HEROES/ALIAS - "Ugly Like Me" (Sylar/Lauren)

Apr 29, 2009 02:18

Titolo: Ugly Like Me
Beta: elivi
Fandom: (CROSSOVER) Heroes/Alias
Personaggi: Sylar, Lauren Reed
Pairing: Sylar/Lauren
Rating: R+
Parole: 2829 (W)
Warnings: AU, One-Shot, Crossover
EFP: LINK.
Riassunto: Lei era la sua unica ancora di salvezza. Gli ricordava perché lo faceva, cosa voleva e come. Avrebbe potuto cambiare faccia milioni di volte, ma lei gli avrebbe rammentato esattamente chi era, in quel suo modo perverso, ma l'avrebbe fatto.


Note.
- Grazie ad elivi per l'aiuto! Psicologico, beta-reader, beta-qualsiasi cosa XD
- Questa fic partecipa alla V Disfida di Criticoni, per il bando Erotico. La tematica era caffè.
- Si colloca più o meno all'altezza della 3x24 I Am Sylar, visto che si fanno vari accenni all'abilità da shapeshifter che ha acquisito poco prima.
- Penso non ci sia da dire nient'altro oO A parte che è stata buttata giù un giorno prima per disperazione XD Quindi non è un granché! Ispirazione bastarda ù_ù






Ugly Like Me

But I'm on the outside
And I'm looking in
I can see through you
See your true colors
'Cause inside you're ugly
You're ugly like me
I can see through you
See to the real you
Staind - "Outside"

Stava dondolando le gambe giù dal proscenio quando uno spicchio di luce polverosa si aprì sul pavimento distrutto di quel teatro in disuso.
Sylar non alzò gli occhi, ma riconobbe immediatamente il rumore inconfondibile dei tacchi di Lauren sul legno imbarcato, il profumo che non tardò ad arrivare fino a lui mischiato a qualcosa che riconobbe poi come l'odore del caffè appena fatto.

"Sei in ritardo," le disse lugubremente, non appena gli fu arrivata di fronte.
Passò in rassegna il suo abbigliamento, sobrio ed elegante, prima di risalire con lo sguardo fino al suo viso pallido.

Lauren si limitò a scrollare le spalle, senza smettere di sorseggiare il suo caffè - aveva un sapore strano ora che gli era finalmente davanti, "non mi hai dato poi molto preavviso," replicò senza neanche guardarlo.

Era uno di quei luoghi in cui erano soliti incontrarsi, uno dei loro rifugi, una delle loro alcove - il termine la faceva ridere di gusto. Una delle vecchie luci di scena continuava a funzionare ad intermittenza, proiettando un deforme fascio di luce scarlatta che si accendeva e moriva milioni di volte nel giro di pochi minuti. Le assi di legno del palco erano irregolari e tenute insieme ormai a fatica: scricchiolavano ad ogni passo - ad ogni spinta - ad ogni brusco movimento.

Le piaceva l'atmosfera. C'era un non so che di spettacolare e al contempo degradante in quel luogo: le file di poltroncine bordeaux erano ancora ordinatamente allineate davanti al palco. Su quelle, spettatori invisibili aspettavano di godersi uno spettacolo che non sarebbe arrivato mai. L'idea che fossero loro due, assieme, ad intrattenere quel pubblico della consistenza della cenere, le faceva salire un brivido lungo la schiena che non l'abbandonava fino a quando Sylar non l'avrebbe reclamata ancora una volta, riempiendole le orecchie delle sue stesse grida.

"Però sei venuta comunque," le fece notare lui a voce bassissima. Scrutava avidamente i tratti del suo volto come per assicurarsi che nessuno - nessuno - ne avesse goduto in sua assenza. Sapeva che i suoi colori si alteravano ogni qual volta qualcuno che non era lui, osava violarla: il suo volto non era più armonioso e delicato, ma soltanto una sgraziata accozzaglia di linee e macchie di colori che su di lui avevano lo stesso effetto di una nota stonata ripetuta fino alla nausea, il ticchettio di un orologio difettoso.
Aspettava ad avvicinarlesi, perché gli sarebbe bastato un secondo, respirare il suo profumo, affondare il naso tra i suoi capelli, per capire cosa aveva fatto prima del loro incontro.

