Qualcuno di voi, cioè la mia beta unica e preferita
taurie_2020 (e tante altre cose, in verità, ma prima i titoli di lavoro!!) mi ha chiesto un po' d'agst per Capodanno..
Lo so, ho amiche speciali che fanno richieste buffe.. e visto che io sono una micia stordita, non sono neppure riuscita a fare un angst come-dio-comanda!!
Per cui: è in anticipo, e non è così angst, ma questa è la fic che mi hai richiesto, spero ti piaccia lo stesso!
Titolo: La notte
Autore: Dhely
Rating: angst (un pochino).. ah! è yaoi, ovvio!
Pairing: Balthier/Raynard (appena accennato)
Note: per
taurie_2020 che me l'ha chiesta espressamente, e per tutti coloro con la mania di FF!
Il respiro era tranquillo, profondo, il corpo avvolto da lenzuola candide in una notte chiara e lucente.
L’unica macchia di colore era sul cuscino: una massa luminosa che pacata giaceva scomposta, nell’immobilità del sonno, smorzata nel colore dai raggi della luna.
Aveva dei capelli meravigliosi, quel ragazzino: Balthier non aveva mai pensato potessero essere naturali, simili a lingue di fuoco, a petali di quelle rose che fiorivano solo affogate nel torrido sole di mezza estate, rossi come l’amore, la passione, la follia, e invece.. aveva sbagliato molte cose nella sua vita, quel giudizio non sarebbe stato il peggiore.
Sorrise, ma era un sorriso amaro. Uscì dalla sua cuccetta con esso, dipinto sul volto.
Fran sollevò appena gli occhi, divertita, verso di lui.
“Avevo capito che sareste andati a dormire..”
“Avevo detto che saremmo andati a letto. E’ un po’ diverso..”
L’espressione non mutò, ma il tono era piatto, indistinto.
Lei gli si avvicinò appoggiandogli una mano sulla spalla
“Balthier, non capisco. Perché ti tormenti così? Non vedo nulla di male in quel che fai.. o di peggio rispetto a quello che facciamo di solito. - i suoi occhi rossi riverberarono una calda simpatia, mosse appena le orecchie candide nell’aria - Vedi? Dorme, tranquillo."
La viera gli sfiorò una guancia, lui si limitò a sospirare.
“Tu non capisci, Fran, è che..”
“Sai benissimo a cosa sarebbe andato incontro, senza di te. - gli andò davanti, chinandosi appena un poco, in modo da guardarlo dritto negli occhi - Ancor più importante di quello che hai fatto, gli stai insegnando tutto quel che sai.”
Sbuffò, seccato.
“Fran! E’ un nobile di livello! E’ addestrato, è colto, e di sicuro sa combattere meglio di noi due messi assieme. Non gli ho..”
Lo interruppe bruscamente la risata della viera.
“Non voglio pensare che tu,a queste cose, ci credi davvero! - divertita, era davvero divertita - Sa tirare di scherma, di sicuro, ma combattere è un’altra cosa, e tu lo sai. Vivere qua fuori, nel cielo e sulla terra, è un’altra cosa, ben lontana da qualsiasi meravigliosa educazione abbia mai potuto avere. Tu, se non avessi avuto Reddas dove saresti?”
“Ma io non sono Reddas!”
Un sospiro, gentile.
“Per lui è come se lo fossi. E forse di più.”
Lo lasciò solo, con i suoi pensieri, e il leggero ronfare che proveniva dai motori della Stahl.
Ecco, quella era una cosa che sapeva gestire, che poteva governare: la sua nave.
Era il modo in cui lei cantava, il modo in cui lei gli parlava. Un oggetto? Solo gli idioti potevano credere cha la sua Strahl fosse solo una nave, un insieme di cavi e bulloni, lastre di metallo e cose simili.
Si sedette dietro la plancia, cercò il silenzio , dentro e fuori - e rifiutò i ricordi.
Che vennero ugualmente.
Certo, lui non era uno di quegli aviopirati da assalto diretto: non era il suo lavoro, non aveva gli uomini, né la potenza di fuoco.
Non era uno stupido! Però per qualche motivo, l’idea di salire su quella nave da cargo e vedere se davvero quel fantastico tesoro di cui si dava notizia fosse poi così tanto fantastico non era riuscito ad abbandonarlo.
Il tesoro s’era rivelato essere un’inutile accozzaglia di robaccia. Non valeva neppure la fatica d’un secondo sguardo.. sicuramente qualcuno avrebbe potuto dire, in quel frangente, che l’importante, nella vita romanticamente eccitante di un aviopirata, non era tanto il tesoro a contare, ma l’adrenalina e tutto il resto: se Balthier l’avesse trovato, questo idiota, gli avrebbe sparato.
Di certo stava pensando a qualcosa di molto simile a quel pensiero quando, sgusciando per i corridoi, lo vide.
Ai livelli bassi, dove tenevano gli schiavi: era.. un ragazzino. Soffiava e graffiava come se fosse stato un gattino bagnato. Furioso, e terrorizzato.
