[fic] [RPF musica (Kamelot / Epica / Conception)] The moths' wings - parte 2

May 24, 2012 15:51

Titolo: The moths' wings
Fandom: RPF musica (Kamelot / Epica / Conception)
Personaggi: Roy Khan, Simone Simons e più o meno tutti i componenti delle band
Pairing: Roy/Simone, più altri pairing accennati
Rating (del capitolo): NC17


The moths' wings



Un paio di settimane dopo essersi trasferita da lui, Simone torna a casa da scuola con un gattino nero in braccio.
«Era ad un angolo della strada, tremava come una foglia e continuava a lamentarsi. Secondo me sta morendo di fame» gli dice. Il micino, come se l’avesse capita, emette un miagolio flebile.
Roy si passa una mano tra i capelli. «Simone, il massimo che posso fare è dargli una scatoletta di tonno e portarlo dal veterinario. Non posso tenerlo».
«Non vedo perché no».
«Non sono mai a casa. Un gatto così piccolo deve sicuramente essere guardato, nutrito…».
«Quando tu non sei a casa, ci sono io» risponde Simone, facendogli capire con un’occhiata che per lei il discorso è chiuso.
Finiscono per tenerlo. La bestiola, incurante del fatto di essere quasi morta di inedia, ha deciso fin da subito di mostrare loro chi è il vero padrone di casa: nei primi giorni si è fatta le unghie su tutti i mobili, ha stabilito che la tastiera del pianoforte è il posto migliore per fare un riposino proprio mentre Roy sta suonando ed ha imparato che il miglior modo per rimproverarli per non essere stato coccolato abbastanza è fare loro gli agguati in ogni angolo della casa. Malgrado Simone sia indecisa se chiamarlo Captain Schwarzkopf o Sherlock, decidono di chiamarlo Mephisto. L’idea è venuta a lui, dopo aver passato un giorno intero a cercare il demonietto per tutta la casa ed averlo trovato a dormire beatamente sopra una pila dei suoi maglioni, dentro un armadio che è sicuro di non aver aperto da mesi.
Probabilmente è il gatto più mentalmente instabile del creato - Roy non ha mai sentito di gatti che si mettono a soffiare contro una chitarra o un paio di calzini che ignoravano fino a pochi secondi prima - ma di sicuro è affettuoso. Quando lui e Simone si trovano in cucina per la colazione e la loro conversazione è ridotta a qualche ciao e mugolii vari in risposta, Mephisto si siede sulle ginocchia di uno dei due e comincia a fare le fusa così forte da farli ridere, senza contare le varie leccatine in faccia o sulle orecchie che ricevono quando non si alzano al suono della sveglia.
«Un gatto ed un orologio al prezzo di uno» ride Simone, mentre Mephisto si gira sulla schiena per farsi grattare la pancia. «E poi non dire che non sei nato fortunato».

«Sai? Zia Liv mi ha chiesto se continui a frequentare troppe ragazze. “Dimmi che quel ragazzo si è dato una calmata e che assieme a tutto quel gel ha messo anche un po’ di sale in zucca”».
«Gesù. E tu?».
«“Troppe?” le ho detto, “zia, sono innumerevoli”».
«Simone!».
«Hai presente la mia amica, Elize? È innamorata persa di te».
Suo fratello è più alto della maggior parte dei ragazzi che conosce, la sua pelle scura ed i capelli neri lo rendono quasi un alieno fra i norvegesi, qualcuno di esotico. Suo padre è thailandese, si ricorda Simone, ed una volta mamma le ha detto che da giovane era un uomo affascinante e bellissimo - l’unica cosa che le abbia mai detto sull’argomento. Roy non ha la bellezza tipica di un divo del cinema, ma in qualche modo rientra nell’ideale di “bello”. Ha uno splendido sorriso, un orecchino all’orecchio sinistro; ogni volta che guarda qualcuno sembra essere capace di sviscerare i suoi pensieri, scavandoci a fondo con quegli occhi scurissimi. Simone ha visto suo fratello sul palco, sa che ha un’energia magnetica che gli fa gravitare tutti attorno, è impossibile non amare la sua risata contagiosa e la sua esuberanza. Non si stupisce del fatto che Elize se ne sia innamorata o che piaccia a così tante ragazze. Lei stessa pensa che sia splendido, che sia dolce e gentile, anche se è una parte di sé che Roy quasi si vergogna a far vedere. Simone è una delle poche a conoscere questo lato di lui. L’ha visto scrivere al computer o su un tovagliolo di carta le idee per le prossime canzoni, l’ha visto suonare al pianoforte, leggere un libro con Mephisto sulle ginocchia, e Roy si fida di lei abbastanza da farla entrare in un territorio insidioso: il suo mondo.
«Povero me» dice suo fratello, e scuote la testa. Lei gli appoggia sorridendo la testa sulla spalla. Tutti i suoi amici profumano di pino silvestre, Roy odora di spezie ed emozioni sconosciute.

