Fic: The Unspeakables, S01E03 - Kin

Sep 14, 2013 15:16

Titolo: The Unspeakables, S01E03 - Kin
Autrice: lisachanoando (lizonair)
Beta: La sempre bella melting_lullaby fino a un certo punto, poi sono andata a braccio.
Capitolo: 3/25.
Riassunto: José non sa più che fare di quei due incompetenti di suo figlio e del suo nuovo partner. Assillato da problemi di ogni tipo (la fine del mondo è prossima ma nessuno sembra credergli, e un giovane vampiro che non dovrebbe neanche esistere ha seminato il panico durante la notte e poi si è dileguato nell'ombra senza lasciare traccia), l'uomo decide di mandare i due a fare il lavoro generalmente riservato ai novizi, ovvero perlustrare i cimiteri per assicurarsi che l'attività paranormale sia entro i livello prestabiliti. Ed è proprio fra gli ordinati ed eleganti viali del Cimitero Monumentale di Milano che Mario e Davide trovano l'occasione per dare una svolta alla loro carriera.
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Mario Balotelli/Davide Santon, Davide Santon/Zlatan Ibrahimovic, Zlatan Ibrahimovic/José Mourinho, Pep Guardiola, Cristian Chivu, Adrian Mutu, Sinisa Mihajlovic, Dejan Stankovic, Alen Stevanovic (accennato), la famiglia Moratti più o meno al gran completo con la partecipazione straordinaria di Gianfelice Facchetti. C'è un sacco di gente in quest'episodio. Qualcuno mi ponga dei limiti.
Generi: Avventura, Romantico, Introspettivo.
Rating: R.
Avvertimenti: Slash, AU.
Wordcount: 9805
Note: I tempi cambiano e la gente invecchia, ma io persevero nella mia mancanza assoluta di vergogna e continuo a postare questa storia come fosse serious business, completamente disinteressata alla sua ridicolezza intrinseca. Alla quale però vu bi tantissimo. Le cose ridicole sono belle. Specie se mi permettono di rovesciare botte di 9k su FDP ogni settimana. Il mondo è bello. Anche a questo giro attingo ad un prompt della paranormal25 (I CIMITERI \O/) e partecipo al Genetics Fest (prompt: VOLO \O/), e poi continuo (al solito) a parlare della fine del mondo incipiente, introducendo per l'occasione trecento trilioni di personaggi che volevo dentro questa storia, anche se, di alcuni dei quali, non so che farmi. Avrete inoltre un assaggio di quanto Deki-centrica sia in realtà questa storia. Sì, lo so che ancora Deki non è neanche arrivato. Ma siate pazienti. Ah, e poi esploderà dell'UST (finalmente). Buon divertimento XD

THE UNSPEAKABLES
1x03 - Kin
Si tira indietro di scatto, senza neanche lasciarsi il tempo di assaggiarlo.
No, no, no, si dice, scattando in piedi per mettere fra loro più distanza possibile, Non ancora, non di nuovo, non così.
Mario lo guarda. Non sembra ferito dal suo gesto repentino. Neanche felice, però.
Davide schiude le labbra per parlare, ma Mario lo precede.
- Perché? - chiede.
Davide aggrotta le sopracciglia.
- Questo dovrei chiederlo io. - risponde.
Mario lo guarda fisso, restando in silenzio per qualche secondo. Soppesa le sue parole, se le rigira fra i pensieri. Per com’è stato cresciuto, è venuto su piuttosto riflessivo, pensa Davide. Poi Mario parla ancora.
- No. - dice, - Lo chiedo io. Perché ti sei allontanato?
Invece di rispondere, Davide si volta, e abbandona la stanza.
*José pensa alla pila (alta cinquanta centimetri) di trascrizioni di chiamate al 118 (che parlano tutte, invariabilmente, di morti o feriti gravi per dissanguamento tramite due fori identici e quasi invisibili alla base del collo occorse fra le due e le cinque della notte precedente) che Pep ha posato allegramente sulla sua scrivania questa mattina alle otto, quando è arrivato in ufficio, e che continua ad aspettarlo ferma nello stesso luogo in cui l’ha lasciata quando è uscito per la riunione del Consiglio, e stabilisce che una giornata cominciata in questo modo non può che continuare peggio.
Se gli occhi scuri e seri coi quali il presidente Moratti sta scorrendo il documento che José gli ha fatto scivolare sotto il naso cinque minuti fa sono di qualche indicazione, il peggio si prepara ad arrivare, e non sarà per niente piacevole.
- Lei è sicuro di quanto afferma in questo documento, Mourinho? - domanda il Presidente. È giunto circa a metà della relazione, ma ha già capito dove sta andando a parare, e l’idea non gli piace. Il resto della famiglia Moratti, unica componente del consiglio d’amministrazione della delegazione milanese della Fondazione, siede attorno al tavolo - Bedy, la sorella del presidente, alla sinistra, Milly, la moglie, a destra, ed al suo fianco Angelomario, secondogenito e primo maschio della coppia. Dietro di lui, resta in piedi, ma vicino abbastanza da leggere il documento stretto tra le mani di Angelomario, Gianfelice Facchetti, figlio del defunto Giacinto, intimo amico del presidente Moratti e suo primo consigliere all’interno del consiglio d’amministrazione fin quasi al giorno della sua morte.
A guardarli così, tutti puliti, educati e ben vestiti, mentre esaminano un documento elegantemente redatto dalle mani esperte di Pep sotto la dettatura sicura e precisa di José, sembrano il consiglio di amministrazione di una qualsiasi società a scopo di lucro. A nessuno verrebbe in mente di pensare che in mano a questi uomini ed a queste donne si trova il destino dell’umanità.
Sono tutti così, i vertici alti della Fondazione. José ha girato tutta l’Europa e buona parte del resto del mondo, prima di fermarsi a Milano, tre anni fa, e ne ha conosciuti parecchi, come loro. Sono la conferma vivente del fatto che è proprio vero che, da un enorme potere, derivano enormi responsabilità. Tutte persone che avevano soldi abbastanza da vivere nell’agio e nel lusso più sfrenati fino alla fine del mondo, tutte persone ricche abbastanza da potersi comprare la salvezza dell’anima dal diavolo in persona, ma avevano deciso di investire tutto di loro stessi, soldi, proprietà, salute fisica e mentale, risorse di ogni tipo, nella ricerca dei fenomeni paranormali e nella salvaguardia del genere umano. Sono un buon promemoria per quando José perde di vista il motivo per cui lavora così duramente, per quando comincia a chiedersi se valga davvero la pena di mettere la propria vita a rischio per proteggere l’umanità. Ci sono ancora persone che combattono, su ogni livello. Persone come i suoi ragazzi, per le strade, persone come i Moratti, dietro le scrivanie e nei consigli d’amministrazione. Finché ci sono persone che combattono, pensa José, vale la pena di continuare a farlo a propria volta.
- Non al cento percento, Presidente. - sospira, - Ma dobbiamo quantomeno prendere in considerazione la possibilità. Inoltre, l’SCP-YCVK19031985 ha involontariamente confermato la mia ipotesi poco meno di due settimane fa. L’Agente Ibrahimović si trovava in loco ed ha assistito all’ultima trance. Yolanthe ha chiaramente detto che-
- Yolanthe non è attendibile, però. - lo interrompe Angelomario, esaminando la relazione, - Da quando ha conosciuto quell’uomo.
- Mi permetto di ricordarle, Vicepresidente, che l’ipotesi che Yolanthe potesse perdere i suoi poteri in seguito alla perdita della verginità non è mai stata scientificamente provata. - tenta José.
- È vero. - annuisce Angelomario, - Com’è vero però che, prima del fatto, la sua percentuale di realizzazione sfiorava il novantanove virgola nove percento, e che in seguito allo stesso si è praticamente dimezzata.
- C’è da dire, però, - interloquisce Bedy, appoggiando le spalle allo schienale della sedia ed accavallando le gambe affusolate fasciate in un paio di pantaloni di pelle scandalosamente aderenti, - Che tutte le profezie sbagliate riguardavano eventi di minore entità. Yolanthe ha continuato a prevedere con estrema precisione le catastrofi naturali ed umane più importanti, nel corso dell’ultimo anno e mezzo. È grazie a lei che Belojarsk è ancora in piedi.