Socchiudendo gli occhi poteva immaginarlo ben più terrorizzato che altro. Lo sentì chiaramente insultare tutti quelli che erano a portata d’orecchio, e insieme sentì le catene tendersi, e gli uomini attorno a lui ridere.
Non doveva essere nato schiavo, si vedeva dai contorni delle spalle, dalle mani, da come teneva il capo, dal modo in cui guardava chi lo circondava.
Non erano affari suoi, si era detto.
C’era la Strahl, lì fuori ad aspettarlo, c’era Fran: ed entrambe erano in una posizione talmente precaria che era meglio non farle aspettare. Quanto avrebbe potuto durare quello schermo d’invisibilità? Se su, al ponte comandi, ci fosse stato un pilota che sapeva fare il suo lavoro, si sarebbe presto accorto che quella lievissima deviazione di rotta subita non si sapeva come dalla grande nave mercantile, doveva essere data da un’anomalia nella fusoliera. E avrebbe mandato qualcuno a controllare..
Aveva voltato le spalle al giovane prigioniero.
Conosceva troppo bene quello sguardo, disperato, svuotato, come se al mondo non fosse più esistito nulla per cui valesse la pena vivere e, nonostante questo, la paura fosse troppo grande per, semplicemente, abbandonarsi e lasciare che il destino decidesse al posto proprio.
Lo conosceva bene, era stato il suo sguardo.. aveva deglutito, ed era andato avanti.
Come sempre, com’era il regolamento di vita dei pirati. Primo obbiettivo: rimanere vivi, sempre, ad ogni costo. Affronta l’avventura, sfida il pericolo, ma non credere davvero che la fuga sia ignobile, che l’opportunismo sia malvagio.
Era la sua vita, Balthier sapeva bene come andava vissuta.
Gli era stato permesso di allontanarsi un bel po’ quando l’allarme era suonato.
Si era stretto contro la paratia, cercando di analizzare la situazione. Sentiva le urla, i passi concitati degli uomini.
Fran aveva addirittura osato aprire il collegamento con lui.
Un incendio.
Un incendio a bordo.
Balthier aveva digrignato i denti. Così sarebbe stato molto più facile correre via, facendosi scudo della ressa tutt’attorno, del terrore degli altri e della confusione.
Conosceva la strada da percorrere, aveva studiato a fondo lo schema di costruzione di quella nave, conosceva ogni svolta, ogni angolo, ogni deviazione. E, ancor più importante, conosceva la perfetta ubicazione e il funzionamento di ogni paratia frangifiamme, che sarebbe calata nel giro di ventidue secondi.
Aveva sentito gli uomini delle stive, evacuare, aveva sentito gli ordini.
Aveva sentito Fran, dubbiosa: “Balthier? I motori sono accesi..”
“Aspettami. Ci metterò un po’ più tempo di quello calcolato.”
Non sapeva perché aveva pensato una cosa simile, non si era neppure accorto di averlo effettivamente detto se non quando era stato in fondo al corridoio, nel sentire il sussulto sgomento di Fran.
Non le aveva dato retta.
Aveva corso.
Come se la vita in bilico fosse stata la sua.
Aveva superato una svolta, aveva preso un corridoio laterale per evitare la bolgia di persone che correvano e urlavano.
Aveva sentito odore di fumo, e era andato avanti.
Aveva quasi sbattuto contro il capomastro.
“Via, ragazzo, via! Le stive sono perdute!”
E si era buttato dentro.
Un idiota, un perfetto, stupido idiota.
Non sapeva com’era riuscito a lavorare così in fretta. Nei momenti di tensione sembrava che le sue dita avessero il potere di fare tutto perfettamente bene, come se fossero talmente abituate a maneggiare componenti, chiavi, fili, bulloni e cose simili che non avessero bisogno della lucidità della mente per ottenere un risultato.
La porta si era aperta, il ragazzo l’aveva.. morso!
Quel piccolo infame.. anche ora, a ripensarci, non riusciva a non ridere.
Aveva dovuto legargli i polsi prima di sollevarlo su una spalla e andarsene con lui, attraverso il fumo, e le prime lingue di fuoco che stavano intaccando la chiglia.
Arrivato sulla Stahl aveva tossito fin quasi a sputare i polmoni. Fran s’era limitata a pilotare lontano da lì, il più in fretta possibile, per evitare le prime navi accorse in aiuto e le scialuppe.
Solo più tardi, quando erano stati in cieli più sereni, si era voltata a vedere il suo compagno, che stava lentamente riprendendo la sua solita compostezza, respirando però ancora a fatica con un piccolo sibilo sul fondo dei polmoni, e quell’altro umano, più giovane, stretto in un angolo con gli occhi spalancati dal terrore e dall’incredulità.
Se non ci fosse stata Fran..
Balthier sospirò passandosi una mano fra i capelli.
Se non ci fosse stata Fran lui sarebbe stato cibo per pesci da molto, molto tempo.