Un pomeriggio, Roy sta correggendo gli ultimi esercizi di aritmetica di Simone - da quando sua sorella si è ricordata che è laureato in informatica lo ha praticamente assunto come insegnante di ripetizioni - e lei è seduta sul proprio letto, ad aspettare che finisca. Si tormenta già da un po’ un filo delle calze e di tanto in tanto si dondola sul materasso. Roy sa che vuole chiedergli qualcosa ma è troppo imbarazzata per farlo.
«Roy, tu sei mai stato innamorato?».
«Cosa?».
«Se sei mai stato innamorato di qualcuno. Ma davvero tanto, dico».
Deglutisce. Parlare di quel periodo della sua vita fa sempre un po’ male, anche quando ormai il dolore dovrebbe essere passato del tutto. Se le risponde è perché pensa che sia giusto che Simone sappia qualcosa di più su di lui. «Della ragazza con cui ho vissuto qui. Siamo stati assieme per parecchio tempo, ed io… Beh, ero innamoratissimo».
«Quanto siete stati assieme?».
«Cinque anni».
«Wow. E come mai è finita?».
«I Conception avevano appena cominciato a farsi conoscere. Dovevamo cercare di sfruttare il momento. Io ed i ragazzi eravamo sempre in giro per interviste, promozioni, tour, cose del genere. Lei non è riuscita a sopportarlo. Aveva paura che la tradissi, non stavamo mai assieme… Perciò se n’è andata».
Simone rimane in silenzio per un po’, mordendosi l’interno della guancia. «Se è così idiota da averti lasciato per un motivo del genere, non ti meritava».
«Non è facile vivere con qualcuno che è perennemente lontano da casa, Simone. Richiede molta pazienza e molta fiducia. Non posso biasimarla se non c’è riuscita».
«Se ti avesse davvero voluto bene, sarebbe rimasta».
«Sì, immagino di sì».
Roy appoggia il quaderno sulla scrivania prima di sedersi sul letto accanto a lei. Le accarezza i capelli. «E tu? Sei mai stata innamorata di qualcuno?».
«Credevo di sì». Simone si abbraccia le ginocchia. «Del ragazzo che mi ha regalato l’anello che porto sempre. Siamo stati assieme per un anno. È stato il mio primo amore».
Per un attimo il pensiero gli ghiaccia la mano. Simone è stata assieme a qualcuno, pensa - qualcuno assieme a cui lei andava al cinema, camminava mano nella mano, che... Prova una fitta dolorosa in mezzo al costato. Guarda l’anello d’argento che sua sorella tocca con la punta delle dita. Un regalo che continua a portare.
«Perché hai detto “credevo”?».
«L’ho lasciato una settimana prima di trasferirmi qui. Non volevo che rimanesse ad aspettarmi come mi aveva promesso. Non volevo che fosse infelice a causa mia. All’inizio sono stata malissimo. Non volevo che mi pensasse e non volevo pensare a lui. È per questo che sono uscita con Coen, almeno per un po’, ma non ha funzionato». Simone piega appena la testa di lato per farsi accarezzare una guancia. Da quando è tornata, Roy ha scoperto un’affettuosità che non credeva di avere e che Simone sembra avergli trasmesso solo standogli vicino.
«Ma la sai una cosa?» continua lei. «Ho cominciato a stare meglio. Non mi piaceva nessuno, non c’era nessuno con cui volessi stare, però non mi veniva più da piangere a scuola o altro. Ed alla fine la nostalgia è scomparsa. Per questo penso di non essere mai stata innamorata».
«Non lo so, Simone. Ci sono molti modi per essere innamorati di qualcuno. A volte le ferite spariscono più in fretta di quello che pensiamo, altre volte rimangono sotto».
«Non voglio innamorarmi ancora. Non mi voglio sentire così vulnerabile».
«Se solo fosse così facile scegliere…».
«Forse lo è sul serio».
«No, non lo è».
Simone gli appoggia la testa contro il petto. Roy avverte il pulsare del proprio cuore e sa che lei sta sentendo lo stesso battito accelerato che sta sentendo anche lui.
«Anche se mi innamorerò di qualcuno» dice Simone. «Non gli vorrò mai lo stesso bene che voglio a te».

*
A volte fa strani sogni. Non li ricorda mai ma sa che in quei sogni le succede qualcosa di brutto, di orribile, e si sveglia singhiozzando contro il cuscino. Roy la raggiunge in camera sua per starle vicino finché non si calma. Simone odia fare incubi. Odia quella sensazione di terrore puro - quando si sveglia si sente come se l’avessero appena gettata sui binari di un treno che sta arrivando. Non riesce a smettere di piangere se non sente Roy piegarsi sulle ginocchia e toccarle la testa, mormorarle che va tutto bene, che è stato solo un brutto sogno.
Simone si sveglia così, tremante e con le lacrime agli occhi, per la quinta volta in due settimane. Suo fratello, quando le bacia con delicatezza la fronte, le chiede: «Ancora incubi?» e lei annuisce. Invece di sedersi sul bordo del letto e tenerle la mano come fa sempre Roy le scosta le coperte, la prende in braccio come se fosse una bambina e la porta in salotto. Simone lo lascia fare. Potrebbe riaddormentarsi così, con la testa appoggiata su una spalla di lui ed i piedi che penzolano nel vuoto. Si sente tornata piccola, alle serate in cui faceva finta di addormentarsi in macchina perché uno dei suoi genitori la prendesse in braccio e la portasse in camera sua. Suo fratello la depone sul suo letto con la stessa delicatezza, quasi avesse paura di romperla. Lei si raggomitola fra le lenzuola calde. Roy prende il portatile appoggiato sul materasso e lo mette sul tavolo vicino prima di sdraiarsi accanto a lei. Simone lo abbraccia più forte che può. Vorrebbe aggrapparsi a Roy con mani e piedi, entrare nella sua pelle e rimanere dentro di lui abbastanza a lungo da sentirsi forte. Suo fratello è l’unica cosa che le rende sopportabile avere quei sogni orribili.
Roy ricambia la stretta e le mormora che va tutto bene. Simone sente le sue braccia circondarle la schiena e si addormenta.

