“Non solo per quello, no.”

“Come sarebbe, non solo?!”

Ride, ed è meraviglioso.

Ding dong!

Chi cazzo è, adesso.

“Sorry,” borbotti, laconico, “we’re closed.”

“Oh, I know, kiddo. ’nd seems we’re short on good manners as well, hmm?”

Ah, fantastico, la padrona, con tanto di gatto sotto il braccio. In un attimo sei di fronte a lei, saluti, la informi sulle consegne, ascolti le lamentele di routine e poi, gesticolando in maniera esagerata, le presenti Luca, le spieghi che è italiano, un tuo buon amico poliziotto italiano, e che quindi magari è meglio non rintronarlo di parole, potrebbe non capire, ma Luca s’introduce con estrema naturalezza nella conversazione, snocciolando un inglese migliore del tuo.

La signora ed il gatto crollano praticamente ai suoi piedi nel giro di cinque secondi.

*

Il fascino di Luca ha del miracoloso: è riuscito a convincere la vecchia a darti il permesso di smontare prima, e tutto questo senza nessuna decurtazione dal prossimo stipendio.

“Devi spiegarmi come fai,” osservi, ammirato. Lui sorride, si accarezza la nuca, imbarazzato.

“Non è che lo faccia apposta, comunque,” precisa, e si acciglia quando intercetta la tua espressione scettica. “Credimi. Voglio dire, è una cosa che succede, ma figurati se faccio qualcosa per piacere alle anziane signore e ai gatti.”

“Ok, sono d’accordo. A parte essere bello come un dio e affascinante da morire, sei totalmente innocente. Ah, siamo arrivati.”

Lo precedi su per i tre scalini e poi oltre l’ingresso del bar. Vieni qui tutti i giorni, fanno il caffè e i dolci migliori del Paese, e la cameriera ha un evidente debole per te. È un locale tranquillo, sobrio, mai particolarmente affollato. Le pareti, il pavimento e tutto l’arredamento sono in legno, legno vero e profumato, dipinto di azzurro e verde bottiglia, e non sei affatto stupito quando ti accorgi che entrambi questi colori si sposano alla perfezione con la figura di Luca.

Lo guidi verso un tavolo accanto alla vetrata principale, lasci che scelga la sedia che preferisce e poi ti accomodi di fronte a lui.

“Oggi mi sento gentiluomo,” sorridi.

Nancy, la cameriera che hai conquistato una piovosa sera di tre mesi fa e che ancora non hai invitato a cena fuori, si materializza accanto al tavolino. Ti saluta con un sorriso, ma a Luca riserva un’espressione che potresti definire solo estasiata. Lui sembra non accorgersi dell’adorazione di lei, sorride cordialmente e sceglie una torta e un cappuccino aromatizzato all’arancia. Per te il solito: un espresso, un bicchiere di spremuta d’arancia e un muffin.

Quando Nancy si è allontanata, soddisfatta della gentilezza di Luca, tu ti sporgi verso di lui, che ti guarda curioso.

“Mi rovini la piazza,” sussurri, poi accenni al bancone, dove Nancy ridacchia con una collega altrettanto giovane e carina, e tutte e due lanciano fugaci occhiatine al tuo accompagnatore che ok, ora è definitivamente in imbarazzo.

“Questi Americani,” borbotta Luca, “manco fossi il primo bell’uomo che vedono.”

Tu ridi, e Nancy riappare, portando dolcetti omaggio.

“Aw, you’re trying to seduce us or something, aren’t you?” domandi, sogghignando. Sotto il tavolo, Luca ti rifila un calcio negli stinchi; accanto al tavolo, Nancy arrossisce.

“Don’t think too high of yourself,” brontola, e poi si allontana, non senza aver sorriso una volta in più a Luca.

“Sei crudele,” puntualizza Luca, e tu aggredisci un biscotto, poi sorridi.

