Mar 01, 2006 22:34
Il mio Guru S. (cioè tutto quello che devi sapere per fare psicoterapia e che non trovi sui libri) mi diceva che tutti noi che lavoriamo nel sociale abbiamo il nostro primo bambino (o il nostro primo utente), tutti facciamo lo sbaglio di rivederci, come rispecchiati, in qualcuno che soffre e di incaponirci desiderando con tutte le nostre forze di salvarlo. Come se ci venisse data una seconda chance per vincere le battaglie che da bambini abbiamo perso. Nei film il protagonista vince sempre, nella realtà si fanno solo casini. Quando le battaglie non sono nostre, si perdono. Nessuno salva nessuno, ci si salva da soli e, benchè si possa essere di aiuto e sostegno, non possiamo risolvere i problemi degli altri. Noi psicologi rappresentiamo una chance, non siamo maghi taumaturgi.
M. è stato il mio primo bambino. La sua storia mi ha risucchiato come un buco nero, non mi sono potuta tirare indietro. Anche se è molto diversa dalla mia. M. ha 11 anni e un fratello più grande a cui è affezionatissimo. Fino a due anni fa vivevano entrambi con mamma e papà fuori di testa. Il papà non è cattivo, ma è pur sempre fuori come un terrazzo. Un giorno papà si rompe i coglioni della mamma, piglia e se ne va. Il fratello maggiore di M. pur di non stare con quella sclerata della madre preferisce andarsene con il padre e vivere in una catapecchia come un quasi-barbone. M. in una botta perde padre e fratello, perchè da allora non li ha mai più rivisti. Sua madre si piglia in casa un ex-tossico (ma di quelli ex davvero, tant'è che non è uno stronzo, è solo ininfluente sulla vita di M.) e ci fa un figlio. M. perde la testa, si agita, dà in escandescenze. Siccome la madre ha un disturbo del comportamento, lui non fa altro che affrontare la situazione come fa la mamma di solito: urla, getta le cose per aria, bestemmia, piange. A 9 anni ha già idee suicidarie. In quarta elementare dà talmente fuori che ribalta i banchi della classe e chiamano il 118 per tenerlo fermo. I medici lo dimettono in giornata. M. ben presto diventa di troppo, perchè mami si innamora del neonato che ha appena cacato: minaccia M. di mandarlo in collegio e alla fine firma un foglio in cui cede la sua tutela ai servizi sociali, dicendo a suo figlio che non lo vuole più perchè è matto. Il mio guru e l'assitente sociale sanno che M. in comunità può solo soccombere e gli cercano una famiglia affidataria. Nella fotta di trovargli una sistemazione, vedono l'unica coppia che si è offerta di prenderlo con sè. I due si presentano bene. Ai due viene fatta presente la sua situazione: il bambino sclera di brutto, ha ribaltato la scuola, è sotto pscofarmaci. L'affido non è un'adozione ed finalizzato a reinserimento in famiglia, il bambino prima o poi tornerà a casa. Loro accettano. A gennaio del 2005 M. si trasferisce da loro, in un posto incantevole: un agriturismo con un allevamento di cani. Intorno. Il nulla. I miglioramenti sono palesi, gli insegnanti strabiliati, tutti contenti. Tranne i due stronzi affidatari, che volevano un bambino magro. Non sopportano le cazzate che farebbe qualsiasi bambino, lo puniscono per delle stupidaggini. Lei è una grassa donna delle caverne, lui magro come un bambino africano. Entrambi hanno problemi con il cibo e mettono subito M. a dieta. Dando ad intendere che lui è brutto. A maggio i due grebani lo vogliono sganciare ed entro in scena io. Guru e assistente sociale vogliono che M. resti con i due grebani, che non saranno la famiglia migliore al mondo, ma su due piedi non avrebbero saputo dove sistemare M. Comincia la ricerca fiuriosa di un'altra famiglia, ma senza risultato. Mi fanno fare un'educativa territoriale, che è diventato 8 ore settimanali di psicoterapia. Lo porto in giro, ci gioco da matti, lo porto a giocare con i suoi amici. Gli insegno a nuotare, a pescare i pescetti