Fic: A City Lit By Fireflies

Apr 15, 2011 00:52

Titolo: A City Lit By Fireflies
Autore: el_defe
Beta: lisachanoando
Fandom: RPF Calcio/Kushiel's Legacy
Personaggi: Andrea Ranocchia (Andrée nó Heliotrope), Dejan Stanković e una quantità di OC (i link - si ringrazia marthacalcio per avere il Tumblr più bello dell'universo creato - servono per amor di conoscenza nel caso non si conoscano i bei tomi)
Rating: 18+
Warning: slash, smut, spoiler di Kushiel's Dart e Kushiel's Chosen, AU
Conteggio Parole: 3,064 (FDP)
Note: Allora. *ride* Doveva essere una ficlet piccina per soddisfare una delle tremila challenge cui prendo parte, invece è venuto su un mostro - per i miei standard - di cui vado anche piuttosto orgoglioso. E ha una doppia dedica: alla chia25, perché Andrée nó Heliotrope mi è venuto in mente pensando a lei. E alla Triade d'ogni bene, anche se il calcio non è la vostra cup of tea.
Ambientata nel periodo di tempo tra Kushiel's Chosen e Kushiel's Avatar, più vicino al primo che al secondo.
Prompt: Fandom!AU, COW-T @ maridichallenge
Disclaimer: Nulla è accaduto e comunque sia non ci guadagnerei niente e non avrei pretese di realismo neppure se fosse tutto vero.
Intro: La storia di Andrée nó Heliotrope, giovane adepto della Corte della Notte, ricordato da una parte di essa per un'impresa non impossibile, ma comunque inconsueta.


A City Lit By Fireflies

Sono nato e cresciuto tra le mura della Corte dei Fiori Notturni, o Corte della Notte per chiunque sia abbastanza importante, o ricco, da poterla frequentare. Mio padre, un adepto di Casa Genziana, aveva sposato i propri sogni mistici e le proprie visioni prima ancora di mia madre, giovane borghese e unica figlia di un benestante mercante eisandino, la cui famiglia viveva ai confini di Terre d’Ange con le città-stato di Liguria, in Caerdicca Unitas, e che prosperava nella sua vita di commerci. Casa Genziana aveva approvato la loro unione, e così il Beato Elua: tuttavia, le pressanti insistenze di più di un priore, e una visione di mio padre (lo sentii mormorare di disegni sconosciuti e fiori di ninfea che fiorivano sul sangue, trasformandolo in acqua scintillante e purissima) avevano convinto i miei genitori a lasciarmi alle cure della casa di mio padre, i cui istruttori provvidero alla mia formazione fino al giorno in cui compii dieci anni.

Quel giorno, molti adepti di Casa Genziana lasciarono le loro fumose visioni, in attesa della valutazione del priore, Florenç Rivière nó Gentiane; della sua figura, più di ogni altra cosa mi colpirono gli occhi verdi, non per il colore - era una sfumatura anzi piuttosto banale e comune, anche tra gli adepti meno dotati - bensì per la loro apparente capacità di scrutare oltre la pelle e la carne, fin nell’anima. Il priore mi studiò a lungo, dato che l’unica cosa evidente era che non sarei appartenuto a Casa Genziana; ci sono cose che anche a dieci anni è possibile capire, e non mi riferisco al servizio presso Naamah: i miei lineamenti non erano morbidi e aggraziati come gli adepti che avevano cominciato l’istruzione nelle arti del boudoir, ma anzi piuttosto spigolosi. Certo, la mia caratteristica più evidente era l’altezza: oltrepassavo ragazzi più grandi di me di almeno una spanna, e me ne mancavano due per poter guardare negli occhi il priore; eppure, né Casa Dalia né Casa Eglantine si rivelarono adatte a me, dopotutto.

A tarda notte, stanco per il continuo viavai di apprendisti, vicari e priori delle altre case - troppo concreto per Cereo, troppo alto per Melissa, troppo pudico per Mandragola e troppo poco accondiscendente per Valeriana - Casa Eliotropio acquistò la mia marque e, accettando la mia consacrazione a Naamah, mi istruì con rigore e comprensione sulle arti per intrattenere i patroni nel migliore dei modi - e solo un quarto di esse, è bene ricordarlo, vengono praticate nelle alcove e nei luoghi ove si amoreggia. La speranza mia e quella del priore era, naturalmente, che l’investimento per il mio contratto si rivelasse proficuo, e tuttavia è sconveniente, alla Corte della Notte, che un adepto cominci ad accettare contratti prima che la propria crescita sia completa; so che alcune case hanno concesso particolari privilegi a patroni accuratamente selezionati, e so anche che, una volta, un patrono si era interessato a me mentre si aggirava tra i corridoi di Casa Eliotropio, tenendo per mano un giovane adepto di poco più grande di me: mi inchinai a lui, senza osare alzare gli occhi, ma percependo il calore della sua mano solleticare la sottile peluria sul mio volto, senza però colmare lo spazio infinitesimale al punto da toccarmi - e quando riaprii gli occhi, era già andato via.

