May 28, 2011 00:47
E' da qualche giorno che sto così.
Così - in quello stato strano e un po' onirico in cui mi perdo ogni volta, distaccata dalla realtà. Non so spiegarlo bene; è una percezione sottile, qualcosa che va oltre alla logica razionale.
Sono i sensi. Il modo in cui le cose si acuiscono, improvvisamente; come se tutto fosse più sottile e pulito, e la realtà fosse desaturata, permettendomi di vedere con nitidezza schiacciante ogni dettaglio. I contrasti di luce aumentano, e gli odori e i sapori prendono una consistenza diversa. Il mio piccolo, straziato cuoricino pompa sangue, paura e adrenalina; e vorrei strapparmelo via come fosse un fiore, arrivando a riempire quel vuoto che rimane con altre immagini di una vita non mia.
Passo ore e ore a camminare e a guardare la gente, ultimamente. I corpi degli altri mi sembrano belli, filiformi e fragili; e se non riesco a vedere una bellezza globale, mi accontento dei fili di luce tra i capelli, intorno alle braccia, il disegno sottile delle sagome. Il modo incerto e un po' autolesionista in cui si muove questa gioventù, questa generazione a impatto zero.
Ho fantasticato un milione - macché, di più - di volte su come sarebbe stata la mia vita arrivata a questo punto.
Già da bambina sognavo la vita del liceale, condizionata dagli stupidi film americani e dalle favole probabilmente: la vedevo rosea e dorata, con una me bella e un pochino magica.
E la cosa affascinante è che quella stilla di magia c'è stata sul serio. E c'è. L'ho tenuta calda tra le dita come fosse una stella pronta per essere lanciata in cielo; e ho cercato di prendere ogni istante, di marchiarlo a fuoco nella memoria, di coglierne l'essenza e la profondità.
Potrebbe crescere ancora quella magia, perché ormai manca poco alla fine della scuola. A diventare grande.
E, arrivata finalmente di fronte al bivio, la sola, essenziale, semplice verità è che ho una paura fottuta.
Senza fronzoli e frasi poetiche, sono una cagasotto.
Ci sono sempre stata bene nel mio nido, nel mio spazio sacro che mi permetteva di fantasticare, ma anche di rimanere attaccata a qualcosa di solido. Potevo sognare i treni, e le grandi città, e i cappelli di lana e gli orecchini e le gonne e i sorrisi in facoltà; ma adesso mi sembra tutto così assurdo.
Come quando avevo diciassette anni e pensavo che sarei morta prima di compierne diciotto. Anche ora, in un certo senso, ho quasi paura di "morire" prima di dare la maturità e scegliere la mia vita.
Nessun rischio è mai stato grande quanto questo. Nessun rischio è stato mai grande quanto la risposta alla domanda "cosa voglio essere nella mia vita"?
Sto qui, sdraiata sul letto, e penso.
A me come madre con mio marito che lavora, e la casa, e il mutuo, le bollette, l'apparecchio ai denti di mia figlia, la partita a pallone di mio figlio, e la domenica dai miei, la casa al mare, il cane, il pranzo e la cena, il lavoro che non finisce mai, e di tanto in tanto una cena con le colleghe. Magari una professoressa d'italiano, o qualcosa del genere.
Oppure a me dietro a una camera da presa. Che sgrido gli attori e faccio la fame, torno in un appartamento scatafasciato, ho pochi soldi, giro il mondo convinta che sia colpa degli altri - sono gli altri che non capiscono me e la mia arte.
E ancora - sai quante possibilità ci sono?
Il punto è che io sono convinta che all'università non riuscirò nemmeno ad andarci. Morte prematura a parte, non credo che ne avrei mai la costanza.
E ho il terrore di rimanere sola, sì. Di diventare una vecchia con la vestaglia a fiori che dà il cibo ai gatti trattandoli come bambini.
O di non riuscire a fare niente di utile. Di fare la scelta sbagliata. Di non innamorarmi, mai. Di ammalarmi. Di fare la fame. Di cercare lavoro, e essere respinta, di imbattermi nei raccomandati, di non ricordarmi più come si fa a scrivere, di finire in un call center, di non essere felice. Di vivere.
I Jimmy Eat World cantano "è solo adolescenza stellina. andrà tutto bene, vedrai"
Vorrei poterci credere sul serio.
dubbi,
futuro,
quo vadis?,
(pre)maturità,
direzioni,
crescere che fatica,
disordine