Titolo: Dudas que me asaltan
Fandom: RPF Basket
Personaggi/Pairing: Rudy Fernandez/Ricky Rubio (cenni Navarrubio e Nasol Gasolvarro)
Rating: PG14
Conteggio Parole: 1955 (
fidipu)
Avvertimenti: fluff
Prompt: letto + SAFE @
Cow-T 2, come al solito su
maridichallenge.
Note: Dunque, il titolo è una roba che twittò (sotto forma di hashtag, quindi #dudasquemeasaltan) Jorge Garbajosa, una volta che non sapeva se lo Starbucks all'aeroporto era aperto; per celia, gli replicai di chiedere a Joe Ingles (per il quale i ragazzi del Regal hanno inaugurato l'hashtag #StarbuckssponsorshipforJoe XD). Caso volle che fossero entrambi ancora online e con la pagina delle mentions aperte, perché mi risposero entrambi dicendo che Starbucks = casa! X'D E, niente, questa è la storia di come Kyappu ha imparato che, in spagnolo, 'dubbio' è femminile. *ride*
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ Dudas que me asaltan.
Ricky è un po’ triste e, in tutta onestà, è una cosa assurda. Esattamente una settimana fa vincevano l’Eurobasket, tra altri sette giorni lo piazzeranno su un volo di sola andata per gli Stati Uniti dove c’è l’NBA ad aspettarlo - o, beh, perlomeno quello che ne rimarrà dopo il lockout, d’accordo, - e in questo preciso istante è a letto, nel suo appartamento di Barcellona, con il condizionatore deliziosamente sparato a tutta potenza e Rudy spaparanzato addosso, i suoi capelli che gli solleticano il mento ad ogni respiro.
E Ricky è un po’ triste.
Chiaramente, il ragazzo ha dei problemi.
«Ok,» sbuffa Rudy, e rotola giù da lui, sollevandosi a sedere sul materasso in una posizione quasi composta e sicuramente scomoda. Ricky lo guarda da sotto quelle ciglia chilometriche, silenzioso e mogio mogio. «Che c’è che non va?»
Ricky si stringe nelle spalle, si butta un braccio di traverso sul viso per nascondere la propria espressione allo sguardo indagatore di Rudy. Non che serva a qualcosa, naturalmente, perché a Rudy basterebbe un’occhiata velocissima alle caviglie di Ricky per capire che qualcosa è fuori posto, non ha bisogno di specchiarsi nei suoi enormi, ridicoli occhioni di cerbiatto.
Rudy si acciglia un pochino, si stropiccia il mento con una mano e poi, tranquillamente, si getta su Ricky e lo solletica senza pietà, tormentandogli i fianchi e l’interno delle braccia nude e qualsiasi altro angolo di lui su cui riesca a mettere le mani.
Ricky finisce a contorcersi come un tarantolato tra le sue gambe, però la sua risata senza fiato non è davvero contenta, è più come lo sbuffo necessario e pressurizzato di una valvola a vapore, e allora Rudy s’imbroncia, un po’ offeso. Si siede sulla sua pancia e, da gran signore, gli ficca un piede in piena faccia, muovicchiando le dita. Ricky tenta di schiaffeggiarlo via - adesso è quasi davvero contento, grazie al cielo, - e dopo un momento è Rudy che s’arrende, e incrocia le gambe, le braccia, mettendo su un’espressione serissima.
«Allora?» chiede, e Ricky abbassa lo sguardo.
«Ma niente, sto bene.»
Rudy sbuffa, niente affatto convinto.
«Lo sai che sei un pessimo bugiardo, nanu,» dice, e spinge un tallone contro il fianco magro di Ricky, che istintivamente si ritrae, ma non è che possa scappare da qualche parte.
«È una cosa stupida,» mugugna, alla fine, perché, ugh, quando Rudy comincia ad essere testardo e asfissiante non c’è proprio modo di salvarsi, se non dicendogli tutto quello che vuole sapere o, perlomeno, qualche dettaglio. «Veramente, Rudy, non vale la pena.»
Rudy corruga la fronte, pensoso.
«È una cosa che mi può far arrabbiare?» domanda, e Ricky si irrigidisce per un attimo, il che costituisce una risposta più che sufficiente.
Il ragazzino, comunque, si prende il disturbo di annuire, la frangetta troppo lunga che gli ricade sugli occhi e lui è costretto a soffiarla via.
«Non voglio litigare, Ru’,» mormora Ricky, stranamente docile, e prende a tracciare cerchi distratti coi pollici sulle cosce di Rudy; dev’essere una cosa veramente molto stupida, quella che lo affligge.
