[Fanfic - Glee] Gift per chibi_saru11 Parte II

Dec 03, 2011 13:10

Gli occhi di Blaine sono così lucidi che hai quasi paura di poter scivolare via dal suo sguardo, tu e i tuoi goffi tentativi di confortarlo.
La verità è che hai ancora nelle orecchie il suono furioso, troppo alto e tagliente delle parole di suo padre.
Ti gridano ancora nel cervello e il tuo cuore ha appena iniziato ad avere un battito un po’ più regolare.
È stato orribile e inaspettato. È stato come vedere le peggiori paure che provavi prima di dire tutto a tuo padre diventare qualcosa di reale, proprio quando avevi ormai smesso di temere che si avverassero.
Vorresti che non fosse mai successo. Che non fosse mai capitato a Blaine.
Avverti un gusto strano, un po’ salato, in fondo alla gola e capisci che è quello delle lacrime che stai trattenendo.
Be’, al diavolo anche le lacrime. Non sono le prime che assaggi e nemmeno saranno le ultime.
Tu ora puoi aspettare, anche se per calmarti sul serio sei costretto a stringere più forte gli spessi nodi della catena da cui penzola l’altalena su cui sei praticamente appollaiato, come un canarino troppo nervoso e a disagio.
Ah! Potrebbe essere tutto così meravigliosamente ridicolo, se solo non fosse terribile e odioso.
Guarda che quadretto perfetto per un musical o per un filmetto romantico: tu e Blaine seduti l’uno di fronte all’altro nel proverbiale parchetto, sulle proverbiali altalene in un bel pomeriggio d’estate.
Potrebbe essere tutto un cinguettio di pettirossi, uno sfumare di tramonto in lontananza, un idillio da cartone animato. Potreste lasciarvi dondolare, l’uno verso l’altro, mentre gorgheggiate un duetto degno della Disney, con nuvole di zucchero filato alle vostre spalle e un coro di voci leggiadre in sottofondo.
Sareste così stupidi e grotteschi e ridicoli, ma almeno ti sentiresti al sicuro.
Tu se non altro lo sarai, appena tornerai a casa, da tuo padre.
Oh, sì, sì, sì! Da quella meraviglia di padre stupendo e incredibile che ti ritrovi. E lo sai che lo è, ma ora vorresti prendergli le mani, stringerle fino a sentire un po’ male e dirgli: «Grazie, papà», anche solo perché esiste.
Vorresti farlo all’istante, ma non puoi, perché non è in corso nessun idilliaco momento disneyano.
Blaine è lì che ti fissa come se a lasciar andare il tuo sguardo potesse capovolgersi il mondo e tu non sai bene cosa dire e cosa provare, a parte una rabbia sorda e il desiderio quasi disperato di rimettere a posto le cose.
Poi lui chiude gli occhi e tira su col naso, e tu non sai più a cosa aggrapparti anche se si suppone che tra i due dovresti essere il consolatore.
Il contatto di sguardi che vi univa era un’ancora, l’unica luce che rendeva le cose un po’ meno nere.
Ti viene istintivo guardarti intorno per trovare un altro appiglio, mentre cerchi la maniera giusta per dire qualcosa, sempre che esistano parole sensate.
Non la vedi subito, anche se è lì sotto i tuoi occhi. Ci metti un istante prima di capire, prima che la sua immagine vada a fuoco attraverso il velo umido che stai provando a trattenere perché non si trasformi in lacrime.
Però lei e lì, e capisci subito che sa che l’hai vista. È un attimo, un battere di ciglia, e senti che per ora lei ti sta chiedendo di non farla scoprire.
Ma è lì, da chissà quanto tempo. La signora Anderson. Piccola, un po’ paffuta e con i capelli ancora scuri come quelli di una ragazzina.
Blaine le volta le spalle e non può vederla, ma lei c’è.
Prima non ti eri accorto di quanto si assomigliano.
Sono così simili… o forse è solo che se li guardi adesso leggi sul viso di entrambi lo stesso preciso dolore.

*

C’era stato un momento in cui si era sentita mancare il fiato. Un istante in cui aveva capito perché Blaine era dovuto scappar via in quel modo.
Se fosse rimasta Rick le avrebbe spezzato il cuore. Se si fosse fermata ancora lì con il marito di sicuro lei stessa avrebbe detto qualcosa che l’avrebbe spezzato a lui.
In quel preciso istante nessun tentativo di capire e di farsi capire sarebbe mai andato a buon fine, e Rick l’avrebbe fatta piangere. Lui che era il solo al mondo che non l’avesse mai condotta fino alla soglia dolorosa delle lacrime.
E poi Blaine era là fuori da qualche parte. Senza di lei, sconvolto e chissà quanto dispiaciuto.
Sonia si era detta che al di là della porta avrebbe trovato l’aria di cui i suoi polmoni e il suo cuore avevano bisogno. Fuori ci sarebbe stato il silenzio privo delle urla di Rick, neutrale, rassicurante. E soprattutto uscendo avrebbe trovato suo figlio.
Era corsa verso l’ingresso all’improvviso, senza quasi accorgersene né pensare.
Nell’aria estiva del pomeriggio aveva comunque rabbrividito per il suono troppo netto della porta che le si sbatteva alle spalle, cancellando alla sua vista l’incredulità ferita dell’uomo che amava.
Era corsa via come una sciocca, afferrando alla cieca le chiavi della macchina, senza una vera meta a cui tendere a parte suo figlio.
