Titolo: Don't you want to wear it?
Rating: Giallo
Genere: Comico, Romantico, Slice of life
Personaggi: Anisiya Morozova, Domnika Morozova, Ioann Smirnov, Ivan Morozov, Zorina Morozova
Wordcount: 1779 (
fiumidiparole)
Prompt: Ricatto per la Missione 1 dei Magic Sticks per la
seconda settimana del
COW-T 2 @
maridichallengeNote: Crossdressing, Shonen-ai
Ivan Morozov si svegliò di soprassalto, sobbalzando sul divano. Aveva gli occhi gonfi di sonno e la guancia su cui aveva dormito appoggiato a Ioann Smirnov - ancora beatamente addormentato accanto a lui - era arrossata.
Avevano passato assieme la notte a guardare la tv a casa sua e - com’era ovvio supporre date le circostanze - avevano finito con il dormire sul divano assieme, l’uno addosso all’altro.
«Eh? Cosa... cosa c'è?» chiese il Morozov, guardandosi intorno confuso prima di posare gli occhi sulle tre figure in piedi alla sua destra: le sue tre sorelle lo guardavano sorridendo teneramente, ma in un modo che faceva presagire al ragazzo che ci fossero intenti ben peggiori di quanto potesse pensare dietro quelle dolci apparenze.
«Eeehi, Ivan!»
«Iiivan!».
Ivan Morozov si svegliò di soprassalto, sobbalzando sul divano. Aveva gli occhi gonfi di sonno e la guancia su cui aveva dormito appoggiato a Ioann Smirnov - ancora beatamente addormentato accanto a lui - era arrossata.
Avevano passato assieme la notte a guardare la tv a casa sua e - com’era ovvio supporre date le circostanze - avevano finito con il dormire sul divano assieme, l’uno addosso all’altro.
«Eh? Cosa... cosa c'è?» chiese il Morozov, guardandosi intorno confuso prima di posare gli occhi sulle tre figure in piedi alla sua destra: le sue tre sorelle lo guardavano sorridendo teneramente, ma in un modo che faceva presagire al ragazzo che ci fossero intenti ben peggiori di quanto potesse pensare dietro quelle dolci apparenze.
Anisiya, che era la sorella più grande, gli si avvicinò e si piegò su di lui, pizzicandogli una guancia con inaudita forza.
Ivan iniziò a lacrimare dal dolore.
«Ma che belle guanciotte!» esclamò la ragazza.
Lei era quella più "fisica" nel manifestare le proprie morbose attenzioni nei confronti del fratellino, come dimostravano non solo le tracce di pizzicotti piuttosto violenti sul suo corpo, ma anche la collezione di lividi che il poveretto aveva un po' ovunque. Anisiya era abbastanza forte per essere una femmina. Lo dimostrava anche la sua corporatura discretamente muscolosa. I suoi capelli biondo chiaro e ricci, però, le davano un tocco da pastorella indifesa che strideva nettamente con il suo carattere ed il suo modo di comportarsi.
Ivan era fermamente convinto che lei nutrisse una qualche sorta di affezione morbosa e malata nei suoi confronti, benché si guardasse bene dal rivelarlo ad alta voce.
«Ahiooo!» si lamentò il ragazzo, cercando invano di sottrarsi a quella tortura senza il minimo senso.
«Ivan! Guarda che bel vestitino!» intervenne Zorina, la terzogenita, sorridendo in modo affettato e lezioso al fratello più giovane, mostrandogli un abito bianco pieno di volant e merletti.
I ciuffi ribelli dei suoi capelli biondi, corti e mossi si agitarono lievemente mentre spostava lateralmente il capo, piegandolo sulla spalla.
«Non lo trovi carino?» chiese, il tono che sottintendeva un'ovvia risposta affermativa.
Ivan iniziò a sudare freddo: un vestito del genere, così dannatamente femminile, gli faceva venire i brividi solo a guardarlo. Per esperienza personale, purtroppo, sapeva bene che ogni abito che Zorina gli mostrava sarebbe inevitabilmente finito addosso a lui; tuttavia, era la prima volta che voleva provare a fargli indossare un abito da ragazza.
«N-non lo metto quello!» esclamò Ivan, scuotendo la testa come per rafforzare ulteriormente la propria affermazione: potevano passare smoking, camicie strette, pantacollant e addirittura corsetti, ma quella roba non aveva la minima intenzione di indossarla. La sola vista di tutte quelle trine che pendevano ovunque in strati sovrapposti sulla gonna era inquietante.
«Perché no, Ivan? Saresti così carinooo!» cinguettò Anisiya, mollando la presa sulla guancia del fratellino per stringerlo in un abbraccio tale da spezzare la schiena. Ivan finì col viso affondato nel suo seno prosperoso, rischiando di soffocare.
