Titolo: On Your Knees, Boy
Serie:
You Taste Like SinFandom: Heroes
Personaggi: Sylar, OFC [menzione di Mohinder, dell'Haitiano, e altri]
Pairing: Sylar/OFC
Rating: R (linguaggio più che altro)
Parole: 3731 (W)
Prompt: Estranei
Warnings: One-Shot, angst e acida stronzaggine gratuita, POV alternati.
EFP:
LINK.Riassunto: Sylar finisce in un locale alla ricerca di una sua potenziale vittima, ma la cose non vanno come previsto. Anzi.
Tabella:
TABELLA. Note.
- Perché sì, mi faccio troppo influenzare dai libri che leggo, e avevo voglia di provare i pov alternati.
- Ho intenzione di farne una serie, così da potermi inventare una pseudo trama senza tuttavia cadere nell'inghippo di una long-fic a capitoli (che detesto, ecco).
- Lei è di mia pseudo-diciamo-invenzione. La faccia è quella di Melissa George, perché è gnocca, stronza e perché la amo.
- La cosa è dedicata ad
elivi per due motivi: 1) perché i riferimenti li capirà solo lei, 2) perché ora DISEGNA! Disegna, Eli, disegna.
- No, nient'altro. Auguri a chi è abbastanza coraggioso per mettersi a leggerla!
On Your Knees, Boy.
Questa musica fa schifo. Il locale fa schifo. La gente che c'è... pure quella fa schifo.
Mi rigiro il solito foglietto spiegazzato in una mano. Non un nome... non un recapito.
Soltanto il nome di questo posto orrendo, sperso chissà dove nel bel mezzo di Brooklyn.
Neanche mi ricordo come diavolo ho fatto ad arrivarci.
Trattengo a stento un'imprecazione, mentre il barman oltre il bancone mi chiede per l'ennesima volta se ciò che ho ordinato è di mio gradimento.
Lancio l'ennesima occhiata al cocktail verdastro dal nome impossibile che ho finito per prendere. Non ho intenzione di berne una sola goccia, ma chiedere un bicchier d'acqua avrebbe attirato fin troppo l'attenzione.
E non è di un pubblico che ho bisogno al momento.
Soltanto di trovarlo. Trovarlo, e fare quello che devo fare. Perché il suo dono, nelle mie mani, diventerà immensamente più prezioso. Perché è di questo che si tratta, no? Sottrarre un tesoro, per poterne fare un uso migliore.
Ed io no... no, non chiedo altro.
Se solo riuscissi a tenere sotto controllo il superudito di Dale... Cristo, sarebbe perfetto.
*
Mark continua a parlare con quella sua voce stridula. Non smetterò mai di dire quanto quel tono non si addica né alla faccia, né tantomeno alle enormi spalle che si ritrova. Gioca a football, Mark, e scopa da dio. Certo, se parlasse meno, lo apprezzerei un po' di più. La parlantina, non è un pregio che amo negli uomini. Meno parlano e meglio è. Sono così banali e sciatti, che a volte vorrei poterli zittire solo con un cenno della mano. Averli totalmente sotto il mio personalissimo controllo.
Sono convinta che sarebbe un mondo migliore. Un mondo in cui gli uomini - e ovviamente mi riferisco agli essermi umani di sesso maschile, non generalizzo - non dicono stronzate. Il paradiso.
Sospiro perfettamente udibile, passandomi una mano sul vestito aderente che indosso.
La mano di Mark è sempre lì, tra le mie cosce. Si eccita per le cose più stupide, e pretende di coinvolgermi nelle sue fantasie erotiche.
Mi coglie lo sconforto più totale quando la verità universale mi colpisce per la triliardesima volta con altrettanta intensità: è un perfetto idiota.
Lo allontano con un strattone deciso con la scusa che voglio andare a prendermi da bere.
Mi fa notare che il mio cocktail è ancora lì, nel mio bicchiere, intatto.
