Titolo: One time Baso broke Juanca's heart, and four times he only sorta kinda did
Fandom: RPF Basket
Personaggi/Pairing: Gianluca Basile(/Juan Carlos Navarro, accennatissimo)
Rating: PG
Conteggio Parole: 999 (
fidipu)
Avvertimenti: mild angst, pre-slash, gen, asdfghjfjgska BASO ♥
Prompt: 900-999 parole @
Cow-T 2, come al solito su
maridichallenge.
Note: Salve, sono Kyappu and I get all emotional because of basketball and Baso. Sue me.
- Ok, voglio solo precisare che NO QUESTA NON È UNA SHIP A CASACCIO, ok che sono una Navarrwhore (*si inchina per il sublime gioco di parole*) ma ho il mio canon. Ed inoltre, in questo particolare frangente posso fregiarmi del nobile supporto di Trigari e Dan Peterson, perché Dio santo dovevate sentirli come fangirlavano su Baso e Juanca durante la partita. E Trigari era più squagliato di me, quando Juanca ha tirato su Baso dopo la sirena, e questo è tutto dire perché, mia madre testimonierà, io sono ancora ridotta a una pezza. Anyway. L'unica cosa che voglio aggiungere è che, per chi non lo sapesse, Juan Carlos è di cinque anni più giovane di Baso. E Baso, quando è arrivato a Barcellona, era già un pretty big deal. Io poi me ne parto di fantasia e immagino venticinquenne!JCN completamente smitten dal nostro italiano preferito, perché, Dio, come si può non perdersi per Baso?
- Sì, l'unica risposta valida è: non si può.
- Have fun.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ One time Baso broke Juanca's heart,
and four times he only sorta kinda did.
v.
È l’ultima azione, non l’ultima palla ma l’ultimo tiro, l’ultimo, l’ultima possibilità l’ultima speranza l’ultimo respiro di Eurolega, e Gianluca non c’è, Gianluca è scappato da un pezzo, ha lasciato lì Baso da solo a fare i conti con la partita.
Con l’ultimo tiro. Con l’ultima azione. Ché poi rimarranno pochi spiccioli di secondi, e la testa di Baso corre veloce, pensando a tutto quello che potrebbe succedere - un fallo un rimbalzo un contropiede un tiro più che ignorante dov’è Joe qualcuno deve marcare stretto Joe fermate Joe fermate Juanki, - e pure le gambe di Baso corrono, spostandolo disperatamente nel raggio di un metro, cercando uno spiraglio per ricevere la rimessa perché è ovvio, è ovvio, è giusto che sia sua, la responsabilità, la colpa; perché lui è Baso, e Nicolás è il capitano ma Baso è Baso e quel tiro è suo.
Quella palla è sua.
Perché lui è stato once años, once años esperando, ma i Canturini sono a digiuno da trent’anni, quasi tutta la sua vita, e nessuno può capire meglio di lui.
È suo, quel tiro.
È suo.
È suo l’errore - è sua la parabola di un soffio troppo stretta, è suo l’impatto del pallone sul ferro, sarebbe suo il rimbalzo, forse, se il Barça non fosse il fottuto Barça con la sua fottuta difesa, se Baso avesse quei venti centimetri in più che ha sempre voluto, se la forza di volontà e la fame bastassero.
È sua, la sirena che esplode, e quando quel suono terribile e maestoso infrange l’aria Baso si rende conto di essere a terra, di aver mancato il miracolo, che è finita, che sono fuori, che è colpa sua. Che c’è Juan Carlos che gli afferra una mano e lo tira su, senza una parola e senza neppure una smorfia.
Baso è sotto shock e fissa il canestro immobile, suo pure quello, come suoi sono gli applausi del pubblico, suoi e di tutta la squadra ma suoi, soprattutto.
iv.
Istanbul è luminosa e fredda e a Gianluca ricorda pericolosamente la Spagna, gli ricorda casa, non riesce nemmeno a spiegarsi perché. Forse è solo che sta finalmente impazzendo, Poz sarebbe fiero di lui.