- Esatto. - annuisce José, tornando a rivolgersi al Presidente. Lo trova che scruta con attenzione la sorella, annuendo pensoso, di tanto in tanto. Il presidente Moratti tiene in gran considerazione l’opinione di Bedy. Se José vuole ottenere qualcosa, una cosa qualsiasi, da questa conversazione, è in quella direzione che deve andare. - La profezia di Yolanthe ci ha permesso di salvare innumerevoli vite umane a Zarečnyj e nei dintorni della centrale di Belojarsk. Non possiamo permetterci di ignorarla adesso. Stiamo parlando dell’Anticristo, in fondo.
Le sue ultime parole vengono accolte dai presenti con una serie di risatine nervose. È l’unica arma che hanno, questa, quella di ridere in faccia agli orrori più impensabili. Ciò non significa che le sue parole vengano prese sottogamba.
Il Presidente si alza in piedi, appoggia la relazione sul tavolo e poi pianta entrambe le mani ai lati della stessa, appoggiandosi al piano e sollevando gli occhi su José.
- Non l’ho mai sentita difendere con tanta passione l’operato di una veggente, Mourinho. - dice con un certo divertito sarcasmo, - Inusuale, per lei, ed anche sintomatico di una preoccupazione piuttosto profonda. C’è da dire che, se davvero l’Anticristo dovesse venire al mondo dall’unione fra la regina Mahalath e l’Agente Balotelli, nel caso in cui, in qualche modo, la cosa dovesse risolversi positivamente per noi, non potremmo evitare di prendere seri provvedimenti contro Balotelli stesso, e contro suo figlio Davide, Mourinho, dal momento che il ragazzo si trovava sotto la sua responsabilità. Inoltre, - prosegue, sospirando appena, - Non mi è sfuggito il fatto che lei abbia menzionato l’Agente Ibrahimović, poco fa. Suppongo e mi auguro che l’Agente avesse richiesto ed ottenuto tutte le opportune autorizzazioni per trovarsi qui, sul territorio di una divisione non sua, a chiacchierare della fine del mondo con lei, che non è più il suo diretto superiore ormai da quasi quattro mesi. Capisce bene, - dice, scrollando le spalle, - Che se dovessi effettuare una verifica e scoprire qualcosa di anomalo, non potrei usare l’informazione ottenuta di fronte al Consiglio Generale, e questo potrebbe mettere a repentaglio la vita di noi tutti, nonché la sopravvivenza del distaccamento, se la notizia dovesse poi rivelarsi falsa.
José deglutisce, abbassando lo sguardo.
- Mi rendo conto di tutto ciò perfettamente, Presidente. - annuisce, - Ciononostante, mi ritrovo costretto ad insistere. Temo che si stia davvero andando incontro a qualcosa di molto grosso, e pericoloso. Dobbiamo prendere provvedimenti, e dobbiamo farlo adesso.
Il presidente Moratti torna a sedersi, accavallando le gambe ed incrociando le braccia sul petto. Porta una mano al mento, accarezzandoselo pigramente mentre annuisce a se stesso di tanto in tanto, seguendo il filo dei propri pensieri.
- Cosa vuole essere autorizzato a fare, Mourinho? - domanda quindi.
José si irrigidisce e si inumidisce le labbra. Parla sapendo che sta provando il tutto per tutto solo per sollevare l’asticella quanto più possibile, sperando di ottenere almeno la metà.
- Vorrei il permesso di utilizzare l’SCP-AS09011976. - dice.
Cinque paia d’occhi si spalancano e gli si piantano addosso. Angelomario è il primo a ridere, passandosi le dita fra i capelli.
- Mourinho! - dice, divertito, - Lei è un pazzo.
- Concordo. - ride anche Bedy. Un sorriso quasi dolce si dipinge anche sulle labbra di Milly, mentre gli unici a mantenere un piglio serio sono il Presidente e Gianfelice. È quest’ultimo a parlare, in qualità di amministratore delegato del reparto Medico e Scientifico.
- Signor Mourinho, - dice con l’usuale calma con la quale sempre si esprime, - A due anni dal contenimento dell’SCP-AS09011976, non siamo ancora riusciti a disattivare il suo potere, né a capire come incanalarlo di modo che non sia nocivo per se stesso e per gli altri. Al momento, l’SCP le sarebbe del tutto inutile. Un suo impiego non potrebbe che portare alla distruzione dell’intera città, se non dell’intera nazione, o dell’intero centro Europa. Non è consigliabile utilizzarlo, se non nel caso in cui si voglia fare piazza pulita di tutto quanto.
José gli lancia un’occhiata piuttosto esplicita, come risposta, e Gianfelice indietreggia di un passo, le labbra dischiuse e gli occhi spalancati.
- …signor Mourinho-
- Mourinho, non dica idiozie, adesso. - lo interrompe il Presidente, sospirando pesantemente, - Sa in che alta considerazione io tenga le sue opinioni, ma mi sembra che qui si stia facendo il passo ben più lungo della gamba. Non sappiamo ancora neanche se qualcosa accadrà, e lei già mi chiede di predisporre l’arma finale come soluzione ultima di un problema che, a conti fatti, potrebbe non sorgere nemmeno. Rientri nei ranghi immediatamente. - conclude spazientito.
- Chiedo scusa, Presidente. - si affretta a rispondere José, chinando il capo in un gesto di rispetto, - Potrei avere esagerato. Ciononostante, le chiedo di tenere conto di questa mia richiesta nel caso le circostanze dovessero renderla necessaria. Fino ad allora, mi accontento di un doppio dispiegamento di Agenti su tutto il territorio nazionale, con concentrazione particolare sui luoghi nei quali negli anni è stata riconosciuta un’intensa attività demoniaca. È sicuramente in uno di quei luoghi che Mahalath sceglierà di partorire, e noi dobbiamo essere lì, quando accadrà.
Moratti lo fissa senza espressione, concedendogli solo un cenno col capo. José lo conosce abbastanza da sapere che non si tratta di un assenso, ma solo del segnale che ha recepito la sua richiesta, e pertanto resta in attesa, dritto in piedi davanti al tavolo, mentre la signora Milly si avvicina al marito e gli sussurra qualcosa all’orecchio.
Lui l’ascolta attentamente e solo dopo si produce in un sospiro sfiancato, sfilandosi gli occhiali dal naso per massaggiarsi gli occhi stanchi.
- D’accordo. - dice quindi, - Ma mi dia una lista di non più di quindici luoghi in cui distaccare gli Agenti. Ha a disposizione il reparto Analisi e Statistica, e non più di una settimana di tempo. Se l’elenco non è sulla mia scrivania fra sette giorni alle otto in punto, l’operazione salta. E non mi costringa a pentirmi di averle dato retta. - conclude, alzandosi in piedi. Assieme a lui si alzano anche tutti gli altri, e José annuisce, si volta ed esce dalla sala riunioni, respirando a pieni polmoni per la prima volta da quando vi è entrato solo quando finalmente si ritrova all’esterno.
Si prende il suo tempo, per raggiungere gli ascensori e tornare al piano di sotto, dove lo aspetta il suo ufficio. E i cinquanta centimetri di segnalazioni di attività vampiresca di stanotte, naturalmente. Si lascia sfuggire un mugolio stremato, mentre si passa una mano sul viso, urtato al solo pensiero di doversi sedere alla propria scrivania e vagliare le trascrizioni una ad una per verificarne l’attendibilità e il grado di pericolo. Dovrebbe avere un sottoposto per occuparsi di queste cose, specie quando lui è così preso a cercare di impedire alla fine del mondo di avere luogo.
Ad accoglierlo sulla soglia dell’ufficio trova Pep, al solito impeccabilmente fasciato nel suo completo grigio scuro. Il panciotto vinaccia che indossa, coordinato con la cravatta, è un tocco di classe che José non si fa sfuggire. Non importa quanto male vadano le cose, finché Pep continuerà ad indossare i suoi panciotti dai colori più improbabili, e a coordinarli con le sue cravatte dai colori altrettanto improbabili, il mondo sarà ancora al sicuro.
- Telefono. - dice Pep, agitando il cordless a due centimetri dal suo viso, - Il capo della Polizia. A proposito degli omicidi e degli incidenti di stanotte.
- Ancora i vampiri?! - sbotta José, lanciando un gemito insofferente, - D’accordo, d’accordo. - cede infine con un sospiro, allungando la mano, - Passamelo.
Pep obbedisce, lasciandogli il telefono.
- Tuo figlio e il suo partner saranno qui tra dieci minuti, - aggiunge quindi, - Hanno concluso la settimana di profilassi preventiva proprio ieri.
Richiudendosi la porta dell’ufficio alle spalle, prima di aprire la linea sulla quale lo attende il Commissario Ranieri, José geme ancora.