“Sono il rude macho latino. Il principe azzurro sei tu,” spieghi. Luca ride, e tu avevi quasi dimenticato quanto è limpida e allegra la sua risata. È passato troppo tempo dall’ultima volta che siete stati così, tranquilli, rilassati, solo voi due.

“Come mai sei qua, comunque? Voglio dire, voglia di vedermi a parte,” chiedi, senza riuscire a contenere un ghigno. Luca si accarezza il mento, pensoso, sembra stia ponderando davvero seriamente la risposta, e ti penti di avergli fatto una domanda del genere proprio ora che tutto cominciava a girare nel verso giusto.

Nancy riempie lo spazio tra te e Luca con bicchieri e piattini, la ringrazi brevemente, e Luca ancora non ha smesso di meditare.

“Beh,” mormora infine, “diciamo che Anna e Raff mi hanno… uhm, gentilmente convinto a staccare la spina, per un po’.”

“Un periodaccio?”

Luca si stringe nelle spalle, e zucchera il suo cappuccino un po’ più del necessario.

“Sai come vanno le cose. Niente di tragico, sia chiaro, però è stato molto frustrante. Eravamo tutti un po’ esausti. No,” si acciglia. “Io ero dannatamente esausto, in effetti.”

Sorridi, anche se vorresti piangere. Non fai assolutamente fatica ad immaginare come devono essere stati gli ultimi mesi, per Luca, ed è angosciante saperlo ora che è tutto finito, ora che non puoi fare niente per lui. D’altra parte, però, tu non hai mai potuto - né saputo - fare nulla, per Luca, a parte essere un peso, e una preoccupazione perenne.

“Mi dispiace,” mormori. “Mi dispiace, avrei dovuto esserci anche io, al tuo fianco, voglio dire.”

Il caffè di qui non è mai stato così amaro.

“No,” soffia Luca, gli occhi fissi sul cappuccino. “No, non devi essere duro con te stesso. Hai tutte le ragioni del mondo per stare qui, lontano da Roma, dal casino del Distretto, Ale. Non devi sentirti in colpa, se io non sono in grado di sopravvivere a una crisi.”

“Non dire stronzate!” scatti, e i pochi avventori si voltano a guardarti, smarriti per le parole che non hanno capito, atterriti dal tono duro e incazzato che hai usato. “Non dire stronzate,” ripeti, a mezza voce. Luca nemmeno ti guarda. “Non è certamente una cosa che s’impara sui libri, riuscire a gestire un distretto quando tutto va a puttane. È la pratica che ti forma, Luca, e Cristo, lasciami dire che tu ti sei dimostrato un coordinatore fottutamente bravo, pure se era la tua prima prova.”

Luca alza finalmente lo sguardo - accidenti a chi gli permette di avere occhi così verdi - e ghigna.

“Commissario, in effetti.”

“Ah! Questa è una notizia!” sollevi, felice, la tazza di caffè e la picchietti gentilmente contro la sua, in una parodia di brindisi. “Lunga vita al commissario Benvenuto!”

*

“Hai pure una casa,” soffia Luca, ma non riesci a capire se il suo tono sia ironico o genuinamente ammirato. Per buona misura, gli concedi un sorriso.

“Sì, e ha anche il tetto.”

“Woah, Alessandro, ma cosa mi dici mai!”

È tardi. Avete passato più di due ore al bar di Nancy, a chiacchierare di cose inutili, con lei e l’altra camerierina che ogni tanto facevano capolino al tavolo, chiedendo se per caso vi serviva qualcosa. Quando ve ne siete andati, lasciando una considerevole mancia nel posacenere, Nancy ha sospirato in maniera inequivocabile, e sembrava tentata di seguirvi, per proporre a Luca chissà che favore sessuale. Sei semplicemente contento che non abbia osato, anche se forse sarebbe stato divertente vedere la sua reazione nell’essere rifiutata.

Perché ehi, Luca è ancora gay, giusto? È una cosa che non osi chiedergli, per timore di suonare inopportuno e cretino.