Si pente spesso di aver permesso a Simone di rimanere. Sa che mamma non vuole altro che passare più tempo con la sua bambina e che Ian sta lentamente cominciando ad odiarlo perché gli sta strappando sua figlia dalle mani. Non vuole che sua sorella sia come lui, che ha dovuto imparare a cavarsela da solo perché suo padre era troppo occupato per badargli. Vorrebbe che Simone stesse di più con la sua vera famiglia, ma non vuole rinunciare a starle vicino. I suoi desideri sono incompatibili fra loro. Sono incompatibili con il mondo.
Ora sua sorella rimane a dormire con lui quasi tutte le sere, senza che nessuno dei due l’abbia deciso davvero. Roy non riesce mai a capire cosa si agiti negli occhi di lei, mentre scivola nel sonno - è come guardare un oggetto luccicare sul fondo di una pozza torbida - ma a volte crede che sia un riflesso dei suoi. Ogni notte si sveglia, di colpo, solo per guardare la figura addormentata che gli sta accanto. Simone. La sua amatissima sorella. Osserva i capelli di lei che formano ghirigori sulla sua guancia, l’ombra dell’osso della scapola che vede attraverso lo scollo della maglia troppo grande. Le pieghe che le lenzuola stropicciate formano vicino alla pancia. Le curve appena visibili del seno e dei fianchi. Continua a guardarla con un senso di vuoto profondo e di fame che lo disgusta e che lo scalda al tempo stesso. Si ripete che è sua sorella, buon Dio, non dovrebbe nemmeno pensarci, ma a volte il desiderio di allungare una mano e di toccarla, di adorarla centimetro dopo centimetro, è così forte che si sente soffocare. Si raggomitola su se stesso, ad occhi serrati, e si concentra sul battito pulsante del proprio sangue finché non rimane altro che la nausea.
Una sera le bacia l’incavo del gomito. Non se ne accorge nemmeno. È lì, semplicemente, con gli occhi persi sulla sagoma sfumata di Simone quando il suo corpo - non lui - si allunga e la sua bocca sfiora la fossetta interna del braccio di lei, chiude le labbra attorno a quella pelle morbida e per un momento è tutto così perfetto che, se anche Simone si svegliasse, lui potrebbe morire felice - anzi, peggio, per un secondo pensa di svegliarla, di baciare quel collo seminascosto dai capelli e le labbra e di continuare finché non sarà sazio. Poi ripiomba nella realtà. Si allontana con uno strappo da Simone e si porta una mano davanti alla bocca. Il suo stomaco ha una contrazione dolorosa. Come può pensare delle cose del genere. Su sua sorella. Su di lui. Si alza, va ad aprire il frigorifero per prendere una bottiglia di birra e la beve in piedi in mezzo alla cucina, nauseato e confuso, e passa tutta la notte lontano dal letto in cui Simone dorme senza sapere nulla.