Caipiroska alla fragola. Quel barman del cazzo ci ha messo troppo alcool, al solito.
Sono sempre troppo convinti che una donna ubriaca equivalga ad un buono omaggio per una notte di sesso sfrenato.
Come se fossimo una manica di povere folli frustrate. Stronzi.
Finisco la mia bevuta in un sorso solo, riappoggiando il bicchiere sul tavolo. Mi divincolo dalla sua presa, afferro la mia pochette e mi allontano rapidamente in direzione del bancone. So che non mi seguirà: è troppo sbronzo anche solo per ricordarsi come diavolo si chiama.
*
Mi copro le orecchie con entrambe le mani, quando il volume della musica si fa insistente. Sento i timpani vibrare violentemente. Credevo di saper tenere sotto controllo ciascuna delle abilità di cui mi sono impadronito. Ma forse... forse non per troppo tempo, non così a lungo...
La voce del barman mi riporta alla realtà. Mi chiede se è tutto okay e se ho bisogno di qualcosa. Vorrei sapere se tutti i barman della città si atteggiano a crocerossine, o se mi sono beccato l'unico esemplare dell'intero paese.
Gli faccio cenno di lasciar perdere con un vago gesto della mano. Mi riavvicino il mio drink, e fingo interesse per la folla accalcata sulla pista da ballo.
Eppure non vedo nessuna persona che possa definire speciale. Speciale.
Dio... no. No.
Mi maledico solo per aver pensato il suo nome. Per averlo invocato.
Avverto un brivido freddo corrermi lungo la spina dorsale, mentre una paura che mi illudo di aver dimenticato, ritorna a farmi visita.
Le conosco tutte a memoria quelle frasi. E' stata lei... lei ad insegnarmele, affinché non fossi mai da solo: il Signore mi avrebbe accompagnato ovunque.
Soltanto in questo momento mi rendo conto di quanto fastidiosa sia una compagnia del genere.
E' soltanto un attimo, e poi il volume della musica si abbassa di colpo.
Tiro un sospiro di sollievo. Inconsciamente. Torno a prestare attenzione a chi sta ballando. Nessuno sembra preoccuparsi, nessuno pare sul punto di protestare per quel calo improvviso.
E' una sensazione strana quella che provo fissandoli. Non sono giovani. Non sono vecchi. Qualunque cosa siano mi sento tagliato fuori, come se li stessi guardando attraverso il vetro di una gabbia in uno zoo. Io sono lo spettatore... loro sono i prigionieri incoscienti, tenuti in vita per pura attrattiva, per puro intrattenimento, in cattività.
Prendo il mio cocktail decidendo di assaggiarne almeno un sorso. Mi volto per poter recuperare il bicchiere. Lo sgabello gira su se stesso, e solo allora mi rendo conto - nel caotico andirivieni del bar del locale - di una persona comparsa al mio fianco.
Sembra esile. E' bionda.
Non so perché coglie la mia attenzione. Penso sia per l'enorme fiore giallo che ha appuntato tra i capelli. Trovo che sia ridicolo.
Ha le gambe scoperte, e le scarpe alte, strette alle caviglie.
Faccio schioccare la lingua con un gran fracasso... o almeno... penso di poterlo sentire, quel rumore - ma il mio udito sembra improvvisamente troppo debole, troppo normale per poter cogliere una vibrazione così poco intensa.
*
Mi approprio del primo sgabello libero che trovo, arrampicandomici sopra.
Cerco di non scoprire le gambe più del dovuto. So badare a me stessa, ma i maniaci sessuali spuntano fuori come funghi, al giorno d'oggi, e una non può proprio tenere il passo.
Sospiro con fare piuttosto teatrale, mentre un barman dall'aria simpatica mi si rivolge per chiedermi cos'è che vorrei bere. Il sapore dolciastro della fragola continua a riempirmi la bocca. Voglio qualcosa d'amaro, o diventerò diabetica.