A un tratto Blaine era stato il suo solo pensiero, la sua unica urgenza.
Per Rick ci sarebbe stato tempo dopo. In quel momento lei non ce l’avrebbe fatta, non sarebbe stato giusto.
Rick era adulto e, se anche il suo gesto gli avesse fatto dubitare di essere amato, ci sarebbe stato tempo in futuro per parlargli e per chiarire.
Blaine era solo un bambino.
Come doveva sentirsi, se lei per prima era così spaventata?
Sonia non poteva neppure pensarci.
Il cuore aveva iniziato a farle un male quasi fisico e lei non era una ragazzina spaurita, era una donna matura, era una madre.
Blaine era il suo bambino.
Sonia non aveva avuto altro in mente finché non l’aveva trovato.
Anche concentrarsi nella guida era stato un problema notevole.
Uscire dal vialetto in quello stato le era costato due piante di rose Peace che l’anno precedente avevano vinto il trofeo cittadino per la terza volta di fila.
A Sonia non era importato. Le rose potevano essere sostituite. Le rose non erano Blaine.
L’aveva trovato quasi subito, per fortuna. Nel piccolo parco giochi a pochi isolati da casa.
Certo, avrebbe dovuto immaginarlo subito. Non perché a Blaine fosse mai piaciuto particolarmente, perfino quando lei ce l’aveva portato da piccolo, ma perché era il posto meno in vista del quartiere, il meno esposto a occhi indiscreti, isolato com’era.
Lui e Kurt, seduti sulle altalene all’ombra di un grosso olmo verde e placido, passavano quasi inosservati.
Sonia avrebbe dovuto pensarci subito e provare direttamente lì,  perché di sicuro, per quanto a volte fosse un piccolo esibizionista, suo figlio non era il tipo di persona che amava mostrarsi apertamente sconvolta.
Ora le dava le spalle e lei lo osservava a distanza, incapace di fare anche un solo passo verso le sue spalle curve e ancora così giovani e fragili.
Non era la paura che la stava costringendo a trattenersi, era una sorta di curioso pudore mai provato prima.
D’istinto, non appena aveva visto come Kurt stava guardando suo figlio, si era bloccata e si era perfino nascosta come meglio poteva dietro il tronco di un altro albero, poco lontano dalle altalene.
Per farlo aveva cercato di camminare sull’erba, in silenzio, per non fare scricchiolare la sabbia del vialetto.
Non sapeva nemmeno lei il motivo, ma forse era stato perché il modo in cui lo sguardo di Kurt era diretto solo ed esclusivamente verso il viso di Blaine era così netto e definitivo da farla sentire tagliata fuori.
O probabilmente era per il carico di dispiacere che vedeva in quegli occhi chiari di adolescente quasi in lacrime.
Erano così indifesi, sia Kurt che il suo Blaine. Eppure era anche chiaro che quel ragazzino dall’aria delicata che lei conosceva appena era intenzionato a proteggere Blaine contro tutto e tutti. Sonia glielo leggeva nello sguardo, lo vedeva dal modo in cui Kurt serrava la mascella e stringeva le catene dell’altalena.
E anche Blaine l’aveva difeso con tutta la veemenza possibile quando Rick li aveva attaccati.
A un tratto, mentre ci pensava, Sonia si accorse che non era certa di sapere davvero come si sentivano e che, nello stesso tempo, lo sapeva fin troppo bene.
Cosa provavano, tutti e due? Avevano la sensazione di essere talmente diversi da tutti e talmente soli al mondo da poter contare soltanto l’uno sull’appoggio dell’altro?
Non poteva parlare per Kurt e, anzi, si ricordò che Blaine le aveva detto qualcosa riguardo al fatto che il signor Hummel era un padre estremamente comprensivo, ma Blaine? Era in quel modo che si sentiva? Isolato e perso, tranne che per la presenza di Kurt?
Sì, le pareva di rammentare che lui le avesse parlato del padre di Kurt come di un ottimo papà, uno che capiva e che accettava.
Anche Rick era stato così un tempo, lo era stato sul serio, non era stata una finzione. Com’era potuto succedere che si trasformasse in un uomo e in un genitore tanto differente?
Quante volte Blaine aveva desiderato di essere Kurt, di avere il signor Hummel per padre al posto di Rick?
Per un istante Sonia provò un odio feroce e - lo sapeva - del tutto immotivato verso quel papà speciale che nemmeno conosceva.
Si vergognò da morire di averlo provato, ma non potè impedirselo.
Sapeva il perché: era per Rick.
La protettività estrema che aveva visto creare un legame fortissimo tra suo figlio e Kurt lei l’aveva sempre provata verso il marito, e poteva dire che fosse sempre stato vero anche il contrario.
In passato c’erano state volte in cui neppure i soldi e la posizione l’avevano tenuta al sicuro da un certo tipo di occhiate e di commenti.
Anche se non era di colore, Sonia sapeva cos’era il razzismo.
Sapeva che c’erano persone che pensavano che l’America avrebbe dovuto essere una nazione per soli bianchi, per gente di origine europea, se non proprio ariana. Sapeva che c’erano persone - soprattutto donne, ma non solo - che guardando lei e Rick pensavano: «Che spreco. Eppure è un ottimo avvocato, un uomo così intelligente».
Lei ne era consapevole, ma le era sempre bastato avere un braccio di Rick intorno alla vita per sentirsi protetta e più forte di qualunque cattiveria e maldicenza.