*
Roy gestisce le sue storie senza coinvolgerla. Ha portato raramente ragazze in casa, e di solito lo fa con quelle che intende portarsi a letto per più di una settimana. Simone non si chiede nemmeno quanti cadaveri o cuori spezzati suo fratello si sia lasciato alle spalle, e non si disturba ad imparare i nomi delle sue nuove conquiste. (Thomas, dall’alto della sua esperienza, dice che Roy è quel tipo di uomo che non riesce a stare da solo; secondo Casey è un puttaniere e basta. Grazie, Casey, pensa lei, battendo rumorosamente la testa contro il tavolo, mi serviva proprio una definizione per mio fratello).
Roy è stato abbastanza chiaro sull’argomento: lui si limita ad andare avanti e a vedere se la cosa con una certa tizia funziona, altrimenti sono entrambi pronti ad andare ognuno per la propria strada, in modo più o meno indolore. Ha smesso di cercare una storia seria dopo aver passato due anni a riprendersi dall’abbandono della sua fidanzata.
«Pensi ancora a lei?».
«A volte».
È durante quelle volte che Roy si mette al pianoforte, o prende in mano una chitarra, e suona. Non canta, suona e basta. È capace di farlo per ore, non risponde al telefono, si isola dal mondo. Simone, se lo sente mentre è in camera sua, corre ad abbracciarlo. È l’unico contatto che suo fratello sembra sopportare, e stringendolo lei avverte tutto quel dolore che vibra ancora nei suoi polmoni, in ogni vena e muscolo.
Ma Roy, questo, non lo mostra agli altri. Esce con ragazze di cui lei non saprà mai niente, a volte la chiama o le manda un sms chiedendole se può tornare a casa senza di lui. Simone si fa dare un passaggio da Thomas, da Floor o da Isaac, prende Mephisto che dorme sul pianoforte e lo porta in camera sua in modo che non disturbi nessuno. Non appena sente la porta di casa aprirsi, lei si tappa le orecchie ed infila la testa sotto il cuscino, in modo da non sentire nulla nemmeno per sbaglio. Le mani le fanno malissimo e Simone rimane a respirare nel buio, mentre il cuore comincia a batterle furiosamente e lei tenta di non pensare a cosa stia facendo Roy in quel momento. Una volta è sicura di sentire la risata di suo fratello tra le dita filtrate e passa il resto della nottata a piangere, soffocando i singhiozzi sotto il cuscino, mentre Mephisto, acciambellato accanto a lei, la guarda con occhi socchiusi e le fa le fusa per consolarla. Simone sa che la cosa peggiore di tutto questo non è la gelosia, - ingiustificata, perché Roy è affettuoso come sempre - o quel senso di abbandono, ma la sua rabbia. Le ragazze che suo fratello si sceglie sono sempre molto carine, sono persone piacevoli con cui parlare. Però - però non è giusto che possano parlare di Roy alle loro amiche, che gli possano prendere la mano mentre camminano per strada, che facciano l’amore con lui mentre lei si trova solo una stanza più in là. Più ci pensa più lo trova insopportabile.
«Smettila, per favore» vorrebbe dire a Roy, «Ti prego, fallo per me». Vorrebbe che lui sentisse tutto quell’affetto doloroso che si sente marcire dentro, che vedesse e capisse. Che capisse che, ogni volta che le dà il bacio del buongiorno sulla guancia, quando è ancora insonnolito ed in pigiama ma sorride, lei si sente viva e condannata assieme.

*
Roy la intercetta nel corridoio. Lei ha ancora il borsone in mano. Si è sentita chiamare più volte, non si è girata.
«Simoontje, per favore» le dice suo fratello. I suoi occhi sono ancora sfuocati, intorpiditi dagli ultimi rimasugli della sbornia della sera prima. «È per qualcosa che ho fatto? Perché ce l’hai con me?».
«Roy, sono in ritardo. Devo ancora asciugarmi i capelli».
«Non ti trovi bene qui? Possiamo parlarne?».
«Te l’ho già detto, sono in ritardo, tra un po’ perdo il bus». Simone appoggia la borsa con i suoi vestiti davanti alla porta d’ingresso. Roy le corre dietro, ancora, e stavolta le appoggia le mani su entrambe le spalle, bloccandola con decisione contro la parete.
«Parliamone, sorellina».
Simone alza la testa. Nello sguardo appannato di suo fratello c’è un confuso senso di dispiacere, di speranza.
«Mi spiace, non posso rimanere».
«Perché?».
Non può dirgli la verità. Non le parlerebbe mai più. Preferisce che Roy sia incazzato, che si senta tradito senza motivo, piuttosto che disgustato da lei. «Non è colpa tua. Solo, non posso stare ancora qui. Non chiedermi perché».
«Vuoi che ti chieda in ginocchio di rimanere? Rimarresti?».
«Mi ha scambiato per una di quelle che ti scopi, Roy?». Tenta di divincolarsi, ma lui non la molla. «Lasciami».
Senza una parola, Roy le si inginocchia davanti. Una mano di lui scivola fino al suo fianco e rimane lì, come se volesse assicurarsi che non svanirà davanti ai suoi occhi. Simone rimane a guardarlo. Suo fratello non ha bisogno di strisciare ai suoi piedi per ottenere ciò che vuole da lei, non ha bisogno di usare espedienti, perché Simone è già pronta a cedergli tutto, se solo volesse. E lui lo sa, lo sa, ora sta solo giocando - lei stringe i denti. Non è giusto. Vuole che soffra, nel chiederle scusa, che quell’orgoglio finisca a pezzi anche per lei, non solo per altri.
«Stai diventando ridicolo».
«Lo so. Ma dimmi cosa devo fare. Dimmelo. Dimmelo e lo farò».
Simone stringe la mano che le tocca il fianco, quasi d’impulso. C’è quel calore evanescente che si propaga dalla mano di lui fino al suo cuore, come una rete di tentacoli invisibili. Suo fratello la guarda ed espira senza rumore prima di usare la mano libera per slacciarle il primo bottone dei jeans. Lei sussulta. Le sembra di essere entrata in uno di quei sogni confusi che fa al mattino presto, durante il dormiveglia, in cui un desiderio vago si mescola con la sensazione delle lenzuola fresche contro la pelle. La stoffa dei jeans le sfrega un po’ la pelle mentre scivola verso il basso.
«Roy» dice, quasi in un rantolo. Non sa che cosa vuole, ma di sicuro non questo. I gesti di Roy sono precisi, chirurgici, come se avesse fatto la stessa cosa miliardi di volte, mentre le abbassa i pantaloni fino alle caviglie e poi gli slip. Simone chiude gli occhi, quando sente la punta della lingua di lui sfiorarle l’interno delle cosce, e prega di morire abbastanza presto, per favore, perché si sente impaurita ma non disgustata come dovrebbe, perché Roy è suo fratello e ci sono diecimila altri motivi per cui dovrebbe mollargli un ceffone, gridargli di non osare parlarle mai più, che le fa schifo e tutto, ma poi sente la bocca di lui con più forza contro di sé ed allora non pensa a niente. La sensazione che prova è vertiginosa, intensa in una maniera intossicante, deve chiudere gli occhi per non cadere. Rimane così, a palpebre serrate ed una mano fra i capelli di suo fratello, respirando con forza, fino alla fine.
Si azzarda a socchiudere gli occhi soltanto quando è sicura che le gambe non le cederanno e lei non scivolerà contro il muro come una bambola rotta. Roy si passa lentamente il dorso della mano contro le labbra.
«C’è altro?».
«Cosa?».
Gli occhi di suo fratello sono vuoti come biglie. «Vuoi che faccia qualcos’altro, Simone?».
Perché ti svendi in questo modo? si chiede lei. Perché strisci ai piedi di tutti? Pensi davvero di non essere nulla? Dovrebbe sentirsi soddisfatta. Non ha ottenuto quello che voleva? Non ha desiderato che Roy si piegasse davanti a lei e si umiliasse?
«No» risponde, con la gola secca. «No, nient’altro».
Roy si alza. Va a prendere il borsone e lo riporta in camera sua. Simone non fa niente per fermarlo. Si rimette a posto i vestiti, si tocca i capelli umidicci. Dovrà asciugarseli e poi chiamare Yves per farsi dare uno strappo fino a scuola. Ma rimane immobile, aspettando suo fratello, che però non torna a vedere che cosa si è lasciato dietro.

