Nov 21, 2016 22:38
Leggendo il Mittner (lʼautore di quellʼinfinita e appassionante storia della letteratura tedesca che tanto ho menzionato e probabilmente tanto ancora menzionerò) sono incappata in quella svolta del Novecento durante la quale, tra Germania e Austria (e non solo lì, ovviamente) andavano contrapponendosi sempre più due entità, o, meglio, la differenza che le separava, che rendeva sempre più impossibile una comunicazione tra di loro, andava allargandosi (lunghetta come frase iniziale, vero?): la (nobiltà) colta e lʼincolto (popolo).
Quando studi la storia della lingua italiana (e non solo), studi anche una cosa chiamata diastratia. Di questa, studi nello specifico una relazione: quella tra lʼorigine sociale dei parlanti (ricchi o poveri, riassumendo) e il tipo di lingua che parlano. Come parla una persona ricca? E una povera? Le domande-parametro sono queste. E sono domande che - si studia - hanno ormai poco senso. O dovrebbero averne poco. Perché oramai - in squisita teoria, e in teoria non solo in teoria - chiunque può accedere ai mezzi necessari per parlare un italiano corretto (e comprenderlo).
Mentre leggi il Mittner e ti ricordi la diastratia, però, incappi nel video di un qualche politicante (credi) statunitense di parte trumpiana che, con un sorriso di denti bianchi, denuncia come la politica degli Stati Uniti, per gli ultimi tot decenni, sia stata portata avanti avendo come must quello di non “offendere i sentimenti” (delle donne, dei gay, dei negri, degli islamici, etc...) anziché quello di “dire la verità”.
Ho pensato, dopo aver visto quel video, che il presupposto è ben strano. Il presupposto è che fino allʼaltro ieri, per motivi a noi non ben noti, non si volesse conoscere la verità. Ma questo è un presupposto secondario del vero presupposto, ancor più gustoso: Basta voler conoscere la verità per conoscerla. Che è quello che farebbero i trumpiani, a detta di Mr. Denti Bianchi. Decidono di parlare di fatti - anziché tessere discorsoni che non “offendano nessuno” - e in automatico sono in grado di farlo, ossia in automatico accedono alla verità.
Fenomenale, vero?
Poi ho visto un altro video, in spagnolo, e quindi con una comprensione limitata dello stesso: quel che era chiaro è che cʼera una qualche manifestazione di piazza con presenti degli spagnoli (di Spagna? Può darsi) che inneggiavano a Franco tendendo il braccio a moʼ di saluto fascista mentre urlavano “Duce!”, il tutto seguito da volti ripresi mentre pregavano - a seguire un breve discorso che conteneva la parola “Islam”. I volti erano in media non-proprio-giovani. Il mio primo indecoroso pensiero è stato: “Speriamo muoiano in fretta, e questo con loro.” Poi mi sono permessa una dissertazione interiore più lunga: “Gente che non ha mai visto una guerra che inneggia a un neo-nazifascismo militante, non avendo quindi un cazzo in comune con quelli che hanno costituito i primi nazi-fascismi.” Non che le motivazioni degli originali nazi-fascisti fossero dʼoro e sapienza, intendiamoci: ma, a posteriori, permettono di collegare le cose. Qui di collegato cʼè un nazi-fascismo la cui estetica potrebbe essere stata rodata in sessioni di giochi di ruolo dal vivo e parchi a tema e uno spirito da crociata che probabilmente ai tempi delle crociate non è mai esistito, ma che presenzia ben preciso in tanta filmografia popolare.
E, con “popolare”, torniamo allʼinizio. A Mittner e ai suoi nobili prusso-austriaci di inizio Novecento che proprio non digerivano lʼavanzare cieco (e in ciò folle, o viceversa) delle masse incolte. Generalizzavano, i nobili, forse un poʼ spaventati come mʼimmagino - diversamente ma similmente - spaventati i bianchi pro-Apartheid prima del crollo del regime, asserragliati in casa. Così, ma ideologicamente. Come quella Storia di un tedesco di Haffner che viene venduta come libro partigiano di resistenza al nazismo, ma che è in fondo la storia di un vecchio spirito nobil-ricco che, del nazismo, ha criticato i tratti più anti-elitari. Insomma, dubito che oggi Haffner sarebbe un umanista dedito a campagne per i pari diritti di tutti. Era colto, e in quanto tale aveva un ampio bagaglio da cui attingere per riflettere, e questo non è poco. Non è poco per nulla. Non lo è soprattutto se lo si paragona a quellʼignoranza tuttʼaltro che nuova, ma mai come oggi manifesta, che impera su quegli stessi social che se ne lamentano.
O sui giornali.
E qui torniamo a Trump.
A come, nel post-elezioni, ci si sia resi conto che chi aveva in mano i media non aveva la più pallida idea di quel che stava accadendo. E non lʼaveva perché non dialoga(va) con lʼelettorato di Trump. E la domanda, veramente, la vera domanda, è:
Siamo arrivati al punto in cui non cʼè più dialogo?
In cui si stanno creando due culture, una che si identifica con i poveri e che identifica lʼaltra con i ricchi (ma non è così semplice, ricordate la diastratia), lʼaltra che non conosce, semmai disconosce, la prima? E quante persone stanno in una credendo di stare nellʼaltra? E quante usano entrambe per poter sminuire coralmente nemici privati?
