Fic: Shooting Stars

Sep 16, 2013 00:14

Titolo: Shooting Stars
Autore: el_defe
Capitoli: 1/3, 2/3, 3/3
Fandom: RPF Calcio
Wordcount: 1778
Rating: 18+
Personaggi: José Mourinho, Josep Guardiola, Zlatan Ibrahimovic, Mario Balotelli, Davide Santon
Warning/Rating: slash, AU, rape, angst
Note: Un AU che giace tra le mie bozze da sempre, dove "sempre" va inteso come "quella volta a Milano in cui ho incontrato per la prima volta IRL un sacco di altra bella gente". E quindi niente, non è dedicata tanto a una persona (oddio, a liz sì, ma a liz è dedicata la mia persona, vale?), quanto a una camera quadrupla nella periferia di Milano, la notte di un derbydimmerda in cui siamo riusciti a insultare Leonardo, cavaliere dell'unicorno, in tutte le lingue e principali dialetti.

SHOOTING STARS
Prima
Zlatan gli dice che andrà via - non che vuole andare, non che gli chiede il permesso di andare: glielo butta lì come un dato di fatto, poco dopo che gli ingranaggi che simulano e regolano il suo sistema nervoso ritornano al normale funzionamento dopo l'esecuzione del programma di piacere. Glielo dice con una certa asprezza, e José non può nascondere lo shock se non sotto uno strato di disappunto che comunque lo fa apparire più debole. Gli accarezza i disegni rituali che fanno parte dell'evocazione della sua Scintilla, con le mani che hanno perso per sempre la finezza della grana e che ora sembrano callose come quelle di un lavoratore (quasi sempre, la Luce pretende un prezzo molto alto, per essere tua schiava per un giorno).
"Potrei tenerti qui."
"Potresti tenermi qui, hai il potere per farlo", gli concede, un attimo prima che il suo sorriso si faccia più ampio e sfacciato. "Ma non sarei più io."
José non può fare a meno di ripensare alle parole di Pep, al suo modus operandi - "niente libero arbitrio, José, non per questi scopi: perdono di fantasia a letto, ma vuoi mettere l'obbedienza cieca e assoluta?" - e deglutisce, scacciando l'idea di uno Zlatan sottomesso, cieco esecutore dei suoi ordini, conoscitore di ogni suo più intimo e perverso desiderio. Lo ha posseduto, poco prima (come fa ad essere poco prima?), lo ha fatto suo, ma solo perché si è concesso a lui: e ora quell'essere di carne senza sangue, fatta di ruote e della magia del suo stesso essere, gli si rivolta contro. Il Pep nella mente di José, sensuale e invitante nelle lenzuola del suo stesso letto - pelle ambrata, peli scurissimi, rossore di sangue e desiderio - gli sorride pigramente.
"Lasciami viaggiare. Non posso restare qui, senza sapere cosa c'è altrove. Dici di amarmi, eppure non vuoi accontentarmi."
"Cosa credi che ci sia altrove? Pericoli cui puoi fare fronte, astuzie che forse, dico forse, potresti contrastare, ma anche nemici che braccano me e quindi anche te. Nessuno può desiderare la tua presenza più di me."
"Allora di cosa hai paura? Che trovi qualcuno che mi ami più di quanto faccia tu?"
Come potresti trovarlo?, vorrebbe chiedergli; e cosa farei se lo trovasse?, vorrebbe chiedersi.
José annuisce - uno scatto del capo, non di più. "Allora vai", sussurra, e quel bisbiglio viene inghiottito nel bacio più profondo e devastante che José abbia mai assaporato, un bacio che gli trafigge l'anima, prosciuga i suoi polmoni, non gli lascia altra possibilità che accoglierlo e ricambiarlo con tutto il suo corpo, fino all'istante in cui sono costretti a separarsi per non morire.
È una deviazione da ciò che lui stesso ha creato. Ed è il segno che José si arrende, e gli cede il controllo.