Ha la testa appoggiata sul braccio ed un sapore acido in bocca. Si ubriaca raramente, - una volta ha detto a Tore che il novantanove per cento del suo sangue ormai è composto d’alcol - ma quando succede, il mal di testa del mattino dopo è insopportabile. Simone gli lascia sempre una tazza enorme di caffè con dentro dell’alcol di canna per aiutarlo a smaltire la sbornia, e Roy si sorprende a vedere quella stessa tazza, che di solito finisce in un paio di sorsi, vuota solo per metà. Appoggia la testa contro una mano, puntellandosi col gomito sul ripiano della cucina, e tenta di mettere in ordine le idee. Quella mattina si era alzato con quella fottuta emicrania. Mentre beveva il caffè aveva visto sua sorella, reduce dalla doccia mattutina, passare nel corridoio con in mano il borsone da viaggio. Le aveva chiesto dove andasse.
«Da papà e mamma».
«Per un paio di giorni?».
«No. Stavolta ci rimango».
Malgrado il mal di testa e la sensazione di muoversi in uno strato di ovatta, quelle parole l’avevano raggiunto come una freccia in pieno petto. Si era alzato ed aveva chiamato Simone, perché era tutto così improvviso che non sapeva spiegarsi il motivo di quella partenza. Le aveva fatto qualcosa? Era stato brusco con lei? L’aveva trattata male? Sapeva che doveva fermarla, e basta…
Affonda la testa fra le mani. Le parole sono opache, i gesti fin troppo vividi. Pensa al respiro di Simone, bloccata fra lui ed il muro. Nessuna scusa sarà mai abbastanza, pensa, perché è sicuro che sua sorella non l’abbia desiderato, in nessuna maniera. La sua è morbosità. Non è giusto, pensa. Non è giusto, perché proprio lei?
Non sa quanto tempo rimanga così. La porta di casa si apre e si richiude. Alza la testa e vede Simone, con ancora sulle spalle lo zaino di scuola, che lo guarda.
«Ehi. Tutto a posto?».
«Simone». Fa uno sforzo per alzarsi, la testa fa ancora troppo male. «Io…».
«Ieri sera devi esserti preso una sbornia davvero orribile» fa lei. «Ti potrei infilare una moneta nelle occhiaie».
«Ho un po’ esagerato».
«Allora è meglio che stai lì, in quarantena, e non ti muovi, o fai solo macelli. Tipo quello di mettere lo zucchero al posto del sale. Metto giù le mie cose e preparo qualcosa io per il pranzo, okay?».
«Simoontje…».
Simone gli dedica un breve sorriso luminoso e va in camera sua per appoggiare zaino e giacca. Roy rimane in piedi, attonito. Non parlare, dice una voce esterna a lui, dimentica, fai finta che non sia mai successo niente. È quello che ha fatto lei.