"Con chi sei stata stanotte?" Le chiese in una sorda accusa.
"Dovrebbe interessarti?" Ribattè lei, senza farsi vedere affatto sconvolta o preoccupata da quella domanda inquisitoria: ci era abituata e - in un modo del tutto malato - le piaceva che si interessasse così morbosamente ai suoi incontri.

Sylar le tese una mano, facendole cenno di avvicinarsi.
Lauren si limitò ad osservarlo a lungo, protetta com'era dal bicchiere di carta che le stava ustionando le mani, tenuto come precaria muraglia divisoria di fronte al viso. Esitò prima di spostarsi verso le scale che permettevano di salire sul palco diroccato, ignorando di proposito la mano che lui le aveva offerto.
Le assi cigolavano ad ogni suo passo.

Quando fu arrivata in cima, si voltò per fronteggiare la platea deserta. Il velluto rosso del sipario era ricoperto di lunghe dita di polvere che correvano fino al falso soffitto come lunghi tralci di edera disperatamente arrampicati su vecchie mura di pietra - lì, dove sarebbero anche morti.

Restò in silenzio a lungo, sentendosi la protagonista di una tragedia ormai fuori programma, la deprimente e squallida storia di una donna come tutte le altre, posseduta da un uomo qualunque. Un lento sorriso le tese inspiegabilmente le labbra al sapore di caffè, mentre Sylar rimaneva immobile in fissa del niente.

"Ti credono ancora morto?" Finì per chiedergli, ostentando lo stesso gelido distacco di sempre.
"L'idea ti schifa?"
"Non me ne frega niente. Dovrebbe?"
"Suppongo di no visto che sono morto soltanto in teoria."

Lauren gli rivolse un'occhiata sprezzante proprio mentre lui si voltava per poterla guardare.

"Praticamente non esisti," gli fece notare con una sorta di malcelata soddisfazione nella voce, "non esisti per nessuno."

Sylar si era rimesso in piedi e l'aveva avvicinata di qualche passo, senza fare alcun rumore, quasi piegando le assi di legno al suo bisogno di totale silenzio.
La stava fissando con i suoi grandi occhi scuri, carezzando con lo sguardo quel viso di porcellana che non aspettava altro che di essere infranto e mandato in mille pezzi ancora una volta.

C'era qualcosa di tremendamente sbagliato e brutto nel modo in cui Lauren gli appariva. Era la tela squarciata di un quadro altrimenti perfetto, la nota stridula della più bella delle sinfonie. Aveva la bellezza delle statue di marmo brutalmente ferite: delicata e bianca e divina in ogni curva, in ogni tratto, ma orribilmente privata di qualcosa. Era una bellezza mutilata, Lauren, e Sylar sapeva che se non avesse avuto quella piaga di disperazione a renderla meno perfetta, sarebbe stata meno bella, meno speciale, relegata in un corpo tremendamente mediocre.

Era brutta come lui, si sentiva bello come lei.

"Esisto per te," le disse, non senza nascondere il leggero sorriso di scherno che gli si dipinse sul volto.

Lauren si mise a ridere - una reazione che Sylar si aspettava.

"Perché dovresti?" Gli chiese, malamente aggrappata a quel bicchiere che la divideva da lui, "solo perché scopiamo occasionalmente in luoghi fetidi e fatiscenti?"

Sylar si strinse nelle spalle, come a dirle che poteva pensarla così se proprio voleva.

"Lo sai che c'è molto di più," sussurrò, alzando una mano per poterle sfiorare la pelle candida del viso. Riusciva a sentire il sangue scorrere sotto le sue dita, correre fino al punto in cui la stava toccando per tingerle le guance di rosso.

Lauren non si sottrasse al contatto, limitandosi a ricambiare il suo sguardo.

"Non c'è nient'altro," lo contraddisse in un soffio gelido.

La reazione fu praticamente immediata: la carezza si trasformò in una ferrea morsa che le strinse follemente il viso, mentre i lineamenti di lui mutavano in una smorfia di pura rabbia e disgusto.

"Non mentirmi," sibilò, reprimendo a stento la furia che l'avrebbe spinto a scaraventarla sul pavimento e farle tutto il male di cui - lei lo sapeva - era perfettamente capace.