Secunda
José non ha mai pensato di cedere alla tentazione, dopotutto. I Servitori possono andare bene per clienti dalle tasche piene e da desideri a volte innocui, a volte oscuri, ma sempre inconfessabili a chiunque non abbia un segreto altrettanto pesante da custodire; e ne ha creati, e molti, sia perché José non ha mai saputo evitare di circondarsi di un solido lusso, sia perché la presenza di un Artefice nella propria città, seppur saltuaria e per pochi mesi all'anno, è un peccaminoso pettegolezzo per soli aristocratici. Un Servitore autentico, realmente obbediente a qualunque capriccio del padrone che l'ha acquistato, è un privilegio che può trasformarsi in ossessione nel giro di un battito di cuore, quello precedente l'orgasmo più profondo e autentico della loro vita.
Non è quello che José ricerca con tanto ardore: anche la sua è un'ossessione, e ben più devastante di quella che può dominare una ricca e algida duchessa. E quindi la tentazione di Pep - il suggerimento bisbigliato tra un bacio e un morso, l'idea di creare il Servitore più vicino alla perfezione, anziché di continuare a cercare un compagno - è caduta nel vuoto: José ha ricambiato quel bacio allo stesso modo, affondando i denti nelle labbra di Pep, affondando la propria carne nella sua, affondando il suo ringhio rabbioso nel suo gemito altrettanto ribelle. È questo che vuole ottenere, e nessuno potrà distoglierlo dalla sua strada.
Neanche gli errori, avrebbe aggiunto: ma non era una promessa che era in grado di mantenere, e José ne era ben consapevole. La sua creazione - cuore di noce e superficie di ebano, millesettecentosessantaquattro ingranaggi, un nome ispirato a un grande della storia romana, la Scintilla che ha preteso un prezzo insolitamente modesto e che José è stato ben disposto a pagare - gli si rivolta contro, e non è la ribellione aggressiva ma pacata di Zlatan (che è tornato, ma per una sola notte, e non c'è istinto carnale che si possa soddisfare completamente nell'arco di poche ore soltanto: non quelli di José, almeno), che era anche ragionevole. Quello di Mario è un rifiuto, netto e semplice, sfociato in una progressione difficile da controllare anche per un Artefice esperto: insulti, minacce di spegnere la Scintilla, una colluttazione, il desiderio di José di sottometterlo che esplode di furore. Le grida di Mario - di collera, di dolore, o forse di nessuna delle due cose, perché la maestria della creazione ha toccato vette ancora superiori - che crescono di intensità anziché affievolirsi a poco a poco, mentre José porta a termine ciò che non ha potuto evitare di iniziare. Il soffio di vapore, intenso e improvviso, che costringe José a mollare la presa su di lui, e la scarica di pugni, violenta, imparabile, che Mario gli riversa contro, prima di fuggire per sempre dal palazzo di José, per non farvi più ritorno.

José è ancora piegato in due, dolorante e col fiato corto, quando Pep, pallido in volto appare nella sua casa con ancora le parole di un incantesimo sulle labbra.
"Ho visto la tua Scintilla tremolare. Cosa ti è successo? Sei stato aggredito?"
José sorride amaramente, accettando il suo braccio.
"Non era per l'aggressione", commenta a mezza voce, con una smorfia. "Ho fallito ancora. E ho dubitato della Scintilla."
Pep stringe le labbra, ma non dice nulla. Lo porta a letto. E non condividono altro che la semplice compagnia, come una vita fa.