*
Se tentasse di spiegare ciò che prova, non ha dubbi sul fatto che nessuno capirebbe. È quasi come essere innamorati, - l’avere costantemente il pensiero di una certa persona, desiderare di proteggerla da ogni cosa, volerle stare vicino - ma è anche di più. Al confronto, il resto sbiadisce. Niente ha più importanza per lui.
Simone gli sistema indietro una ciocca di capelli che gli è scivolata sulla fronte. È sempre così bella e piena di premura. Roy sbatte gli occhi. Prega silenziosamente che lo capisca, che si allontani, perché non c’è nulla di normale in quello che prova. Ha dato un pugno ad Ingar, due sere prima, dopo che l’ha sentito fare su lui e Simone una battuta così orribile che non osa ripensarci, e chi se ne frega se aveva bevuto troppo. Il giorno seguente Ingar gli ha chiesto scusa praticamente in ginocchio. Una volta Tore gli ha domandato se non è troppo protettivo nei confronti di sua sorella. L’ha detto guardandolo seriamente, come se avesse avvertito una nota stonata in quell’atteggiamento. Ha ragione. C’è una stonatura, e si sente. Lui allontana la testa ma la mano di Simone rimane sempre lì, appoggiata alla sua guancia.
«Simone».
Non sa nemmeno lui cosa le sta chiedendo. Di girarsi dall’altra parte. Di lasciarlo da solo. Di non andarsene. È sempre stato quello forte. Ora vorrebbe soltanto un po’ di pace.
Simone appoggia le labbra sulle sue. È un bacio un po’ infantile, tenero, dato a labbra chiuse. Roy sente un singhiozzo salire nella sua gola e poi fermarsi a metà. La sua bocca rimane immobile. Congelata, pensa, non dalla sorpresa, ma dal fatto che sia tutto così sbagliato - Dio, hanno la stessa madre - e che pure la sua colpa gli sembri così piccola. Non sa perché lo abbia fatto, ma quando la sente staccarsi le fa scivolare una mano sulla nuca e ricambia il bacio.

*
Quando le chiede se è la prima volta, Simone risponde, con un sorriso timidissimo: «No, ma quasi». Gli viene in mente la fotografia che sua sorella tiene accanto al comodino: lei abbracciata stretta ad un ragazzo alto, dalla faccia magra ed i capelli lunghi - un bel ragazzo, comunque, che sorride all’obbiettivo della foto mentre Simone fa delle smorfie all’indirizzo del fotografo. Non le ha mai chiesto come si chiami. Dare un nome a quel viso non è importante.
Non parlano. In quella stanza senza luci, a tende tirate, le piccole dita di Simone lo cercano e la sua bocca cerca il corpo di lei. I loro vestiti sono un mucchio informe sul pavimento, i capelli rossi di sua sorella sembrano fiamme liquide tra le sue dita. Roy bacia, morde piano quella pelle bianca e bellissima e Simone stringe le labbra mentre se la attira in grembo e le scivola dentro più a fondo che può. Lui si sente quasi sciogliere dentro il calore umido di quel corpo, e chiude gli occhi per trattenere quella sensazione quando appoggia le mani sui fianchi di sua sorella e lascia che sia lei a decidere come muoversi, così stretta e rovente da togliergli il respiro. I loro corpi combaciano in modo perfetto. Simone gli circonda quasi timidamente le spalle con le braccia - è così piccola e fragile che un gesto brusco potrebbe romperla - tra un respiro spezzato e l’altro, i suoi capelli gli sfiorano il collo ad ogni movimento, e Roy pensa che sia la cosa più bella che esista mentre lei gli respira contro le labbra in un singhiozzo e lo stringe come se avesse paura di perderlo.
Poi Simone riposa contro la sua spalla. Ogni volta che respira, Roy sente quel peso morbido contro il costato e rabbrividisce. La mano di lei gli tocca la mandibola, gli sfiora l’orecchio sinistro, segue con un dito il contorno dell’orecchino. Lui può vedere, quasi brillassero nel buio, gli sfoghi rosati che la sua barba un po’ ispida le ha lasciato sulla pelle. Simone sospira, tremante, e gli si rannicchia di più contro. Roy le circonda la testa con una mano.
«Dormi, piccola».

*
«Vuoi molto bene a tuo fratello?» le chiederà Thomas, un giorno. Simone lo guarderà, un po’ sorpresa, e gli risponderà di sì, certo, gli vuole bene.
«Brava» dirà lui, e continuerà a sistemare sullo scaffale le bottiglie di liquore appena arrivate.
Lo sa, sarà la prima cosa che penserà lei, atterrita, ma poi lo guarderà meglio e si dirà che in quel sorriso non c’è nulla di cui avere paura.