nel fiume. Lui dopo un mese mi ha già inquadrato: "Hai chiuso la macchina? Hai tirato giù i finestrini? Ce l'hai l'inalatore per l'asma?". All'inizio cerco di mediare tra lui e gli affidatari (era da contratto, ho fatto solo il mio dovere), spiego ai due pezzi merda che M. sostituisce con il cibo un vuoto sentimentale, che prima bisogna fargli sentire che gli si vuole bene e poi il discorso del cibo vien da sè. Spiego che quando i bambini son piccoli non possono accettare che i propri genitori siano stronzi e preferiscono pensare di meritarsi il loro rifiuto. Si sentono delle merde e probabilmente si sentiranno così per tutta la vita, ma la gratitudine verso chi lo aiuta e la contestazione dei genitori provengono da una consapevolezza adolescenziale e non infantile. M. non odierà sua madre per affezionarsi a loro come fossero due genitori veri. I bambini non sono così, si attaccano ai genitori in maniera disperata e nonostante tutto. Spiego inoltre che non è il caso di dare al bambino ordini contrari a quelli della madre da svolgere nel fine settimana, perchè così creano un conflitto di lealtà: se M. ubbidisce alla madre vien meno agli affidatari se ubbidisce agli affidatari litiga con la madre. Chi ce l'ha nel culo è sempre lui. Ma lunedì pomeriggio lo riporto all'agirturismo e la vacca grassa vede M. con i capelli rasati e gli dice: "Bravo, ubbidisci a tua madre fatti tagliare i capelli. Fai schifo così, sembri malato" Al che non dico nulla (sarebbe stato professionalmente scorretto) ma dentro mi ribolle il sangue. Vado dall'assistente sociale e le dico: "Io con quegli stronzi non ci parlo più. Da oggi in poi il mio lavoro lo faccio fuori e tengo M. il più lontano possibile da casa." Finchè gli stronzi hanno avuto la mia comprensione e il mio ascolto hanno parlato di me come la meglio educatrice al mondo, da quel momento in poi lavorano per mettermi contro il bambino e l'assistente sociale (che per altro è amica mia. Ma ti pare il caso di fare il gioco sporco?). Arrivano a dirle la balla che M. mi mette le mani addosso e che io lo lascio fare. UN delirio. Io pensavo a M. costantemente, pensavo a cosa fare per fargli capire che è eroico, che non è colpa sua se intorno a lui ci sono solo adulti stronzi, che lui è speciale e sono gli altri a non accorgersene. Passiamo insieme l'estate. Estate per tanti motivi fatta di sentimenti belli e tragici. Mi ammalo di burn-out. Quello che impropriamente tutti chiamano esaurimento. La situazione di M. mi fa piangere spesso, sono impotente di fronte alla sua sfiga, il mio contratto sarebbe scaduto a fine settembre e, mio malgrado, l'avrei abbandonato anch'io. Mi ammalo sul serio. Parto con la tenda e vado in campeggio al mare da sola per riflettere. Torno a casa e piango un giorno intero. Piango perchè capisco che non posso salvare i bambini. Chiamo windruffle in lacrime e le dico che mi sento dentro il potere di dare una svolta alle persone, ma sento di non avere controllo su questo potere. Mi brucia, mi logora, mi consuma.
Io non sono M. Il problema è tutto lì.
M. a settembre è entrato in comunità. Si trova bene, è migliorato moltissimo. L'ultima volta che l'ho sentito era fine settembre. Ma per il mio bene e il suo è stato deciso che ci allontanassimo un pò. Io chiedo di lui, lui chiede di me. Non mi ha mai abbracciato quando ci vedevamo due volte alla settimana.
Oggi mi ha sorriso e mi ha buttato le braccia al collo.
Mi sento il cuore gonfio, sono contenta.
Ci vediamo la prossima settimana e quella dopo ancora.
Lui è il mio primo bambino. E di tutti, indiscutibilmente, il mio preferito. Perchè è davvero speciale, non è il mio delirio di onnipotenza a renderlo così ai miei occhi. Oggi sto meglio, sono guarita, so che non lo salverò, ma magari lo aiuterò a capire tante cose quante lui, senza volere, ne ha fatte capire a me.