*Evitare Mario tutta la settimana è stato incredibilmente difficile, e - realizza Davide nel momento in cui se lo ritrova davanti nella sala d’aspetto di fronte all’ufficio di suo padre - anche perfettamente inutile. Aveva sperato che mettere un po’ di distanza fra loro, lasciare passare del tempo, potesse aiutarli entrambi a seppellire quanto successo al ritorno da Gargnano, ma evidentemente si sbagliava. Mario lo scruta in silenzio, con aria risentita, le labbra serrate in una linea sottile così diversa dalle curve piene che più si addicono alla sua espressione, e gli occhi scuri, fissi su di lui, le sopracciglia lievemente aggrottate.
Non dice una parola, e di questo, almeno, Davide gli è grato. Pep, seduto alla scrivania di fronte alla fila di seggioline plastificate sulle quali hanno preso posto, è tutto preso ad ascoltare i messaggi in segreteria di tutti i membri interni alla Fondazione che desiderano avere un colloquio privato con José. Ogni volta che ne ascolta uno, premendo l’auricolare più a fondo all’interno dell’orecchio con due dita mentre fissa dritto di fronte a sé con aria assorta, prende nota del nome e della motivazione della richiesta, e poi incastra un incontro di mezz’ora, tre quarti d’ora o un’ora, compatibilmente con le ragioni di discussione, all’interno della complicata agenda di José. Sembra disinteressarsi del tutto a loro, ma ogni tanto, a sorpresa, solleva loro un’occhiata curiosa addosso. E Davide è contento che, quando lo fa, non abbia niente da vedere, perché sia lui che Mario stanno fermi, seduti ai loro posti. Mario lo guarda, ma Davide guarda altrove, e finché riuscirà a mantenere la situazione per com’è non dovrà temere alcun confronto.
Certo, sa che prima o poi lui e Mario dovranno parlare. Se non altro per mettersi la cosa alle spalle. Ma per qualche motivo non riesce a mollare la speranza infantile e infondata che invece l’argomento possa diventare vecchio e obsoleto da sé, che ad un certo punto non ci sia più neanche bisogno di discuterne per accorgersi che è passata, come quando da piccolo combinava qualche stupidaggine e lui e la mamma si mettevano d’accordo per far sì che papà lo scoprisse il più tardi possibile, quando già arrabbiarsi e rimproverarlo sarebbe stato inutile.
Deglutisce a fatica nel ripensare alla mamma. Cerca di pensarci il meno possibile, perché il senso di mancanza che sente nei suoi confronti non si è mai sopito. Ha lasciato casa per cominciare l’addestramento a quattordici anni, e non vi ha più fatto ritorno. Lei è morta cinque anni dopo, e non c’è giorno in cui lui non abbia pensato di aver sprecato lontano da lei anni che invece avrebbe potuto trascorrere al suo fianco. Nessuno lo obbligava a cominciare l’addestramento così presto. Nessuno a parte lo sguardo severo di suo padre, e quella continua muta richiesta sulle sue labbra sottili. “Quando farai qualcosa della tua vita, Davide? Quando deciderai che strada prendere? Quando metterai finalmente a frutto il mio investimento su di te?”
- Pep. - la voce di suo padre attraverso l’interfono risuona metallica e sgradevole nel vuoto biancastro della stanza. Pep solleva lo sguardo sull’altoparlante e lo fissa inespressivo, efficiente, proprio come fisserebbe José se ci fosse lui al suo posto. - Falli entrare.
La conversazione si interrompe con un clic discreto, e Pep li guarda entrambi, abbozzando un sorriso.
- Avete sentito, no? - domanda, - Prego.
Davide si alza per primo, e Mario lo segue in silenzio, discreto come un’ombra. All’interno dell’ufficio, José sta appoggiato con un gomito alla scrivania, la testa mollemente piegata sul palmo della mano aperto, e scorre con gli occhi uno dopo l’altro i documenti che recupera da un’enorme mucchio impilato alla sua destra. Ha l’aria estremamente annoiata.
- Sedetevi. - dice, ed entrambi obbediscono senza dire una parola. José sospira pesantemente. - Com’è andata la settimana di profilassi?
Davide sospira. È ridicolo che José abbia voglia di parlare di questo.
- Al solito. - risponde vago.
- Continuo a trovare eccessiva l’esplorazione rettale. - aggiunge Mario. José si concede una mezza risatina. - D’altronde avevamo solo pestato un po’ di larve.
- Ve lo concedo. - annuisce l’uomo, - Potrei aver richiesto per voi il trattamento più intensivo per punirvi. - ammette, - Ma sapete entrambi di esservelo meritato. Confesso di non sapere bene cosa farmene, di voi due. - prosegue, appoggiando le spalle allo schienale della poltrona ed accavallando elegantemente le gambe, - Riuscite a cacciarvi nei guai anche quando sembra impossibile. Non solo i guai vi inseguono- perché la segnalazione dell’uomo falena, davvero, - ride, - Se avessi dovuto puntare su un SCP che non aveva alcuna possibilità di esistere per davvero, era quello. Dicevo, non solo i guai vi inseguono, ma voi siete assolutamente incapaci di farvi fronte. È una situazione ridicola. - si volta verso Davide, - Dopo tutti gli anni che hai passato sul campo, Davide, è impensabile che tu sia regredito fino a questo punto, e Mario. - aggiunge, voltandosi a guardare anche lui con severità, - Da te mi aspettavo di più. Molto di più.
Il suo rimprovero li lascia entrambi silenziosi a lungo, gli occhi bassi, fissi sul pavimento. Per qualche minuto, all’interno dell’ufficio l’unico suono percepibile è quello delle lancette dell’orologio che scandiscono regolarmente il tempo della loro vergogna.
Poi José sospira, e si alza in piedi.
- Per la prima volta da quando faccio questo lavoro, mi trovo a non sapere cosa fare. - dice, dirigendosi verso il boccione dell’acqua addossato alla parete accanto alla macchinetta del caffè, - Non mi fido di voi, non posso mandarvi in missione neanche dietro alle creature inesistenti, sono sicuro che prenderebbero vita apposta per darvele di santa ragione. - ride fra sé, versandosi un bicchiere d’acqua e poi tornando a sedersi. - Inoltre, vi restano ancora tre giorni di sospensione, quindi anche volendo non potrei mandarvi in missione ufficiale da nessuna parte. D’altronde, però, stiamo attraversando tempi eccezionalmente bui, anche grazie all’incapacità di Mario di tenere l’uccello nelle mutande. - dice, sorridendo amabilmente nella sua direzione. Mario risponde arrossendo violentemente, e ringraziando mentalmente per il colore della propria pelle che, da solo, basta a nasconderlo. - Quindi non posso permettermi di tenere Agenti fermi alle scuderie in attesa di chissà cosa. Fortuna vuole che nella notte sia capitato un bel casino. - spiega, sollevando un paio di trascrizioni e facendole scivolare verso di loro sul piano della scrivania, - Si tratta chiaramente dell’opera di qualche vampiro, il che è incredibilmente fastidioso, perché abbiamo imposto un fermo alla comunità meno di due mesi fa ed avrei sperato che quegli animali riuscissero a rispettarlo almeno per un anno prima di dover dar loro la caccia col veleno per topi. Perciò! - conclude con entusiasmo, - Vi mando dal Domnit Chivu a tastare il terreno. Fategli qualche domanda, verificate che non sia stato uno dei suoi a combinare il casino, ricordategli a che pene vanno incontro lui e gli altri se viene fuori che è stata colpa di qualcuno di loro e soprattutto cercate di non far scoppiare una guerra interraziale con la sola vostra presenza. - conclude con un’occhiata severa rivolta ad entrambi. - Tutto chiaro?
Davide sospira, recupera qualche trascrizione per leggerla sulla via del ritorno e si alza in piedi.
- Tutto chiaro.
- Ah! - li ferma José, un attimo prima di lasciarli andare, - Finito quello, siete di turno al Cimitero Monumentale. Pattuglierete il perimetro interno dalle otto alle tre. E cercate di non far risorgere i morti dalle tombe al passaggio.
Davide digrigna i denti - uno scatto netto che quasi rimbomba nelle orecchie di Mario, tanto profondamente lo sente - ma non dice niente, e si limita ad annuire.
