Fic: Far Away From Now

Sep 15, 2011 11:22

Titolo: Far Away From Now
Autrice: lisachanoando (lizonair)
Beta: No one, no one, nooo oooone. /O\
Capitolo: 1/1.
Riassunto: Mario e Davide alle prese con la nostalgia di casa -- che è un sentimento un po' complesso da gestire, specie quando casa non sai esattamente nemmeno dov'è.
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Davide Santon/Mario Balotelli.
Generi: Introspettivo, Malinconico, Romantico, Commedia.
Rating: PG-13.
Avvertimenti: Slash.
Wordcount: 2037
Disclaimer: Non è vero, non sono miei, non li diffamo e non ci guadagno.
Note: Questa storia doveva parlare di tutt'altro, in origine, ma poi mi sono accorta che in realtà voleva parlare di questa cosa, della nostalgia di casa, della difficoltà di lasciare un posto amato per andare a cercare fortuna altrove, anche se sai che è giusto farlo. Peraltro, mentre scrivo queste note mi rendo conto che in realtà parla di una cosa che ogni tanto mi sento addosso anch'io quando penso a certe cose XD Ma prometto che nella storia non ci sono io "in disguise". Sono loro, sono più loro che mai, specie nella cretinaggine e nell'essere due ragazzini confusi. *ride*

FAR AWAY FROM NOW
- Mescola quel brodo di carne, Mario. - sospira Davide, mentre lui, annoiato, piega lievemente la sedia all’indietro, reggendosi in equilibrio sui piedi posteriori, per allungare una mano ad afferrare l’estremità del cucchiaio di legno che sporge dalla pentola gorgogliante sul fuoco.
- Non sono venuto qui per mettermi a cucinare le lasagne, Dade. - sbuffa, mescolando distrattamente un paio di volte, senza neanche guardare la situazione della carne o del brodo, s’è per questo, - Andiamo, non ci vediamo da settimane.
- Lo so. - annuisce Davide, per niente impressionato dall’informazione, - Ti dispiace prestare un po’ d’attenzione a quello che fai? Vorrei che venissero bene. Dunque… - borbotta, scorrendo con un dito sulla pagina del quadernetto un po’ ingiallito e stropicciato dal quale sta leggendo la ricetta delle lasagne di sua madre, - Devo preparare un trito di cipolla, carote e sedano. E poi metterlo a friggere in una padella con olio e burro.
- Olio e burro assieme? - domanda Mario, inarcando le sopracciglia e voltandosi a guardarlo, - Non basta una sola delle due cose?
- Evidentemente no. - risponde seccamente, aggrottando le sopracciglia. - Senti, la ricetta è questa, dobbiamo seguirla, ok? Ora alza il culo e vieni qui, prendi questo tagliere, - sbotta, indicandogli un tagliere di plastica sistemato sul ripiano proprio accanto al suo, - e mettiti a tagliare la pancetta. Fina.
- Va bene, va bene… - borbotta Mario, alzandosi in piedi con uno sbuffo risentito ed ubbidendo all’ordine, - Non c’è bisogno di fare così. Cazzo, sei diventato isterico, da quando stai qui.
- Non è vero. - ribatte lui, rilassandosi immediatamente, in parte per la sua vicinanza, in parte perché Mario ha deciso di smetterla di fare il cretino, e in parte perché è vero che l’Inghilterra non lo rende isterico. Anzi. - È al contrario. Mi piace qui.
- Non si direbbe. Ogni volta che ti vedo sei sempre nervoso.
- Magari sei tu che mi rendi nervoso. - ipotizza Davide, scrollando le spalle e badando al soffritto perché non si bruci. - Dai, butta dentro la pancetta. Ed anche la carne tritata, è in frigo.
- No, ma seriamente, se ti serviva un aiuto-cuoco, potevi anche affittarne uno. - sbotta lui, decidendo comunque di seguire le istruzioni e recuperare la carne dal frigo dopo aver buttato la pancetta nel tegame.
- Meno flemmatico, Mario, qua il soffritto si brucia. Avanti. - lo esorta Davide, mescolando con attenzione, gli occhi incollati al cucchiaio.
Mario sospira e torna verso il piano cottura, rovesciando cautamente il tritato assieme a tutti gli altri ingredienti. L’olio e il burro sfrigolano, qualche gocciolina bollente finisce sulle mani di Davide, che soffia infastidito e si morde il labbro inferiore, per non gemere di dolore.
- Ti sei fatto male? - gli chiede subito lui, - Perché non metti i guanti?
Davide gli concede il primo sorriso vagamente tenero da quando è arrivato.
- Non ne ho bisogno, tranquillo. Piuttosto, mi prendi il vino rosso, per piacere? - domanda, - È lì, sul forno a microonde.