Il pensiero mi fa rabbrividire. Chiedo una lista su cui poter scegliere, magari provare qualcosa di nuovo - sono stanca dei soliti drink. Sono tentata di chiedergli qualcosa a sua discrezione, una sorpresa. E' piuttosto giovane e ha l'aria un po' svampita. Magari è gay. Non me ne stupirei. La camicia nera gli si apre fino a metà petto. Lo troverei quasi eccitante se non avesse la faccia a sbarbatello. Forse è troppo piccolo persino per una come me. Abbandono seduta stante l'idea di portarmelo nel retro per insegnargli com'è che va il mondo. Aspetto che la mia musa venga a suggerirmi che razza di cocktail ordinare, quando un bicchiere riempito di liquido verde attira la mia attenzione.
- Cos'è?
Chiedo, interpellando alla cieca il proprietario del bicchiere.
Sollevo lo sguardo sul malcapitato, storcendo visibilmente il naso al suo abbigliamento.
Nessuno gliel'ha detto che quella roba è passata di moda da almeno un paio di secoli? Che diavolo di lavoro fa? L'inquisitore spagnolo?
Mi pento amaramente di avergli rivolto la parola, ma ormai il danno è fatto, giusto?
*
Sussulto soltanto quando mi rivolge la parola. La fisso per qualche istante, senza quasi rendermene conto. Perché non sento niente? Avverto distintamente un'ondata di panico assalirmi senza alcun preavviso. E' una sensazione fin troppo familiare, che mi riporta in quel capannone perso chissà dove - il fetore del cranio aperto di quella Candice ancora nel mio naso. Cristo, che tanfo.
Sbatto per un paio di volte le palpebre, prima di decidermi a risponderle.
Vorrei alzarmi e andarmene senza nemmeno aprir bocca.
E lo farei se non ci fosse qualcosa di strano in questa situazione... qualcosa che non mi convince affatto.
- Non lo so.
Finisco per dire. E' vero. Non ne ho proprio idea.
Non tento nemmeno un sorriso. Guardo il bicchiere, sperando di farlo cadere oltre il bancone con un solo sguardo. La telecinesi è il primo dei poteri che sono riuscito ad acquisire...
*
Inarco un sopracciglio, evidentemente perplessa. Come fa a non sapere che sta bevendo?
Penso che è un disadattato. Un asociale. Non ci vuole molto per capirlo. L'abbigliamento, persino i capelli urlano "sono povero e solo". Mi viene da ridere solo al pensiero. Ha la barba sfatta di un paio di giorni. Credo sia l'unica cosa che gli dia un'aria anche solo lontanamente presentabile. Ha una luce strana negli occhi, e l'aria perenne di chi vive con la testa da tutt'altra parte.
Magari è autistico?
Seguo la direzione del suo sguardo. Sta fissando il suo bicchiere... che diavolo ha intenzione di fare? Farlo esplodere solo con la forza del pensiero?
Non so perché, ma mi viene da ridere.
Forse sono solo un po' alticcia. Mark ancora non s'è visto.
L'uomo solleva lo sguardo su di me e c'è qualcosa di totalmente sbagliato nel modo in cui mi guarda. Ha dei grandi occhi neri e penetranti.
Se non sembrasse un patito dei videogames penserei che abbia voglia di violentarmi o qualcosa del genere.
*
Non si muove. Il bicchiere non si muove.
Per quale dannatissimo motivo non lo fa? Che diavolo sta succedendo?!
Non... non è possibile. C-come diavolo -
Mi volto per poterla guardare, come se in realtà non potessi vederla.
Un solo, unico pensiero mi martella insistentemente nella testa: non funzionano.
I poteri... non funzionano.
*
- Sicuro di star bene?
Mi azzardo a chiedergli. Ho voglia di poggiargli una mano su un braccio e scuoterlo.
