Heroes - "Burning Feathers" (Sylar, Adam Monroe)

Aug 03, 2008 15:33

Titolo: Burning Feathers
Fandom: Heroes
Personaggi: Sylar, Adam Monroe [menzione di Hiro]
Rating: PG
Parole: 1215 (W)
Prompt: Do you really know me? I might be a God. [...] Burning feathers, not an angel, Heaven's closed , Hell's sold out. Broken {Sonata Arctica} // Compagni di Squadra @ fanfic100_ita // Invidia @ settepeccati.
Warnings: Gen, One-Shot, AU (post-Powerless)
EFP: LINK.
Riassunto: "Mi chiamo Sylar, te l'ho detto, e abbiamo un obbiettivo comune, non credo che debba interessarti altro."

Tabella @ fanfic100_ita: TABELLA.
Tabella @ settepeccati: TABELLA.


Note.
- Dedicata ad Eli (elivi), perché me l'ha chiesta ed è quiindi tutta per lei <3
- E' delirante. Il mare mi fa male. Ma oddio - amo i VILLAINSGASMS come questo XD
- Non è betata, quindi se trovate errori, per favore ditelo. Thanks!
- PIMPING: If You Love Me Won't You Let Me Know? @ cursednotes.





Burning Feathers.

Do you really know me?
I might be a God.
[...]
Burning feathers, not an angel,
Heaven's closed,
Hell's sold out.

Broken { Sonata Arctica }

*

"Ti ho tirato fuori da là dentro solo perché abbiamo un interesse comune," si affrettò a precisare senza modificare né alterare la placida espressione che gli segnava il volto.

Adam detestava profondamente il modo in cui Sylar gli si rivolgeva.
C'era qualcosa, nel suo sguardo, che non gli piaceva affatto. Anzi, a dir la verità, era tutta la sua persona - nell'intero - a non convincerlo proprio.

Lo vedeva subdolo, imprevedibile, sadico e moralista allo stesso tempo, come di un bigotto un po' storto, che commette i suoi peccati peggiori proprio nell'assurda convinzione di star assolvendo le sue colpe più terribili.

"Ne sarei uscito comunque," si limitò a ribattere.

Era vero. Dannatamente vero. E Sylar lo sapeva.
Per questo - non appena era venuto a conoscenza di ciò che stava succedendo - si era affrettato a trovarlo. Il viaggio che l'aveva portato in Giappone aveva accresciuto la già affermata convinzione che trovare Hiro Nakamura sarebbe stato necessario. Essenziale.
Teletrasporto, possibilità di viaggiare avanti e indietro nel tempo. Il potenziale di un potere simile si estendeva a perdita d'occhio nella sua mente, in una deliziosa e succulenta prelibatezza che non attendeva altro che essere afferrata e divorata.

"Ma ti ho tirato fuori io," fece notare Sylar.

Vero anche questo. Adam non aveva di che ribattere, e si limitò a stringersi nel suo completo spiegazzato. I muscoli della schiena ancora chiedevano pietà e tiravano in modo così fastidioso da lasciargli una perenne espressione contrita sulla faccia.

"Non so seriamente chi tu diavolo sia," si risolse a dire in tutta sincerità.
Era vero: Sylar aveva sentito parlare di Adam (aveva colto stralci di conversazione quando si era ritrovato a seguire prima Suresh e poi Bennet), ma Adam non era a conoscenza dell'esistenza di un certo Gabriel Gray che si faceva chiamare Sylar per puro egocentrismo.
Uno sconosciuto. E nemmeno tanto illustre, per giunta.
Niente lo tratteneva lì. Sarebbe potuto scappare in un modo e nell'altro, e se fosse morto durante il tentativo -
Il pensiero lo fece ridere. Morto. Come no.
Certo, soffriva - la sua schiena ne era la prova -, ma non poteva morire.

L'invidia lo colse come un fiume in piena.
Il suo viso non gli diceva niente. Gli metteva solo un certo timore, una specie di diffidenza che lo spingeva a non fidarsi ciecamente e - al contempo - a conferirgli la più totale e spassionata credibilità.
Per quanto strano gli sembrasse il suo volto (segnato da qualcosa che Adam avrebbe chiamato solitudine), quell'uomo non sarebbe mai stato come lui.
E viceversa.
Poteva morire, se voleva. Poteva togliersi la vita con estrema facilità.
E Cristo! Lo sapeva che sarebbe bastato un proiettile nel cervello per uccidere anche se stesso, ma era anche altrettanto consapevole della sua sostanziale codardia.
Non ci sarebbe riuscito. Aveva troppa, troppa paura della morte.
Era l'unica cosa che ancora non conosceva, che non aveva sperimentato, o che comunque figurava come prima cosa nella lista delle emozioni ancora mai provate (una lista mentale abbondantemente fornita di fantasie astruse e prive di senso).