La mia crescita, comunque, si arrestò definitivamente all’inizio del diciassettesimo anno, cosa questa oltremodo inconsueta anche tra gli adepti nati da famiglie stanziate nei territori di confine con Skaldia, che crescevano più alti e robusti di tutti: se la mia muscolatura non differiva da quella di altri adepti, la mia altezza fu invece sempre oggetto delle prime occhiate di curiosità di qualsiasi sconosciuto. Per colmo di sfortuna, quando fu chiaro che ero nell’età in cui potevo accettare contratti senza per questo permettere alla casa di avventurarsi in pratiche sconvenienti, un incidente pochi giorni prima della Notte più Lunga - per fortuna non grave al punto da rovinare la mia carriera - mi impedì di debuttare come servo di Naamah per altri lunghissimi mesi. Il desiderio di praticare le mie arti era tale che più volte ho sentito l’impulso di concedermi a uno degli adepti della casa, di notte, o anche a me stesso, dando sfogo a migliaia di ore di apprendistato tanto eccitante quanto frustrante; ma ogni volta attendevo, pregustando il momento in cui il primo patrono avrebbe pagato il prezzo per la mia prima notte, infrangendo le barriere che tenevano avvinto il mio desiderio.

Quando la vicaria mi mandò a chiamare perché mi recassi nel salone di rappresentanza, avvisandomi che un patrono era in compagnia del priore, tenni pertanto gli occhi bassi e un contegno discreto che sarebbe stato degno di Casa Alisso, così non ebbi che un’impressione sfocata, fugace e assolutamente poco soddisfacente del patrono che mi aveva scelto, o, più probabilmente, per cui il priore aveva pensato a me. La curiosità di sapere come mai il priore avesse finalmente acconsentito alla vendita del mio primo contratto - dubitavo che nessuno avesse mai chiesto di me, negli anni: nessun adepto della Corte della Notte resta ignorato a lungo dai frequentatori della stessa, proprio come non è possibile fingere di non notare una gemma preziosa gettata in un canto - era forte, ma il desiderio di fare la migliore impressione possibile era di diversi ordini di grandezza maggiore, così feci del mio meglio per restare immobile e in attesa al fianco della vicaria, senza sollevare le palpebre.

Qualche attimo di silenzio seguì la voce vellutata e suadente del priore che sussurrava il mio nome, con il tono più che familiare di chi concede un dono inestimabile soltanto per il patrono che, ignaro o consapevole che fosse del fascino di Casa Eliotropio, ne visita le segrete alcove.

«Questo, mio signore, è Andrée nó Heliotrope. Spero che sia di vostro gradimento.»

Quando il patrono rispose, le reazioni istintive del mio corpo furono molte e diverse.

Allo sconcerto di fronte al suo “Sì”, aspro e rude come uno schiaffo in pieno volto, privo della familiare musicalità delle voci dei nobili di Terre d’Ange che avevo udito, carpito e, in qualche caso, spiato, si aggiunse l’inaspettata sensazione di piacere quando l’uomo aggiunse un “molto” dal tono inequivocabile, intriso di curiosità ed attrazione: sentii immediatamente le gambe appena più tremule, il respiro farsi più caldo e morbido contro la mia lingua, ed ebbi la sensazione che ogni fibra del mio corpo si compiacesse per essere stato accettato, contemplato, e infine prescelto. Quando la vicaria si fece consegnare da un apprendista la carta e i sigilli in ceralacca della Casa e fece accomodare il patrono a un tavolino vicino perché potessero redigere il contratto che mi riguardava, sollevai e ruotai la testa quel tanto che bastava per poter finalmente guardare in volto lo sconosciuto. Ancora una volta, fui sconcertato dal non trovare in lui alcuna traccia del dono di Elua, anche se i tratti marcati e fieri del suo profilo esprimevano una certa, selvaggia bellezza, e mi chiesi quali virtù, o quali immense fortune, potessero aprire le porte della Corte della Notte a uno straniero che chiaramente non proveniva da Alba, i cui costumi si erano ingentiliti, pare, da quando la nostra regina Ysandre aveva preso come marito il Cruarch di quella nazione, né tantomeno da una città caerdicci o dalla Serenissima. Non mi vanterò di aver indovinato immediatamente la sua reale provenienza, in effetti, anche se i fatti narrati nel ciclo Ysandrino e nelle composizioni del poeta di corte sulla contessa de Montrève sono argomento di studio per qualsiasi adepto della Corte della Notte, e gli emissari del bano d’Illiria sono i benvenuti in Terre d’Ange da allora.