Mi piace il modo in cui mi guarda. E' come se... no. No, non lo so.
Sembra pericoloso e inoffensivo allo stesso tempo. Sono profondamente convinta che gli uomini vanno saputi prendere nel modo giusto. Mi crogiolo nella mia convinzione, e sorrido appena, pretendendo di apparire incoraggiante.
Appoggio un piede sul trespolo del suo sgabello, avvicinandomi appena.
Prima che me ne possa rendere conto, sto facendo quello che mi riesce meglio: tento di sedurlo.
E no, non sono abituata a fare buchi nell'acqua, io.
Mark aspetterà. Può anche sparire per quanto mi riguarda. Il fatto che sia arrivata a preferire un disadattato ad un giocatore di football tutto muscoli e niente cervello, la dice lunga.
Non porto rancore, non amo il passato, né prossimo, né tantomeno remoto.
*
Rimango immobile per un secondo che pare un'eternità.
Salto giù dallo sgabello, ignorandola completamente. Ha un'aria estremamente fastidiosa. E... merda, non mi interessa!
Devo uscire da questo posto e capire cos'è che non va. Cercare Suresh se sarà necessario. Maledico ognuno dei presenti, catapultandomi fuori da quel locale schifoso.
Quando esco all'aria fresca e etilica della notte newyorkese, mi sento già meglio.
C'è un accendino arancione per terra.
Mi guardo attorno prima di aprire la mano, rivolgendone il palmo verso l'alto.
Muovo le dita verso di me, chiamando l'oggetto.
Lo vedo schizzare rapidamente in direzione della mia mano. Stringo il pugno, sicuro di averlo afferrato.
E' un attimo... acchiappo l'aria e l'accendino cade a terra, proprio di fronte a me.
Inorridisco.
Dei passi.
Rumore di tacchi alle mie spalle.
*
Resto decisamente interdetta quando lo vedo sparire tra la folla. Possibile che l'abbia spaventato? L'idea che abbia vissuto nella foresta assieme alle scimmie fino a questo momento mi passa per la testa. Per un secondo mi sembra una spiegazione piuttosto plausibile, ma poi mi ricordo dello sguardo che mi ha rivolto. Sembrava quasi... affamato. Dio, lo so che dovrei smetterla di perdermi in certe elucubrazioni senza senso.
Forse ha ragione Leslie quando mi dà della ninfomane. Detto da una puttana, comunque, non mi fa alcun effetto.
Mi giustifico così e non ci penso più.
Ci vogliono solo un paio di secondi perché mi renda conto che un uomo mi è appena scappato da sotto al naso.
Faccio schioccare la lingua. Afferro il cocktail verdastro, scendo dallo sgabello e lo inseguo fuori dal locale.
Spintono un paio di tizi, serrando la presa sulla mia borsetta stretta sotto al braccio.
Tengo alto il bicchiere, e esco per strada.
Mi ritrovo a fissare un accendino che vola a mezz'aria per un paio di secondi, prima di cadere a terra.
Davanti a me, di spalle, il disadattato, con la mano tesa verso il niente.
E' pazzo. Folle. Uno psicotico.
Se non mi venisse da ridere chiamerei la neuro.
E poi... si volta verso di me. E il sorriso svanisce dalle mie labbra, trasformandosi in una smorfia.
*
- Tu.
Mi volto, ma so già chi aspettarmi. Ho capito. L'ho capito... soltanto adesso.
Non è colpa mia, né delle mie abilità... è colpa sua.
Conosco solo un'altra persona con un potere del genere.
Ma l'Haitiano è alto due metri, è scuro e ha due spalle enormi. Non apre mai bocca e ha sempre la stessa espressione sulla faccia. E' inattaccabile. Qualsiasi abilità nel raggio di metri si annulla completamente nella sua, e lui è al sicuro. Al sicuro da qualsiasi mutazione genetica.
