Sep 21, 2007 23:09
Ieri sera mia madre mi ha portato a vedere una melagrana.
Le ha raccolte qualche giorno fa, per farle seccare credo, e aggiungerle ad una delle sue composizioni. Ma, alla fine, la tentazione di tagliarne una per vedere la bellezza che racchiude è stata troppo forte. E l'ha aperta.
Io non riesco a guardare una melagrana senza pensare a García Lorca.
È più forte di me, qualcosa di congenito quasi. Da quando ho letto la sua descrizione del mondo, non so usare altri occhi. Le sue parole filtrano tutto, ogni gioia e ogni colore.
E chiaramente, quando penso a lui devo aprire uno dei suoi libri. E chiaramente quando apro uno dei suoi libri mi metto a sfogliare.
E chiaramente. Quando sfoglio. Capito lì.
Non so cosa ci sia, in quella poesia. Mi uccide e resuscita ogni volta. Scioglie i nodi di tensione, accarezza i nervi e mi culla piano, dentro il 'ritmo eterno' del suo vento.
Riempiendomi le orecchie di una melodia soffusa e intensa, al tempo stesso. Come fatta di sogno.
Non c'è niente di più sensuale dei versi di García Lorca. Ogni altra cosa impallidisce, al confronto. E null'altro raggiunge quelle stesse profondità incredule, che lui probabilmente neanche si sognava di aprire.
Aveva ventidue anni, Cristo, quando scriveva questa roba. Ventidue.
E chissà quanta bellezza avrebbe ancora saputo far sbocciare
RITMO D'AUTUNNO
A Manuel Angeles
Amarezza d'oro del paesaggio.
Il cuore ascolta.
Nell'umida tristezza
il vento disse:
"Son fatto di stelle liquefatte,
sangue dell'infinito.
Col mio attrito metto a nudo i colori
dei fondali addormentati.
Me ne vado ferito da mistici sguardi,
e porto i sospiri
in bolle invisibili di sangue
verso il trionfo sereno
dell'amore immortale pieno di Notte.
I bambini mi conoscono
e mi riempio di tristezza.
Per le fiabe di regine e di castelli
sono coppa di luce. Sono turibolo
di splendidi canti
che scesero avvolti in azzurre
trasparenze di ritmo.
Nella mia anima si persero
solenni corpo ed anima di Cristo,
e fingo la tristezza della sera
malinconico e freddo.
Sono la eterna armonia della terra.
Il bosco innumerabile.
Porto le caravelle dei sogni
verso l'ignoto.
E ho l'amarezza solitaria
di non saper la mia fine e il mio destino."
Le parole del vento erano dolci,
con profondità di gigli.
Il mio cuore si addormentò nella tristezza
del crepuscolo.
Sulla scura terra della steppa
i vermi dissero i loro deliri.
"Sopportiamo tristezze
ai margini della strada.
Sappiamo dei fiori dei boschi,
del canto monocorde dei grilli,
della lira senza corde che tocchiamo,
del sentiero nascosto che seguiamo.
Il nostro ideale non arriva alle stelle,
è sereno, semplice.
Vorremmo fare miele, come api,
o avere una voce dolce o un grido forte,
o camminare tranquilli sulle erbe
o allattare con seni i nostri figli.
Beati quelli che nascono farfalle
o hanno luce di luna nel vestito!
Beati quelli che portano la rosa
e raccolgono il grano!
Beati quelli che non temono la morte,
perché hanno il Paradiso,
l'aria che corre dietro a ciò che vuole
certa d'infinito!
Beati i gloriosi e i forti,
quelli che non furono compatiti mai,
quelli che frate Francesco esultando
benedisse e rallegrò!
Sopportiamo grande pena
per le strade..
Vorremmo sapere quello che ci dicono
i gattici del fiume."
E nella muta tristezza della sera
la polvere della strada gli rispose:
"Beati voi, vermi, che avete
coscienza giusta di voi stessi,
e forme e passioni
e focolari accesi.
Io mi dissolvo al sole
seguendo il pellegrino,
e quando penso ormai di restare nella luce
cado a terra addormentata."
I vermi piansero, e gli alberi,
agitando le loro teste pensierose,
dissero: "È impossibile l'azzurro.
da bambini credevamo di raggiungerlo,
e vorremmo essere come le aquile
ora che siamo colpiti dal fulmine.
L'azzurro è tutto delle aquile."
E l'aquila di lontano:
"No, non è mio!
Perché l'azzurro è delle stelle
là tra splendori luminosi."
E le stelle: "Neanche noi lo abbiamo:
sta nascosto fra di noi."
E la scura distanza: "L'azzurro
è nel regno della speranza."
E la speranza dice dolcemente
dal suo regno oscuro:
"Voi altri m'inventaste, cuori."
E il cuore:
"Dio mio!"
L'autunno ha lasciato senza foglie
i gattici del fiume.
L'acqua ha addormentato nell'argento vecchio
la polvere della strada.
I vermi sonnolenti scendono
nei loro freddi focolari.
L'aquila si perde sulla montagna;
il vento dice: "Sono ritmo eterno."
si sentono le ninne nanne nelle culle povere,
e il pianto del gregge nell'ovile.
La tristezza umida del paesaggio
mostra come un giglio
le rughe severe che lasciarono
gli occhi pensierosi dei secoli.
E mentre riposano le stelle
sull'azzurro addormentato,
il mio cuore vede lontano il suo ideale
e implora:
"Dio mio!"
Ma, Dio mio, a chi?
Chi è Dio mio?
Perché la nostra speranza s'addormenta
e sentiamo la poetica delusione
e gli occhi si chiudono abbracciando
tutto l'azzurro?
Voglio lanciare il mio grido
sul vecchio paesaggio e il fumante focolare,
piangendo di me come il verme
deplora il suo destino,
e implorando quello dell'uomo, Amore immenso
e azzurro come i gattici del fiume.
Azzurro di cuori e forza,
l'azzurro di me stesso
che m'offra tra le mani la grande chiave
che violi l'infinito,
senza terrore e paura della morte,
brillante d'amore e poesia,
anche se il fulmine mi colpisce come un albero
e mi lascia senza foglie e senza grido.
Ora ho sulla fronte rose bianche
e la coppa trabocca di vino.
Federico García Lorca, 1920
L'ho letta a mia madre, prima. Non tutta, chiaramente, che è troppo lunga e difficile per essere seguita a voce. Solo i versi che più mi colpiscono, sparsi qua e là, raccontandole intanto la storia per fargliela sentire.
E poi tutto il passaggio sull'azzurro.
Lentamente. Scandendo ogni parola. Scivolando in ogni parola. Annegandovi.
Assaporandola.
Mi sono quasi messa a piangere.
Quel dolore sottile - il dolore dell'assenza, della mancanza, della lontananza.
"È impossibile l'azzurro," dicono gli alberi. Impossibile perché per quanto ti sforzi non potrai raggiungerlo - perché sta nascosto dentro il buio, tra le stelle, e ancora la speranza confessa la verità più triste: "Voi altri mi inventaste."
E l'invocazione ad un Dio risuona vuota. Perché non c'è Dio in cui credere, non c'è amore da trovare.
Ma si può cercarlo comunque. Lo si può dipingere, piano piano, e forse si scoprirà anche l'azzurro, da qualche parte. Forse, si violerà l'infinito.
writer | federico garcía lorca,
words,
poesia