Quando il mio patrono sollevò la mano per firmare il contratto, subito sotto l’approvazione del priore, alzò una volta lo sguardo verso di me, e vidi la sua mano fremere per un istante della stessa agitazione che percorse la mia schiena con un brivido. Subito dopo, egli consegnò una lettera di cambio al priore, il quale la consegnò prontamente alla vicaria che lasciò il salone: come appresi poco dopo, il contratto prevedeva l’intero pagamento del mio prezzo già alla firma, in contrasto con le consuetudini dei patroni che preferivano versare la metà della somma pattuita soltanto dopo l’assegnazione.

Mi prese per mano, camminando lungo i corridoi di Casa Eliotropio con la stessa sicurezza che, fino a prima del suo arrivo, anch’io possedevo, avendo vissuto gli ultimi sette anni e mezzo della mia vita, e mi condusse in una delle camere da letto che la casa riservava a chi ne facesse richiesta. Per quanto ne sapevo, quella in cui ci trovavamo non era la più spaziosa né la più lussuosa, e anzi possedeva una sorta di distratta eleganza nella semplicità dei suoi colori; il contrasto tra i suoi abiti scuri, blu e neri al pari di una notte senza luna giunta al suo culmine, e le sfumature chiare di viola che ravvivavano il legno e l’avorio della mobilia, rendeva quell’uomo quasi fuori posto: eppure non avevo mai visto nessuno, ad eccezione degli appartenenti alla mia casa, sentirsi tanto a proprio agio. Sul suo viso apparve un piccolo sorriso che, intuii, voleva essere comprensivo della mia situazione, e gliene fui grato nonostante non avessi alcun bisogno, tra i tanti doni che poteva offrirmi, proprio della sua comprensione.

«Mio signore» mormorai, chinandomi per inginocchiarmi di fronte a lui, ma egli strinse entrambe le mani sui miei avambracci, impedendomi di farlo.

«Aspetta» disse, l’accento straniero più evidente adesso che aveva parlato a piena voce; lo vidi riflettere un attimo, come per raccogliere le idee e formulare correttamente la frase successiva. «Hai tutta questa fretta? Non ve la prendete con calma, qui alla Corte?»

Mi ritrovai a sbattere le ciglia con stupore, poi a scuotere la testa. «Vi chiedo scusa, mio signore. Ho ceduto a un impulso.»

«Dejan.»

«Prego?»

«Dejan» ripeté, fissandomi con insistenza. «Avrai un’intera vita per chiamare i tuoi signori, non farlo con me.» Mi prese il viso tra le mani e mi baciò fugacemente, lasciandomi ad annaspare perché prolungasse il più possibile quel gesto. «Ma voglio parlare con te.»

Annuii, sorridendo appena, e mi chinai nuovamente, ma soltanto per slacciare le fibbie dei suoi stivali, perché anche l’atto della svestizione, alla Corte della Notte, è considerata al pari delle arti più sensuali: a mano a mano che disfacevo i bottoni dei suoi abiti, insistevo nelle carezze che più l’avrebbero messo a suo agio, privilegiando il rilassamento all’erotismo, accompagnando i miei gesti al tono tranquillo con cui rispondevo alle sue domande e alimentavo una conversazione che spaziò dalla mia formazione a Casa Eliotropio, alla storia e al commercio tra l’Illiria e Terre d’Ange, fino alle mie aspirazioni; «Non saprei, il completamento della mia marque sarà un lungo percorso... molti adepti aprono un salotto o si uniscono alla borghesia, ma non mi pongo ancora un obiettivo, per ora» dissi, sorridendo di fronte alla sua espressione vagamente corrucciata e sfiorandogli la mandibola con le labbra. Dejan si accomodò sul letto e, mentre allentavo un bottone della sua giubba dopo l’altro, mi raccontò della sua attività presso il bano d’Illiria ad Epidauro, come consigliere e spedizioniere per i rapporti con la mia patria; la pelle del suo torace era dorata dal sole e le sue braccia muscolose erano segnate da complessi tatuaggi, spigolosi e lontani dall’armoniosa perfezione delle marque in onore di Naamah, sebbene piacevoli alla vista.