Lei è lì, col mio drink, e mi guarda.
Non ha niente a che fare con quella montagna che lavora con Bennet, ma l'idea che sia altrettanto a prova di potere mi dà alla testa.
Il profumo del successo è dannatamente inebriante. E riesco a sentirlo... di già.
Posso spaccarle la testa così come ho fatto con Candice.
Non è nel mio stile sporcarmi le mani, ma non ho intenzione di fermarmi davanti ad un po' di sangue... non quando la posta in gioco è così alta.
*
- Io?
Gli faccio eco.
- Sei sicuro di star bene?
Insisto, senza riuscire a nascondere una vena di pura derisione nella voce.
E' ridicolo. Mi sta fissando come se fossi un gorilla albino in mostra allo zoo di New York.
Mi verrebbe quasi da ridere se solo non mi fossi paragonata ad uno scimmione.
*
- Mai stato meglio.
Assicuro a mezza voce.
*
Mi dà una conferma, ma non riesco a tranquillizzarmi comunque. E' assorto. Potrei quasi sentire gli ingranaggi del suo cervello lavorare in perfetta sincronia gli uni con gli altri. Certo mi piacerebbe sapere a cos'è che sta pensando...
Reclino il capo di lato, scoccandogli un'occhiata strana. Mi basta convincerlo di essere perfettamente a mio agio.
E' innocuo.
*
Rimane immobile.
Devo soltanto... attirarla nel vicolo e tapparle la bocca. Ho un coltello con me, non mi ci vorrà poi tanto per aprirle la testa. Sorrido, pregustandomi la cosa.
Poter annullare qualsiasi potere... Petrelli, la cheerleader... tutti nelle mie mani.
Onnipotenza.
Non ho mai desiderato nient'altro. Nient'altro.
Mai.
L'avvicino, ora animato da un nuovo obbiettivo.
E' lei... lei il recapito. Le mie informazioni non erano poi così inutili, in fondo.
Le sorrido così come mi viene, allungando una mano per accarezzarle i capelli biondi.
Sono incredibilmente morbidi... mi sorprendo di sentirli così vellutati al tatto.
Scorrono tra le mie dita come fili di seta.
- Com'è che ti chiami?
Chiedo, dando voce ad una parte di me che non amo particolarmente, ma che c'è.
C'è sempre.
Con Maya, penso, ha funzionato piuttosto bene.
*
Ha cambiato di nuovo espressione. Prima che me ne possa rendere conto, è lui che sta tentando di sedurre me. Il disadattato di qualche secondo fa, ha lasciato il posto ad un uomo... un uomo... non -
Resto decisamente interdetta. Avvampo prima di potermene rendere conto, sento lo stomaco stringersi di colpo.
Mi porto il bicchiere alle labbra, finendo il suo cocktail in un sorso solo.
E' il secondo stasera. Deformo il viso in un'espressione schifata, mentre un saporaccio di menta, lime e chissà che altro mi invade la bocca. Butto il bicchiere di plastica nel cestino di fianco all'uscita del locale.
- Non te l'ho detto.
Gli faccio notare, senza sottrarmi al tocco delle sue mani.
E' come se volesse mangiarmi la faccia solo con gli occhi... è calamitante, magnetico.
Mi rendo conto di aver commesso un enorme errore di valutazione.
*
- Bè?
Insisto.
- Te lo sto chiedendo.
*
- L'avevo capito, tante grazie.
Non mi piace il suo tono di voce. E' dannatamente pieno di sé. Glielo leggo in faccia. Vuole che caschi ai suoi piedi chiamando il suo nome.
Patetico.
- Non credo di volertelo dire.
Puntualizzo subito dopo.
Io non corro dietro a nessuno.
*
La sua voce è stizzita. Mi fa sussultare. Prima che possa recepire il messaggio, la donna mi dà le spalle, e inforca la prima stradina che trova.