*
A Simone piacerebbe essere come la credono tutti. Non lo è. Tutti gli amici di Roy la trattano come qualcosa di così innocente e puro che se venisse toccato verrebbe inquinato dalla sporcizia del mondo, che va adorato da lontano. Casey, per prenderla un po’ in giro, la chiama angelo, angelo mio. Ormai è diventato uno scherzo fra loro, ma ogni volta le fa male. Non è così. Lei non è niente di tutto questo. A volte vorrebbe urlarlo.
Non è innocente. Ha desiderato suo fratello - che sia in realtà il suo fratellastro non è importante - e continua a volerlo ogni giorno di più. Ha sempre pensato che, dopo la prima volta, sarebbe passato tutto. Non è stato così. Mamma morirebbe di crepacuore, se solo lo sapesse. Papà ne sarebbe disgustato. Tutti ne sarebbero disgustati. Non le interessa minimamente.
Roy le accarezza la schiena con la punta delle dita. Tore è appena stato da loro. Tore è sempre educato, sempre gentilissimo, ma lei sa di non piacergli. Ha avvertito quell’antipatia fin dal loro primo incontro, e Simone sa anche che è per lo stesso motivo per cui lei soffriva così tanto ogni volta che Roy portava in casa una nuova conquista. L’ha capito una volta, al Kamelot, in cui Roy stava parlando con Glenn e lei, girandosi verso Tore per chiedergli qualcosa, l’aveva visto fissare suo fratello con una sofferenza ed un rimpianto così forti che ha provato pena per lui. È stato Tore a decidere, dopo una serie infinita di provini, a scegliere Roy come cantante dei suoi Conception; in un certo senso gli appartiene. Simone si è chiesta spesso se Tore si senta come lei - dilaniata ed adorante per qualcuno che non può avere, non per davvero.
«Sorellina?».
«Dimmi».
«A che stai pensando?».
«A Tore. È davvero un bravo ragazzo».
«Sembravi triste».
«Non gli sto molto simpatica, vero?».
«Deve solo abituarsi a te. Lasciagli un po’ di tempo».
«Mmm» fa lei. Si alza e comincia a mettere a posto i libri sparsi sul tavolo, giusto per avere qualcosa da fare. Alcuni fascicoli presi dal conservatorio, una copia del Faust di Goethe, un romanzo economico di uno scrittore olandese che lei non ha mai sentito: Simone li prende e comincia a sistemarli nella libreria più vicina. No, mentirebbe a se stessa se dicesse che non le importa di ciò che pensano gli altri. Vorrebbe vivere in un qualsiasi paese dove nessuno la guardi inorridito solo perché decide di baciare suo fratello davanti a tutti. Vorrebbe solo prenderlo per mano e dire al mondo che nessuno glielo può portare via. Ma non può. Non lo può fare e basta. A volte desidera solamente che Roy le dica che devono finirla qui, che tutto questo è malato, è sporco, che hanno lo stesso sangue, che non è più un gioco; dall’altra vuole che lui la abbracci e le dica che non la lascerà mai, che non gli importa se sono parenti, a lui va bene così.
«Simoontje?».
Lei appoggia una mano sopra il dorso dei libri. «A volte non vorresti che fosse tutto diverso?».
Sente Roy alzarsi dal divano. «Ascolta» le dice. Le passa un braccio attorno alle spalle e le bacia la nuca, provocandole un’ondata di brividi lungo tutta la schiena. «Se mai un giorno volessi… Se ti stancassi. Se mai un giorno decidessi che ti faccio orrore e che non vuoi più vedermi. Volevo dirti che lo capirò. Sul serio. Probabilmente faresti la cosa più giusta. Quindi… Non aver paura a dirmelo, quando verrà quel giorno. Non sopporterei di saperti infelice a causa di questo».
Questo. Perché non ha un nome. Si sono rifiutati di darglielo, perché se avesse un nome ne avrebbero più paura. Simone si scioglie dalla presa di suo fratello e si gira per guardarlo negli occhi. Roy pensa davvero una cosa del genere? Che un giorno, improvvisamente, per lei possa cambiare tutto? Allunga una mano, prende un lembo della felpa di Roy e lo attira più vicino, fino a quando non sente il corpo di lui scontrarsi col suo. «Davvero lo capiresti, se facessi una cosa del genere?».
«Sì».
«Io no. Io ti odierei per tutta la vita».
«Già» le dice lui, tracciandole un ghirigoro sulla guancia con la punta di un dito. «Ma io non dirò mai basta, lo sai».
Simone lo sa. Sa che Roy soffre terribilmente per tutto questo, che ogni volta è come se una lama prendesse a girargli nello stomaco, ma non è disposto a rinunciare. Le labbra di lui sono calde, un po’ screpolate, Simone le sente schiudersi sulle proprie mentre la spinge di più contro la libreria. Roy è sempre così attento a non farle male - Dio, come potrebbe rinunciare a qualcosa del genere? Lei prende ad abbassargli la cerniera della felpa alla cieca, tasta la pelle che trova sotto la maglietta. Potrebbe tracciare la geografia del corpo di Roy a memoria. Si ricorda quando, da bambina, andava ad infilarsi sotto le coperte assieme a lui. Lì si sentiva protetta dai mostri sotto il letto e nell’armadio, da qualunque cosa potesse farle male. Suo fratello ha le mani forti, molto più grandi delle sue, se volesse potrebbe stritolarla, invece si limita a passarle le mani dietro la schiena ed ad abbracciarla stretta, i palmi premuti contro la pelle. Fanno sempre l’amore come due uccellini,- un rumore che può sentire solo qualcuno che presta attenzione, ma che altri non avvertono. A volte pensa che è così strano, ha dentro di sé tutto quello spazio vuoto e Roy lo riempie in modo così perfetto, come se fosse nato apposta per colmare i suoi vuoti. Ora suo fratello tiene una mano intrecciata alla sua, e Simone sente che potrebbe sopportare ogni cosa pur di rimanere così, tenuta e baciata in quella maniera, come se fosse la cosa più bella dell’intero universo.
«Ti amo».
«Simone» le dice lui, piano. «Non devi dirlo per forza…».
«Ti amo» ripete. Quante volte ha giurato che non l’avrebbe più detto a nessuno? «E tu, Roy?».
«Dio, sì. Sì».
Roy continua a tenerla stretta contro di sé mentre lei lo bacia, disorientata e stupidamente felice.