Dejan ricadde all’indietro sul letto, l’espressione del volto distesa e serena; mi accostai a lui e gli slacciai i pantaloni, liberando il suo fallo già eretto dalla costrizione della stoffa, pronto a eseguire il languissement. Dalla sua reazione al primo tocco della mia lingua, compresi che non era la prima volta che giaceva con un servo di Naamah: il suo corpo fu scosso da un lungo, lieve tremito di piacere, mentre mettevo in pratica tutto ciò che era a lungo rimasto una teoria, e le sue mani si strinsero tra i miei capelli, senza forzare un ritmo più gradito, ma accompagnandone i movimenti regolari. Divenne caldo e pulsante nella mia bocca, ma possedeva ancora abbastanza autocontrollo per allontanarmi da sé ben prima di arrivare al culmine: se mai avessi avuto dubbi nel comprendere il canone della mia casa, o la forza imponente del suo motto, la vista del mio patrono pronto a possedermi, della sua espressione rapita, degli occhi che frugavano avidi la mia persona, era un inno a quel “Voi, e nessun altro” che era inciso nella mia anima al pari dell’addestramento a Naamah. Mi spogliai con meno lentezza di quanto la regola avrebbe richiesto, ma con molta più di quanto i nostri corpi reclamavano; quando Dejan vide cadere l’ultimo drappo di stoffa che mi vestiva, non poté fare a meno di chiedermi una cosa che, adesso, mi fa assai sorridere: mi chiese se fossi pronto.

Come è possibile spiegare a un patrono, al proprio primo patrono, che non solo qualunque adepto della Corte non ha remore o reticenze se non quelle che fanno naturalmente parte delle schermaglie amorose, come il pudore di Casa Alisso o l’accondiscendenza di Casa Valeriana, ma che, a causa della prolungata attesa forzata, io lo ero più di chiunque altro? Come potevo esprimere a parole il desiderio di rendere un’assegnazione l’atto più gradito a Naamah, e per di più il mio desiderio nei suoi confronti, ardente come le fiamme dei camini d’inverno e deliziosamente tormentoso come l’attesa con cui avevo fustigato i miei sogni? Non avrei potuto in ogni caso, così mi limitai a giacere sopra di lui, rifugiandomi nella stretta vigorosa delle sue braccia e allargando le gambe lungo i suoi fianchi: il contatto del suo fallo contro il mio, una lenta carezza insieme fastidiosa e piacevole, agì come un richiamo per lui, perché mi sospinse con delicatezza sul letto, lasciandomi giacere supino, e dischiuse le mie natiche.

Dejan affondò il suo sesso dentro di me con impazienza, dedicandomi le attenzioni di un amante e non quelle di un patrono quando cominciò a muoversi con spinte ampie e regolari: avrei potuto piangere e ridere allo stesso tempo per la gioia, e anzi sentivo le lacrime pungermi gli occhi quando, ogni volta che i nostri corpi erano congiunti, intravedevo il volto della compassionevole Naamah e la mia anima era pervasa dall’amore bruciante di Elua. Volle guardarmi negli occhi mentre si sprigionava dentro di me, bollente come le forge di Camael, e sorrise quando, stringendo con una mano il mio sesso, mi permise di raggiungere il culmine a mia volta, stremato; dopodiché mi chiese di restare con lui per la notte, come da contratto. Annuii all’istante e, un po’ imbarazzato, lo ringraziai, per il suo omaggio a Naamah e per aver essere stato un patrono esemplare, oltre che estremamente piacevole.

«Sei molto bello quando arrossisci» rispose, carezzandomi i capelli con la mano libera mentre mi stringeva a sé con l’altro braccio. «Non avevo capito che era la prima volta, prima di vedere la tua schiena. Come mai non hai ancora cominciato il tuo tatuaggio?»

Parlammo per tutta la notte. E non solo.

Il priore mi fece mandare a chiamare il pomeriggio successivo: era la prima volta che mi ritrovavo nei suoi appartamenti, e, quando seppi il motivo di una convocazione tanto urgente dopo un’assegnazione, non faticai a comprendere tanta riservatezza.