*Oppresso dal silenzio, Mario si decide a rompere il ghiaccio dopo dieci minuti di viaggio. La strada scorre velocissima sotto la macchina che Davide guida disinvoltamente per le vie quasi vuote della città. Milano è inquietante, durante le ore d’ufficio, si trasforma improvvisamente in una città fantasma solo per poi riprendere a vomitare esseri umani e rumori di ogni tipo alle sei in punto. Mario non sa se la odia più quand’è vuota o quand’è piena. In ogni caso, è qui da meno di un mese, e già vorrebbe tornarsene in campagna. Non è granché come inizio.
- Non hai protestato, stavolta. - dice, lanciando a Davide un’occhiata incerta.
Lui, gli occhi fissi sulla strada, non gliela ricambia.
- A che pro? - risponde, - Aveva ragione.
Mario abbassa lo sguardo sulle proprie mani abbandonate mollemente in grembo.
- Ti ho sentito, però. - dice, - Quando ci ha messo di pattuglia al cimitero. Non eri felice.
- Certo che non lo ero. - soffia Davide, infastidito, - Quello è lavoro da agenti semplici. A pattugliare i cimiteri ci mettono i nuovi arrivati, quelli in servizio da meno di due settimane. Cristo… - sospira, le mani che gli tremano per un secondo. Poi sembra ritrovare la calma, e i lineamenti del suo volto si distendono, e le sue dita tornano ad avvolgersi attorno al volante in maniera più rilassata. - Ma se ha ritenuto opportuno mandarci lì, avrà le sue ragioni. Protestare è inutile, a questo punto. È obbedire, o essere licenziati.
Mario gli lancia un’altra occhiata, sbattendo appena le palpebre.
- Quindi non vuoi più andare via? - gli chiede. Nella sua mente, la voce di Davide, rafforzata dall’eco in quella caverna umida e buia, risuona ancora con la forza di una tempesta. Sei una mia responsabilità. Chissà se lui lo ricorda.
Davide si irrigidisce lievemente, inumidendosi le labbra con fare nervoso.
- Non per ora. - concede.
Mario lo guarda e deglutisce.
- …quello che è successo fra noi-
- Mario! - Davide lo interrompe, infastidito, voltandosi a lanciargli un’occhiata furente, - Siamo in servizio. Piantala. Ne parleremo poi.
- Poi quando? - insiste lui, - Quando torneremo in sede e tu riprenderai ad ignorarmi e a comportarti come se non fosse successo niente?
- Non è successo niente. - dice Davide a bassa voce, tornando a fissare la strada.
- Non è vero. - quasi ringhia Mario.
- Sì, invece. - Davide torna a guardarlo brevemente, sulle sue labbra un mezzo sorriso di scuse, - Un bacio è una cosa che si deve volere in due. Altrimenti non significa niente.
Mario si morde l’interno di una guancia, stizzito. Non c’è modo, si dice, Mi guarda attraverso. La realizzazione gli fa più male di quanto non sia disposto a tollerare in questo momento, per cui la mette da parte. D’altronde, Davide ha già fermato l’automobile nei pressi di un palazzo a tre piani, dalla facciata piuttosto antica, e Mario lo osserva con curiosità, scrutando l’intonaco sbeccato in più punti, i balconi piccoli dalle pesanti ringhiere in marmo finemente decorato e l’ampio, altissimo portone in legno.
- Dove siamo? - domanda, scendendo dalla macchina, gli occhi ancora fissi sull’edificio.
- La sede della comunità vampiresca milanese. - risponde Davide, affiancandoglisi e poi camminando speditamente verso la porta.
- Spero per loro che quando hanno registrato l’associazione abbiano scelto un nome di copertura. - commenta Mario con un sogghigno. Davide gli schiaffeggia la nuca.
- Domnit Chivu abita qui. - gli spiega, - Assieme ad alcuni dei suoi più fedeli sottoposti.
- Che razza di nome è Domnit? - sbotta Mario, massaggiandosi il collo ancora caldo delle dita di Davide, - Scommetto che all’asilo tutti i bambini lo prendevano in giro.
- Non è un nome, razza di cretino che non sei altro. - sbuffa lui, lanciandogli un’occhiata infastidita, - Vuol dire “principe” in rumeno. È un titolo onorifico. Il massimo titolo onorifico, per la precisione, per quelli della sua razza.
- Ah. - Mario si ferma a metà strada, e poi rincorre Davide per raggiungerlo di fronte al portone, - Sono tutti sangue blu, da queste parti. La Regina dei Demoni, il Principe dei Vampiri, e poi tu, l’Imperatore dei Pali in Culo.
- Se non t’è bastato il ceffone di poco fa, posso provvedere con un pugno sul naso. - replica Davide, asciutto. - Ora sta’ zitto. - si raccomanda, prima di bussare alla porta.
Un uomo piuttosto alto, sulla trentina, dai lineamenti grezzi ma molto dolci, si affaccia oltre l’uscio qualche istante dopo.
- …tu? - chiede, inarcando un sopracciglio dopo aver riconosciuto Davide.
- Domn Mutu. - risponde lui, con un breve cenno del capo, - Domnit Chivu è in casa?
Il vampiro inarca un sopracciglio, senza accennare a schiudere la porta.
- Perché? - domanda.
- Gradiremmo scambiare quattro chiacchiere con lui. - risponde Davide con un mezzo sorriso, - Se si può.
Il vampiro non risponde subito. Li osserva in silenzio per qualche secondo, gli occhi che passano veloci dall’uno all’altro, e poi si fa indietro.
- Aspettate qui. - dice, - Ve lo chiamo.
Chiude loro la porta in faccia senza troppe cerimonie, ma fortunatamente non devono aspettare sulla soglia troppo a lungo. Pochi istanti dopo, infatti, la porta si apre nuovamente, non più di uno spiraglio, ed un uomo dai capelli castani e dallo sguardo inspiegabilmente dolce appare di fronte a loro. La sua pelle è bianca come la farina e quasi del tutto priva di imperfezioni, e qualsiasi vestito indossi è coperto dal lungo mantello nero di fattura stranamente moderna che porta allacciato attorno al collo, chiuso da un fermaglio di metallo adornato da una vistosa pietra blu.
- Davide. - dice, salutandolo con un cenno del capo al quale Davide risponde con un cenno appena più profondo, - La tua presenza qui mi stupisce.
- Davvero? - domanda lui con un mezzo sorriso, - Sarà, ma non credo.
Chivu aggrotta le sopracciglia, lo sguardo che si fa più freddo per qualche istante, ma poi torna a raddolcirsi, dando al suo volto un’aria più cordiale.
- È una serata un po’ concitata. - dice, sorridendo, - Avevate bisogno di qualcosa?
- Solo di scambiare quattro chiacchiere. - sorride anche Davide, - Possiamo entrare?
- Con un mandato, certo. - il sorriso di Chivu si allarga appena, sempre più docile. Mario capisce che in realtà non c’è niente di accogliente e gentile, in quel sorriso, e gli si arrampica un brivido su per la spina dorsale.
- Niente del genere. - Davide scuote il capo, sollevando le braccia per mostrare le mani nude, - Siamo qui in visita di cortesia. Non ufficiale.
- Bene. - annuisce Chivu, le labbra ancora arricciate in quel sorriso innaturalmente sereno, - Dunque, lasciate che anticipi i vostri bisogni: siete qui per indagare sugli incidenti di stanotte, giusto? Ebbene, il colpevole non appartiene alla comunità.
Davide inarca un sopracciglio.
- Ne siete sicuri?
- Al cento percento. - annuisce Chivu, - Credimi, Davide, dopo l’ultimo incontro avuto con tuo padre e i suoi, non abbiamo alcuna voglia di venire meno agli accordi presi. L’indagine interna non ha portato alla luce alcun colpevole fra le nostre fila. Chiunque sia stato, viene da fuori.
- O qualcuno dei vostri ha creato un nuovo vampiro. - puntualizza Davide, lanciandogli un’occhiata più seria.
Il sorriso di Chivu si allarga ancora.
- Ma anche questa, - risponde, - Sarebbe una violazione degli accordi. E ti ho già assicurato che non abbiamo fatto niente del genere.
I due si guardano in silenzio per qualche secondo, ciascuno immobile nella propria posizione. È Davide il primo a spezzare quell’immobilità così rigida, concedendo al principe un sorriso ed un cenno del capo.
- D’accordo. - annuisce, - Riferirò a mio padre. Grazie della collaborazione.
- Non c’è di che. - risponde Chivu con un cenno del capo in risposta. Conta come arrivederci, ed il vampiro non aggiunge altro, prima di chiudersi la porta alle spalle. Una volta dentro, lancia un’occhiata al vampiro che gli è rimasto accanto tutto il tempo, e che adesso lo sta fissando con aria severa. - Cosa. - sbotta, infastidito.