Dopo una breve capatina al parco del quartiere, sei stato colto da un attacco di fame, e avete cercato un posto per riempirti lo stomaco. Avete mangiato e passato il resto del pomeriggio in un locale che era un ibrido tra una tavola calda e una brassérie, e serviva un puré di patate che era la fine del mondo.

Adesso, che il sole sta andando a nascondersi dietro l’orizzonte, tingendo il cielo e le case di rosso, vi arrampicate su per le scale e fino al tuo appartamento.

Apri la porta e con un inchino teatrale inviti Luca ad entrare.

“Non è granché,” ammetti, “ma è casa.”

Luca sorride.

“No, mi piace. Ed è stupendo che tu l’abbia trovato in così poco tempo.”

“Sì, ho avuto una fortuna sfacciata. Ascolta, Luca, io… vorrei farmi una doccia, che sono pieno di polvere fin nelle mutande, da stamattina. Non vorrei sembrarti un pessimo padrone di casa, ma ti spiace aspettarmi un poco?”

“Niente affatto, fai con calma, io curioserò un po’ in giro.”

“Ok,” sorridi; sei già in corridoio, con la camicia per metà sbottonata, quando ti raggiunge la voce di Luca.

“C’è qualcosa che non dovrei vedere?” chiede, evidentemente divertito.

“Nulla che tu non abbia già visto,” lo rassicuri, lui ride, e tu torni a dirigerti in bagno, non prima, però, che il tuo stomaco ti abbia tradito, emettendo un gorgoglio affamato. “Per la miseria, sto diventando un maiale…”

Quando riemergi dalla doccia, revitalizzato dallo schiaffo dell’acqua tiepida, l’appartamento è invaso da un profumo meraviglioso, così invitante che ti dimentichi pure di essere in accappatoio e ancora bagnato da capo a piedi. Ti affacci in cucina, c’è Luca tutto affaccendato tra i fornelli.

“Luca, sei assurdo,” mormori, con un sorriso enorme, “non ce n’era assolutamente bisogno.”

Luca si volta a guardarti al disopra della propria spalla, e sorride, nel vederti raggiante.

“È che, curiosando curiosando, mi è venuto in mente che non ho mai cucinato per te.”

“Che grave mancanza, commissario,” lo rimproveri; lui annuisce gravemente, poi scodella in un piatto una colossale frittata d’un meraviglioso color oro e oh, Dio, è una frittata di maccheroni! Ne rubi un pezzetto ancora prima di poterci pensare su, ficchi tutto in bocca ed è il Paradiso.

“Mmmmhh,” mugoli, praticamente in estasi, “Luca, non ci tornare più, in Italia.”

Lo senti ridacchiare - non lo vedi, perché preda dell’orgasmo da frittata hai chiuso gli occhi, ma lo senti, non solo con le orecchie: la sua risatina si aggancia ad ogni singola cellula del tuo corpo e penetra sotto la pelle, rovesciando l’universo in una miriade di farfalle svolazzanti.

Questo non è un pensiero sano, realizzi improvvisamente. Non lo è affatto.

Hai bisogno di vestiti.

*

“Dio benedica le tue doti di cuoco,” mormori dopo cena, quando ormai sei totalmente distrutto dalla sublime bontà del suo cibo. Sei finito chissà come sul divano, e Luca compare dalla cucina con un sorriso radioso e due bicchieri di vino.

“Dio fece il cibo, ma certo il diavolo fece i cuochi, Ale,” mormora, e si siede accanto a te, ti porge il bicchiere che ti spetta, il suo ginocchio tocca il tuo quasi distrattamente.

“Oh, fanculo Joyce,” borbotti, brindando con lui, e ti perdi l’ennesimo sorriso felice che compare ad illuminargli il viso, “non esagero quando dico che quella frittata mi ha praticamente fatto avere un orgasmo.”

Di nuovo, la sua risata ti scuote, tocca qualcosa che è da qualche parte, in te, tra la pelle e il cuore, e tu saggiamente decidi di concederti un lungo sorso di vino, in modo da poter incolpare l’alcol per queste sensazioni scellerate.