Con un gesto stizzito le fece cadere il bicchiere pieno di caffè a terra: quello si aprì, rovesciandosi impietosamente sul proscenio, infiltrandosi tra le assi di legno, spargendosi a macchia d'olio ai loro piedi, camuffando il profumo di Lauren, l'odore di Sylar, ma non il fetore di stantio e polvere.

La donna lo scostò bruscamente, costringendolo a toglierle le mani di dosso.

"Tante grazie, Sylar," smozzicò a denti stretti, "mi devi un caffè."
"Non dire il mio nome in quel modo," la minacciò lui.
"Ah no? E come dovrei chiamarti, mh?"
"Smettila," le intimò.
"Non credo di averne voglia."
"Ho detto basta."
"Come preferisci. Tolgo subito il disturbo, Sylar," di nuovo.

L'uomo l'afferrò per entrambe le mani mandandola a sbattere contro la parete di fondo del palco. Lauren strattonava furiosamente i pugni, tentando di liberarsi dalla sua presa.

"Lasciami andare, razza di psicotico bastardo," biascicò furente, mentre i capelli le ricadevano scomposti sul viso distorto dalla rabbia, sfuggendo all'elegante crocchia dorata appuntata sulla nuca.
"Uh-uh, parole grosse, signorina Reed," la schernì lui, schiacciandola al muro con tutto il suo corpo, insinuando un ginocchio tra le sue gambe per costringerla a dischiuderle.
"Non prendermi in giro," sussurrò lei, facendo dardeggiare gli occhi su tutto il viso dell'uomo, desiderando soltanto di potergli fare un male del diavolo.

Tentò inutilmente di divincolarsi dalla sua stretta, ma Sylar le torse entrambe le braccia, costringendola a gemere dal dolore.

"Stronzo!" Gli urlò in faccia, spingendolo rabbiosamente all'indietro, riuscendo miracolosamente a fargli perdere l'equilibrio. Approfittò del momento di defaillance per aggirarlo e quasi andarsene, ma si sentì afferrare per un braccio e strattonare all'indietro, dritta tra le sue braccia. Non esitò a tirargli una gomitata in pieno stomaco, facendolo cadere a terra senza troppi problemi.

"Pivello," esalò, ormai a corto di fiato. Non riuscì a prevedere le sue mosse e si ritrovò schiacciata sul pavimento e in fissa del soffitto da cui pendevano lunghe corde attorcigliate. Avvertì il dolore causato dell'impatto soltanto qualche secondo dopo. Non aspettò che fosse lui a prendere ulteriormente iniziativa, e lo bloccò a terra col peso del proprio corpo, chinandosi per potergli immobilizzare le braccia sulle assi imbarcate del palco.

La macchia di caffè stanziava esattamente sotto il suo capo, creando un effetto strano all'immagine di insieme. Il fascio di luce rossa tornò a colpirli, cambiando per un attimo i colori della scena. Ne aveva visti tanti di cadaveri, e quella postura, quel fiore carminio che si apriva in una macchia scura non faceva che ricordarle una qualsiasi di quelle scene del delitto. La luce si spense di nuovo.

Sylar scoppiò a ridere, decidendo di non muoversi.
"Se volessi potrei ucciderti prima ancora che tu possa rendertene conto," le disse divertito, assecondando in qualche modo le sue mosse.

Lauren si abbassò ulteriormente sul suo viso, arrivando a sfiorargli il naso col proprio. Dischiuse le labbra, soffiando un poco sulle sue mentre affondava impietosamente le unghie nei polsi dell'uomo.

"Tu non vuoi uccidermi," sussurrò sulla sua bocca, prima di stuzzicarlo con la punta della lingua, in una languida, avvelenata carezza.
Lo sentì fremere impercettibilmente sotto di lei e serrò ulteriormente la presa sulle sue braccia, senza avere intenzione di smettere di fargli male.

Sylar si protese verso di lei, ignorando il dolore lacerante ai polsi - niente avrebbe potuto ammazzarlo e, di certo, non le avrebbe dato alcuna soddisfazione.
"Ne sei così sicura?" Mormorò in risposta, riuscendo a sentire il profumo di caffè mischiarsi a quello del suo respiro, mandandolo immediatamente su di giri senza che potesse fare proprio niente per impedirselo.