«Dejan Stanković ha lasciato un dono patronale per te, Andrée» esordì senza preamboli; aveva l’aria seria soltanto per metà, perché gli angoli della sua bocca erano incurvati verso l’alto con grande naturalezza. «L’ha consegnato direttamente al nostro sacerdote, poiché non avevi ancora la tua coppa.» Assentii con un breve cenno del capo. «Devi averlo ben soddisfatto. Come tutti gli stranieri in Terre d’Ange, è un patrono molto diffidente nei confronti dei nostri costumi: ha visitato altre case, prima di conoscerti, ed è giaciuto con vergini e adepti esperti, con giovinetti e uomini nel fiore degli anni, ma non è noto per la sua generosità con gli adepti.»

«Non avrei potuto ottenere una migliore assegnazione per il mio primo contratto, mio signore. Spero che Casa Eliotropio sia soddisfatta almeno la metà di me.» Sapevo che le mie palpebre pesanti non offuscavano affatto la mia aria di felicità e appagamento, ma anzi ne rivelavano e sottolineavano la profondità.

«Lo è, Andrée. Vorrei che la sfortuna e le casualità avessero inciso in maniera diversa sulla tua vita, ma chi può dire se non fosse questo il destino di Elua fin dall’inizio?» Il priore inspirò brevemente, allargando il suo sorriso. «Il tuo patrono ha lasciato una vera fortuna, come dono patronale. Abbastanza per poter pagare la tua marque in una volta sola... dubito che sia mai successo nella storia di Casa Eliotropio» aggiunse, vedendomi barcollare per la sorpresa, «anche se non è un caso infrequente nel passato della Corte dei Fiori Notturni.»

Ripensai alle domande di Dejan sulle mie aspirazioni, mentre, con la parte della mia mente non obnubilata dalla sorpresa, presi accordi con il priore perché mandasse a chiamare il marquist per la settimana successiva, così da concepire la personale interpretazione della marque di Casa Eliotropio, e continuai a pensarci anche quando Niklos nó Bryony prese le misure della mia schiena e la incise sulla mia pelle, intrecciando i raggi di un sole stilizzato e fasce di un nero intenso con i fiori piccoli e discreti della mia casa; la sfumatura dell’eliotropio, lungo le mie scapole, assunse una tinta bluastra che mi piacque molto, una volta finito.

Alla fine non ho aperto un salotto, né ho continuato a esercitare la mia arte nella mia casa, nonostante la mia impresa, se così sia possibile definirla, avesse contribuito a darmi una discreta fama tra i frequentatori della Corte della Notte; ho accettato alcune assegnazioni in questi tre anni - enumerabili sulle dita delle mani - e, una volta soltanto, sono stato io stesso patrono per una notte, ma ho investito i saltuari proventi della mia arte nell’attività di famiglia e mi sono trasferito a Eisande. Ho viaggiato a Milazza parecchie volte, per seguire i nostri commerci, e vi ho anche acquistato una modesta villa in cui risiedo nel caso in cui la presenza mia o dei miei parenti vi sia richiesta; e per tre volte, naturalmente, sono stato alla Serenissima, fulcro dei commerci caerdicci.

Vi chiederete se ho mai rivisto Dejan da allora; la risposta è nell’orizzonte di fronte a me in questo momento: se socchiudo gli occhi, e se c’è bel tempo, posso intravedere le ombre delle coste di Caerdicca Unitas. E l’Illiria, da qualche tempo, aspetta con gioia le navi che portano i portentosi medicamenti eisandini e l’argento di Terre d’Ange che finanzia l’acquisto delle loro solide caracche.

FINE

A/N: Liguria non viene mai citata, almeno fino al punto in cui ho letto Kushiel's Legacy, perciò non saprei dirvi se è una mia invenzione o c'ho preso c'ho preso, viene nominata di striscio in Kushiel's Chosen, non c'avevo fatto caso. XD. Non si sa nulla del priore di Casa Eliotropio, e si sa pochissimo di quello di Casa Genziana, perciò via di fantasia. Altrettanto poco si sa della vita della Corte, pertanto quasi tutto ciò che avete trovato (la quantità di stanze in ogni casa, il marquist proveniente da Casa Brionia, le regole sul primo contratto) sono mia invenzione; sono invece canoniche altre minuzie come il pagamento della marque, le visioni di Casa Genziana, le caratteristiche delle altre case citate. Infine, il motto di Casa Eliotropio è Thou, and no other, uno dei più belli tra le tredici case della Corte della Notte.
Il titolo della storia viene da City of Blinding Lights degli U2.

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