Anche il bicchiere di Luca si svuota in fretta, forse troppo in fretta per non destare sospetti ma tu sei ancora perso a pensare alla frittata, mentre lui lo poggia lentamente sul tavolino accanto al divano; poi, altrettanto lentamente, sistema un braccio attorno alle tue spalle, ed è semplicemente naturale, per te, rilassarti contro di lui.

“Alla fine,” mormora, e senti le sue parole solleticarti l’orecchio, ma forse è quell’accenno morbido di barba che Luca si ostina a non tagliare, “non mi hai nemmeno detto come stai.”

Mordi uno spergiuro un attimo prima che quello lasci la tua bocca. Sapevi che la domanda sarebbe arrivata, ma speravi di riuscire a rimandare il momento fatidico abbastanza a lungo da prepararti una bugia rassicurante e plausibile, e invece no, ecco che Luca sgancia la bomba e tu non hai dove nasconderti.

Sprofondi un po’ di più nel divano e nel suo abbraccio, e per un attimo, assorto nella contemplazione del dito di vino che ancora bagna il bicchiere tra le tue mani, pensi davvero a com’è che stai.

Sei felice, questa è la verità. Per la prima volta da Dio solo sa quanto, ti senti genuinamente felice, sereno, perfettamente a tuo agio nella tua pelle. Non hai voglia di scappare da nessuna parte, anzi, pagheresti fior di quattrini per non doverti mai più scollare da questo divano.

E, il solo pensare una cosa del genere ora ti fa stare così male che quasi senti un conato di vomito montarti in gola, ma non puoi negare a te stesso che una enorme fetta di questa felicità porta impresso il nome di Luca.

“Ale.”

Luca ti riporta al mondo reale, con l’estrema gentilezza che hai imparato ad associare a lui.

“Sono… felice, suppongo. Sereno,” borbotti. Pensare cose del genere è un conto, ma dirle ad alta voce è tutt’un altro paio di maniche. Ti senti sempre, mortalmente idiota, in queste situazioni.

“Davvero? Felice e sereno? Ale, se è solo per-”

“No, ehi, certo che non lo dico solo per tranquillizzarti. Mi sono mai fatto problemi a riversarti addosso tutta la bile o il dolore o le cazzate che mi tenevo dentro, hm?”

“No, in effetti no, mai.”

“Ecco, appunto. Ti dico che sono felice perché sono felice. Sto bene, in questo momento. Davvero.”

Questo è il massimo che riesci a rivelare. Non hai proprio lo stomaco necessario per dire ehi, guarda, scoppio di gioia perché ti ho rivisto, baby. Soprattutto perché, insomma, è una frase così equivocabile, così poco virile. E Luca è anche gay, almeno fino a prova contraria, e davvero, sarebbe pessimo se il tuo migliore amico gay sospettasse - a torto - di essere amato da te. E tu sei davvero troppo stanco e ubriaco e felice per chiederti se, poi, in fondo, sarebbe così sbagliato pensare che ti sei preso una enorme, colossale sbandata per Luca.

“Sono felice di sentirtelo dire. Ah, fanculo, Elena e Raffaele!”

“Raffaele? Elena? Che c’entrano, adesso?”

Luca si strofina i capelli con il pugno, vorresti dirgli di fermarsi, vorresti guardarlo dritto negli occhi e dirgli ehi, cazzone, piantala di torturare la mia testolina preferita, ma non hai la forza nemmeno di sollevare il bicchiere per ubriacarti un poco di più, figurarsi quella di tener fermo un bel ragazzone come Luca.

“Dicevano stronzate, tutti e due. Stronzate sul fatto che sembravi veramente troppo sconvolto dal dolore per Irene, stronzate sul fatto che non saresti più tornato a casa, perché l’America ti offriva la possibilità di ricominciare da zero una vita felice che in Italia, da noi, non avresti avuto e… stronzate, punto.”