La nascita di Blaine non aveva fatto che aumentare quella sua sicurezza, cementando tutti i legami che la tenevano al sicuro e l’aiutavano a sentirsi più americana e in tutto simile a chiunque altro.
Com’era possibile che ora quel che lei aveva sempre posseduto, in fatto di serenità, appoggio e forza, stesse mancando a Blaine proprio dall’interno del nucleo familiare? Com’era possibile che proprio Rick non lo capisse?
E lei? Non potè fare a meno di chiedersi se proprio il legame strettissimo che aveva con Rick, la ferocia istintiva con la quale lei stessa sarebbe stata sempre disposta a proteggerlo se mai ne avesse avuto bisogno, avesse contribuito a creare quell’orribile situazione.
Né si sentiva migliore di Rick, anzi, le pareva di essere perfino peggiore di lui.
Era inutile continuare a negarlo con se stessa: nemmeno lei aveva davvero accettato l’omosessualità di Blaine fin dal principio.
Il modo in cui si era sentita sottosopra al solo pensiero del sesso, quando Rick ne aveva parlato, glielo confermava.
Certo era difficile accettare che Blaine stava crescendo, pensarlo come un adulto, con desideri e pulsioni anche di quel tipo, ma non si era trattato solo di quello. Era stato anche il pensiero del sesso con un altro maschio, dell’atto tra due uomini, di quel che le era sempre stato insegnato al riguardo fin dai tempi del catechismo, una vita fa, nelle Filippine.
No, neppure lei era stata sul serio lì per suo figlio come invece stava facendo Kurt.
Neanche il suo essere madre e il suo vissuto di straniera erano stati più forti di un certo tipo di pregiudizio inconscio che le aveva chiuso il cuore senza che se ne accorgesse, perfino la prima volta che aveva visto Blaine soffrire.
Sempre, ogni altra volta, era stata cieca e in fondo parziale, solidale con Rick nel modo sbagliato, nell’unico caso in cui non avrebbe dovuto esserlo.
Solo ora che vedeva qualcun altro prendersi cura del suo bambino al posto suo, e per di più in un modo così chiaramente possessivo, se ne stava accorgendo.
Certo, Kurt non aveva aperto bocca e non aveva sfiorato Blaine neanche con un dito, ma il modo in cui lo fissava… Ogni possibile promessa di lealtà, sostegno, amore e rassicurazione era condensata in quello sguardo chiaro e lucido.
Lei avrebbe dovuto guardare Blaine con quegli stessi occhi fin dal primo giorno in cui aveva deciso di rivelare tutto se stesso.
Non erano sempre stati complici tanto quanto lo erano lei e Rick? Non si erano sempre capiti e difesi a vicenda, fin da quando Blaine era nato e ancora di più da quando era stato in grado di tendere una mano verso di lei?
Prima di quel pomeriggio, prima di Kurt Hummel, le era sempre sembrato di essere la persona che più capiva Blaine tra tutte quelle che lo circondavano. L’unica che lo comprendeva sempre e fino in fondo, l’unica che lo conosceva interamente.
Sì, Rick compreso. Ma le era sembrato solo qualcosa di cui andare orgogliosa, in un modo un po’ egoistico che era quello di ogni mamma.
Era andata fiera di quel suo piccolo primato e perfino dei minuscoli segreti che l’avevano reso più forte.
Stupida! Maria benedetta, era una stupida!

***

Rick non accennava a rientrare. Non l’aveva ritrovato in casa al suo ritorno e non sapeva neppure se ne era più sconvolta o momentaneamente sollevata.
Blaine era in camera sua.
Avrebbe voluto dirgli mille cose, ma non avevano aperto bocca per tutto il tragitto in macchina e dopo, arrivati a casa, i gesti e le parole le erano sembrati comunque insufficienti.
Di solito non ne avevano neppure bisogno per capirsi.
Seduta da sola sul divano, nella sua bella casa troppo silenziosa, Sonia avvertì una piccola fitta al cuore nel ricordare tutte le occasioni in cui si era sentita unica per il suo bambino, in cui le era parso di essere la sola, la persona più speciale, quella che più di chiunque altro conosceva il vero Blaine, la custode dei loro piccoli segreti.
Ad esempio, le tornava in mente la prima volta che aveva portato Blaine con sé a Boston, in visita ai parenti, ed erano andati insieme a teatro, lei e il suo ometto.
Blaine non si era mostrato annoiato o infastidito, neanche per un istante.
Aveva amato il teatro, si era subito entusiasmato, aveva applaudito felice.
Sonia rammentò a se stessa tutte le occasioni in cui l’aveva visto recitare. Sì, proprio recitare.
Rick forse non sarebbe stato felice di sapere che più di una volta suo figlio si era impossessato di una delle sue giacche e si era finto Gene Kelly o Bing Crosby, quando non addirittura Frank Sinatra, cantando per lei e ripetendo a memoria le battute di un film.
Ma Rick non ne aveva mai avuto il minimo sentore. Si era trattato di un segreto tra lei e Blaine.
Era sempre stato come se Blaine avesse intuito d’istinto che quel tipo di giochi non si dovevano fare davanti a papà e che non era neppure il caso di raccontarli. Erano momenti tra loro e nessun altro. Con Rick c’erano sempre stati i giochi all’aria aperta e il football, giocato in giardino o guardato in televisione.