Mario annuisce e recupera la bottiglia, soffermandosi davanti al cassetto delle posate per tirarne fuori l’apribottiglie e poi cominciando a lavorare alacremente attorno al tappo per farlo saltare. Appena ha finito, Davide prende delicatamente la bottiglia dalle sue mani ed annaffia il soffritto. Dal tegame si alza una nuvola di vapore denso, bollente e profumatissimo. Davide e Mario si allontanano insieme, per non essere colpiti in pieno volto dalle goccioline incandescenti, ma appena il pericolo è passato, in sincrono come si sono allontanati, tornano ad avvicinarsi, annusando l’aria con una smorfia compiaciuta e un mugolio di approvazione. Poi si lanciano un’occhiata divertita e ridono, e per un secondo Newcastle somiglia così tanto a Milano che Mario non è più neanche sicuro di dove - nello spazio e nel tempo - lui e Davide si trovino in questo momento.
- Allora… - riprende dopo un po’, tornando a sedersi, - …che stai facendo?
- Be’, risponde lui, - adesso aggiungo la passata di pomodoro, un po’ di sale e pepe e lo lascio cuocere per un paio d’ore. - annuisce tranquillamente, - Nel mentre, possiamo preparare la besciamella. Dai, vieni qui.
Mario sospira, ma si alza in piedi, osservandolo mentre si affaccenda attorno al tegame per un paio di minuti e poi lo copre, stando bene attento a lasciare uno spiraglio fra il bordo del tegame e il tappo, per far prendere aria al ragù, dice.
- Intendevo in generale. Qui. Cosa stai facendo? - precisa. - E io che devo fare?
- Dici cosa devi fare in generale? - domanda Davide con un sorrisetto, e Mario risponde con una spallata gioiosa.
- No, cretino. Cosa devo fare qui per fare la besciamella, e cosa stai facendo tu in generale nella tua vita. - chiarisce una volta per tutte, afferrando un pentolino e piazzandolo su un fornello libero.
- Be’, - risponde Davide, scrollando le spalle, - la prima risposta è semplice. Accendi il fuoco, prendi il burro, mettilo a sciogliere, versa la farina, mescola. Come prime istruzioni possono bastare. Per quanto riguarda la seconda… - sospira, sollevando il coperchio della pentola per dare un’occhiata al ragù e mescolandolo un paio di volte dopo aver aggiunto un po’ di brodo e un po’ di latte. - Be’, questa è più difficile. Mescola bene, eh.
- Sì, sì… - borbotta Mario, continuando a mescolare con un sospiro lamentoso, - Che vuol dire più difficile? Sei incasinato?
- Sì… no… boh. - sbuffa Davide.
- Sei sempre stato incredibilmente loquace. - ridacchia Mario, prendendolo in giro. Davide si allunga a recuperare un cucchiaio di legno dal barattolo accanto al lavello, e gli tira una cucchiaiata sul sedere. - Seriamente, cosa?
- Non lo so. - sospira Davide, stringendosi nelle spalle, - Sto bene, non è che non sto bene…
- Ma?
- Ma boh. - sbotta spazientito, tornando a controllare ossessivamente lo stato del ragù, - Boh, mi sto ambientando e tutto, gioco, mi alleno, sono contento, non è che non sono contento, ma mi manca casa. Ecco, l’ho detto. È un crimine? Ogni tanto mi viene voglia di tornarmene a casa.
Mario ridacchia, continuando a mescolare farina e burro col cucchiaio di legno mentre utilizza la mano libera per trascinare Davide in un mezzo abbraccio intenerito.
- È per questo che mi hai fatto venire fin qui per preparare le lasagne? - sorride, baciandolo dolcemente su una tempia. Davide nasconde il viso contro il suo collo, allungando una mano alla cieca per recuperare il latte e versarlo sul composto che Mario continua a mescolare.
- Sì, forse. - risponde, - Non lo so. È più complesso di così.
- Vediamo se indovino. - cantilena Mario, adocchiando l’amalgama di latte, butto e farina e decidendo che va bene così, può lasciarla cuocere anche se smette di mescolare. - Un quarto d’ora, vero? - domanda.
- Indovinato. - annuisce Davide, e Mario ride.
- No, non parlavo di quello. Cioè, sì, ma non era quello che dovevo indovinare. Dio, che casino, parlare mentre si cucina è complicato. - si lascia sfuggire in un risolino giocoso, - Intendevo te. È complicato perché casa è un posto complicato, vero? - Davide gli lancia un’occhiata dubbiosa, e il sorriso di Mario si allarga. - Pensi a casa e pensi ai tuoi genitori e a tuo fratello e alla tua stanza e a tutte le tue cose… e poi, all’improvviso, bum! La Pinetina. Oppure, bum! San Siro. O ancora, bum! Il D-
- Ho afferrato, ho afferrato. - sospira Davide, agitandogli una mano davanti alla faccia per zittirlo, giusto per non sentire più tutti quei ridicoli bum. - Sì, un po’ sì. - ammette sconsolato, - Non lo so, quanto stupido devo essere? Ho deciso io di andarmene, non è che mi abbiano accompagnato alla porta come hanno fatto con te.