A questo punto sai che dovresti offenderti per la bassa considerazione che il tuo ex-coinquilino e l’esperta strizzacervelli hanno di te, e dovresti davvero, ma sei concentrato su un altro dettaglio.

Irene.

Adesso il bisogno di vomitare si fa più impellente che mai.

Irene.

IreneIreneIreIreneIreneIreneIreneIreneIreneIreneIreneIrene.

Questo stronzo, questo enorme, affascinante bastardo di Luca te l’ha totalmente strappata via dalla testa. Il suo sorriso, la sua voce, le sue mani, Cristo, una giornata con Luca e non hai pensato a lei neanche mezza volta, nemmeno quando siete passati davanti alla lavanderia - e ne sei sicuro, ci siete passati! - dove lavora quella ragazza che a Ire somiglia così tanto.

Merda.

Luca, che cosa mi hai fatto?, vorresti domandargli, e non t’importa di suonare ambiguo e dannatamente gay: quand’è che sei diventato il centro del mio universo?, vuoi chiedergli. Vuoi che ti spieghi come maledizione ci è riuscito. Vuoi capire come ha fatto, come ha potuto infiltrarsi sotto la tua pelle così silenziosamente che quasi non te ne sei accorto.

È stato il suo sorriso? I suoi occhi? Il suo fascino?

Sono stati i suoi abbracci, quelle strette torride come l’Inferno che appartengono solo a lui?

È stato il suo esserci sempre, comunque e in ogni situazione, a prescindere da tutto il male che gli hai fatto, e da tutte le accuse immeritate e da tutte le parolacce, le bestemmie, le minacce che hai avuto modo di vomitargli addosso?

È stata la sua innata gentilezza, quel bisogno quasi fisico che ha di prendersi cura di te, di assicurarsi che tu stia bene, di circondarti di attenzioni, sempre e come meglio può? È stata la sua voce, che in qualche modo bislacco sembra essere l’unica cosa al mondo in grado di calmarti quando perdi la testa?

È stata quella pallottola che l’ha quasi ucciso e che lui si è preso perché tu non morissi?

Merda. E maledizione, anche.

“Ale?”

“Cazzo, Luca. Cazzo.”

“Che c’è?”

La sua stretta attorno alle tue spalle si fa più salda. Rieccola, la sua fissazione per il doverti tenere sempre a galla, pure se fosse necessario costringerti. Una meravigliosa sensazione di calore ti investe i lombi, al pensiero che sì, maledizione, Luca c’è, ci sarà sempre, perché c’è sempre stato.

“Ale?”

“Cazzo, Luca,” ripeti, ma adesso sorridi. “Prendimi pure per scemo, ma mi sa che sono innamorato di te.”

Lui ti guarda con tanto d’occhi, senti il suo cuore accelerare i battiti, premere contro le sue costole proprio accanto alla tua spalla.

“Che hai detto?” riesce a mormorare. L’hai lasciato senza fiato, poverino. Dovresti fare qualcosa per farlo sentire meglio, davvero, se lo merita. “Stai scherzando?”

“Ehi,” insorgi, fingendoti offeso, “ti sembro uno che scherza su certe cose? Con te, poi?”

“Beh,” osserva lui, aggrottando la fronte, “non mi sembri nemmeno molto gay.”

Sai che non dovresti, sai che Luca non intendeva questo, ma la prendi come una sfida e, con le energie che miracolosamente ti sono tornate (a quest’ora la frittata dev’esser stata digerita), ti sollevi e lo baci.

All’inizio è strano, principalmente per via della peluria intorno alla sua bocca. Dovrai regalargi un rasoio e proibirgli di andare dal barbiere. Poi Luca si rilassa un poco, e la sua lingua viene a salutare la tua. Da questo momento in poi è estasi, ancora meglio che la frittata.

Non avresti scommesso un centesimo sulla buona riuscita di questo primo bacio, ma come volevasi dimostrare le tue previsioni sono state tutt’altro che azzeccate. Luca ti bacia con gentilezza - ce l’ha proprio per vizio - e passione inaudite. La sensazione della sua lingua che incontra la tua ti riempie la schiena di brividi, e Luca sembra soddisfatto da questa reazione, perché lo senti sorridere.