Cercò di divincolarsi, ma la sua resistenza non servì che ad autoinfliggersi dell’inutile dolore alla spina dorsale.
«Dobbiamo passare alle maniere forti?».
Una terza persona - che fino a quel momento era rimasta silente ad osservare la scena - s’intromise nella conversazione. La secondogenita, Domnika, la quale avanzò verso i tre parenti con fare abbastanza lugubre e malvagio. L’impressione che avesse votato al male la propria anima e la propria mente era accentuata dall’esile corporatura, quasi scarnificata, e dalla bionda chioma liscia e lunga. Sugli occhi portava una folta frangia liscissima, che incombeva sulle pupille azzurre creando ombre sinistre attorno ad esse.
Ivan aveva sempre avuto paura del suo solo modo di apparire. Da bambino temeva di incontrare Domnika in giro per casa come se fosse il mostro cattivo che era riuscito a fuggire dall’armadio.
Quando udì la sua voce, fu immediatamente scosso da un brivido e Anisiya, accorgendosene, si fece da parte per lasciar lavorare la più giovane: aveva imparato che quest’ultima aveva degli ottimi metodi di persuasione nei confronti del loro amato fratellino.
Il giovane Morozov si ritrasse verso il divano, intimorito profondamente dalla presenza sempre più vicina di Domnika. La ragazza indossava un maglioncino a collo alto nero e jeans scuri, in netto contrasto con il colore chiaro dell’incarnato e della capigliatura. L’abbigliamento sembrava voler dare ulteriore mostra del suo spirito malvagio.
Dal suo collo pendeva un filo color ghiaccio in fondo al quale era appeso il suo cellulare argenteo. Era a causa di quell’aggeggio infernale che Ivan aveva fatto alcune delle peggiori cose della sua vita.
Con voce tremante, il giovane esclamò: «N-n-non potete... obbligarmi a m-m-mettere q-quel vestito...!».
«Tu dici?» domandò retoricamente la sua interlocutrice, al che la povera vittima si chiese perché non potesse essere semplicemente lasciato in pace.
Per un momento si diede dell’idiota per l’aver tentato di contraddire la maggiore.
«Molto bene, allora vorrà dire che andrò fino a Mosca dalla mamma e gli dirò di te e Ioann» asserì Domnika sicura di sé.
Ivan sbiancò di colpo: le sue sorelle erano un conto, ma sua madre era tutto un altro paio di maniche. Lei era il peggio.
«C-come?!?!» esclamò il ragazzo a gran voce, atterrito e spaventato.
«Come cosa...? Ivan, perché stai urlando?».
L’interpellato - e non solo lui - si volse verso il lato opposto del divano rispetto alla tragedia che si stava consumando: Ioann si era appena svegliato.
Quest’ultimo si raddrizzò al suo posto, grattandosi la testa stancamente e sbadigliando, prima di guardare i quattro fratelli accanto a sé, i cui occhi erano tutti fissi su di lui.
«C-c’è qualche problema...?» domandò, osservandoli confuso ed un po’ in soggezione.
«N-no, niente di che» mentì Ivan, cercando di nascondere ai suoi occhi l’abito che Zorina ancora reggeva tra le mani quasi fosse un trofeo.
Con un sorriso sprezzante sul volto, Domnika estrasse dalla tasca sinistra dei jeans una fotografia che ritraeva suo fratello e Ioann a letto mentre quest’ultimo si dava da fare per spingere fino all’orgasmo il compagno - il quale aveva le guance arrossate e gli occhi chiusi, ambedue sintomi d’evidente piacere.
Mostrò la foto ai due interessati, esclamando: «Ivan, chissà come ci rimarrà la mamma sapendo che, oltre a stare con il tuo migliore amico, quando fate l’amore lo prendi sempre in culo».
Il ragazzo arrossì fino alla punta dei capelli: perché doveva dirlo in modo tanto volgare ed esplicito quando esistevano altri mille modi per esprimere lo stesso concetto ma in modo meno rude?
Se lo diceva così si sentiva un verme.
Lanciò un’occhiata all’indirizzo del compagno, il quale si strinse nelle spalle con fare colpevole, nonostante non avesse capito fino in fondo la situazione in cui si trovava.
«No, non dirglielo! Non farle vedere quella foto!!» supplicò Ivan, sul punto di mettersi a piangere: possibile che fossero disposte a spingersi fino a tanto pur di torturarlo? Addirittura ricattarlo con una foto sua e di Ioann che avevano scattato di nascosto. Quelle tre non erano esseri umani, erano demoni.
«Allora, se non vuoi che la mamma veda questa foto, sai cosa devi fare... vero, fratellino?».
Il giovane Morozov chinò il capo in segno di resa e Zorina si pronunciò in un acuto gridolino d’entusiasmo.
