Titolo: Certe volte accade che ci sia bisogno di andar via
Autore:
el_defeBeta: AHAHAHAHAHA. Boh,
waferkya l'ha letta prima e mi ha fatto sistemare una cosa. Per il resto è intonsa.
Personaggi: Marco Borriello, Daniele de Rossi, e uno dei miei diecimila OC (Michele S.) che fa capolino per una scena e mezza
Rating: 18+
Warning: slash, linguaggio
Word count: 1,808 (FDP)
A/N: ... UHM. XD Niente, è istigazione a delinquere suscitata dalla
waferkya. E in quanto fandomico prosseneta, ne ricaverò senz'altro vantaggio. #aulicissimamenteSTICAZZI
Prompt: 083. Contando gli anni @
500themes_itaDisclaimer: Questa fanfiction non è a scopo di lucro, non vuole offendere o essere lesiva nei confronti delle persone reali descritte, né pretende di dare un ritratto veritiero di eventi o personalità.
Intro: Di un viaggio. Cominciato dieci anni fa.
Certe volte accade che ci sia bisogno di andar via
"Daniè..."
"Oh?"
"C'ho voglia."
"Scordatelo." Daniele mastica con più energia il panino, come se facendolo potesse ignorare più facilmente quello che Marco ha appena detto. O la sua espressione per un terzo supplichevole, per un altro terzo arrapata e per il restante trentatré percento assolutamente carogna.
"Non ce la faccio."
"Marco, pe'ppiacere, contieniti. Puoi aspettare fino a stasera." Un altro morso al panino, fissando con pervicacia l'orizzonte tra mare e cielo piuttosto che il rigonfio nel costume di Marco. "E non sei prudente."
"Oh, andiamo. Due milioni di persone in tutta l'isola e tu pensi che non avrebbero voglia di far altro che di guardarci?"
"Io penso esattamente questo" si difende Daniele, non rendendosi conto in tempo che Marco aspetta la prima pausa del suo pasto per baciarlo sulle labbra, fugace ma non troppo, discreto ma non troppo, irresistibile. Forse fin troppo.
"Mortadella" commenta Marco, asciutto. "Devo convertirti al salame."
Daniele sospira. Il friccicore alla gola fa il giro e gli si sposta tra le gambe.
"Una cosa veloce. E in acqua. E dove nessuno guarda" concede a malincuore, ma Marco è di nuovo più veloce di lui - gli palpa il costume all'altezza del cavallo, ride, fa finire il resto del panino nella sabbia e schizza acqua dappertutto per buttarsi in mare.
"Tu ti ricordi sempre tutto, huh?" Daniele fissa truce prima Marco, poi la strada, poi ancora Marco, infine lo specchietto che gli annuncia che evviva, ha un nuovo pelo bianco nella barba. "Non ricordo nemmeno il nome del mio possibile genero del momento, figurarsi una promessa del genere."
"Però mi hai seguito," gli fa notare Marco, macinando chilometri di Route Vattelapesca sotto il fuoristrada, "potrei averti rapito per abusare di te alla prima area di sosta."
"Provatici," ringhia.
"Non sfidare la sorte, capità. Io non sono cambiato."
"Si vede." È vero, quattro anni su Marco sono passati come quattro giorni - a Roma capita così raramente che Daniele è sicuro che lo faccia di proposito, perché sia lui a prendere l'iniziativa con Marco e imprimersi i suoi lineamenti a fuoco nella propria carne. Se non fosse che un'assenza di quattro anni (interrotta da un "sai, prima di andarmene dalla Roma mi hai promesso che avremmo fatto un viaggio di dieci giorni in America". Logico. Logico 'stocazzo) ha meno senso che mai.
Daniele gli pizzica un capezzolo sotto la t-shirt. Come fa ad avere il viso, il corpo e l'idiozia di quindici anni fa?
"Mani a posto, capità", ride Marco. Ma non protesta a che le mani di Daniele si prendano qualche altra libertà prima della prima area di sosta. Sì, fine delle Grandi Assenze, per un po'.
La Prima Grande Assenza di Marco è a fine duemilaundici, quando la grandissima testa di cazzo si fa ammaliare da una squadra di merda con una nomea di merda. A Daniele monta l'ira il giorno stesso che Marco ammette "Ci stiamo lavorando" (come se fosse una decisione collettiva, come se lui fosse parte di quella decisione), ed è già tanto se rivolge un brontolio o un assenso a ogni successiva frase, parola o anche solo respiro di Marco.