Istanbul è rumorosa e caotica e Gianluca si annoia da morire, non ha voglia di dormire e neppure di leggere né di stare appresso ai capricci del suo cellulare, per cui salta giù dal letto, s’infila le pantofole - che sono quasi dei sandali, e comunque ha i calzini, perciò non è proprio sommamente maleducato, magari giusto un briciolo, - e, attento a non far rumore per non svegliare Denis, sguscia fuori dalla camera, prendendo a stiracchiarsi pigramente non appena si ritrova in corridoio.
Gironzola a caso sul piano, fermandosi, curioso, per sbirciare fuori da tutte le finestre che incontra, e distrattamente pensa che, se solo avesse una decina d’anni di meno, magari s’arrischierebbe pure a sgattaiolare via per farsi un giro in città. Non è più così matto, comunque, e poi non è che da solo ci sarebbe granché da divertirsi, perciò si accontenta di esplorare l’albergo e tentare di decifrare i depliant in turco in cui di tanto in tanto s’imbatte.
Si ritrova su una balconata interna che affaccia sulla reception, giusto in tempo per vedere, cinque metri più sotto, il Barça intero che, un po’ barcollando e un po’ incespicando nei bagagli, si mette in fila davanti agli ascensori.
Gianluca sorride, in un batter d’occhio è giù e sta pensando alla battuta geniale e memorabile con cui esordire quando Victor lo vede, sgrana gli occhi, gli rovina l’effetto sorpresa. Non è tanto male, comunque, considerando che subito dopo si stanno già tutti bisticciando il primo abbraccio di Gianluca, che lui finisce naturalmente per concedere a Juan Carlos, che gli fa questo sorriso gentilissimo e praticamente radioso, prima di stringerlo di rimando.
«Dio, proprio non ti posso stare lontano,» soffia Gianluca contro il suo orecchio, ridendo, ed è il suo sempre terribile catalano, comunque, che scioglie un pochino le ginocchia di Juan Carlos.
iii.
Gli manda un messaggio, perché ha provato a chiamarlo ma il cellulare di Juan Carlos ha saggiamente deciso di ammutinarsi nell’istante in cui il suo proprietario è diventato re d’Europa; Baso gli scrive congratulazioni, capitano, e sorride tra sé, perché già se lo immagina Juanca a brontolare che non è mai stato il suo capitano, neanche per sbaglio.
Ma il punto è che non importa. Che sono dettagli.
ii.
La seconda volta - ma Juan Carlos non stava contando, per cui chissà se è davvero solo la seconda, - è quando vincono, quando vincono tutto, e poi, dopo, Baso si prende un momento per stare da solo, si prende un angolo dello spogliatoio e si tira le ginocchia al petto e piange.
Juan Carlos è lì per caso, Juan Carlos è lì perché non trovava i suoi calzini di scorta, Juan Carlos è lì. Baso singhiozza e rabbrividisce e Juan Carlos è lì, lo vede, lo sente e non sa che fare. Rischierebbe il tiro, se fossero in campo; più in silenzio che può, allora, si siede sul pavimento freddo e appiccicoso di champagne, proprio vicinissimo a Baso, e appoggia un po’ la fronte contro la sua spalla.
Baso fiata un sospiro umido, tremante, e Juan Carlos non se lo toglierà mai più dalla testa.
i.
Barcellona è strana, diversa da Bologna e dall’idea stessa di città che trent’anni in Italia hanno regalato a Gianluca, ma non in modo spiacevole; lo destabilizza solo un pochino, e poi lui nota che il cielo è così intensamente azzurro, sopra i palazzi colorati, che gli pare di essere a Bari.
Va bene, quindi, Barcellona. Gli pare di essere a casa, e quando tenta di spiegarlo, in uno spagnolo tremendamente inventato e molto ridicolo, a questo suo nuovo compagno di squadra che ha l’aria gentile e non parla poi tanto, quello gli fa un sorriso indulgente, ma buono, quasi intenerito, e Gianluca si trova a sorridergli di rimando, forse con troppo entusiasmo, mentre lo guarda andare a canestro.
Juan Carlos sbaglia miserabilmente il lay-up, ma, con somma sorpresa dell’universo intero, si mette a ridacchiare.
Va bene, Barcellona. Magari Gianluca rimane.