«Vieni, adesso ti facciamo bello!» esclamò, appoggiando sulla poltrona poco distante l’abito.
Le tre Morozova lo aggredirono letteralmente e, ovviamente, riuscirono a sopraffarlo. Ioann assistette alla denudazione del compagno impotente innanzi alla furia delle sue sorelle.
Lo spettatore si chiese perché Ivan dovesse dare il proprio consenso per subire delle cose del genere quando tutte e tre erano perfettamente consapevoli che l’avrebbero potuto sopraffare senza sforzo. Giunse così alla conclusione che evidentemente ci provavano un gusto tremendo nel mettere in difficoltà il più piccolo.
Quest’ultimo tentò varie volte di sottrarsi alla tortura, ma fu puntualmente bloccato dai ferrei interventi di Anisiya, che non si risparmiò minimamente pur di riuscire a tenerlo buono.
Quand’ebbero finito, Ioann non riuscì a non arrossire e sgranare allibito gli occhi nel vedere in che condizioni era Ivan: il petto era ricoperto di pizzo ovunque, in special modo attorno al ventre, dove formava una sorta di corsetto ricamato e sulla scollatura - ampia ma poco profonda - che mostrava buona parte delle sue spalle.
La gonna arrivava fino alle sue ginocchia ed il tessuto bianco era rivestito da strati sovrapposti di trina sottilissima.
Era evidente dall’espressione della vittima che per lui quell’abito sarebbe dovuto sparire letteralmente dalla faccia della terra, all’istante.
«L’avevo detto che era carino!» commentò Zorina, battendo entusiasticamente le mani.
«Bene, l’ho messo. Adesso...»
«Non osare togliertelo, altrimenti spedisco la foto alla mamma!» intervenne Domnika, bloccando sul nascere le parole di Ivan, il quale si zittì di colpo, abbassando gli occhi ed inchiodandoli al pavimento. Si trovava a disagio in quell’indumento e non vedeva l’ora di toglierlo.
«Ioann, come ti sembra?» proseguì Anisiya, rivolgendogli la parola per la prima volta dacché era sveglio.
Quest’ultimo tacque qualche attimo, esaminando il ragazzo, il quale - nel sentirlo chiamare in causa - aveva alzato lo sguardo dal suolo per fissarlo sul suo viso.
Lo Smirnov arrossì fino alle orecchie mentre, alla fine della sua analisi, si pronunciava in un imbarazzato: «È... carino. Molto».
Sapeva bene che Ivan sarebbe stato colpito nel profondo dall’affermazione; tuttavia non era riuscito a mentire: quell’abito, per quanto gli desse un tocco inequivocabilmente femminile, lo faceva sembrare più candido ed innocente di quanto già non fosse in sé e per sé ai suoi occhi.
«Sei bello» aggiunse.
Ivan si sentì sull’orlo di un precipizio, pronto a buttarsi nel vuoto: lo trovava seriamente bello con quella cosa da femmine addosso?!
Avvertì il suo orgoglio di maschio sprofondare chilometri sotto la superficie terrestre.
«Visto? Anche lui la pensa così!» intervenne Zorina.
Il Morozov strinse tra le dita uno dei pezzi di trina, mentre borbottava: «M-ma è da ragazza...».
Si vergognava terribilmente a stare abbigliato in quella maniera, ma voleva sapere se veramente il suo partner lo trovava attraente vestito così. In fondo, badare a sciocchezze come il dare un colpo in più o in meno alla sua virilità, a quel punto, che senso aveva?
Ioann si alzò e gli andò vicino, posandogli le mani sui fianchi e attirandolo a sé.
«Anche se è da ragazza sei carino comunque... e non vuol dire che hai un fascino femminile...» replicò, prima di posargli le labbra sulla bocca, baciandolo.
Gli morse delicatamente le labbra, fatto che spinse Ivan a lasciar andare la gonna per stringere le braccia attorno a lui, intensificando ed approfondendo il contatto delle loro bocche.
«Ooohw, ma che teneri!» commentò Anisiya, mentre Domnika si metteva all’opera con il suo cellulare, pronta a cavar fuori dalla situazione un altro set di scatti da utilizzare a propria discrezione in futuro.
«Stai scattando, vero Nika?» chiese Zorina alla più grande, senza riuscire a staccare gli occhi dalla scena in corso.
«Ovviamente» replicò questa, quasi infastidita da quell’apparente mancanza di fiducia in lei.
«Dopo mi mandi una copia di tutte? Sono così adorabili...!»
«D’accordo» convenne la fotografa «Comunque, avevi ragione: ricattarlo per fargli mettere quel vestito è stata una buona idea. Con queste foto l’avremo in pugno per anni. No, anzi... per il resto della sua vita».