L’altro incrocia le braccia sul petto.
- Ti rendi conto del rischio che corri? - domanda, - Per proteggere quello?
- Quello, Adi, - gli ricorda lui, - È uno dei nostri, ormai.
- Non cambia il fatto che fosse uno dei loro, prima. - ribatte lui, spostando le mani sui fianchi in una posa ostinata, - Dovremmo riconsegnarglielo e lasciare che se ne occupino loro.
Cristian sospira, muovendo qualche passo verso una porta chiusa. La apre discretamente, senza fare rumore, e sbircia all’interno la stanza buia, illuminata appena dai pallidi raggi di luce lunare che riescono a scavalcare le imposte chiuse e le tende sottili tirate, annegando la stanza in un blando chiarore bluastro.
Al centro della stanza, l’imponente letto a baldacchino domina la scena, le tende tirate, l’aria immobile di un quadro antico. Vi si avvicina in punta di piedi, sfiorando appena il pavimento, e scosta una tenda, scrutando il vampiro dormiente, immobile come morto. È un uomo non più giovanissimo, dall’aria stanca.
- Sini. - lo chiama piano. Quello apre gli occhi e gli posa addosso uno sguardo stremato. Cristian gli offre un sorriso sincero, carico di premura. - Come stai?
Lui schiude le labbra e prova a parlare, ma all’inizio non è in grado di emettere più di un sibilo rauco e affaticato. Si schiarisce la gola e ci riprova, cercando anche di sollevarsi a sedere ma ricadendo sul cuscino dopo aver capito di non farcela.
- Mi dispiace, Cristi. - dice a bassa voce, - Non avrei mai voluto- È stato un bisogno improvviso. Appena l’ho visto-
- Non preoccuparti. - scuote il capo Cristian, poggiandogli un dito sulle labbra per zittirlo, - Cercheremo di trovarlo prima che qualcun altro gli metta le mani addosso.
- Spero non abbia combinato dei guai. - sospira il vampiro, chiudendo gli occhi e tornando a sdraiarsi mollemente sul letto.
Cristian non ha cuore di dirgli la verità.
*- Allora, - prova Mario, mentre passeggiano per le vie eleganti ed ordinate del Cimitero Monumentale, - Gli credi?
- Naturalmente no. - risponde Davide, lanciandogli un’occhiata risentita, - Mi prendi per un idiota?
- Ma gli hai detto-
- Mario, per tutte le potenze infernali e celesti, - sospira lui, sollevando gli occhi al cielo come a protestare con Dio in persona per la sfiga che gli è capitata nel trovarsi fra i piedi uno come lui, - Ma sei proprio stupido? Cosa potevo dirgli, secondo te? Non avevo un mandato, eravamo solo in due contro un potenziale di un centinaio di vampiri appena svegli ed assetati, e con l’esplicita richiesta da parte di mio padre di non scatenare una guerra. Ovviamente ho dovuto recitare la mia parte.
Mario abbassa lo sguardo, scalciando un ciottolo fuori posto lontano dal viale che stanno percorrendo e sbuffando sonoramente.
- Dunque credi che abbiano violato gli accordi. - dice.
Camminando al suo fianco, Davide sospira. La luce della luna - già da un po’ alta sopra le loro teste - rischiara la strada davanti a loro abbastanza da impedire loro di inciampare, o di perdersi nel buio. Non ci sono luci artificiali, in questa parte del cimitero. L’oscurità è accogliente per i morti, gli ha spiegato Davide qualche minuto prima, permette loro di riposare in pace. “Ti stupirebbe,” ha detto con una mezza risata, “Sapere quanti cadaveri sono risorti dalle loro tombe solo per lagnarsi di qualche faro puntato con troppa insistenza contro il loro loculo.”
- Io non credo niente, Mario. - gli risponde, guardandosi intorno con aria annoiata, ascoltando il silenzio senza trasporto né attenzione, - E il tuo cervello funziona per meccanismi troppo semplici.
- E dovrebbe essere un difetto? - domanda Mario, inarcando un sopracciglio.
- In certi ambienti, sì. - risponde Davide, con una scrollatina di spalle, - Non stiamo parlando di esseri umani, qui. Parliamo di creature sovrannaturali, esseri supremi che hanno vissuto per centinaia se non migliaia d’anni, con una concezione della vita, della morte, del tempo e del mondo così differente dalla tua che, anche se provassero a spiegartela, non riusciresti a coglierne nemmeno il senso generale. E pretendi di poter giudicare o addirittura prevedere le loro azioni ragionando come un ragazzino di diciassette anni?
- Senti, - sbotta Mario, offeso, - Ho capito che sei molto più esperto di me, ma non è che io non abbia esperienza affatto. Ho combattuto il mio numero di mostri, ho abbattuto uno zombie da solo, prima di trasferirmi qui, e ti assicuro che i suoi ragionamenti e i suoi processi logici erano completamente piatti e lineari, di sicuro molto più lineari di quelli di mia sorella quando ha il ciclo, e sono sopravvissuto anche a lei, nel caso, per cui…!
- Ma sei proprio un cretino. - sospira Davide, arreso, passandosi una mano fra i capelli per scostarsi il ciuffo da davanti al viso, - Ma che parallelismi fai? Vuoi paragonare i vampiri con gli zombie? Abbi pazienza, Mario, e dovrei prenderti sul serio?
Risentito, Mario si morde l’interno della guancia e guarda altrove.
- Sarebbe il caso che cominciassi, almeno. - borbotta.
- Come, scusa? - domanda Davide, voltandosi a guardarlo, infastidito dal suo rimbrottare, - Scandisci le parole, o non capisco quello che dici.
- Ho detto, - ripete Mario, la voce che trema appena di fastidio e irritazione, - Che dovresti cominciare a prendermi sul serio. Quantomeno cominciare a trattarmi da collega, se non altro. O col rispetto minimo che daresti ad un qualsiasi altro essere umano.
Davide aggrotta le sopracciglia, stringendo i pugni lungo i fianchi.
- Non ricominciare. - dice, - Cos’è, ti sei montato la testa?
- Montato la testa?! - quasi grida Mario, voltandosi verso di lui e fermandosi nel mezzo del viale, - Sarebbe montarsi la testa chiedere di essere trattato con un minimo di rispetto?!
- Non mi pare di averti insultato. - ribatte Davide, freddo.
- È l’unica cosa che non hai fatto! - risponde Mario. Poi ci pensa, - E in realtà hai fatto anche quello, è mezz’ora che mi dai del cretino!
- Be’, ma perché dici idiozie! - ammette Davide, arrossendo lievemente dalla vergogna di essere stato colto in fallo, - Hai detto-
- Ma chi se ne frega! - Mario solleva entrambe le braccia in aria, in un gesto di insofferenza, - Mi tratti da stupido anche quando non mi stai chiaramente dicendo che sono uno stupido! Mi hai ignorato per una settimana intera, dopo quello che è successo! Ti sembra un comportamento maturo?!
- Non ti permettere di darmi la colpa per quello! - risponde Davide, alzando la voce a propria volta, - Sei stato tu a baciarmi, io mi sono limitato a prendere le contromisure adeguate.
- E sparire come un adolescente represso e isterico era una contromisura adeguata, secondo te?! - sbotta lui, - Cosa sarebbe successo se non avessimo avuto questi dieci giorni di sospensione? Saresti sparito lo stesso? Avrei dovuto cercarti col GPS per trovarti, se Mourinho ci avesse affidato un caso?
- Mario, ma quanto sei cretino-
- Smettila di darmi del cretino! - lo interrompe Mario, afferrandolo per le spalle e strattonandolo appena, - Adesso basta, mi sono rotto il cazzo di te, delle tue pose da adolescente emo, del tronco di quercia che ti hanno infilato su per il culo e delle tue arie da uomo navigato! Sei tu il cretino, e non sei altro che un ragazzino incazzato col mondo e spaventato a morte!
- Lasciami andare! - gli urla in faccia Davide, lasciando scivolare le proprie mani sotto le sue e schiaffeggiandole lontano da sé, liberandosi dalla sua stretta, - Ma come cazzo ti permetti di comportarti così con me?! Devo ricordarti che mi basta qualche lagnanza con mio padre per farti buttare fuori dalla Fondazione a calci in culo? Cos’è, credevi che scherzassi?