A Daniele monta la nausea quando vede per la prima volta Marco con quella maglia - seriamente, è fucsia con una stella enorme, che nessuno abbia più a che ridire dei suoi tatuaggi.
A Daniele monta la voglia alla prima telefonata cui risponde (la nona in due mesi, secondo il computo del suo cellulare), ma si propone di non cedere subito, neanche di fronte al "Mi manchi" che sommerge la sua mente come un'ondata. Cede alla seconda, la notte successiva.
La Seconda Grande Assenza arriva pochi mesi più tardi (e, seriamente, tra vacanze e Europei quante volte si sono visti? Sempre troppo poche, non si può chiedere a Daniele di essere pronto). Almeno, questa volta, Marco ha il buongusto di preannunciarglielo subito dopo il sesso, quando spegnere il mezzo sorriso da faina di Daniele lo fa sentire meno in colpa. "Vado a Genova", sussurra, non sa bene se all'orecchio di Daniele o al cuscino, ma visto che Daniele si irrigidisce tutto - e non in un modo piacevole alla vista o all'immaginazione - poco importa.
"Per quanto?"
"Per un po'." Daniele chiude gli occhi.
"Dovrei prendermela a male, eh?" sbuffa, ripiegando le braccia sotto la testa.
"Forse sì." Gli sfiora un braccio con le dita, a disagio. "Vuoi che... Cioè. Me ne vado?"
Daniele non risponde, tiene gli occhi chiusi e le mani sotto la nuca. Marco resta, ma non osa accoccolarglisi vicino quanto vorrebbe.
Resta a Genova due anni, ma dopo qualche mese prende a tornare a Roma ogni volta che può. Ha sempre l'impressione che Daniele accetti i cambiamenti molto più lentamente di lui, che i cambiamenti quasi li brama.
O forse, che Daniele non li accetti affatto.
"Russia?"
Delle due l'una: o Marco non ha mai sentito lo scherno nella voce di Daniele, o non lo ha mai sentito rivolto nei suoi confronti. Non è piacevole. Men che mai a distanza di migliaia di chilometri.
Il ping-pong attraverso l'Italia, almeno per Marco, s'è concluso col contratto con i Red Bulls nel gennaio duemilaquattordici. Daniele si rifiuta di considerarla la Terza Grande Assenza perché l'appartamento di Marco nel Queens era confortevole, accogliente e delizioso (prova che non c'ha mai messo le mani): se le mura e gli elettrodomestici avessero potuto parlare, oltre che cambiare colore e fare il caffè da soli (davvero), avrebbero potuto raccontare molte cose sconvenienti. Tipo della prima volta completa di Daniele. Per terra, su un tappeto poi definitivamente rovinato. (Marco gliel'ha spedito per posta transoceanica per Pasqua, e Daniele contraccambiò immediatamente con un cumulo di insulti via etere). O di una quantità di oggetti di cui Daniele neppure, uh, concepiva l'esistenza. Oppure - basta.
È durata soltanto sei mesi (e un intero mese di stipendio bruciato in viaggi aerei, per Daniele): poi Daniele ha ricevuto un paio di cose che mai si sarebbe aspettato. Una ce l'ha ancora al suo braccio ad ogni partita, l'altra nei suoi ricordi tra gli eventi che non desidera rimembrare: Qatar, duemilaquattordici, e Marco inghiottito da un campionato esecrabile, da assegni bimestrali a sei zeri e da una totale, assoluta mancanza di comunicazione. Un fottutissimo biennio di niente. E ora?
"Russia?" ripete Daniele, beffardo, e gli chiude il telefono in faccia. Marco non fa in tempo a dirgli che stava pensando di non accettare.
Dopo una settimana è già nella sua villa a San Pietroburgo.
Daniele non la visiterà mai.
Daniele (la testa di Daniele, le gambe di Daniele, quel dolorino insistente alla base della schiena di Daniele che non va via neanche con le iniezioni) dice basta prima di quanti molti preventivassero. Dice basta a metà stagione, dopo un infortunio al tendine che gli sputtana comunque il resto del campionato: non gli sembra un bel modo di chiudere, con la Roma in caduta libera che non lotta per non retrocedere solo perché ci sono sette o otto squadre più disastrate e in disarmo di loro: ma ha giocato contro l'infortunio, per arrivare il prima possibile alla dannatissima quota quaranta, e per guadagnarsela ha perso il resto. O quel poco di resto che gli restava. Marco è nel pieno della sua Quinta Grande Assenza (Indonesia. Certo, come no. Daniele è altrettanto certo che, se mai Marco deciderà di ritirarsi, lo farà solo dopo aver giocato il campionato africano e quello in Antartide, contro i pinguini), ma Daniele neanche sta pensando a Marco, da un po' di tempo a questa parte. Non ci pensa neppure quando Michele gli si struscia contro, nel sonno, e Daniele stende un braccio per proteggerlo dal freddo e dai brutti sogni.