Rudy fa una smorfia, sente Ricky muoversi un poco sul letto e probabilmente dovrebbe spostarsi, considerando che non è proprio leggero come una piuma e per di più gli si è acciambellato sulla pancia, per cui non è che Ricky può stare tanto comodo, ma non ne ha la minima voglia, per cui resta fermo dov’è. Ricky, d’altra parte, non dice nulla, ma continua a guardarlo con l’ombra appena di un sorriso sulle labbra.
Rudy sospira, si scompiglia i capelli.
«Ok, anch’io devo dirti una cosa che ti farà arrabbiare,» confessa; Ricky subito sgrana gli occhi, sorpreso, e si tende tutto sotto di lui, preoccupato.
«Che cosa?» chiede, e Rudy, suo malgrado, non riesce a trattenere un ghigno un po’ scemo.
Se ne pente subito, comunque, non appena gli torna in mente cos’è che deve dire a Ricky. Oh, Cristo, gli toglierà il saluto, quindi probabilmente è meglio levarsi il pensiero il più in fretta possibile.
«Potrei giocare col Real,» dice, quasi tutto d’un fiato. «Se il lockout non si chiude in tempi brevi. Stiamo, uh, trattando, al momento.»
Ricky lo guarda, e Rudy è abbastanza sicuro che tra un po’ tirerà su gli indici a croce e cercherà di esorcizzarlo. Non è che l’abbia mai tenuto tanto segreto, il fatto che, nonostante gli anni trascorsi in Catalogna, durante i clásicos lui tende a tifare per quelli vestiti di bianco, ma da Ricky si aspetta una reazione nient’altro che esagerata e cretina, e si stupisce, si spaventa, persino, quando non la vede arrivare; quando Ricky rimane fermo, lo scruta, magari un pochino ferito, ma non fiata.
Rudy corruga la fronte, stringe gli occhi. Ricky si riscuote, arrossisce.
«Non sono sicuro di volerci andare, in America,» bisbiglia, la bocca piegata all’ingiù in una curva vergognosa.
Rudy inarca le sopracciglia, non si capacita di quello che le sue orecchie hanno appena percepito - o pensano, ritengono di aver sentito; chiaramente, dev’esserci qualcosa che non va coi suoi timpani.
«Prego?»
Ricky fa un sospiro umido e tremante, si preme le mani sulla faccia. Rudy lo pungola con un alluce, non riesce a strappargli un sorriso e, ok, questo è preoccupante.
«Non lo so, Rudy,» si lagna Ricky, e adesso già va meglio, perché questa vocina lamentosa e rompipalle è quella che Rudy più facilmente associa alla piaga sociale sdraiata sotto di lui. «L’ho vista, la pagina di Wikipedia dei Timberwolves, ok? Un titolo di divisione in ventidue anni? Uno, Rudy! Di divisione. E a me piace vincere, sai?»
«Non me n’ero accorto,» sbuffa Rudy, alzando gli occhi al soffitto; Ricky si agita, minaccia di scalciarselo via di dosso, ma lui resiste e gli tira uno schiaffetto sul braccio, e magari il suo tocco indugia perché, duh, la pelle di Ricky è sempre morbida e deliziosamente color caramello, ma è giusto un momento. «Senti, dai, è solo l’inizio. E tu, signorino, ma che pretendi? Non sei mica bravo abbastanza da farti pescare dai Lakers al primo colpo.»
Ricky s’imbroncia, e Rudy lo solletica un po’, ridacchiando.
«Sei uno stronzo, vecchio,» brontola, tirandogli le guance. «Non dico che voglio i Lakers - non subito, cioè, lo capisco che ci devo arrivare... però che palle! Una partita ogni tanto mi piacerebbe vincerla!»
Rudy scoppia a ridere, gli ficca i talloni nei fianchi.
«Ma sentitelo! Ricky, moccioso, te lo ricordi che la stagione non è neanche appena iniziata, sì? E già ti stai lagnando come un poppante.»
«Madridista di merda,» sibila Ricky, ma i suoi occhi sono brillanti e le sue mani si stanno già intrufolando sotto la maglietta di Rudy. «Quello che voglio dire è che, insomma, Rudy, mi puoi prendere sul serio un minuto?»
«Non quando dici cazzate a raffica, nano, no,» sorride Rudy, e si piega un po’ a baciargli la fronte, scappando via e risollevandosi prima che Ricky possa afferrarlo per le spalle e tenerlo giù.
«Non sono cazzate. Rudy. Io veramente ci sto ripensando,» sbuffa Ricky. D’accordo.
D’accordo.
Rudy si strofina una mano nel ciuffo, sollevandolo e spingendolo all’indietro, perché lo sa che così i suoi capelli hanno un aspetto stupido e serve sempre a tirar su il morale del nano.
D’accordo.
«Ok. Ti ascolto, parlami,» dice, perché, dovesse parlare lui, l’unica cosa che gli verrebbe da dire è che, duh, Ricky, hai già firmato tutto il firmabile, non sei ad un punto da cui puoi tornare indietro, e Rudy si rende conto del fatto che non è proprio la cosa più incoraggiante da dire.