- E lagnati! - risponde Mario, spintonandolo senza troppe cerimonie, - Lagnati! Tanto è la cosa che sai fare meglio! Anzi, è l’unica cosa che sai fare! Sei peggio dei bambini di tre anni che piangono perché vogliono attirare l’attenzione! Bu-huu, papà non mi considera, non mi vuole bene! Ora minaccio di dare le dimissioni, così lui mi implorerà di restare!
Davide arrossisce ancora, più vivamente, adesso. Sente la rabbia formicolare sottopelle, e porta automaticamente la mano alla pistola attaccata al fianco, anche se sa di non poterla usare.
- Stai zitto. - dice, la voce che trema violentemente.
- Perché, se no che fai? - Mario sibila, avvicinandosi di un passo, - Vai da papà a lamentarti? Bu-huu, papà, il nuovo amichetto che mi hai trovato non mi piace, rivoglio quello di prima! - finge di piagnucolare, - Peccato che quello di prima t’ha mollato, e comincio a capire perché! Ci credo che s’è fatto trasferire altrove, cazzo, io pur di liberarmi della tua faccia del cazzo mi farei trasferire volentieri in Australia, stronzo!
- Adesso basta! - strilla Davide, - Hai passato il segno!
- Me ne sbatto il cazzo! - risponde lui, sollevando il medio nella sua direzione.
Davide solleva un braccio a mezz’aria, la mano bene aperta. La muove prima di poter realizzare davvero cosa sta facendo, ma quando è convinto che ormai non sentirà altro che lo schiocco delle proprie cinque dita mentre si stampano furiose contro la guancia di Mario, tutto quello che sente invece è la presa forte delle dita di Mario attorno al suo polso, e la sua stretta rigida, tremante di rabbia.
- Mario- - prova, facendosi indietro quando vede il suo volto riempire completamente lo spazio di fronte a lui.
- Mi hai rotto il cazzo, Davide. - risponde lui, stringendo il suo polso tra le dita con tanta forza da sentire scricchiolare le ossa sotto la pelle, - Adesso stai zitto.
Non dice altro, prima di sporgersi verso di lui, annullando la distanza che li separa e coprendo le sue labbra con le proprie. Davide spalanca gli occhi, cerca di ritrarsi, ma Mario gli gira un braccio attorno alla vita e lo tiene inchiodato lì, e poi schiude le labbra, cercando la sua lingua con la propria.
E Davide schiude le proprie, e per un secondo le loro lingue si toccano e si accarezzano.
E poi Davide pianta entrambe le mani contro il petto di Mario e lo spinge lontano da sé, ringhiando come un animale ferito.
- Vaffanculo! - strilla rauco, indietreggiando di qualche passo a causa della forza che ha impresso nello spingere indietro lui, - Non ti è bastato il primo no sottinteso, eh? Te lo devo dire proprio in faccia, pezzo di merda che non sei altro! Non ti avvicinare mai più a me!
Mario lo guarda, le sopracciglia aggrottate, gli occhi che brillano di rabbia. Si massaggia il petto in un gesto distratto, con la mano aperta. Le sue dita lunghe e forti tirano la maglia scura che indossa sui suoi pettorali, e Davide, suo malgrado, non riesce a non abbassare lo sguardo su quel movimento, deglutendo a fatica.
Quando torna a guardarlo, Mario è di nuovo troppo vicino.
- Mario, smettila! - grida, ma Mario se ne frega, Mario se ne sbatte il cazzo delle sue proteste e dei suoi no e dei suoi capricci e delle sue lamentele. Mario gli preme una mano contro la nuca, se lo tira vicino e le loro labbra, stavolta, impattano già aperte, le lingue che si cercano affamate, e Davide posa entrambe le mani sul suo petto, stringe i pugni attorno alla sua maglietta e, invece di spingere, tira, stropicciando il tessuto fra le dita mentre piega il capo per approfondire il bacio e punta i piedi a terra per contrastare la furia di Mario, sollevandosi appena sulle punte per premere tutto il proprio corpo contro il suo.
Poi Mario gli morde un labbro, più per fame che per ripicca, e Davide geme e lo spinge nuovamente lontano da sé. Stavolta, Mario oppone resistenza, e non indietreggia che di qualche centimetro. A finire sbalzato indietro è Davide, che quasi inciampa sui suoi stessi piedi mentre si muove alla cieca, e poi finisce a sbattere di schiena contro la parete di un vecchio mausoleo. La pietra è gelida, appiccicosa dell’umidità della notte, e Davide rabbrividisce sentendola attraverso il tessuto leggero della maglietta che indossa, e poi Mario si muove svelto verso di lui, e lo inchioda alla parete con entrambe le braccia, e Davide chiude gli occhi, schiude le labbra, gli annoda le braccia attorno al collo e se lo tira contro con quanta forza riesce a trovare, nonostante le gambe che si fanno molli, e le ginocchia che non lo reggono, e la schiena inarcata sulla quale si arrampicano brividi caldi e freddi senza soluzione di continuità.
Mario lo schiaccia senza riguardi contro la parete, premendosi tutto contro di lui. Davide sente sotto le dita le sue spalle solide tendersi e poi rilassarsi, ed usa la parete alle sue spalle come sostegno per ricambiare le sue spinte una dopo l’altra, ed i suoni soffocati che sfuggono dalle labbra di entrambi fanno presto a trasformarsi in gemiti quando i loro corpi si adattano l’uno al ritmo dell’altro, e cominciano a muoversi in sincronia, scivolandosi addosso nel buio e nel silenzio della notte.
E poi a Davide sembra di sentire uno strano frullare d’ali, e spalanca gli occhi di scatto, staccandosi controvoglia dalle labbra di Mario e spingendolo lontano da sé con forza rinnovata.
- Ennò! - protesta Mario, aggrappandosi alla statua di un angelo mezzo nudo per non ruzzolare a terra, - Davide, non ricominciare!
- Sssh! Stai zitto, imbecille! - bisbiglia lui, allungando una mano nella sua direzione e ripulendosi la bocca col dorso dell’altra, mentre volta attorno a sé uno sguardo attento, tendendo l’orecchio per captare anche il minimo rumore.
Stupito dal suo comportamento, Mario dimentica perfino di protestare per l’epiteto offensivo.
- Cosa? - comincia.
Davide gli intima nuovamente di stare zitto.
- Ho sentito un rumore. - spiega a bassa voce, - Ali.
- Ali? - biascica Mario, gli occhi ancora offuscati dal desiderio, - Sarà un gufo o qualcosa del genere, dai!
- Ma che gufo e gufo! - sbotta Davide, spazientito, - Era più grande di un uccello. E abbassa la voce.
Mario lo fissa ostinatamente per qualche secondo, le labbra strette in una linea colma di disappunto e le sopracciglia aggrottate. Poi sospira, rassegnandosi all’evidenza di dover rimandare la discussione di poco prima ad un altro momento.
- D’accordo. - dice in un bisbiglio, affiancandosi a Davide, - In che direzione?
- Non lo so. - sbuffa lui, arrossendo, - Non ci ho fatto caso. Ero distratto.
Mario non può impedirsi di piegare le labbra in un sorrisetto soddisfatto.
- Okay. - dice poi, e si ferma a pochi passi da Davide, chiudendo gli occhi e restando in ascolto. Se c’è una cosa che i suoi genitori l’hanno preparato a fare più che egregiamente è individuare le presenze sovrannaturali, ostili o meno, situate intorno a lui in un raggio più o meno lungo, che varia a seconda del suo grado di concentrazione, del tipo di presenza e della conformazione del territorio. Lucky, il piccolo cerbero che i suoi genitori hanno raccolto ancora cucciolo durante una delle loro missioni, ottenendo il permesso di portarlo a casa, gli è stato molto utile, in questo senso. Mario ricorda ancora fin troppo bene i lunghi pomeriggi in cui lo lasciavano immobile al centro del cortile con una benda davanti agli occhi per ore, prima di ordinare a Lucky di andargli vicino e poi osservarlo mentre, con precisione millimetrica, riusciva ad identificare la sua presenza ed a stringerlo fra le braccia - mentre tre piccole teste dondolavano entusiaste e tre piccole code si dimenavano per aria piene di gioia - senza mai aver bisogno di vederlo.
Naturalmente, è più difficile identificare una presenza sovrannaturale in un cimitero, piuttosto che nel mezzo di un cortile in aperta campagna. Anche cercando di concentrarsi il più possibile, Mario finisce per ritrovarsi costantemente disturbato dalle sensazioni più improbabili, a cominciare dai brividi freddi dei cadaveri inquieti per continuare con la sensazione appiccicosa dei fantasmi incorporei e invisibili. Per concludere poi con le domande di Davide.