Tertia
Cosa mi chiedi, Artefice?
José socchiude gli occhi, cercando di abituarli alla Luce il più in fretta possibile, assaporando le parole formali e impersonali ad una ad una: è una voce che nasce dalla vita stessa, che proviene da ogni punto intorno a lui e risuona fin nel punto più intimo del suo essere; il rintocco di mille campane, il respiro di un'essenza che è lui e insieme non lo è.
"Chiedo una Scintilla. Per accendere una vita non nata." Non trattiene un sorriso sghembo, José. "Dovresti saperlo meglio di me, o Lucente. È la stessa richiesta che ti ho fatto due volte nelle ultime quindici lune."
Cosa mi offri in cambio di una Scintilla, Artefice?
José non prova neppure a infrangere anche questo protocollo, dopo essersi rivolto all'unico essere superiore cui deve davvero rispondere con parole meno rispettose di quelle prescritte. "Sei tu in diritto di una richiesta, o Lucente."
L'attesa, la deflagrante attesa che si dilata a dismisura. E poi la sentenza. È sempre andata così.
Sei un servitore fedele, José. Ti chiedo un capello.
José spalanca gli occhi, sorpreso da una richiesta così poco onerosa da soddisfare. "Accetto, o Lucente." Un lampo di luce più tardi, ed è di nuovo nel suo laboratorio, il fiato di Pep che gli arroventa il collo per la tensione dell'attesa.
"Allora-- oh." Pep si interrompe, poco prima che sprazzi luminosi compaiano senza preavviso, e si spengano altrettanto rapidamente, tra le dita squadrate e callose di José. "Be', ti danno un certo fascino."
José lo guarda, non fingendo alcuna parte del proprio stupore. Pep gli indica la testa, sorridendo mite, e gli porge una lastra di metallo non ancora utilizzata: José deglutisce nel vedere un accenno di brizzolatura tra i propri capelli, all'altezza delle tempie.
"Mi aveva promesso un capello solo," brontola. Pep, questa volta, non trattiene la risatina.
"E da quando hai cominciato a fidarti delle sue promesse?" gli chiede, scompigliandogli i capelli non più color carbone. José lo lascia fare, per un po', poi gli chiede di lasciarlo solo.
"Rotelle e stantuffi non si combinano da soli," si giustifica. "Ti prometto..."
"... cosa?"
José sorride, promettendo molte cose e nessuna insieme; c'è un accenno di squisita crudeltà in quel sorriso, una spietatezza che è limitata ai soli rapporti di alcova. Pep abbassa lo sguardo, arrossisce, sopprime a fatica il tremito che José sta cercando, ma sorride anche lui.

Sotto il tocco delle sole dita, che fumano di vapori stordenti e sbuffi di acqua, metallo e legno si combinano in materiali che nessuno, al di fuori degli Artefici, ha visto su questa terra, per creare un nuovo compagno. José gli ha dato il nome di Davide, consapevole della scelta gravosa tanto quanto del timore, non più inconscio, che lo ha spinto ad allontanarsi dalle scelte del passato; e gli ha dedicato più tempo di qualunque altro tentativo passato, consapevole che non avrebbe più chiamato un'altra Scintilla: un gesto dopo l'altro, e la betulla assume l'aspetto roseo di un essere umano vigoroso, ma dai tratti delicati; quarzo, ferro e argento si sciolgono e si deformano, avvolgendo il legno che carbonizza leggermente nella sua parte più interna, penetrandone le fibre, creando una superficie levigata come la più fine delle pelli. È il momento giusto per soffiare la vita dentro quel corpo di ragazzo.
José esita, trattenendo la fioca luce tra le dita.
Pensa a Zlatan, più prezioso dell'oro, che comunica con lui solo via lettera e la cui ultima missiva viene dalla Catalogna ed è vecchia di quasi sei lune; pensa a Mario - forza di uomo, corpo di ragazzo - il suo fallimento più grande, un desiderio inquietante che José domina appena. Pensa a Pep, sorprendentemente: se lo figura mentre si trastulla con la sua creazione preferita, quel ragazzino etereo privo di libero arbitrio e costretto a eseguire i suoi ordini, e ghigna nel ricordare gli altri ordini, quelli che Pep esegue con altrettanta docilità e impotenza, tremando di paura e di desiderio. Otteniamo sempre l'opposto di ciò che desideriamo davvero, pensa tra sé con rassegnazione.
Cosa mi chiedi, Artefice?
La luce nel pugno di José si fa intensa, luminosa al pari di Venus, il luminoso astro della notte, luminosa al punto da gareggiare con la stessa Luna. José la avvicina al volto della sua creazione, accendendone gli occhi - screziati in maniera speculare ai propri, nota all'ultimo momento, - la bocca sottile e piena, il cuore, miracolo di orologeria, i cui ingranaggi ticchettano per alcuni lunghi secondi prima di trascendere a quella velocità che l'orecchio non può percepire.
Davide palpita di vita, si sveglia dalla sua non-vita con estrema lentezza.
Speranza.

Una Dea, dopotutto, è perfettamente in grado di vedere oltre un atteggiamento spavaldo e una risposta sarcastica.

I could really use a wish right now.
(Airplanes, B.o.B. feat. Hayley Williams)

Note.
Davide, dall'ebraico: "amato, diletto".
Zlatan, dallo slavo: "dorato".
Mario, dal latino: "maschio, uomo".
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