In qualche modo, trovi la forza di volontà necessaria per allontanare la bocca dalla sua e riprendere fiato. Ha gli occhi lucenti, Luca, le guance in fiamme e gli angoli della bocca sollevati in un ghigno divertito.

“Forse un po’ gay lo sei,” concede, e ti scappa da ridere, e lui decide che il posto migliore per conservare la tua risata è nella sua bocca, perciò ecco che ti bacia di nuovo. Qualche respiro dopo riapri gli occhi, e lui è sempre lì che ti guarda, affascinato da chissà che visione.

Ti accorgi di essere sdraiato sul divano, con Luca addosso, e sì che è una posizione compromettente, ma non vorresti essere da nessun’altra parte. È una sensazione così nuova, quella di star bene dove sei, e sentirti a casa, felice, che ti chiedi se Luca non abbia messo qualche allucinogeno nella frittata.

Poi lui seppellisce il viso contro il tuo collo, comincia a baciarti anche lì, e capisci che no, non c’erano allucinogeni, è proprio Luca a farti dare di matto.

Cominci ad ansimare quando lui ancora non ti ha sfilato la maglietta. Dovresti sentirti umiliato, in fondo ti sta dedicando le attenzioni che in genere sono riservate alla parte femminile di una coppia, e a pensarci bene tu sei la donna della situazione, ma al momento non c’è spazio abbastanza, nel tuo cervello, per pensieri del genere. Forse più tardi mediterai su questa pressante questione, ma adesso no, adesso Luca sta facendo cose indicibilmente piacevoli con la bocca e tutto quello di cui hai bisogno è concentrarti su di lui.

Non è tanto difficile, d’altra parte.

In questo momento, al mondo non esiste che Luca.

Si muove lentamente verso lo scollo della tua maglia, assaggiando con attenzione tutta la pelle che la sua bocca incontra, e tu, sotto di lui, reagisci come puoi, intontito dal calore e dall’eccitazione. Ti auguri solo di riuscire a non morire d’infarto prima del momento culminante.

Dopo un’agonia lunga tremila anni, finalmente Luca ti sfila la maglietta. Approfitti del momento per darti un po’ da fare, intrufoli le mani sotto la sua camicia e cerchi un punto debole. Lo trovi subito, è l’ombelico: lo capisci dal suono morbido che nasce dalla gola di Luca.

Con una mano corri su e giù sul suo torso incredibilmente caldo, lui sta praticamente facendo le fusa, mentre con l’altra sbottoni la camicia, o meglio, tenti di sbottonare la camicia, perché nel frattempo Luca ha ripreso a baciarti e concentrarsi non è esattamente la cosa più facile del mondo, con la sua lingua che sevizia lentamente la tua bocca.

“Luca, cazzo,” ansimi, interrompendo bruscamente il bacio, “dammi un secondo per toglierti questa dannata camicia!”

Lui ridacchia, torna a nascondersi nell’incavo tra il tuo collo e la spalla, e a tormentarti di morsi.

“Non è esattamente questo che intendevo,” sussurri, ed è una faticaccia riuscire a mettere le parole in fila. Alla fine, chissà come, riesci a liberarlo della camicia e prendi ad accarezzargli la schiena quasi febbrilmente. Hai l’impressione che la sensazione gli piaccia parecchio, almeno a giudicare da come reagisce il suo little self, laggiù contro il tuo bacino.

E, a proposito di bacino, i pantaloni cominciano a starti stretti, e immagini con un brivido l’agonia di Luca, costretto in un paio di blue jeans. Compassionevole, incespichi lungo i suoi addominali finché non raggiungi la stoffa ruvida dei suoi jeans, e in un attimo il bottone scivola fuori dell’asola e la cerneria scorre aperta. Strattoni giù pantaloni e boxer, insieme; Luca ringrazia sentitamente, e ricambia il favore.