Blaine non aveva mai confuso le due cose e non si era mai mostrato in un certo modo davanti al padre.
Lei, d’altro canto, non ne aveva mai fatto parola con Rick, nemmeno una volta.
Aveva goduto della complicità  innocente che la legava a Blaine e non si era mai preoccupata di altro che di evitare che le giacche - e perfino le cravatte che ogni tanto suo figlio la convinceva ad annodare per lui - si stropicciassero in maniera troppo sospetta.
Non aveva mai condiviso con Rick di uno di quegli attimi innocenti di gioco. L’unica cosa che si era limitata a dirgli, fin dal momento in cui lei stessa l’aveva scoperto, era che Blaine aveva davvero una bella voce e che, magari, sarebbe valsa la pena di fargli prendere lezioni di canto. Anche di pianoforte, perché no?
Ma non gli aveva mai spiegato esattamente in che modo aveva scoperto il talento del loro bambino.
Era così grave l’aver nascosto una cosa del genere al proprio marito? Non riusciva a convincersene, malgrado tutto.
Tra lei e Rick non c’erano mai stati grandi segreti, però il poco che c’era stato aveva avuto sempre a che fare con Blaine.
Se ne era resa conto poche ore prima, mentre lei e Rick litigavano come ossessi.
I pochi silenzi tra loro riguardavano Blaine.
Ad esempio, Sonia non poteva dire di aver capito tutto da sola, prima che Blaine si aprisse e confessasse loro di essere gay, ma non poteva neanche raccontarsi di esserne stata del tutto all’oscuro.
Rick, lui sì era stato colpito dalla notizia come dal proverbiale fulmine a ciel sereno, senza aspettarselo e senza essere preparato neppure a un livello inconscio.
Ma lei, ora che rifletteva per la prima volta con la massima onestà, doveva ammettere di averlo intuito, dentro di sé, già prima che Blaine lo dicesse.
Non voleva ripensare a com’erano andate le cose e a quanto sul principio Rick l’aveva presa male, ma non poté fare a meno di chiedersi se non fosse stata anche colpa sua se il marito aveva reagito in maniera tanto negativa.
Certo, a differenza di poco prima, non c’erano state né scenate né grida - le urla e gli insulti per Rick erano così inusuali - ma alla fine le lacrime erano comunque rimaste incastrate tra le ciglia di suo figlio.
Era stata la prima volta in cui Sonia si era sentita come strappare in due.
Non c’era stato verso: una parte del suo cuore era stata così piena di rabbia nel vedere che Blaine non veniva accettato, ma un altro lato del suo animo era rimasto atterrito al pensiero di quanto anche Rick era sembrato perso e ferito.
Come poteva venirne a capo? Le era parso impossibile. Li amava troppo entrambi.
«È anche colpa mia» si era rimproverata già allora.
Ma lo era sul serio? E di cosa? Ma soprattutto, nei confronti di chi?
Blaine non era mai stato il tipo di bambino che sogna di essere una principessa e lo confessa così candidamente da non lasciare dubbi nei propri genitori.
Lui aveva sempre giocato nella parte del bel principe, ma Sonia ora si rendeva conto che non c’era mai stata altra principessa che lei.
In compenso non erano mancati gli ulteriori indizi. Rick difficilmente avrebbe potuto coglierli, dal momento che passava così tante ore al lavoro, ma per una madre che aveva condiviso così tanto con il figlio erano stati ben evidenti.
Se Sonia non li aveva interpretati per quel che erano era stato solo perché non aveva voluto farlo.
Aveva sempre amato Blaine, perché avrebbe dovuto soffermarsi su cose che avrebbero potuto mettere in discussione il loro rapporto?
Quanto era stata stupida e anche egoista, sia nei confronti di Blaine che nei confronti di Rick.
Se lei gli avesse parlato prima la rivelazione di Blaine non sarebbe diventata lo shock che era stata.
O forse sì, ma magari in quel caso lei si sarebbe sentita libera di agire in maniera più decisiva per proteggerlo.
Invece aveva cercato a modo suo di consolare entrambi, sia Rick che Blaine.
Si era sforzata più che altro di placare gli animi e di far ritornare tutto come prima, ma non si era mai davvero esposta, ora lo vedeva, né a favore di uno né a favore dell’altro.
Aveva lasciato soli sia il figlio che il marito? E per cosa? Solo per non turbare l’equilibrio che le era tanto caro? O per non veder andare in briciole l’immagine di famiglia perfetta che le era sempre piaciuta tanto?
Aveva avuto paura di perdere Rick, se si fosse schierata dalla parte di Blaine? Eppure non era riuscita neppure ad allearsi del tutto solo con il marito.
Se ci pensava era incredibile che con il passare del tempo la situazione fosse comunque migliorata. Di certo non era successo per merito suo.
Blaine ce l’aveva messa tutta, molto più di lei, e le faceva male al cuore pensare che, fino ad allora, avesse dovuto riuscire praticamente da solo nel compito doloroso e difficile di ritrovare un rapporto decente con il padre.
Anche Rick, almeno fino alla regressione di quel pomeriggio, aveva fatto la sua parte, più di quanto lui stesso non avesse compreso. Ma lei?
Che diavolo di madre e moglie era diventata?
Oh, sì, certo, Blaine si era sentito ripetere costantemente: «Non devi nemmeno pensarci, io e papà ti amiamo. Ti vorremo sempre bene».
Ma non avrebbe dovuto esserci alcun bisogno di ribadirlo.