La mia abilità se ne sta andando... assieme al successo che mi merito.
Sono all'asciutto da troppo, troppo tempo. L'astinenza mi uccide.
Sono certo che il mio DNA possa sopportare qualche altro cambiamento prima di portarmi dritto dritto alla follia.
Perché se è questa la pazzia, allora voglio essere pazzo.
*
Cammino rapidamente. So che mi seguirà. Lo conosco quello sguardo.
Sollevo il mento, e mi passo una mano sulle labbra, prima di sentirmi afferrare per un polso e strattonare violentemente all'indietro.
*
- Voglio saperlo.
Specifico, serrando follemente la presa sulla sua mano.
Penso, irrazionalmente, di voler sentire le sue grida, avere le sue urla a riempirmi le orecchie.
*
Lo fisso sbalordita. Che diavolo...
- E io non voglio dirtelo.
La borsa mi cade per terra all'ennesimo strattone.
Grandioso. Ci mancava soltanto lo stupratore asociale. Mi maledico mentalmente, chinandomi per poter raccogliere la mia pochette.
- Lasciami andare.
*
- No.
Non la lascio andare. Mi stupisco persino che me lo stia chiedendo.
L'afferro anche per l'altra mano, spingendola all'indietro, lasciando che il buio del vicolo finisca per inghiottire entrambi.
La strattono a ridosso del muro, mentre la sua dannatissima borsa cade di nuovo, dritta in una pozza.
Sento il suo cuore batterle furiosamente nel petto. Non è il superudito che me lo permette... è il mio corpo schiacciato contro al suo. La sento fremere, ma non ha paura.
Mi sembra assurdo. Come fa a non avere paura? Che -
*
Un gemito mi sfugge dalle labbra non appena sento la schiena aderire alla parete di mattoni.
Ho una gran voglia di prenderlo a calci, ma la distanza che c'è tra noi è talmente ridotta da impedirmi un qualsiasi movimento.
Ha un odore strano. Aspro, forse. Non usa il dopobarba, né il profumo... è -
- Bravo, guarda che hai fatto.
Faccio notare perfidamente, indicando la borsetta nella pozza.
Bastardo. Se solo mi lasciasse andare i polsi...
*
- Bravo? Ma se non ho nemmeno cominciato.
Mi esce di bocca prima ancora che possa rendermene conto.
*
- Ah ma davvero?
Chiedo colpita. Dannato stronzo.
*
- Guarda e impara...
*
Vorrei ridergli in faccia.
- L'impazienza mi sta uccidendo.
Non so perché non mi metto ad urlare. E' come se... sapessi di poter gestire la situazione senza problemi. Senza intoppi. Posso piegarlo al mio volere come e quando voglio. Non mi fa paura.
Se fosse un violentatore mi avrebbe tappato la bocca e puntato un coltello alla gola.
Questo è soltanto pazzo. Un pazzo affascinante, devo ammetterlo, ma niente più.
Lo vedo affondare le mani nelle tasche della giacca.
- Oh mio Dio.
Stavolta rido. Rido sul serio.
- Ti sei portato addirittura i contraccettivi dietro? Sono ammirata.
*
Contraccettivi? Si è bevuta il cervello.
Cerco disperatamente il coltello che devo avere da qualche parte.
Ne sfioro finalmente il manico, cantando mentalmente vittoria, ma -
*
E' distratto. Mi divincolo in fretta e furia, invertendo rapidamente le posizioni.
Lo schiaccio alla parete, spingendogli le mani contro il muro.
*
Sgrano gli occhi. Ha una forza disumana. Com'è possibile che la fatica non le deformi nemmeno il viso? Come -
*
Gli libero un polso, scendendo ad occuparmi dei suoi pantaloni con la mano libera.
Stringo la presa con decisione, cercando di sganciargli il bottone e poi la cerniera.
- Così?
Chiedo con aria di sfida.