«Che palle che sei, vecchio. Ok, il problema - non è un problema, veramente, ho solo il dubbio che - insomma, lo so che è quello che voglio, lo so, non dico di no. Ma se non va bene? Se veramente perdiamo tutto? Vecchio - Rudy, e se poi l’NBA non mi piace?»
Quell’ultima domanda Ricky la pone con un filo di voce, perché è la più vera; o forse no, riflette Rudy. Forse, probabilmente, la paura più vera di tutte quelle che ha Ricky è di non piacere lui all’NBA, ai fan, ai suoi compagni di squadra, ai critici e ai commentatori e ai blog e ai giornali e ai fotografi e alle ragazze e all’America tutta. Ma non è il genere di pensieri cui fa bene dare voce, in generale, Rudy capisce pure questo, e sicuramente dovrà venir giù l’Apocalisse prima che Ricky lo ammetta, perciò, ecco, gli tocca accontentarsi, lavorare con quello che ha, con quello che Ricky gli concede.
Meno male che sono dieci anni che s’è rassegnato a dovergli fare da baby-sitter.
«Dunque, nano. Se l’NBA non ti piace, semplicemente, prendi e te ne torni a casa, che ti piace di più,» dice; non aggiunge come ha fatto Juan Carlos, non c’è niente di male, perché non è proprio sicuro che sia vero. Con Juan Carlos è stato diverso, lui era più grande e più grande era il suo nome quando è arrivato in America e più grande era pure il buco che s’era lasciato alle spalle, a Barcellona. Rudy non pensa che sia un buon paragone, perciò sta zitto e aspetta che Ricky processi quello che ha detto - che ci pensi lui, se vuole, a Juan Carlos; alla possibilità di stare in America un anno, valutare quanto veramente è bello il suo sogno, e poi magari fare retromarcia.
Ricky fa una smorfia.
«E se l’America non mi piace proprio perché casa mi piace troppo?» chiede.
Rudy pensa che di questo passo non se ne usciranno più, perché sicuramente c’è qualcosa che a Ricky piace più che casa sua - per esempio il gelato, - e qualcos’altro che gli piace ancora di più - per esempio giocare alla Play fino al mattino, - e qualcos’altro ancora, - per esempio Rudy, - però sta zitto e cerca qualcosa di meglio da dire.
«Ricky. Dai. Perché mi stai diventando il tipo che riflette prima di fare le cose proprio adesso?»
Questo basta a farlo ridere un po’, e Rudy sorride, orgoglioso e contento. Ricky si pigia le mani sugli occhi, di nuovo.
«Non lo so, vecchio. Non è per niente facile, sai. Io dico che mi piace vincere ma non è vero, io sono innamorato delle vittorie, è una cosa proprio pesante, la vittoria è la donna della mia vita!» ride di nuovo, scalciando un po’, e Rudy medita di schiacciargli un cuscino sulla faccia perché, ugh, megalomane. «E poi Barcellona è bellissima, di sicuro Minneapolis non regge il confronto... e sono innamorato anche del Barça, no? Di come giochiamo, del Palau le notti di Eurolega...»
«...di Juan Carlos,» aggiunge Rudy, sottovoce, guardandolo con gli occhi un po’ stretti. Ricky si zittisce di colpo, arrossisce.
Sembra cercare qualcosa da dire, un’obiezione da fare, ma alla fine si arrende, chiude gli occhi, scrolla le spalle.
«Un pochino, magari,» ammette; Rudy ride, perché no, non è un pochino e non è nemmeno magari, però non è davvero un problema. «Ma, Rudy--»
«Shhh, nano, taci,» gli dice, disincastrandosi dalla posizione in cui è rimasto seduto nell’ultima mezz’ora e sdraiandoglisi addosso. Sì, ecco, molto più comodo, pure se Ricky è pieno da tutte le parti di ossa appuntite e sporgenti. «Va bene così, lo sappiamo tutti che sei pazzo di lui. Sì, lo sa pure Pau, e ti ha lasciato vivere, quindi mi credi se ti dico che va bene? Va bene. Stai tranquillo.»
E lui lo intende come un suggerimento più generale, va bene, va tutto bene, stai tranquillo e non farti troppi problemi, goditi le cose man mano che vengono, come vengono, anche solo a casaccio, davvero, e stai tranquillo e guarda che va bene anche quando perdi e quando casa ti manca così tanto e quando io ti manco così tanto - perché ti manco, no? - che ti senti morire, ma Ricky, chiaramente, non ce la fa a vedere al di là della punta del suo considerevole naso; gli si offende, gli fa una linguaccia dispettosa, però avviluppa le gambe attorno alla sua vita e non lo molla finché non si fa ora di cena.