Una buona madre avrebbe affrontato il proprio marito, a costo di perderlo. Una buona madre non si sarebbe mai sentita così tanto a disagio a causa della sessualità del figlio solo per via di stupide tradizioni e vecchie mentalità ammuffite che derivavano da una vita e da un paese ormai lontani anni luce.
Blaine era suo così com’era e lei lo amava con tutto il cuore.
Non era neanche in grado di pensare di amarlo meno, per nessun motivo al mondo.
Ma era stata sul serio tanto migliore di Rick? Davvero era stata più disposta ad accettare Blaine fino in fondo?
No. Sino a mezz’ora prima non si era resa neppure conto di cosa stava facendo alle due persone a cui più teneva nella vita, e la atterriva accorgersi che lo stava facendo da un sacco di tempo.
Sul serio, che razza di donna era diventata?
Rick le aveva dato tutto, certo, e la amava, si appoggiava a lei nei momenti di sconforto, credeva in lei, si fidava ciecamente e l’aveva sempre fatta sentire felice e al sicuro, ma, in un certo senso, se lo trattava così non stava tradendo anche lui?
Se chiudeva gli occhi poteva risentire le urla e rivedeva l’espressione di rimprovero sul suo viso, il suo sguardo deluso e ferito.
Risentiva tutto quello che si erano detti durante il litigio furibondo che li aveva lasciati entrambi senza fiato, increduli e colmi di dispiacere.
Continuava a ripensare anche a quello che l’aveva scatenato, a ciò che era successo, con Blaine, quando Rick rincasando un’ora prima l’aveva trovato in salotto con Kurt.
Si sentì male al pensiero di come il marito era andato su tutte le furie, anche con lei.
Se l’era presa con Blaine, aveva gridato - Madre Santa - se l’era presa perfino con Kurt. Con un liceale di cui avrebbe potuto essere il padre.
Con un ragazzino grazioso ed educato che non aveva fatto niente di male e che rendeva Blaine così felice che era impossibile non accorgersene, se solo si aveva modo di osservarli insieme per più di due minuti.
E lei aveva avuto tutto il tempo di farlo dopo che il litigio era finito, quando era andata a cercare Blaine.
Rick si era scagliato contro tutti con così tanta veemenza che Blaine gli aveva urlato contro in risposta, per la prima volta in vita sua.
Era sempre stato il più rispettoso e pacato dei figli, ma quando Rick aveva iniziato a strillare contro Kurt - e prima ancora che lei potesse anche solo pensare di intervenire - aveva risollevato lo sguardo e poi c’era stato un momento tremendo, tagliente, dolorosissimo in cui aveva parlato solo per ferire.
Sonia aveva visto Rick irrigidirsi, la mascella serrata, il viso contratto come i pugni.
Lei ancora non sapeva dire se vedere Blaine che afferrava Kurt per un polso e correva via senza voltarsi l’aveva riempita più di sofferenza o di sollievo.
Non che le riuscisse di credere che Rick l’avrebbe colpito, ma se avessero continuato a dirsi certe cose si sarebbero distrutti a vicenda e il solo pensiero la faceva sentire sul punto di piangere come una bambina senza speranze.
Neanche quando era stata davvero una bimba, ancora ben lontana dagli agi e con il padre lontano, aveva mai provato niente di simile.
Allora aveva avuto speranza eccome. C’era stato il sogno: l’America.
E poi era diventato realtà ed era sempre stata una realtà che superava le sue più rosee aspettative.
Rick stesso aveva superato ogni previsione e Blaine, be’, lui era semplicemente il più grande dei doni che la vita le aveva fatto.
Perché tutto doveva vacillare? Perché lei doveva vederli lottare e ferirsi?
Erano sempre stati così uniti, padre e figlio, malgrado il tanto tempo che Rick dedicava al lavoro.
Sempre. Fino a quelle tre lettere dette con una voce timorosa e irrequieta che lei non avrebbe mai più scordato.
Gay. Tre lettere potevano scatenare un’esplosione o spalancare un baratro tra due persone che si amavano, anche se a pensarci sembrava così assurdo.
Ma davvero una parola poteva distruggere una famiglia unita, seppellendola sotto il peso del proprio significato?
«No!» Fu un pensiero improvviso, così folgorante e consolatorio, malgrado tutto da far crollare il muro dietro cui Sonia aveva trattenuto le lacrime. «Forse no.»
O magari si illudeva, magari la sua famiglia avrebbe avuto una chance ma lei l’aveva sprecata perché non aveva disarmato la collera e le paure di Rick, prima che venissero fuori tutte insieme.
Aveva rovinato tutto perché non era stata davvero un ponte tra lui e Blaine come sarebbe stato suo dovere di moglie e madre?
Eppure non voleva smettere di sperare. Se l’avesse fatto - lo sentiva - alla fine li avrebbe persi entrambi, sia Rick che Blaine.
E in ogni caso doveva provarci, trovare una via per sistemare le cose, non importava quanto tempo avrebbe potuto volerci o se avrebbe dovuto essere drastica e prendere di petto Rick e perfino se stessa.
Non poteva lasciare che suo figlio si convincesse davvero di non essere amato da uno o da entrambi i genitori, perché non era vero. «Assolutamente!» Non poteva credere che lo fosse. 
Rick amava Blaine tanto quanto lei, Sonia non riusciva comunque a convincersi del contrario.
