Titolo: I francesi cantano, gli italiani piangono
Fandom: Hetalia
Personaggi: Francia/Fem!Sud Italia, Nonno Roma, Un po' tutti
Rating: SAFE
Capitoli: 1 |
2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13
Parole: 1000/?
Prompt: Tempo + 1k del
COW-T #4 di
Maridichallenge.
Genere: Slice of life, Storico, Generale
Note: Per il
ChaCha di
Fiumidiparole.
Sto riscrivendo una vecchia fanfiction mai conclusa. Non scrivo più di Fem!S. Italia da diversi anni, quindi spero di riuscire a renderla decentemente. qvq
I capitoli dovrebbero essere 13, se in corso d'opera non decido di aggiungere altri periodi storici.
Riassunto: Ogni capitolo rappresenta un periodo storico in cui la Francia e il Sud Italia sono entrati in contatto, mostrando così l'evoluzione del loro rapporto.
Disclaimer: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla.
Il primo incontro
121 a.C.
Roma mira alla Gallia ormai da diversi anni. Sicuri del sostegno degli Edui, una popolazione celtica con lo status di «fratres populi Romani», iniziano la loro campagna di conquista della regione, che si concluderà nel 121 a.C. con la nascita della provincia romana della Gallia Narborense.
« Nonno, dove vai? » Uno scalpiticcio di piccoli piedi scalzi e il fruscio di vesti leggere accompagnò la domanda. La bambina trotterellava dietro una figura alta e ben piazzata, cercando di non essere lasciata troppo indietro.
« A conquistare nuove terre, piccola mia. » L'uomo sapeva che la bambina adorava quando le dava simili notizie. Infatti lei accellerò il passo, prendendolo per pamo, per farsi raccontare tutto ciò che riguardava quei luoghi sconosciuti. Amava incontrre persone nuove, nuove abitudini e tradizioni. Sapeva, inoltre, che l'annessioni di altri territori avrebbe reso il nonno ancora più grande e potente e temuto in ogni angolo del mondo. Mise il broncio, ricordandosi che quelle magnifiche avventure erano a lei precluse e guardò verso l'alto, aprendo la boccuccia per formulare la solita domanda, ma fu fermata.
« Questa volta ti andrebbe di venire con me? » Gli occhi le si illuminarono e cominciò a saltellare, felice, il broncio abbandonato chissà dove. Per tanti anni aveva chiesto di poter accompagnare il nonno nei suoi viaggi e, finalmente, le sue richieste erano state esaudite.
Negli ultimi giorni aveva sentito parlare di terre barbare e pericolose, al nord della regione di sua sorella, e aveva udito le lamentele dei soldati, che dovevano recarvisi. Saltellava, in giro per i propri appartamenti, preparando i bagagli, mentre ripensava con pura gioia a quei terribili racconti, che accrescevano sempre di più la sua emozione.
Non era come se l'era immaginato.
La guerra, il nonno, la popolazione, il territorio, nulla. Era tutto più intenso e reale. C'era sangue, sangue ovunque, misto a fango; ogni cosa era pregna di quell'odore metallico, che fin da subito le aveva dato la nausea. Le si torcevano le budella nel vedere i soldati che tornavano dagli attacchi pieni di ferite, delle volte persino sena degli arti. Senza parlare di tutti quegli uomini con cui chiacchierava e mangiava, che un giorno c'erano e quello dopo nessuno poteva dirlo. Non riusciva a dormire, in parte per gli incubi che la tormentavano da quando aveva messo piede nell'accampamento, in parte perché ad ogni ora, anche quando la luna era all'apice del suo percorso, c'era la possibilità di dover impugnare le armi e combattere. Non lei, ovviamente, ma l'agitazione e la tensione altrui le sentiva come proprie. Non aveva più forze, nemmeno per mangiare o per correre da una parte all'altra, curiosa, come aveva fatto i primi tempi. Vedere il nonno sempre spossato e serio, ad ogni ora del giorno e della notte, la preoccupava; c'era una luce, una mai vista prima, nei suoi occhi che la terrorizzava. Era emaciata e spesso tremava, ma non per il freddo, era qualcosa di più profondo che le attanagliava le viscere.
Aveva preso l'abitudine di fuggire da quel luogo di paura, ogniqualvolta c'erano giornate tranquille. Aveva trovato una piccola radura, abbastanza distante dalla castra perché non vi giungessero gli odori che la impregnavano, il clangore delle armi e le urla dei soldati, ma abastanza vicina perché in caso di pericolo vi potesse tornare con una certa rapidità. Passava il tempo giocando, come era abituataa fare nelle sue stanze, con quelle poche bambole che si era portata dietro. Rimpiangeva amaramente la decisione di portarne un numero ristretto, nonostante normalmente non ci giocasse. Aveva sperato invano di imparare ad unsare la spada e l'arco, ma non le avevano permesso di avvicinarsi nemmeno ad un pugnale. Ogni tanto le lasciavano una spadina di legno, per accontentare i suoi capricci, ma nessuno aveva il tempo di seguirla ed insegnarle la tecnica. Non era questo che si era aspettata di fare e di trovare 'in battaglia con il nonno'.
La primavera era ormai giunta da tempo e il campo in cui si trovava era ricoperto da tanti fiorellini, che contribuivano a rendere quel posto magico e ad isolarlo dalla caotica vita dell'accampamento. Stava giusto cogliendo alcune margheritine, per sistemarle tra i capelli delle sue bambole, quando, alzando lo sguardo, notò qualcuno nascosto dietro uno degli alberi al limitare della radura. Rimase immobile, esitante, non sapendo cosa fare. Il cervello le diceva di voltarsi e correre il più velocemente possibile verso l'accampamento ed avvisare i soldati, ma il suo istinto l'assicurava che non c'era nulla da temere. Mosse un passo, verso l'albero, e vide il ragazzo fare capolino da dietro la corteccia, impaurito anche lui.
Aveva i capelli biondo cenere lunghi fin poco sopra le spalle e leggermente mossi, i vestiti erano lerci ed in parte rovinati, sembrava affamato, oltre che superficialmente ferito. A guardarlo bene doveva avere solo un paio d'anni più di lei. Sorrise, incerta, sperando che l'altro non tentasse di ucciderla, avanzando di un altro passo.
« Chi sei? » Chiese rimandendo a distanza di sicurezza; si scostò una ciocca di capelli dal volto. Per quanto normalmente si fidasse del proprio istinto, in quell'occasione avevsa solo in mente le parole del nonno che in continuazione le ripeteva di non fidarsi degli estranei, soprattutto di quelli che avrebbe potuto incontrare in quelle terre. Il ragazzo biondo si sporse magiormente dal proprio nascondiglio, osservandola dritto negli occhi; uno sguardo che sembrava quasi minaccioso. Poi si voltò, guardandosi intorno, come per controllare la radura ed assicurarsi che non ci fossero altre persone.
« Non c'è nessuno qui, siamo soli. »
Sembrò improvvisamente rilassarsi, come se tutti i mali del mondo fossero appena stati rinchiusi in un luogo lontano, come se non ci fosse nessuna guerra dietro l'angole e come se loro non fossero di schieramenti diversi - presumibilmente, visto che lei era l'unica bambina in quell'accampamento e lui non indossava abiti tipici romani, anzi, non aveva mai visto nulla di simile -. Lui avanzò qualche passo, rimanendo sempre vicino al limitare del bosco, con gli angoli della bocca che pian piano si sollevavano in un calmo sorriso.
« Mi chiamo François. »