Credo sia stato Yeats, il mio primo incontro con il potere evocativo del linguaggio.
Stavo per scrivere 'con la poesia', ma mi sono accorta in tempo che non è vero: prima di lui avevamo letto Tennyson - To follow knowledge like a sinking star - e la Dickinson - the polar privacy of a Finite Infinity - e prima ancora almeno Keats, con le sue Truth and Beauty tautologiche e perfette. Prima di lui, avevo amato già loro.
Ma Yeats è stato la nausea improvvisa di trovare il proprio secolo scolpito tra due versi senza rima. Yeats è stato il sole fuori dalla finestra - brillante, trasparente, ritagliato nell'azzurro - e il fiume al fianco della camminata verso la stazione, e le chiacchiere degli amici intorno mentre quella sensazione continuava ad echeggiare in testa. L'ultimo banco sul fondo dell'aula - era l'ultimo, vero? - e Giulia vicino. La cattedra di spalla al cielo. Una pagina ancora bianca, spoglia dei segni colorati con cui l'avrei studiata qualche settimana dopo, e il silenzio di sedici teste chine a leggere lo stesso incubo.
Turning and turning in the widening gyre…
Non so cos'avrei fatto della mia vita, non fosse stato per la Cella.
Forse sarei finita a studiare Antropologia, come avevo detto all'Albin neanche un anno prima. Forse sarei finita a studiare Lettere, come immaginavo di fare da quando ero entrata al liceo. O Psicologia, insieme a Simo.
Forse non avrei sentito neanche il richiamo dello spagnolo.
Difficile dirlo.
Ma l'incontro con il Modernismo - con la letteratura inglese spiegata dalla Cella, percorsa, illustrata, scandagliata con evidenziatori colorati in pomeriggi gettati sul letto, raccontata a voce sui banchi, discussa nelle interrogazioni - ha segnato una svolta decisa. Angolo retto.
Ed è strano che me ne fossi dimenticata.
Che in questi due anni trascorsi nell'estasi dello spagnolo avessi scordato *quanto* fosse stata forte l'emozione di Yeats, e di Eliot. Quanto siano stati determinanti quei tre anni di letteratura.
Dalle origini - che alla fine tutto è collegato, e The Celts mi hanno regalato Memorie di Adriano, in un'altra di quelle coincidenze luminose scoperte mentre qualcuno si faceva interrogare di storia e io sfogliavo annoiata Literary Links, così come Virgilio, studiato malissimo e mai davvero capito, mi ha almeno donato Pavese e i suoi Dialoghi e Leucó - al Romanticismo - e Shelley che però avevo già scoperto in italiano - a Conrad. E Wide Sargasso See, Bertha Mason, la femminilità menomata. E il Beckett di End Game.
È strano ritrovarsi ora, più vecchia di tre anni, con così tante altre suggestioni sulla pelle e nelle orecchie, a ripercorrere gli stessi sentieri. E a leggerlo tutto, The Waste Land - a leggere Waiting for Godot e ritrovare la stessa lacerazione struggente, lo stesso senso di inafferrabile conclusione - a leggere Orlando e trovarci il talento. Capire, finalmente, cosa significhi saper scrivere davvero. E capire anche perché di scrittura si possa morire. Perché una donna che quasi per gioco ha scritto qualcosa di tanto bello e perfettamente perfetto in sé stesso possa essersi persa, nel tentativo di inseguire la propria stessa Perfezione.
Leggere Boesman and Lena e trovarci il Sud Africa. Trovarci il dramma dell'uomo e l'Inferno sono gli altri e I nostri non sono danze di guerra. Dicono che una volta eravamo schiavi. Basta che metti i piedi per terra e che pesti forte. Pestala forte! Non le facciamo il solletico come fanno i bianchi. Con noi è una madre dura. E così noi balliamo in modo duro. Che ci senta.
Leggere The Waste Land e cominciare a capire. A trovare un senso vero a quel che anni prima avevi soltanto imparato - quel bisogno di puntellare le rovine, quelle heaps of broken images, I can connect nothing with nothing e il senso di una vita spesa a provarci lo stesso, caparbiamente. Il senso di un destino. E il brivido di quando ti accorgi che in quello stesso connettere sta nascosta l'essenza di tutto, e la trama di rimandi che disegni quasi casualmente o casualmente scopri, e l'incomunicabilità profonda di una specie che fonda sul comunicare la sua stessa esistenza.
Sentirti parte di quel processo, nel tuo piccolo. Con il tuo limitatissimo bagaglio, e così tante cose da stiparci dentro. Così poco tempo.
Il mondo immenso. Il futuro e il passato.
E la poesia per leggerlo.
Per berlo..
Go firmly to the window: drink it in.
poi stefano ti chiede come fai ad entusiasmarti tanto per cose tanto deprimenti.
poi la gente si domanda cosa ci sia di notevole in certi autori.
e perché ti facciano perdere due ore ad ascoltare fissore delirare su eliot
e perché ti facciano ascoltare eliot che recita le sue stesse parole
la sua voce amara
il suo tono
Ma l'aveva già scritto Lorca, in fondo.
Perché ho pianto tanto? È tutto così semplice!
E non è una risposta, vero.
Ma in fondo le risposte non esistono. Sta nelle parole, il senso.
Nei segni.
In te.
(*rolling-eyes*
corollario: véase Alejandra Pizarnik.
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No es un verbo sino un vértigo. No indica acción. No quiere decir ir al encuentro de alguien sino yacer porque alguien no viene.)
(*rolling-eyes*
E vabbè. Ciao-ciao al proposito di fare un post comprensibile su Eliot o Fugar o Beckett o l'esame di Antropologia Culturale.
*rolling-eyes*
Sarà per la prossima volta, spero.
*rolling-eyes*)