Ho (ri)cominciato a riflettere sulla trasversalità dei criteri dopo aver sentito una mia conoscenza “bianca, europea, di sicuro non povera, formata” fare generalizzazioni che in quanto a metodologia avrebbero potuto essere smontate da un bambino di sei anni (o da uno nella sacra fase dei “perché”, comunque, che non ricordo quando sia, ma che purtroppo finisce per molte persone, che poi rivestono uscite dʼodio con le vesti di un ragionamento - ma solo le vesti), generalizzazioni su (stupitevi) “gli islamici”, e questo un paio di settimane dopo aver avuto a cena un amico musulmano con cui ho parlato di gender e reificazioni e dellʼuso che si fa delle ideologie (religiose o meno) per sfruttare la paura e lʼodio. Ho pensato - nel modo di pensare meno decoroso - che lei era, tra i due, la retrograda pericolosa. Lei lo è, punto, in questa situazione. Eʼ il partire dal presupposto che basti una religione - o un qualsiasi altro criterio usato come descrittore affidabile a sproposito - a farci capire “chi usa di più il cervello” (permettetemi il lusso di un riassunto) il problema. Cioè, uno dei problemi. Assieme alla tendenza, che sempre più noto (e spero sia unʼillusione collettiva), di concepire solo due posizioni contrapposte: o con me o contro di me.
E io, intanto, leggo il Mittner. E, per quanto io abbia vissuto una lunga fase della mia adolescenza (e non solo) autosegregata in una torre dʼavorio, sentendomi (auto-appioppandomi, insomma) il ruolo della nobile di inizio Novecento di turno (Ah, beate-beote masse!), non lo sono. E, non essendolo, vedo quella posizione dallʼesterno. Vedo la mancanza di mezzi di quella crema culturale, la sua incapacità di comprendere i moti popolari (e borghesi). Vedo lʼassurdità - da una parte della barricata e dallʼaltra.
Ma, intanto, osservo il mondo attorno a me configurarsi in opposti, dar loro caratteristiche, e vedo - dallʼesterno - alcune mie caratteristiche individuali diventare parametri generali. Una volta mi auto-prendevo in giro dandomi della radical chic. Quel che intendevo fare, in realtà, e con non poca arroganza, era tacciare una certa maggioranza di esserlo: semplicemente, comodamente seduti a un computer, non sempre ci si rende conto di quanto alcune proprie pretese siano lussi. Chi le riconosce come lussi, invece, tende a parlare di tale iniquità - e viene etichettato come radical chic. O veniva, perlomeno.
Dove sono finiti i radical chic?
Eʼ da tanto che non vedo questa parola usata (nellʼunico modo in cui veniva usata: con disprezzo). In che categoria è finita? I buonisti? I filo-islamici? I sostenitori più o meno consapevoli dellʼ“impero delle banche”? Non sto chiedendo, ovviamente, dove siano finiti realmente - io, ad esempio, sono qui - ma in quale categoria siano stati ricollocati. Da che parte della barricata? Ma, visto che ci siamo, chiediamoci anche dove siano finiti. Tutti dalla stessa parte? Quanti tra loro si sono risvegliati anti-qualcosa? Anti-complotti, anti-islamici?
(E non ho ancora capito se i complottisti siano anche anti-islamici, se le due categorie siano contrapposte, o se siano trasversali. Sto capendo ben poco in generale, a dirla tutta. Ad esempio, i fondamentalisti cristiani odiano più gli omosessuali/bisessuali o gli islamici? Il Family Day del futuro accoglierà gli islamici conservatori? E i cristiani anti-islamici si alleeranno con gli omosessuali? O alcuni islamici indecisi tra progressismo e conservatorismo, al pari di certi cristiani, accetteranno lʼomosessualità per parlare di pari diritti?)
Quel che odio di questa situazione è che mi fa venire una voglia pazzesca - che mi tenta dolcemente, o che peccato sarebbe? - di rintanarmi di nuovo nella torre dʼavorio. Non per blaterare da un podio, stavolta, ma per assaporare un poʼ di silenzio. Leggere parole di gente morta e ascoltare quelle dei vivi che mi scelgo. Facebook è troppo una bolgia. Scrivere lì per ragionare è ormai come entrare al bar di paese e buttare un argomento sul tavolo: la similitudine vale per quanto riguarda le aspettative che si possono avere. Con la differenza - minuscola o enorme - che il fantomatico bar di paese, più mito che realtà, è un luogo in cui si ritrova chi non ha avuto, nella vita, modo di diventare un sapiente (e perciò va al bar, magari dopo una giornata in fabbrica, preferibilmente in una fabbrica ferma alla rivoluzione industriale). Ma la diastratia, la ricordate? Lʼindignazione cocente che porta ad armarsi, il prendere posizione fin da subito con lʼodio che il fanatico matura solo negli anni, lo scrivere con il tono di chi, per bontà divina (o equipollente), con il proprio solo intuito ha una saggezza che schiaccia tutti i ragionamenti altrui, tutte queste cose, insomma, non vengono da persone che non hanno potuto né studiare né hanno potuto, né possono, accedere a fonti di cultura. Vengono da persone laureate - così come si possono contare i (grandi) numeri di chi, auspicandosi nuovi nazi-fascismi militanti, non solo non ha mai visto una guerra, ma probabilmente hanno il cuore che va a mille al primo rumore di notte in casa.
(E faccio male a chiamarli nazi-fascismi. Non lo sono, oggi, non lo possono essere. Qualsiasi cosa uscirà dallʼoggi sarà una cosa nuova, inedita, che in comune con il passato avrà la tendenza di rifarsi a mitici passati a moʼ di consolazione e per auto-legittimarsi.)
E io taccio, spaventata sia dallʼidea di essere coinvolta in una bolgia di recriminazioni travestite da opinioni ben sostanziate (ah, maledetto ipse dixit, nemico nei secoli dei secoli), sia da quella di fare io stessa quel che trovo aberrante. Taccio, e poi, ogni tanto, rigurgito.
lokasenna,
the.point