Qualunque fosse la difficoltà che teneva il marito lontano dal figlio, le pareva impossibile che implicasse una reale carenza di amore.
Rick doveva solo compiere un percorso, proprio come stava iniziando a fare lei.
«Sì!» Le cose stavano così e doveva esistere una soluzione.
Rick era a suo modo molto tradizionalista, certo, ma non era mai stato un uomo carico di pregiudizi, e forse anche per quel motivo lei aveva sottovalutato la situazione.
Insomma, Rick era uno di quelli a cui non importava del colore della pelle e, anche se non era dispiaciuto della sua scelta di rimanere una casalinga, non le avrebbe mai impedito di frequentare il college e di lavorare.
Pur essendo un avvocato di grido che si godeva i propri agi senza grandi remore nel mostrarsi fiero di quel che possedeva, suo marito, proprio come lei, non aveva mai mostrato di ritenersi superiore al prossimo o di disprezzare chiunque avesse una posizione sociale meno vantaggiosa.
Le pareva assurdo, ora che rifletteva con più impegno, che un simile tipo d’uomo potesse essere in generale così aperto e nello stesso tempo così chiuso riguardo a un singolo argomento.
Del resto Rick non si era mai mostrato particolarmente prevenuto riguardo a un certo tipo di tematiche, almeno finché non era stato il suo stesso figlio il soggetto concreto della discussione.
Non era proprio Rick quello che un giorno aveva preso sulle ginocchia un Blaine di quattro anni, confuso e in lacrime, e gli aveva spiegato che la gente a volte è stupida perché non si accorge che le persone sono prima di tutto persone, non conta di che sesso, colore o religione siano, non conta da dove vengono e di che nazionalità sono?
Lei lo ricordava perfettamente. Se chiudeva gli occhi e si concentrava appena poteva vederli e sentire la vocetta dispiaciuta e indignata di Blaine che si lamentava: «Lavinia dice che mamma è brutta, ha detto: “Ha gli occhi piccolini e non è americana. Solo la mia mamma è bella perché è americana”. Ha detto così…»
Lavinia, già, la figlia dei Moore, la stessa che ora ogni volta che incrociava Blaine da qualche parte arrossiva e lo guardava da sotto le ciglia in quel modo che nessuna donna, nemmeno una di appena quindici anni, avrebbe mai riservato ad altri che al suo principe azzurro mentale.
Ma da bambina Lavinia aveva avuto di quei momenti odiosi, e il giorno in cui aveva esagerato, prendendosela con lei, Rick non solo aveva consolato Blaine, ma gli aveva spiegato tutto quel che c’era da spiegare sul razzismo.
In fondo, era Rick il primo ad aver sempre insegnato a suo figlio che cosa volesse dire apertura mentale, possibile che ora non fosse in grado di rammentarlo a se stesso solo perché la cosa lo toccava in via tanto diretta?
Sì, era possibilissimo, certo, anche se assurdo. In realtà non era lei la prima ad aver mostrato lo stesso identico difetto?
Eppure, ora che si poneva il problema e vedeva i propri torti, non le pareva di essere irrecuperabile.
Non si sentiva davvero razzista, non nel senso profondo del termine.
Adesso, se pensava al fatto che suo figlio era gay, non avvertiva nessun disgusto od odio radicati, solo una vaga tensione.
Provava imbarazzo, ma forse era solo perché l’era sempre stato mostrato - dai genitori e dalla società - che avrebbe dovuto provarlo. E per l’idea del sesso, certo. Quella era ancora difficile da digerire, ma era del suo bambino che si parlava, in fin dei conti.
E poi c’era l’apprensione per quel che sarebbe potuto succedere, per quel che in passato era già successo.
Ma neppure la notte orribile in cui l’avevano chiamata dal pronto soccorso il dolore sul viso di Blaine le era sembrato tanto insopportabile quanto quello che gli aveva letto negli occhi mentre Rick gli urlava contro.
Non riusciva a non avere paura che la vita e il mondo potessero far soffrire suo figlio, era vero, ma questo la rendeva solo confusa, non omofoba o incapace di rimediare ai propri errori.
Magari anche Rick aveva gli stessi timori ed era così confuso da sentirsi esplodere, forse era quello che trasformava una persona priva di pregiudizi nell’uomo irragionevole e urlante che aveva litigato anche con lei quel pomeriggio.
Oppure Sonia era solo un’ingenua che non voleva arrendersi e affrontare la realtà, ma non riusciva a credere che un uomo simile, l’uomo che amava, fosse davvero omofobo, gretto e meschino.
Non che lei stessa non si fosse dimostrata tale, in un certo senso, ma, ora che il cuore le doleva al pensiero di Blaine da solo in camera sua, si accorgeva che il suo pregiudizio era solo una patina superficiale a paragone con l’amore per il figlio. Nulla che non potesse essere estirpata, anche a costo di soffrire per riuscirci.
Quando si trattava di Blaine era sempre stata disposta a lottare contro il mondo intero.
Bene, avrebbe lottato perfino contro se stessa, se era quello che serviva a suo figlio per essere felice. Avrebbe combattuto contro Rick, anche se lo amava e non avrebbe mai voluto perderlo.
Era esattamente quel che avrebbe dovuto fare fin dal principio e faticava a credere di non essersene accorta prima.
D’altro canto, anche se era stata così cieca da non voler vedere, ora che si rendeva conto di come stavano le cose era decisa a sostenere Blaine a qualunque costo.