"Oh sì," rispose la donna, spingendosi maggiormente contro di lui col bacino, mentre prendeva a mordergli delicatamente il mento e la linea della mascella, fino a risalire sul collo per arrivare all'orecchio, dove il calore della sua lingua si impresse nuovamente sulla pelle di Sylar.

Perdeva se stesso. Lei era la sua unica ancora di salvezza. Gli ricordava perché lo faceva, cosa voleva e come. Avrebbe potuto cambiare faccia milioni di volte, ma lei gli avrebbe rammentato esattamente chi era, in quel suo modo perverso, ma l'avrebbe fatto. Le era grato per questo, ma non si azzardava a dirglielo - sapeva che Lauren detestava le smancerie esattamente quanto le odiava lui.

"Potrei stancarmi," si ostinò a ribattere lui, stringendo leggermente i pugni, nel disperato tentativo di controllare i propri istinti. (Sentiva il calore delle gambe di lei stringerlo ai fianchi, ed era pronto a giurare di potere sentire il profumo della sua eccitazione arrivar fin lì e inebriarlo senza alcuna possibilità di scampo.)

"Ah sì?" Lauren si finse piuttosto colpita, mentre gli liberava una mano per potergli accarezzare i fianchi e il bordo dei pantaloni. Fece scivolare le dita fino all'agganciatura, mettendosi a giocherellare col bottone prima di liberarlo dall'asola, per poi esitare sulla cerniera che si premurò di accarezzare blandamente prima di abbassare. Non smise di guardarlo negli occhi neanche per un istante. Il battito cardiaco di entrambi - all'unisono - le riempiva fastidiosamente le orecchie assieme ai loro respiri sempre più irregolari.

"Sì," azzardò lui, ricambiando tenacemente il suo sguardo. Lasciò la mano - sebbene libera - accanto all'altra, ancora intrappolata, sentendo il caffè ancora caldo solleticargli le nocche e sporcargli le dita.

(La luce rossa feriva la scena come una lama scintillante, illuminando Lauren, rendendo la sua bocca ancora più invitante, e i suoi occhi tremendamente più profondi.)

Sylar si ritrovò a trattenere il respiro, mentre lei trovava la via più diretta per fargli perdere qualsiasi briciolo di razionalità. Socchiuse gli occhi. La sua mano si muoveva su di lui, sulla sua pelle bollente, con una sicurezza tale da fargli chiedere - per l'ennesima volta - quante volte ci fossero state prima di quella. Tutti quegli uomini senza faccia... riusciva a immaginarli seduti in platea a godersi lo spettacolo mentre lui si compiaceva di essere l'attore protagonista di un dramma che avrebbe fatto ricominciare fino all'infinito.

Un fremito improvviso si impossessò di lui: si rialzò di colpo, invertendo le posizioni fino ad intrappolarla sotto di sé. Le strinse bruscamente le braccia prima di salire a scioglierle i capelli: li sparse sul pavimento, in una cascata dorata che non aveva il tempo di ammirare - non stavolta. Si rese conto solo in quel momento di averle macchiato la camicetta di caffè. Con un gesto prepotente, fece saltare tutti i bottoni, e ne divise i lembi, liberando il suo seno perfetto - intrappolato dal reggiseno di pizzo nero - alla sua mercè.
Scese a baciarle il petto per inspirare a fondo il profumo della sua pelle sempre più calda, mischiato al suo stesso odore e all'aroma del caffè: un mix letale che non gli avrebbe dato pace finché non si fosse impresso indelebilmente anche su di lui.

La accarezzò i fianchi in una pesante carezza, scendendo fino al bordo della gonna aderente che le fasciava elegantemente le gambe. Vi insinuò oltre una mano, sfiorandole la pelle morbida delle cosce, affondando le dita nella carne tenera, arrivando fino a toccare la preziosa stoffa del suo costoso intimo. Tentò di liberarla da qualsiasi impedimento, mentre i suoi polpastrelli prendevano ad accarezzarla tra le gambe, facendola tremare e sospirare sotto di lui.

L'immagine gli strappò un mormorio inconsistente. Non era vero che si sarebbe stancato. Non riusciva a fare a meno di quel contatto malato e disinteressato e mai si sarebbe stufato di riscoprirlo ogni volta, in uno qualsiasi di quei luoghi che si azzardavano a chiamare loro. L'avrebbe fatta diventare il suo libro preferito. Quello che leggi e rileggi fino a consumarlo, rovinarlo e imprimerci la tua incancellabile impronta, per far sì che si distingua da tutti gli altri.