È assurdo come il corpo di Luca, così maschio e privo di curve, si adatti perfettamente contro il tuo, generando frizioni meravigliose; insomma, non dovrebbe essere così, dovrebbero esserci spigoli fastidiosi e il contatto con la peluria ruvida del suo inguine non dovrebbe essere piacevole. Dal nulla, ti metti a pensare che forse al catechismo non fanno che riempirti la testa di cazzate, e che a Dio, lassù, probabilmente non importa davvero se fai sesso con un uomo o una donna.

Verità teologiche a parte, Luca sta facendo del suo meglio per eccitarti oltre ogni limite. La verità è che ti basterebbe guardarlo, bello e accaldato e attraente com’è, per avere un orgasmo devastante. Sì, è meglio della frittata. Ma lui, ovviamente, non sarebbe soddisfatto.

Ti bacia, tocca e stringe dove non dovrebbe.

“Luca,” ansimi a un certo punto, “basta coi preliminari.”

Lui si ferma a metà di un bacio gentilmente posato sul tuo petto e ti guarda da sotto in su. Devi coprirti la faccia con un braccio per non svenire, i suoi occhi sono. così. maledettamente. belli.

“Come vuoi,” sbuffa, ma poi sorride. Risale disseminando morsi ovunque, e Dio solo sa perché ti sembra così bello essere mordicchiato da un uomo. Ti bacia le guance, scosta delicatamente il braccio con cui ancora ti nascondevi e ti fissa.

“Oh, Dio,” gemi, “penso che morirò, se mi guardi ancora.”

Lui piega la testa di lato, sembra quasi un bambino genuinamente sorpreso.

“Non l’ho capita.”

“E ci credo,” borbotti. “Non sei mai stato fissato da un paio di occhi così… così.”

“Così come?”

Gemi di nuovo, frustrato, appoggi una mano sulla sua nuca e lo attiri in un bacio famelico. I suoi occhi ti eccitano, ok? Quel verde cangiante dovrebbe essere vietato per legge, anzi, a Luca dovrebbe esser vietato per legge di torturare poveri innocenti con quello sguardo irresistibile.

Quando si separa, ansante, dalla tua bocca, non ti è rimasta molta voglia di discutere di questioni legislative.

“Mi chiedevi di proseguire…” mormora, quasi distrattamente. Non fai nemmeno in tempo a rispondergli, che le sue dita stringono la base del tuo sesso. Cominci a non capire più niente quando Luca ti bacia il costato e continua a scendere, fino a che la sua bocca si sostituisce alla mano.

“Oh, Dio.”

Non sei un novellino delle gioie del sesso, questa non è la prima volta che ti rirovi una lingua tra le gambe, ma la testa comincia a girarti lo stesso. È inutile cercare di ricordare al tuo corpo che, cazzo, è un pompino, niente di trascendentale, è solo Luca che sta facendo quello che decine di altre donne hanno già fatto: non riesci a mettere in fila due pensieri coerenti, il cervello si è ammutinato e hai i sensi in subbuglio.

Luca sa quello che sta facendo, è innegabile, ma dev’esserci qualcosa in te che sta amplificando il piacere perché tutto questo non è normale, non è sano. È la tensione per un’esperienza nuova, decidi. Il tuo cazzo si sta dando alla pazza gioia perché non è mai stato succhiato e contemporaneamente solleticato da una simpatica barbetta, ed è ben lieto della novità, talmente lieto che non riesci a controllarlo, e vieni quando decide lui, chiamando il nome di Luca con una voce che è tutto un programma.

Lui è svelto a ricomparire nel tuo campo visivo, felice come una Pasqua, ti bacia, ha in bocca un sapore strano ma non vuoi approfondire la questione, stai morendo d’imbarazzo già abbastanza.

È dolce e molto carino il modo in cui ti accarezza sui fianchi e poi dietro la schiena, per calmare la tempesta di ormoni che ti agita ancora, ma tutto diventa un po’ meno dolce e molto meno carino quando capisci che la destinazione finale delle sue mani è il tuo povero sederino illibato.