Sapeva che al di là delle mura di casa non c’era modo di tenere suo figlio al sicuro tanto quanto avrebbe desiderato, ma in casa sua, accanto a lei, Blaine doveva essere e sentirsi sempre protetto.
Osservarlo mentre sedeva chino e abbattuto su una vecchia altalena e si aggrappava con tutte le sue forze al conforto che Kurt cercava di dargli per Sonia era stato come ricevere un meritatissimo schiaffo in pieno viso.
Avrebbe dovuto esserci lei al posto di Kurt. Anzi, con Kurt.
No, non era neppure quello il punto. Semplicemente niente di quel che era accaduto sarebbe dovuto succedere.
Rick doveva capirlo. Doveva farlo per Blaine e anche per lei, perché Sonia iniziava a realizzare con angosciosa sicurezza che se si fosse sbagliata in pieno, se il marito alla fine si fosse mostrato davvero incapace di accettare e di comprendere, lei non avrebbe potuto continuare ad amarlo come se nulla fosse.
E si sarebbe tormentata anche con il pensiero di essersi sempre illusa, di aver vissuto da sempre una bugia, un sogno inutile, un vaneggiamento costruito dal suo cervello e non il matrimonio felice che aveva sempre creduto di vivere.
Quanto era stata stupida a non svegliarsi prima e a lasciare che le cose precipitassero fino a quel punto! Ora le sembrava che tutto ciò che amava potesse andare in briciole nel giro di un pomeriggio.
Bene, non intendeva arrendersi e credere di aver gettato al vento gli ultimi vent’anni della sua esistenza.
Non le era mai parso che i suoi sentimenti per Rick fossero solo un finto idillio come spesso le capitava di vederne tra i loro coetanei.
Forse l’educazione che sua madre le aveva inculcato, specie quando ancora vivevano nelle Filippine, era stata troppo rigida e antiquata e, probabilmente, era alla base delle difficoltà che lei stessa stava trovando lungo il cammino dell’accettazione integrale di suo figlio, però un pregio lo aveva: le aveva insegnato che una famiglia e un matrimonio si costruivano solo su basi salde e concrete, non su fantasie campate per aria.
Sonia quelle fondamenta imprescindibili le aveva cercate fin dal suo primo giorno accanto a Rick, e aveva fatto anche in modo di crearle, quindi dovevano esserci, non poteva essersele soltanto immaginate.
Doveva solo fare in modo che tornassero a reggere il peso dell’intera famiglia.
D’un tratto, mentre se ne convinceva, smise di piangere in silenzio come aveva fatto da diversi minuti a quella parte.
Strinse le labbra, facendole rientrare a formare una stretta fessura determinata, e raccolse ogni briciolo di forza che aveva per tirarsi su anche in senso fisico. Le pareva che alzarsi dal divano fosse già di per sé una piccola impresa, ma non intendeva perdere nemmeno un solo minuto in più.
Si sarebbe alzata, avrebbe bevuto un bicchiere d’acqua e, non appena ripreso fiato, sarebbe salita di sopra, in camera di Blaine.
Non voleva cercare di rifilargli la solita solfa senza senso, sarebbe stata sincera.
Avrebbe cercato lo sguardo di suo figlio, gli avrebbe preso le mani tra le sue, se solo Blaine glielo avesse concesso, e poi avrebbe fatto ciò che sarebbe stato giusto fare fin dall’inizio.
Prima di tutto, a costo di leggere altra sofferenza nei suoi occhi, avrebbe ammesso che non era affatto facile abituarsi all’idea che gay non fosse più solo un aggettivo riferito ai figli di qualcun altro e che non ci sarebbero mai stati nel loro futuro né la nuora né il matrimonio in chiesa durante il quale lei aveva sempre immaginato di commuoversi senza ritegno.
Avrebbe detto a Blaine tutta la verità sulle proprie paure, sulla chiusura mentale che intendeva vincere e perfino sul fatto che al solo pensiero del sesso le ronzavano le orecchie e si sentiva tremare le gambe e, no, per quanto fosse sbagliato, per ora non poteva ancora dire che fosse soltanto perché lui era il suo bambino.
Sonia non intendeva tacere niente. La sincerità era la sola opzione che aveva, la sola base da cui lei, Blaine e Rick potevano ripartire, quale che ne fosse il prezzo.
Ma poi, una volta detto tutto quel che aveva da dire in proposito alle proprie mancanze, Sonia intendeva anche far capire al figlio che non l’avrebbe mai più lasciato solo.
Sapeva già che se ne avesse avuto la possibilità l’avrebbe stretto e gli avrebbe ricordato una per una tutte le cose che lo rendevano ben più che prezioso e speciale. Blaine non era solo unico per lei, era insostituibile.
Sonia non ne era mai stata più certa di così e voleva che lui lo sapesse.
Intendeva ricordarglielo, farglielo sentire in concreto, fare in modo che Blaine non potesse mai più dimenticarselo o metterlo in dubbio.
Sarebbe rimasta con lui per tutto il tempo necessario, quella sera e non solo.
Avrebbero aspettato il ritorno di Rick, insieme, e poi lei avrebbe affrontato anche il marito, con la stessa determinazione, senza scoraggiarsi al primo tentativo e senza più cedere.
Avrebbe fatto in modo che Rick capisse, addirittura, se possibile, che vedesse attraverso di lei quel che per lei ormai era chiarissimo.
Non si sarebbe arresa.