- Ma che stai facendo? Mario! Non farmi perdere tempo!
La sua voce è così fastidiosa che, oltre a capire per quale motivo Ibrahimović abbia ritenuto più opportuno andarsene fino in Francia, Mario capisce anche per quale motivo, finché s’è trattenuto, abbia preferito passare più tempo a limonarlo piuttosto che a discutere con lui. Anche Mario preferirebbe di gran lunga baciarlo, piuttosto che sentirlo ancora lagnarsi.
E poi sente qualcosa di diverso, qualcosa che lo colpisce non tanto perché sia inusuale trovarla lì, quanto più perché ricorda di aver sentito un’aura molto simile recentemente, e l’idea lo disturba.
- Un vampiro…? - domanda ad alta voce, aprendo gli occhi ed aguzzando lo sguardo.
- Vampiri? - ribatte Davide, lanciandogli un’occhiata dubbiosa, - Qui? Impossibile. Nessun vampiro con un minimo di esperienza metterebbe mai piede in un cimitero. Specie dopo quello che è successo stanotte, sarebbe un nascondiglio troppo… - si interrompe appena, spalancando gli occhi, - …banale. Mario! - lo chiama, aggrappandosi al suo braccio, - È lui, è il vampiro degli incidenti di stanotte!
- Cosa? - domanda lui, confuso.
- Ma è ovvio! - risponde Davide, - Solo un vampiro del tutto privo di esperienza si troverebbe qui, adesso! Dev’essere lui! - si guarda intorno con occhi febbrili, sempre aggrappato al braccio di Mario, - Dov’è?
- Non lo so… - risponde lui, confuso, guardandosi intorno, - L’ho perso di vista, non lo sento più.
Davide si volta di scatto all’improvviso, lasciandolo andare. Ha sentito di nuovo frullare le ali, e nel momento in cui si volta l’ombra scura del pipistrello si staglia contro il disco lunare, chiara come una fotografia.
- Eccolo! - strilla Davide, lanciandosi al suo inseguimento.
- Cristo. - bisbiglia Mario, rabbrividendo, - È gigantesco.
L’ombra nera, in effetti, è grande quanto un uomo, e ne ha anche le fattezze. Solo le ali sono diverse, la loro grandezza coerente con quella del corpo che devono sostenere. Sono lunghe, nere ali da pipistrello, la loro forma caratteristica è così evidente, contro il blu scuro e uniforme del cielo, da sembrare disegnata con un pennarello.
- Non preoccuparti, - dice Davide, mentre sulle sue labbra si apre il sorriso famelico del cacciatore, - È tutta scena. I vampiri non sono pericolosi, quando si trasformano in pipistrello.
- E tu come lo sai? - ribatte lui, correndogli accanto, - Ne hai mai affrontato uno?
- Mai! - risponde Davide con una risata.
- E allora?!
- E allora ho studiato, Mario! - ride ancora lui, e poi lo tira per una spalla, - Muoviti!
Mario allunga il passo e riesce a stargli dietro - Davide, un po’ più basso di lui, resta molto più leggero ed agile di quanto Mario non potrà mai sperare di diventare, anche allenandosi ogni giorno - ed entrambi inseguono il pipistrello all’interno dei confini del cimitero per almeno venti minuti, finché non lo vedono cominciare ad abbassarsi.
- Ah! - esulta Davide, correndo più svelto, apparentemente immune alla fatica, - Si sta stancando! Mario! - lo chiama, lanciandogli un cenno d’intesa. Lui, più stanco di Davide ma ancora perfettamente in grado di gestire la propria fatica, si limita ad annuire, e cambia repentinamente strada, deviando dal viale principale e percorrendo svelto i vialetti secondari per raggiungere il vampiro alle spalle.
Davide prende un respiro profondo e si muove più in fretta, tenendo le braccia il più possibile attaccate al corpo per ridurre al minimo la resistenza dell’aria al suo passaggio. In un paio di minuti, complice la stanchezza sempre crescente del vampiro, riesce non solo a raggiungerlo, ma anche a superarlo, e solo allora si volta di scatto, scivolando lungo il viale sterrato per un paio di metri e sollevando una gran quantità di polvere, prima di fermarsi.
Non appena ci riesce, non perde tempo a cercare di rimettersi in piedi. Ancora piegato sulle gambe, allarga le braccia per trovare un minimo di equilibrio e, una volta trovatolo, estrae la pistola, puntandola contro l’SCP.
- Arrenditi! - urla, - Sei in arresto!
Il vampiro vola ormai a poco più di un metro dal suolo, le grandi ali che si muovono stancamente, incapaci di sopportare oltre il suo peso. Con le ultime forze che gli restano, lancia un grido disperato, che costringe Davide ad indietreggiare di qualche passo a causa del fastidio che quel suono così acuto causa alle sue orecchie, e subito dopo si lancia a peso morto contro di lui, cercando di abbatterlo col suo peso.
A metà strada, lo raggiunge il proiettile sonico di Mario, che, colpendolo al fianco, lo spinge lateralmente, lanciandolo a velocità sostenuta verso una lapide piuttosto alta, contro la quale il vampiro sbatte, crepandone la superficie, prima di ricadere per terra con un suono sordo.
Davide salta in piedi, correndo verso il corpo immobile.
- Mario! - chiama, senza guardarsi attorno.
- Sono qui. - risponde lui. Ha il fiato grosso, e Davide ne sorride mentre entrambi si inginocchiano a fianco del vampiro svenuto. Una volta persa conoscenza, ha riassunto le proprie normali sembianze, ed ora possono vedere che non si trattava d’altro che di un ragazzo più o meno della loro stessa età, forse appena più giovane. Ha la pelle chiara ed i capelli tagliati cortissimi, di un castano molto chiaro. I lineamenti sono quelli ruvidi e grezzi tipici dell’adolescenza che si prepara a diventare maturità. Resteranno cristallizzati così, a metà strada fra il punto di partenza e quello di arrivo, per tutto il resto della sua vita immortale.
- Riportiamolo in sede. - dice Davide con un sorriso, alzandosi in piedi e spolverandosi i pantaloni, un attimo prima di voltarsi a guardare Mario, - Non male, come serata, mh?
Mario sorride a propria volta, sfilandosi la giacca ed avvolgendola attorno al corpo del ragazzo per tirarlo su.
- Già. - annuisce, - Dovremmo farlo più spesso.
*- Ragazzi, - li accoglie José con un sorriso ironico ma sincero, - Sono commosso.
Davide aggrotta istantaneamente le sopracciglia, lasciandosi ricadere con uno sbuffo infastidito sulla sedia ed accavallando le gambe.
- Devi proprio? - chiede con aria annoiata.
- Sì. - sorride José, - Non mi negherai il piacere di prendervi un po’ in giro.
Davide sbuffa ancora, incrocia le braccia sul petto e si stringe nelle spalle, guardando altrove.
- Fai un po’ quello che vuoi. - conclude con voce cupa.
Mario, seduto al suo fianco, non può fare a meno di sorridere. Gli sfiora il ginocchio in un gesto discreto, apparentemente casuale. Davide sposta le gambe, sottraendosi al suo tocco, ma Mario lo vede arrossire, e decide di prenderlo per un buon segno.
- Dunque, dopo quasi un mese da quando siete stati accoppiati, - comincia José, scorrendo il report con aria soddisfatta, - Siete non solo riusciti a portare a casa la serata senza rischiare la morte né scatenare una guerra, ma siete perfino riusciti a catturare un SCP. Un SCP che, per giunta!, aveva causato non pochi problemi nel corso della notte, sollevando così me dalla responsabilità di doverlo mettere sotto indagine, ed un’altra coppia di agenti dalla fatica di doverlo inseguire. Inoltre! - aggiunge, perfino con più entusiasmo, - Era da un po’ che la Fondazione cercava un nuovo esemplare di SCP umanoide, nato in libertà, per un certo progetto a lungo termine di cui non sono ovviamente autorizzato a parlare. - dice, accavallando le gambe ed offrendo loro un sorriso divertito, - La creature da voi catturata, denominata SCP-AS07011991, è stata immediatamente inserita nel progetto, e ciò porta per voi un bonus pecuniario vitalizio durevole fino alla dipartita dell’SCP stesso, occasione che, in realtà, speriamo non debba mai occorrere, considerata l’importanza che questo progetto riveste per il futuro della Fondazione.
- Ah. - annuisce Mario, rilassando le spalle contro lo schienale della sedia, - Però. Grazie.
