Fic: Meet Me Halfway

Jan 26, 2010 17:07

Il sole di Los Angeles, le sue palme altissime, le spiagge bianche sempre piene di gente, il mare e il cielo azzurri e limpidi come un paio d’occhi e il caldo perenne e quasi soffocante, sono ormai diventati un’abitudine per José, quando sente nell’aria un profumo ormai quasi sbiadito nella memoria, che torna con prepotenza a solleticare i suoi sensi del tutto all’improvviso, con effetti non trascurabili sul suo sangue freddo.
Si volta lentamente, le sopracciglia inarcate oltre gli occhiali da sole e la visiera del berretto che, sommati, coprono la quasi totalità del suo viso dal naso in su, e non dice una parola mentre mette a fuoco la figura di Zlatan - un’ombra scura in contrasto col chiarore accecante di tutto ciò che lo circonda, dal sole in giù.
Non è cambiato molto, nella sua totalità. È abbastanza certo di poter dire che, se potesse guardarlo nel dettaglio, sicuramente noterebbe qualcosa di diverso - una ruga, qualche capello bianco, in fondo ha pur sempre quarantotto anni - ma a guardarlo così, da lontano, in controluce e tutto il resto, non sembra. È alto come al solito, robusto come al solito, longilineo come al solito. La linea delle sue spalle e delle sue ginocchia è la stessa che era vent’anni fa, e questa cosa è impressionante.
- Puntuale. - ride José, mentre Zlatan si avvicina e prende posto sulla panchina accanto a lui. Le onde si sollevano ricamando spruzzi bianchissimi sullo sfondo uniforme di mare e cielo, in lontananza. L’orizzonte non esiste. Per un secondo, José pensa che Zlatan sia lì per quello: trovare finalmente un posto in cui una meta successiva non ci sia, un posto che si estenda all’infinito, un posto in cui lui possa smettere di sentire il bisogno di scappare altrove. Poi sorride, realizzando che non è così: Zlatan non è certo lì per fermarsi e questo è solo un vecchio appuntamento fra amici. - È il due gennaio. Non ti aspettavo davvero.
- Vuoi dire che stavi qui seduto in contemplazione del vuoto perché ti andava di farlo, e non per mostrarmi quanto sei gelido e distaccato nei miei confronti? - chiede Zlatan, un po’ ironico e un po’ assurdamente ma genuinamente offeso, e José ride ancora.
- Osservare il mare è interessante. - commenta, stringendosi nelle spalle, - Non è mai immobile. Anche quando lo sembra, non tira un filo di vento, non c’è nessuno che fa il bagno e non ci sono gabbiani a pesca, puoi sempre trovare quella minima increspatura che rende tutto sempre differente.
- Se ti piace tanto guardare le cose che si muovono, puoi sempre guardare me. Sto qui fino al cinque, poi torno in patria. E l’anno prossimo, chissà. La Nazionale non mi dà più soddisfazioni e ai ragazzi non piace il freddo. Sentono nostalgia di casa.
- Per un attimo, ho creduto stessi parlando dei tuoi figli. - dice José, voltandosi a guardarlo con aria scettica. - Ti rendi conto che non puoi più chiamarli “i ragazzi”, alla loro età?
Zlatan scrolla le spalle, guardando altrove.
- È rimasto. - si giustifica, - Sai, quelle cose che il tempo non corrompe. - aggiunge con tono allusivo, ma José non fa una piega. - Comunque ti sarei grato se non parlassi dei miei figli, sai com’è andata a finire. Il mondo sa com’è andata a finire.
- E tutt’oggi non me lo spiego! - sbotta José, ironico, allargando le braccia, - Due ragazzi adulti e maturi che decidono di allontanarsi dal padre quando il suddetto padre non solo confessa al mondo la propria - cos’è che hai detto? libertà nell’orientamento sessuale? quel che è - ma già che c’è si prende in casa non uno ma due uomini di undici anni più piccoli? Incomprensibile. Folle.
Zlatan gli rifila un’occhiataccia, incrociando le braccia sul petto. José osserva i suoi polsi - pieni di date come non erano mai stati - e guarda subito altrove.
- Potevi essere della compagnia. - gli ricorda in un sospiro.
- Ah, sì. - José annuisce, le mani ben piantate sulle ginocchia. - Immagino i titoli dei giornali. E forse ti avrebbero disconosciuto anche i tuoi avi, non solo la tua progenie.
- Potresti esserlo ancora. - insiste Zlatan, apparentemente insensibile al suo sarcasmo, - Quando vuoi. I tempi sono cambiati, adesso.
- Ma non sono cambiato io. - risponde seccamente José, i tratti del viso che si irrigidiscono all’improvviso, - Il motivo per cui non ti ho mai neanche sfiorato, pure quando avrei potuto, è lo stesso che mi ha sempre impedito di accettare le tue condizioni di merda. E me lo impedisce ancora oggi. - sospira appena, rilassandosi contro lo schienale della panca. - Io sono un uomo possessivo, Zlatan.