- Whoa, questa era cattiva. - borbotta Mario, controllando lo stato della besciamella e stabilendo che può lasciarla cuocere ancora un po’. - Comunque non c’entra niente, cioè, d’accordo, hai deciso tu di andartene, ma resta il fatto che quella è stata casa tua per un sacco di tempo. Sarebbe assurdo se non ti mancasse. Manca anche a me, ogni tanto. Anche se mi hanno accompagnato alla porta. - sbuffa acido, facendogli una linguaccia.
Usualmente, Davide riderebbe. Stavolta, si limita a lanciare un’occhiata al ragù, sospirando affranto mentre spegne il fuoco e lo rimesta un altro paio di volte, aggiungendo ancora un po’ di latte.
- Non lo so. - sospira, - Tu com’è che fai? Dico, a non saltare sul primo aereo.
- Mi ripeto costantemente che sarebbe una cosa idiota. - annuisce Mario, spegnendo anche lui il fuoco sotto la besciamella. - Che faccio qui?
- Sale, noce moscata, mescola. - risponde sbrigativamente Davide, e Mario sbuffa.
- Ecco perché cucinare non mi piace. Con tutto questo mescolare, mi slogherò una spalla. - commenta.
- Sei un cretino integrale. - lo rimbrotta Davide, scuotendo il capo. - E ora fai sentire cretino anche me, con quel discorso del fatto che tornare sarebbe da idioti. Vaffanculo, tu che ne sai?
- Ne so abbastanza per sapere che non esistono vuoti incolmabili. - sospira Mario, scuotendo il capo ed appoggiandosi con entrambi i gomiti al piano della cucina. - All’inizio può sembrare di sì. Nel senso, tu stesso ti dici che il vuoto che stai lasciando non riusciranno a riempirlo mai, e te lo dici perché ti sembra che non riuscirai mai a riempire quello che si è creato dentro di te mentre decidevi di partire. Ma poi non è vero, non è così. I vuoti si riempiono, solo che le persone ci mettono un po’ di più a riempirli, rispetto alle cose. Le squadre sono cose, e i vuoti li riempiono per contratto. Per noi è un po’ più dura, ma datti tempo. Riempirai anche il tuo.
Davide si morde un labbro, guardando altrove. Poi sospira, recuperando una teglia da uno sportello alto e poggiandola davanti a Mario, per poi abbattersi contro la sua spalla con un mugolio sofferente.
- Forse non sei così cretino, - ammette, le labbra che sfiorano la pelle calda della sua spalla ad ogni parola, - ma quello che dici fa schifo al cazzo.
- L’Inghilterra ti ha reso sboccato. - commenta Mario, voltandosi per appoggiargli un bacio sulla fronte.
- Già. - annuisce Davide, sospirando ancora, - Ho paura che mi cambi.
- Oh, ma lo farà. - Mario ridacchia, voltandosi per abbracciarlo stretto, coccolandolo un po’, - Sta’ pure tranquillo. Lo farà. Sarà spaventoso. E bellissimo. E io sarò qui tutto il tempo. Be’, non qui-qui, diciamo qui-a due ore di macchina, ma insomma, hai capito.
Davide sorride, sollevando il viso.
- Mario, - sussurra, - sta’ zitto. - e si solleva appena sulle punte, per baciarlo dolcemente sulle labbra.
Mario ci si perde subito, in quel bacio. Baciare Davide è fra le tante cose che lo aiutano a confondere i propri sensi abbastanza da darsi l’illusione di possedere la chiave segreta per un tempo immobile e immutabile, il tempo in cui loro resteranno per sempre due sedicenni che si sono appena conosciuti e dividono la stanza in ritiro. Non è un tempo né migliore, né peggiore di quello in cui stanno vivendo adesso. Ma è prezioso. Merita di essere preservato. Mario vuole conservarlo intatto per sempre.
È anche così che si aiuta a non saltare sul primo aereo per Milano ogni volta che gli viene nostalgia. Pensando insistentemente che c’è un posto, dentro di lui, in cui è ancora Milano. È ancora casa. È ancora famiglia. E non ha bisogno di nessun aereo, per raggiungerlo.
- D’accordo. - sentenzia Davide, separandosi da lui con uno schiocco soddisfatto, - Adesso imburra la teglia. Poi un paio di cucchiai di ragù, besciamella e pasta, e ancora, ragù, besciamella e pasta, finché non la riempi tutta. E poi, in forno a centosessanta gradi per un’oretta.
- Oh, andiamo! - sbuffa Mario, lagnandosi rumorosamente, - Non ti è bastato il viaggio sul viale dei ricordi? Dobbiamo per forza anche finire di preparare la pasta?
- Ma che c’entra, io le lasagne le voglio comunque! - protesta Davide, aggrottando le sopracciglia, - Sono quelle di mia madre, lo sai quanto ci tengo! E se vengono male, sappi che la colpa sarà solo tua. E non ti perdonerò mai.
Mario sospira, scuotendo il capo e chiedendosi chi mai glielo stia facendo fare.
Ma il bello è che lo sa perfettamente, e quindi continua a farlo.

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