(Ne avrebbe martoriato le pagine.)

Afferrò il bordo delle sue mutandine e gliele tolse quasi di violenza.

(Le avrebbe macchiate e rovinate e ad ogni ferita inferta a quelle pagine così familiari, avrebbe associato il suo profumo, un suo gesto, i suoi sospiri.)

La penetrò con un'unica spinta, strappandole un gemito che gli risuonò in modo dannatamente piacevole nelle orecchie, costringendolo a fare altrettanto mentre il calore della donna lo circondava e lo faceva sprofondare in quel vortice di peccato nel quale adorava smarrirsi.

(Avrebbe riletto quel libro consunto fino a che la carta non si fosse assottigliata e diventata inconsistente. Fino a quando non fosse stata lei stessa a supplicarlo di smettere.)

Affondò il viso tra i suoi seni, prendendo a muoversi dentro di lei con rabbia, sentendo l'irrefrenabile bisogno di sentirla urlare e contorcersi tra le sue braccia, di sentirla chiamare il suo nome, di pronunciare il suo, di reclamarla come sua e sua soltanto.

Lauren gemeva ad ogni affondo.
Tentò di agevolargli i movimenti per permettergli di scivolare sempre più profondamente. Strinse tra le dita ciuffi dei suoi capelli scuri, aggrappandosi a quelli per non soccombere al piacere che le risaliva in lunghi brividi su per la schiena, e in scariche bollenti dal basso ventre.

L'uomo l'afferrò con più decisione per i fianchi, sentendola venire incontro alle sue spinte con le proprie. Avvertiva la sua pelle bollente e morbida sfregare con insistenza contro la sua, facendolo sussultare ad ogni movimento.

Era così... era così che quel profumo si sarebbe impresso su di lui, così che l'avrebbe tenuto con sé per un giorno ancora, maledicendo ogni santo esistente quando, quello seguente, si sarebbe risvegliato in un groviglio di lenzuola che non avrebbero avuto che il profumo del detersivo usato per lavarle.

Si sollevò su di lei, appropriandosi delle sue labbra per un bacio famelico. Cercò la sua lingua con la propria, desideroso di poter sentire il suo sapore mischiato al proprio prima che quell'insulso giro di giostra fosse finito. La sentì gemere in quello scontrarsi di sapori diversi mentre lo stringeva follemente dentro di sé, obbligando lui a smozzicare il suo nome in una supplica distorta, andata ad infrangersi sulle sue labbra rosse - forse macchiate di sangue.

Scaricò le sue ultime energie, nel disperato bisogno di far esplodere quella bolla di calore e rabbia e preoccupazione repressa che lo tormentava alla bocca dello stomaco. Il piacere crebbe vertiginosamente, impossessandosi di lui, piegandolo al suo volere, facendogli perdere la benché minima briciola di senno, spingendolo a lasciarsi andare completamente all'istinto.

Il modo in cui il suo nome - il suo vero nome - le scivolò giù dalle labbra, lo portò definitivamente al limite. Affondò il viso nell'incavo umido del suo collo, mordendole la carne morbida delle spalle prima che l'orgasmo esplodesse, travolgendo entrambi in un crescendo infinito di sospiri e suppliche infrante.

Il soffio caldo di Lauren nel suo orecchio lo fece rabbrividire, mentre si abbandonava a peso morto su di lei, schiacciandola contro le assi cigolanti.

Il fascio di luce rossa li illuminò ancora una volta. Sylar rialzò lo sguardo sulla platea deserta, fiocamente messa in risalto da quell'ultimo segno di vita agonizzante di un luogo altrimenti morto.

Avvertì Lauren rilassarsi sotto di lui e tentare di regolare il respiro.

Sapevano di caffè.

(Il pensiero gli strappò un folle sorriso che non aveva alcun senso di esistere.)

Lo spicchio rossastro sparì di nuovo, lasciandoli ripiombare nella polverosa oscurità di quel teatro deserto.

Lo spettacolo era finito. Nessun applauso al chiudersi del sipario.

fandom: heroes/alias, fanfics, {criticoni.net}, heroes/alias: sylar/lauren

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