- E io no. - ribatte Zlatan, voltandosi appena a guardarlo, - Però sono un uomo che s’innamora, e quando succede resta per la vita. È l’unica cosa di me che non cambi mai. - aggiunge con un sorriso. - Credimi, se fosse stato possibile non avrei mai voluto perdere neanche Helena.
José lo fissa sospettoso, inclinando il capo.
- Tu non sei un uomo che s’innamora. - gli fa notare, - Tu sei un uomo ingordo. Tu vuoi tutto. Ma, Zlatan, ci sono cose che non puoi avere se non a determinate condizioni. Vivere non ti ha insegnato niente?
- Ho tutto ciò che ho sempre voluto. - quasi ringhia lui di rimando, - E non ho dovuto rinunciare a niente.
- Ma - sorride José, ed è un sorriso piccolo, solo un’ombra di compiacimento, neanche troppo convincente, - non hai avuto me.
Le sopracciglia di Zlatan tremano appena, probabilmente con l’intenzione di aggrottarsi ed esprimere così tutto il suo disappunto, ma incredibilmente, proprio mentre José sta pensando che nel giro di un secondo lo vedrà alzarsi ed allontanarsi mormorando improperi nella sua direzione, i lineamenti del suo viso tornano a distendersi, e tutta la sua tensione si disperde in uno sbuffo rassegnato.
- Parli così perché sai che, nonostante tutto, continuerò a sperarci. - dice con un sorriso stanco, - Sono vent’anni, José. Io forse sono egoista, ma tu sei crudele.
José si morde un labbro ed allunga una mano ad accarezzargli il collo, massaggiando piano i muscoli tesi mentre Zlatan si scioglie sotto i suoi tocchi, inclinando il capo in un gesto morbido.
- Non sei tu l’egoista, Zlatan. - gli sussurra, stringendo forte abbastanza, spera, da lasciargli un’impronta addosso, - L’egoista sono io. Ti voglio tutto e non voglio accontentarmi di una percentuale, per quanto grande. Lo so che sarebbe la più grande, ma non sarebbe abbastanza comunque. E sono pretese che, alla mia età, non dovrei neanche avere. - conclude con una risatina. - Non sei tu l’egoista. Sono io.
Zlatan ride, abbassando lo sguardo e cercando di darsi un contegno mentre prova con tutte le proprie forze a non abbandonarsi troppo a quella carezza.
- Sì, anche Davide lo dice sempre. - annuisce distrattamente, - Non gli va proprio giù, questa cosa. Non capisco se sia perché ti vuole anche lui un po’ per sé o semplicemente si dispiace a vedermi stare male.
- Potrebbero essere entrambe le cose. - ipotizza José, - Mentre Mario immagino che se ne freghi, come sempre.
- Per te abbandonare la stanza imprecando in tre lingue diverse ogni volta che viene fatto il tuo nome è fregarsene? - chiede Zlatan con una punta di curiosità, e José si lascia andare ad una risata aperta e sincera, la prima della giornata. - Insomma… - riprende Zlatan, sospirando platealmente, - Mi stai dicendo che posso tornarmene a casa con la coda fra le gambe? Neanche un secondo appuntamento?
- Dovrei dartelo nel 2050 e sarebbe troppo tardi, mi sa. - commenta José, divertito.
- E quindi cosa mi stai chiedendo di fare? - insiste Zlatan, - Non vederti più, non cercarti più? Dimenticarmi di te?
José sospira e smette di accarezzarlo, alzandosi in piedi e sistemando i pantaloni spiegazzati lungo le gambe mentre lo guarda attentamente, consapevole del fatto che potrebbe essere l’ultima volta.
- Dipende da quanto sei disposto a soffrire ancora. - risponde quindi, - Io ti sto chiedendo da vent’anni di rinunciare a tutto per me. - aggiunge, - Se già non sei disposto a fare questo, non ho diritto di chiederti nient’altro.
Zlatan si morde nervosamente un labbro, prima di annuire, rassegnato. José gli lascia una breve pacca sulla spalla.
- Salutami i ragazzi. - dice allontanandosi.
- I ragazzi? - chiede Zlatan con un mezzo sorriso, - Non dicevi che, alla loro età, non li si dovrebbe più chiamare così?
José ride, scuotendosi tutto come un bambino. Nell’osservarlo, Zlatan si ritrova per un secondo catapultato indietro nel tempo fino a un periodo in cui le cose erano molto più semplici, ma anche molto meno sincere, e non rimpiange un attimo di ciò che ha fatto per arrivare al punto in cui è ora.
- Sai, - dice José, - quelle cose che il tempo non corrompe.
Zlatan non lo osserva andare via. Il mare cambia sotto i suoi occhi, ed è vero che, un po’, è interessante anche lui.

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