*
Lui e Simone camminano sulla spiaggia, vicini, in una notte di luna. Parlano. Ad un certo punto lei gli prende la mano e gliela stringe forte.
«Non dimenticarmi stavolta, okay?».
Roy annuisce. Simone gli lascia la mano e continua a camminare, sola, mentre lui rimane fermo a guardarla allontanarsi. Guarda le orme che lei lascia sulla sabbia. Si piega ad accarezzare quelle impronte con la punta delle dita, sapendo che sono le uniche cose che gli lascerà.
Quando si sveglia, Roy si sente come se un abisso gli si fosse aperto in mezzo al petto. Cerca Simone e lei è lì, che dorme rannicchiata contro di lui, proprio come faceva quando erano bambini. Un giorno la sua sorellina, la sua adorata Simone andrà lontano dalla sua portata e lo lascerà indietro, perché è così che deve andare - perché sono pur sempre fratelli, e nemmeno nei loro sogni migliori riescono a vedere un futuro luminoso da passare assieme. Ma in quel momento Simone è con lui, e sorride nel sonno.
È tutto quello che conta.

*
«Cosa fai lì? Aspetti qualcuno?».
«No. Do un’occhiata alle falene. Le hai viste? Sono qua fuori, volano vicino alla lampada».
«Ma non si bruciano?».
«Già».
«Poverine».
«Una volta ho letto un articolo. Pare che le falene viaggino orientandosi con la luce della luna, le luci elettriche spesso finiscono per confonderle».
Simone lo raggiunse davanti alla finestra e gli appoggiò la testa su una spalla. Lui si voltò a guardarla. La luce tremolante della luna si mescolava a quella della lampada, si contorceva sui capelli di lei. Avrebbe scritto una canzone per Simone, da solo e solo per lei, e le parole erano già nella sua mente, vivide come scritte sul muro. Comprehend; I see your eyes while you're changing, rearranging make believe, islands apart. Chiuse gli occhi per trovare gli altri versi, quelli che le avrebbero fatto capire. I'm still there for you, I swear it.
Roy riaprì gli occhi e tornò a guardare le ombre che svolazzavano attorno al fascio di luce gialla fuori dalla finestra, mentre Mephisto faceva le fusa rannicchiato sul davanzale. Pensò a quella minuscola felicità luminosa che pulsava assieme a loro, là fuori, evanescente e così facile da lasciarsi sfuggire. Simone gli accarezzò la mandibola.
«A che pensi, Roy?».
«Non è niente… Niente di importante».

...Penso che la fatica che ho fatto per questa storia lunghissima sia direttamente proporzionale al divertimento che ho provato scrivendola :) E' stata dura, ma volete mettere la soddisfazione? Il povero Roy si sarà sentito fischiare le orecchie tante di quelle volte che si sarà assordato, pover'uomo.
Lasciando da parte le scempiaggini, l'idea di avere Roy e Simone in questa veste è venuta da Tumblr: sotto una foto dei due, datata 2010, (se non sbaglio una in cui Simone tentava di mangiare i paraorecchie di Roy e lui si limitava a sorridere come un cretino) qualcuno ha scritto che sembravano fratello e sorella; quando l'ho letto mi sono spanciata dalle risate, ma non appena ho visto l'iniziativa del minicest la cosa è subito saltata fuori. All'inizio la storia era molto, molto più lunga, ma ho deciso di tagliare molti dettagli e tenerli da parte per una serie futura; molto probabilmente questa fic sarà parte di un'AU a capitoli... Insomma, sì, aspettatevene altre :)

Dunque, le noticine finali della storia!
- La vera differenza d'età fra Roy e Simone è di 15 anni, non dieci
- Sì, Roy è davvero per metà thailandese, da parte di padre
- Simoontje è in realtà un soprannome che Mark ha dato a Simone all'epoca in cui stavano assieme (a proposito, avete capito che il famoso ragazzo di cui si parla è Mark Jansen, vero?), vista la passione di lei per i frullati...
- Roy, fino ai ventisette/otto anni - più o meno fino all'uscita del suo primo album con i Kamelot, Siége Perilous, - ha avuto DAVVERO un orecchino. Quindi no, non è un'invenzione mia :) Così come non è una mia invenzione il carattere di young!Roy: nell'epoca Conception era davvero così scatenato/flirty/eccetera eccetera. E sfortunato in amore. Mi sa che fino all'uscita di Epica (o di Karma?) non ha avuto una ragazza a cui dedicare la sua parte di ringraziamenti nel booklet... Poraccio.
Dovrei aver detto tutto, sì? Bene. Come ultima cosa vorrei ringraziare davvero tanto kuroi-nezu, che oltre ad avermi salvato il collo per la seconda volta ha fatto un fanmix così bello che si meriterebbe una medaglia; grazie ancora per tutto ed in bocca al lupo per i tuoi esami! :D

See ya!
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