Marco sembra essere solo un pensiero del passato. Il presente di Daniele sono le fasciature intorno al piede destro, il dolore sordo a ogni passo incauto, i fianchi sottili di Michele che profuma di Testaccio, di cose perdute e promesse future (un altro Capitan Futuro?), Gaia, i suoi trentacinque anni e il rimpianto che gli grava sui polmoni.
Daniele non crede nelle partite di addio al calcio, passerelle di lustrini che servono solo a rendere i riflettori spenti più tristi e le amicizie di comodo più ipocrite; la sua ultima partita è stata quella contro il Padova, quella del tendine lesionato, e non ha intenzione di aggiornare alcun tabellino. Ma la Roma è ancora cosa sua, casa sua. Lo sarà sempre.
Daniele intercetta lo sguardo di Michele - vicino, tanto vicino a quel nuovo brasiliano, com'è che si chiama? - e sorride come lui: è più giusto, più sensato, e così può ancora fargli un bel regalo per i suoi ventidue anni, una settimana dopo i trentasei di Daniele.
Il regalo di Daniele attende fuori da Trigoria, tamburellando sul volante con impazienza fino alle undici. Daniele lo fissa con gli occhi azzurri sgranati, quasi scioccati.
Marco.
"G-giorno" È incredibile come Marco riesca ancora a sbadigliare perfino dopo la doccia, proprio come... Quanti, otto-nove anni fa? In realtà è incredibile che non sia cambiato per niente, è solo un po' più stempiato e appena più magro. Ma ha sempre l'aria di chi connette il cervello alla lingua solo dopo le dieci (e solo a tratti), gira sempre nudo per la stanza alla ricerca di Dio-solo-sa-cosa, sgocciolando acqua ovunque, e lo contempla ancora una volta con un'espressione priva di senso o realtà. Lui ha girato il mondo e non è cambiato, Daniele è rimasto ancorato a Roma e non è più la stessa persona. "Dov'è finita la mia camicia?" gli chiede Marco, perplesso.
"Nel posto che merita qualunque camicia a righe gialle e bianche: la spazzatura" sogghigna Daniele un attimo dopo che Marco ha ritrovato le sue mutande, contrastando appena la forza con cui l'altro gli schiaccia i polsi al materasso una volta saltato sul letto. "Qualsiasi persona dotata di occhi l'avrebbe fatto, sai."
"Non ti meriteresti un bel niente dopo questa cattiveria, capità."
"Capità?" Daniele accoglie la lingua di Marco nella sua bocca con dolcezza, assaporandola lentamente. "Non sono mai stato il tuo capitano, che ti sei fumato?"
"Eau de Trigoria." Marco gli lancia un pacchettino oblungo. Tirato fuori dalle mutande, evidentemente.
"Che roba è?"
"Ricordino da San Pietroburgo. Non sei mai venuto, e mi scocciava spedirtelo. Le poste russe fanno schifo." Daniele fissa un paio di occhiali da sole con la montatura di un colore improponibile tra il rosso e l'arancione, ma altrimenti apprezzabili. "Niente anelli di fidanzamento, visto?"
"Ci mancherebbe altro. Se Gaia fosse costretta a vederti in casa permanentemente correrebbe a disconoscermi."
"No problem, man." Marco si siede a cavalcioni sopra di lui, scalciando via nuovamente le mutande. "Non ti chiederò mai di sposarmi." Dirige l'erezione di Daniele dentro di sé. "Non sono proprio fatto per il matrimonio." Bacia la gola esposta di Daniele, liberando la sua risata tremula, e lascia che sia lui a scegliere il ritmo migliore. "E poi ho ancora un anno di contratto prima di chiudere."
"Dove?"
"Cina."
"E io che speravo di vedere i pinguini ultrà." Daniele si bea dell'espressione sconcertata di Marco e si inarca con forza, strappandogli un gemito sorpreso e voglioso insieme. No, neanche lui vuole sposare Marco.
FINE