Quello, invece, era un uomo che viveva nella sua testa.
Si rinchiudeva nella tranquilla realtà della sua mente, e non ne usciva mai, se non per qualche fugace scappatella.
Adam ne era sicuro. Era diventato - col tempo - un attento osservatore, frettoloso nel dare giudizi (c'era forse bisogno di indulgenza col genere umano?), ma attento a cogliere anche il benché minimo particolare.
Si chiese se ciò che Sylar vivesse in continuazione entrasse mai realmente in contrasto con quello che aveva intorno - con ciò che di concreto aveva intorno.
Stabilì che sì, succedeva, ma che non era comunque abbastanza sconcertante da farlo desistere dalla sua continua pratica di assuefazione a se stesso.
Forse si era spinto troppo in là per poter tornare indietro. Forse era spacciato e non c'era niente da fare.

"Mi chiamo Sylar, te l'ho detto, e abbiamo un obbiettivo comune, non credo che debba interessarti altro."

Adam pensò che era asciutto, e no, non nel senso fisico del termine. Una persona asciutta. Non diceva mai né troppo, né troppo poco.
Era privo di sbavature. Secco. Preciso. Conciso. Sintetico.
Ben definito. Una volta entrati nel suo meccanismo - rifletté Adam - non ci si poteva sbagliare.
Perché nessuno, nel suo immaginario, era così strano da non poter essere infilato in una categoria, in uno schema che avesse un nome, delle caratteristiche principali e tutto il resto. Forse persino un'etichetta.

"Che razza di nome è Sylar?"
"Un nome. Non è ciò che conta, o vuoi farmi credere che qualche secolo di esperienza non ti abbia insegnato niente sulle apparenze?"

Pungente. Intelligente. Velenoso a volte.
La sua voce gli suonava nelle orecchie come fosse stata qualcosa di poetico. Non pareva un personaggio moderno, ma qualcosa che riportasse al passato, o meglio ancora ad un non-tempo. Uno di quei luoghi astratti che non hanno alcuna connotazione. Era cristallizzato. Cristallizzato nella sua testa. Che fosse stato il 1300, il 1850 o il 2020, Sylar - ai suoi occhi - sarebbe apparso nello stesso identico modo.

"Sei dei buoni o dei cattivi?"
Finì per chiedergli Adam. Alla parola buoni gli venne subito in mente la Compagnia, Angela, Arthur, quello svitato di Daniel, e l'allegra combriccola. Persino Victoria, che aveva tolto di mezzo di recente, grazie all'aiuto di un ingenuo Petrelli. Uno dei tanti.
I cattivi, erano tutti coloro che non facevano i loro interessi. Semplice.
Limpido come l'acqua. La distinzione gli parve geniale e si congratulò con se stesso per non aver sfigurato di fronte ad un essere senza tempo come il fantomatico Sylar, che ancora lo fissava con aria incuriosita e indifferente allo stesso tempo.

"Da nessuna parte. Dalla mia."

Adam gli sorrise, aveva capito. Non voleva sbilanciarsi, ecco perché si comportava così.

"Non te l'hanno detto? Il Paradiso è chiuso, l'Inferno è al completo, non dovresti aver paura di schierarti."

Sylar scosse il capo. Lo stava deridendo, probabilmente.
Adam non volle pensarci: l'idea gli dava alla testa.

"Gli schieramenti non esistono. E' troppo facile entrarci, altrettanto uscirci."

Il modo in cui lo contraddiceva non gli piacque affatto.

E poi. Poi il pensiero lo fulminò di colpo.

Gli sembrava un angelo. Un angelo dai lineamenti mostruosamente deformati, troppo orribile per rimanere nell'alto dei cieli, troppo nobile per poter marcire nelle viscere della terra.

Sylar era rimasto chiuso a metà. Tra il Bene e il Male, e non poteva uscirne.
Non ci sarebbe mai riuscito.

Eternamente sospeso in quel limbo fatto di niente. Di peccati e opere di bene. Di più e di meno che si annullavano l'un l'altro, lasciandolo solo e a mani vuote. Costantemente.

"Troviamo Nakamura, allora."

Invidioso. E di che? Quell'uomo stava messo peggio di lui. Ci si sentiva vagamente affine, ma non così tanto da fargli abbandonare definitivamente l'atteggiamento paternalistico che amava adottare con chiunque.

Sylar era l'angelo, e lui era Dio.

Un Dio diverso, è vero, ma pur sempre un Dio.

Sylar, del tutto inconsapevolmente, gli aveva dato una speranza. Una speranza fatta di rassegnazione e sguardi vuoti, certo, ma pur sempre una speranza per un mondo che gli faceva - sebbene fossero passati quattro secoli - troppo schifo.

"Bene," concluse Sylar.
"Bene," gli fece eco Adam.

L'Apocalisse, la rinascita, non gli erano mai sembrate così vicine come in quel momento.

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