Lo afferri per le spalle.

“Luca,” ansimi, “non è cosa.”

Lui solleva le sopracciglia, sembra sul punto di dire qualcosa. Grazie per il pompino più intenso della mia vita, gli risponderai, ma devi darmi un po’ di tempo. Sei ancora sotto shock e non riesci a respirare bene e Dio, farti pure impalare da Luca potrebbe ucciderti.

Lui deve aver visto il panico nei tuoi occhi, perché decide di rimanere zitto; si china a baciarti, e le sue mani risalgono. Intreccia le dita sulla tua nuca. Il poco fiato che ti rimane, dopo il bacio, lo soffi via in un sospiro felice, sollevi un po’ la testa e appoggi la fronte alla sua spalla.

Senza nemmeno aver bisogno di pensarci su, lo tocchi. Sfiori lentamente la sua pelle dorata, inventando percorsi a caso in mezzo al sudore, e ti accorgi quasi con stupore che avere muscoli torniti sotto le dita è più piacevole di sprofondare in curve morbide.

Luca sopra di te si tende, sospira, sorride. Ti viene da pensare che forse è un millennio che qualcuno non lo tocca così, e allora decidi di impegnarti di più. Lui si struscia piano, mugolando parole sconnesse. Sarebbe il caso di dargli una mano ad avere un orgasmo degno di questo nome, allora inarchi la schiena, ti strofini contro la sua erezione disperatamente turgida.

“Dio, Ale,” balbetta lui, il viso seppellito contro la tua spalla. Ti sfugge un ghigno.

“Credevi che mi sarei fatto fare per sempre, hm?”

“No, no,” risponde lui, teso come una corda di chitarra e caldo, contro di te e contro la tua mano sul suo sesso, caldo come il Sole, “infatti mi domandavo quando ti saresti svegliato.”

Ridi, e Luca viene. Non sai se le due cose siano veramente collegate, ma ti piace pensarlo.

Con uno sbuffo soddisfatto, lui si rilassa e crolla su di te, esausto, madido di sudore e più bello che mai. Approfitti della vicinanza per intrufolare una mano tra i suoi capelli - è un secolo che vuoi toccarli e non ti sembra vero, ora, poterci affondare cinque dita e vedere Luca sollevare gli angoli della bocca in un sorrisino felice.

Gli lasci un minuto per riprendere fiato, e rimani un minuto a fissarlo così intensamente che pensi prenderà fuoco da un momento all’altro. Non riesci a trovare un dettaglio imperfetto, su di lui, né sul suo viso né sul suo corpo, il che è semplicemente oltraggioso, ma a questo punto non importa più, non con il suo respiro caldo che ti solletica il collo e le tue mani tra i suoi capelli.

“Oi,” lo chiami, quando hai l’impressione che si sia addormentato. Lui sbuffa un pigro segno di vita, e ci mette un millennio, ma alla fine solleva le palpebre, e ti guarda. Combatti la vertigine che ti capovolge lo stomaco quando incontri quel verde (perché non l’hanno ancora vietato per legge, comunque?), e costringi il tuo corpo all’obbedienza. “Di’ la verità, tutto questo,” e con un cenno del mento indichi voi due, nudi e allacciati in modo quasi tenero sul tuo divano, “era pianificato.”

Lui sorride, si sporge per lasciarti un bacio leggerissimo sulle labbra.

“Ovviamente sì,” sussurra, e sei certo che stia già dormendo.

È indubbiamente un ottimo stratega, Luca.

“Missione compiuta, allora. ”

“Dio benedica le frittate.”

“Amen.”

~ FINE.

Ok, ora ve lo dico. Sono 6'606 parole. *sviene*
Chiunque voglia ricevere i numeri del Lotto dall'autrice ormai deceduta, non deve fare altro che chiedere.

} 2008, distretto di polizia, » challenge: p0rn fest #2, distretto di polizia: luca benvenuto, distretto di polizia: alessandro berti, › ita

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