- Non devi certo ringraziare me. - ride José, - Sono le regole della Fondazione. Comprendiamo bene i sacrifici che i nostri Agenti sono costretti a fare, ed i rischi che corrono durante le loro missioni. Sappiamo ricompensarli adeguatamente.
Mario annuisce ancora, sorridendo appena.
- Be’, grazie lo stesso.
José gli sorride di rimando, e poi si volta a guardare Davide.
- Naturalmente, - riprende, - Il vostro fermo per i prossimi due giorni è revocato. Prendetevi la giornata libera, ed aspettatevi l’assegnazione di una nuova missione per domani mattina. Potete andare.
Davide non aspettava altro. Si alza in piedi di scatto e non concede a suo padre che un breve cenno col capo, prima di voltargli le spalle e dirigersi verso la porta. Ha già una mano sulla maniglia quando José parla ancora.
- Davide. - dice. L’aria si fa elettrica, e densa come nebbia. - Sono fiero di te.
Davide si irrigidisce tutto per un secondo, stringe le dita attorno al pomello e Mario le vede tremare appena. Ma sceglie di non rispondere, e Mario sceglie di seguirlo in silenzio, dopo un cenno del capo in direzione di José.
Una volta in corridoio, Davide fa un paio di passi, e poi si appoggia di schiena contro il muro, rilassando le spalle e piegando il capo in un sospiro stanco. Ha gli occhi chiusi, è pallido, sembra stanco. Mario gli si avvicina discretamente.
- Stai bene? - gli chiede, sfiorandogli una spalla con due dita.
Davide apre appena gli occhi e lo guarda in silenzio per qualche secondo. Non gli risponde, ma si sporge e baciarlo lievemente sulle labbra, prima di riprendere a camminare in silenzio. Mario se lo fa bastare.
*L’uomo entra nell’ufficio di José senza bussare, aperto sul volto il sorriso di chi sa di poterselo permettere.
- Deki. - lo saluta con un sorriso ed un cenno José, sollevando il capo dalle scartoffie che sta esaminando, - Che piacere.
- Zay. - ricambia il saluto l’uomo, piombando sulla sedia e sollevando le gambe, appoggiandole sull’altra sedia ed incrociandole per accomodarsi meglio. Indossa un paio di pantaloni sportivi scuri, una maglietta bianca ed una giacca di pelle nera. La giacca è, come le scarpe, visibilmente rovinata dal tempo e dalle intemperie, ma lui non sembra curarsene, anzi. La tiene indosso anche una volta accomodatosi, sfoggiandola con l’orgoglio di un guerriero che sfoggi la propria armatura segnata dalle lunghe battaglie alle quali ha preso parte.
- Scusa, José. - sospira Pep, apparendo sulla soglia, - Ho provato a fermarlo, ma come sai è praticamente impossibile farlo.
- Non preoccuparti, Pep. - ride José, scuotendo il capo, - Lo aspettavo. Vai pure.
- Come preferisci. - annuisce l’uomo, prima di chiudersi la porta alle spalle per tornare alle proprie occupazioni.
- Allora, allora. - riprende l’uomo, incrociando le braccia dietro la testa, - Spiegami un po’ perché sono qui, invece che in Cina ad inseguire mastini infernali grandi come montagne.
José ride di cuore, riordinando i documenti sparpagliati sulla sua scrivania e mettendoli da parte, per appoggiarsi al piano con entrambi i gomiti.
- Per un duplice motivo, in effetti. - risponde José, - Il primo è che abbiamo finalmente trovato il tuo nuovo partner.
- Cosa? - borbotta Dejan, aggrottando le sopracciglia, - Mi sembrava che ormai la mia qualifica fosse chiara. José, sono più di cinque anni, ormai, che combatto da solo, non è proprio il caso-
- Quando ti abbiamo concesso la licenza di cacciare in solitaria, - gli ricorda José, sorridendo amabilmente, - Abbiamo imposto come clausola che, se per un qualsiasi motivo la Fondazione avesse ritenuto più opportuno darti un nuovo partner, tu l’avresti accettato senza ribellarti. Sai bene che non verrei certo a infastidirti appioppandoti un ragazzino qualsiasi, per cui capirai che, se lo sto facendo adesso, è solo perché è necessario.
Dejan sospira, chiudendo gli occhi e passandosi una mano fra i capelli corti giusto per darsi qualcosa da fare.
- Spiega, allora. - concede infine.
- Ricordi il progetto di cui ti ho parlato qualche tempo fa? - risponde lui, - La possibilità di cominciare ad inserire alcuni SCP umanoidi tra i nostri Agenti?
- Oh. - dice Dejan, tornando a guardarlo con improvviso interesse, - Avete trovato qualcuno?
- Già. - annuisce José, - È un vampiro nato approssimativamente un paio di giorni fa. Non ha passato con quelli della sua razza neanche un minuto del proprio tempo, e non ricorda niente del suo creatore.
- Una tabula rasa, praticamente. - considera Dejan, annuendo.
- Esatto. - sorride soddisfatto José, - È il candidato perfetto. E, considerato il tuo talento speciale nel gestire i ragazzini-
- Intendi nel portarmeli a letto? - domanda Dejan con una risatina.
José aggrotta le sopracciglia.
- Non scherzare. - lo rimprovera.
- E chi scherza? - ritorce lui, - Ma ho capito, ho capito. - annuisce con un sorriso, - Insomma, devo portarmelo un po’ in giro.
- Sì. - risponde José, recuperando un fascicolo dal primo cassetto della sua scrivania e passandolo a Dejan, - Qua ci sono le informazioni che siamo riusciti a scucirgli di bocca, i referti medici, i risultati dei test preliminari… lo tratterremo un paio di mesi per istruirlo sulle basi teoriche, e poi sarà tutto tuo.
- Evviva me. - sospira Dejan, tirando giù i piedi dalla sedia e sfogliando il fascicolo velocemente, prima di richiuderlo e poggiarselo in grembo. - La seconda cosa?
I lineamenti di José si fanno più tesi, e lui si passa la lingua sulle labbra improvvisamente secche, cercando di mascherare il nervosismo.
- Devo chiederti massima discrezione, per questo, Deki. - dice quasi con timore.
- Oh, andiamo. - sbuffa lui, quasi offeso, - Mi conosci, no? Ti ho mai deluso?
- Mai. - ammette José, rilassandosi appena. Poi abbassa lo sguardo. - So quanto ti costerà, ma ho bisogno che tu vada da Andrea.
È Dejan, adesso, ad irrigidirsi sulla sedia. Serra la mascella ed i suoi lineamenti si fanno all’improvviso più duri, quasi cattivi, minacciosi.
- …Zay-
- Non prendiamoci in giro, Deki. - lo interrompe lui, serio, - Sta succedendo qualcosa di grosso. Devi averlo sentito anche tu.
Dejan sospira, appoggiandosi alla spalliera della sedia.
- Il diavolo canta. - dice a bassa voce.
José aggrotta le sopracciglia.
- Hai parlato con Zlatan? - domanda.
- No. - risponde lui, - L’ho sentito cantare io stesso.
José sospira, passandosi una mano fra i capelli brizzolati. Ha imparato molto tempo fa a non indagare eccessivamente le percezioni degli Agenti, specie di quelli potenti come Dejan. O come Zlatan. Il mondo bisbiglia nelle loro orecchie in una lingua che nessun altro può comprendere.
- Ho bisogno che tu vada da Andrea, Deki. - riprende, - Ho bisogno che tu gli dica di tenersi pronto. Che potrebbe servirci, e presto.
Dejan solleva lo sguardo, allarmato.
- José, hai ricevuto un permesso, per tutto questo? - chiede, - Un’autorizzazione? Il Presidente-
- Il Presidente è contrario. - taglia corto lui, - Ma io credo che si sbagli. Talvolta, bisogna prendersi la responsabilità delle proprie azioni fino al punto da rischiare tutto per un bene più grande. Io intendo farlo. Per cui, ti prego. - sorride appena, - Va’ da lui. Digli di prepararsi. E portagli i miei più cari saluti.
Dejan non annuisce né scuote il capo. Non parla nemmeno. Guarda José dritto negli occhi per qualche secondo, e poi si alza in piedi, stringendo il fascicolo sul giovane vampiro sotto il braccio. Si limita ad un cenno veloce, prima di lasciare la stanza. José sospira, massaggiandosi gli occhi e poi coprendosi il viso con entrambe le mani. Lo riscuote il tocco leggero di Pep, qualche secondo più tardi.
- Caffè? - dice, porgendogli già una tazza fumante.
José l’accetta di buon grado.

continua
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