- Era questo che avevi in mente?
Domando ancora, sentendo un'euforia fin troppo familiare riempirmi lo stomaco e farmi tremare le mani.
I suoi occhi sono così... neri.
Sorrido tra me e me.
*
Che sta -
*
Mi faccio strada tra i suoi vestiti con le dita, sentendolo rabbrividire contro di me.
E' terribilmente buffo con quell'espressione sul viso.
Eppure lo so cosa sta pensando... vuole che lo faccia. E' scritto proprio là, sul suo volto.
*
Sento il basso ventro andare completamente a fuoco, mentre un brivido d'eccitazione si impossessa furiosamente di me. Oh... lo sento... lo sento il mio corpo, rispondere.
Non è qualcosa a cui sono... abituato, ma C-Cristo -
*
- Andiamo, potresti chiedermelo, almeno.
*
Chiederle cosa? Di farmi ricordare come diavolo ci si sente?
Mi sta... umiliando. Le riesce... le riesce perfettamente.
*
- Allora?
Ha cambiato di nuovo espressione. Mi chino di più sulle ginocchia, in caso non abbia colto le mie intenzioni.
Sa quante volte l'ho fatto? Ne ha una minima idea?
Sembra soltanto inoffensivo adesso. Come se volesse sparire da un momento all'altro.
Trattengo un lamento, sentendomi afferrare violentemente per i capelli.
Cazzo.
*
- Va' via.
Sibilo a denti stretti, strattonandola per la chioma bionda. L'insensato bisogno di farle male... voglio sentirla urlare, di nuovo.
Ma non oggi. Non stasera.
*
- Mollami.
Ordino perentoriamente.
Per chi mi hai preso? Per la troietta di turno?
*
Puttana. In questo momento quasi mi manca quell'espressione idiota di Maya quando mi guardava. Com'è possibile che -
La lascio andare, e si rimette in piedi.
Mi si avvicina, quasi respira sulla mia bocca.
Mi guarda come se volesse lanciarmi una qualche sfida all'ultimo sangue.
Sembra sul punto di parlare, ma non le presto attenzione.
Voglio soltanto che sparisca.
*
Faccio schioccare la lingua praticamente sul suo viso.
Gli sorrido, con la mia solita sfacciataggine.
- Come preferisci.
Vuole uccidermi.
Lo so.
Mi odia.
Trovo la cosa estremamente divertente. Mi chino per riprendere la mia borsetta mezza infradiciata.
- Tu spera che non mi sia andato in tilt il cellulare.
Lo metto in guardia senza nemmeno fermarmi a controllare. Mi dò una sistematina ai capelli, voltandomi per poter individuare Mark all'entrata. Deve aver recuperato un paio di pasticche. Glielo leggo in faccia. Sembra un bambino che si è appena svegliato all'alba la mattina di Natale. Che schifo.
- Bè, tanti saluti.
Taglio corto e mi allontano rapidamente, raggiungendo il mio deludente cavaliere.
Spero che abbia almeno voglia di fare un paio di salti - detesto lasciare le cose a metà.
*
Mi rimetto rapidamente in sesto. Man mano che si allontana sento l'udito tornare quello di sempre, e tutti i miei poteri rafforzarsi.
Devo ritrovarla. Ritrovarla e ucciderla. Strapparle quell'abilità di dosso.
Mi maledico non appena l'idea di strapparle anche i vestiti mi balena nella testa.
Faccio una smorfia. Ho bisogno di una doccia fredda.
La pozza ai miei piedi attira la mia attenzione.
Le deve essere caduto dai capelli quando le ho ordinato di andarsene.
Chiamo a me quel fiore giallo.
Noto con disappunto che è sintetico... non so che diavolo mi aspettassi.
Me lo rigiro tra le mani, cercando di farmi venire in mente un modo per ritrovarla.
Solo in quel momento mi rendo conto di non sapere nemmeno il suo nome.