“Bal?”
Solo una voce, quella voce, gentile, morbida. Giovane.
Non si voltò neppure. Sentì i piedi nudi sul ponte della Strahl, sentì la sua presenza accanto. Gli si fermò vicino, una strana espressione a metà tra il serio e il divertito. Un mezzo sorriso, bello, pulito, a piegare quelle labbra.
“Bal, non vieni a letto? E’ successo qualcosa? Posso aiutare?”
Sempre il solito piccolo arrogante.
Balthier sospirò, voltandosi appena a guardarlo, sorridendo.
Allungò una mano, sistemandogli lentamente un paio di ciocche di capelli che, nel sonno, avevano preso pieghe ardite.
“No, stavo solo pensando.”
Fuori si vedeva il cielo, pieno di stelle, meraviglioso.
Ray sospirò.
“Non mi piace quando hai questi pensieri tristi.”
Di nuovo gli strappò un sorriso.
“Non devi preoccuparti, succede. Poi sono pensieri leggeri come le nuvole di primavera: come sono arrivati se ne vanno.”
Lo sguardo che gli regalò fu intenso, e profondo, come solo quello dei ragazzi può essere a volte.
“Sai, non mi sembra possibile che un pirata come te parli come un poeta..”
Si sporse verso di lui, gli sfiorò una spalla.
Balthier lo guardò, con attenzione.
“Hai letto troppi romanzi di terza categoria, ragazzo mio! Io sono un poeta come tu sei un meccanico.”
Arricciò il naso, indispettito.
Solo ora Balthier notò che, indosso, aveva solamente il lenzuolo, avvolto attorno alle spalle.
“Sei impossibile!”
Raynard gli si sedette su un ginocchio, appoggiando il capo sull’incavo della sua spalla.
Sospirò nel sentire la mano di Balthier accarezzargli la schiena.
“E’ tardi, dovresti..”
“Pensavo, Bal - fingendo di non averlo interrotto mentre stava per dire una cosa di una noia mortale - che sono stato fortunato.”
Sollevò gli occhi, li piantò nei suoi.
Era bello, e giovane. Cesellato eppure forte. Balthier sentiva i muscoli della schiena, poteva intuire, dai suoi movimenti, le forme eleganti che avrebbe avuto, ma virili.
Gli sorrise scuotendo il capo.
Avrebbe dovuto rispondergli qualcosa di.. qualcosa di degno di lui.
Si limitò a lasciarsi andare contro la spalliera della poltrona, tirandoselo dietro.
“Così ti schiaccio, Bal!”
“Sht. Non sei ancora così grande da rendermi impossibile prenderti e portarti a letto in braccio, per cui fai il bravo, scricciolo.”
Ray si mosse un po’, sul punto di ribattere, ma anche lui si quietò lentamente.
Passarono minuti, forse, forse di più. Le stelle stettero immobili a guardarli per lunghi istanti.
Balthier gli passò una mano fra i capelli, morbidi e bellissimi.
Ray sospirò.
“Io credo che dovrei.. ma non so.. e..”
Balthier sorrise, di nuovo.
Ecco a dove sarebbero dovuti arrivare, eccolo.
Lui lo sapeva, si domandava se Raynard lo sapesse con la sua stessa lucidità.
“Quando saprai cosa devi e cose vuoi fare, Ray, potrai andare. Non sei prigioniero qui, come ti ho detto dal primo giorno.”
Un sospiro.
No, non lo sapeva.
“Io non voglio andare, Bal!”
Il pirata guardò le stelle e sentì male, dentro. Sapeva cosa andava detto, ma non gli piaceva l’idea di dirlo. Perché non avrebbe potuto fare solo quello che voleva? Perché non poteva stringere le braccia e tenerlo lì? Girare le spalle al mondo?Perché non poteva .. socchiuse gli occhi.
Perché gli avevano insegnato il dovere.
“Ma dovrai. - la carezza si fece più leggera, se possibile - Non è ora il tempo però. Perché quando lo sarà tu lo saprai con una forza ben diversa. Dove andare, e perché. Sarai tu a dirmelo, ma è importante che tu sappia che non.. ti terrò mai qui contro la tua volontà.”
“Non mi vuoi bene?”
Sentì il suo capo, contro il petto, muoversi appena. Aveva sollevato il viso per intuire il suo profilo, forse, che si stagliava contro il cielo della notte.
“Certo che te ne voglio. Insegnarti a volare, e lasciarti volare via, a trovare il tuo nido, è il modo più grande in cui so dimostrare che ti voglio bene, Ray.”
Sì, sentiva il suo sguardo addosso. Il suo osservarlo in quel modo peculiare che aveva lui, come a volersi imprimere dentro il suo profilo, la sua figura. Il suo calore e il suo sapore.
Ringraziò il cielo che non potesse leggergli dentro.
Lo sentì accoccolarsi meglio, addosso, e sbadigliare.
Sarebbe stata un’altra bella notte.