Era o non era la figlia di Carlos Cruz, l’uomo tanto determinato da far diventare veri perfino i sogni? Quello così testardo che era riuscito a regalare ai suoi figli perfino l’America?
Suo padre aveva lottato perché lei e Diego avessero tutto ciò che desideravano e Sonia intendeva combattere per far sì che Blaine potesse avere altrettanto, fuori casa e a maggior ragione tra le mura domestiche.
Lei glielo doveva, e lo doveva anche a Rick.
In fondo era una donnina minuta, tranquilla e a volte un po’ sciocca e sentimentale, ma non era davvero un’ingenua e nemmeno una persona così fragile da non potersi battere per i due uomini che più amava.
E poi giù al parchetto aveva fatto una promessa a Kurt Hummel e, anche se si era trattato di un voto silenzioso, formulato e accettato solo con gli occhi e diretto a un ragazzino del liceo, Sonia non intendeva rimangiarselo per nessun motivo al mondo.
Era come se avesse giurato che non avrebbe mai più lasciato succedere nulla di simile a quel che era capitato poco prima tra Blaine e suo padre.
In qualche modo lei e Kurt si erano capiti, riconosciuti e alleati e Sonia non voleva fingere che non fosse successo solo perché la cosa riguardava qualcuno che fino a poche ore prima era stato un perfetto estraneo.
Si lisciò la gonna - più per abitudine che per un reale interesse a presentarsi ordinata quando si sarebbe affacciata sulla soglia della camera di Blaine - e prese un lungo respiro.
Non doveva pensare di aver sempre costruito i suoi sogni solo sulla sabbia, doveva esserne certa e basta: lei, Blaine e Rick potevano farcela. Anzi, di sicuro ce l’avrebbero fatta.

***

Le grosse catene di metallo tintinnarono rumorosamente mentre Kurt si alzava di scatto.
Sonia si chiese se a smuoverlo era stato il lungo sospiro fin troppo simile a un singhiozzo uscito dalle labbra di Blaine, oppure lo sguardo che aveva appena scambiato con lei. Era molto probabile che fossero giuste entrambe le ipotesi.
Kurt l’aveva vista e non aveva detto niente a Blaine.
Lei sapeva che era stato tentato di farlo, gliel’aveva letto in viso, ma l’aveva pregato di aspettare ed era stata accontentata.
In realtà non aveva scambiato una sola parola con il giovanissimo ragazzo di suo figlio, ma si erano capiti lo stesso, nemmeno si conoscessero da una vita.
Il motivo era Blaine, senza ombra di dubbio. In silenzio, con il cuore in mano e l’ansia nel petto lei e Kurt si erano guardati e avevano deciso che, più che mai in quell’occasione, Blaine veniva prima di tutto il resto.
Era come se Sonia avesse appena detto: «Ti prego, digli tu quanto lo amo».
Perché lei non era ancora in grado di venir fuori dal ridicolo nascondiglio che si era scelta, e aveva così paura di riuscire solo a peggiorare la situazione che alla sola idea faticava perfino a respirare.
Non che fosse giusto lasciare un peso così enorme solo sulle spalle di un adolescente non meno sconvolto di Blaine, ma era una cosa temporanea e poi Kurt in quel momento era vicino a suo figlio molto più di lei. Non era una questione di distanza fisica: se anche Sonia si fosse trovata proprio accanto a Blaine, spalla contro spalla, il minimo gesto di Kurt l’avrebbe comunque raggiunto e toccato con più forza e immediatezza di uno qualunque dei suoi.
L’avevano capito sia lei che Kurt e non c’era stato bisogno di dirselo.
Così, mentre lei tratteneva il fiato, Kurt si era aggrappato per un’ultima volta alle catene dell’altalena, come per darsi una spinta, e poi si era alzato con uno scatto deciso e un po’ elettrico.
Con una buona dose di stupore, perché non avrebbe mai detto di poter pensare nulla di simile in una situazione tanto drammatica, Sonia si accorse che lui e Blaine avevano qualcosa di specifico in comune, a parte l’età, l’orientamento sessuale e chissà quante altre piccole cose di cui lei non aveva ancora la minima idea ma che dovevano esistere, dal momento che facevano coppia.
Quel qualcosa era una sorta di grazia innata.
Sonia l’aveva sempre scorta in Blaine e ne era sempre andata fierissima, e ora la riconobbe anche in Kurt, sebbene le sembrasse di un tipo un po’ differente.
In ogni caso non ebbe modo di soffermarsi sul concetto; non in quel frangente.
Kurt si era fermato davanti a suo figlio - le dita questa volta si erano strette sulle catene dell’altalena di Blaine - e l’aveva appena chiamato per nome.
Le sillabe erano suonate gentili ma determinate, anche se Sonia aveva visto ancora tanta ansia e incertezza su quei lineamenti delicati e quasi infantili.
E poi l’aveva osservato ricomporsi in un istante, mentre Blaine sollevava il capo e lo sguardo obbedendo al suo richiamo.
Pochi secondi e l’espressione di Kurt era passata dall’angoscia mista a dispiacere alla granitica certezza del coraggio a cui chiunque si sarebbe potuto appigliare per trovare sostegno.
Perfino Sonia stessa si era sentita un po’ confortata.  Poi la madre che era non aveva ripreso il sopravvento spingendola a chiedersi quante batoste potesse aver subito in così pochi anni di vita quel ragazzino pallido e garbato per essere ormai tanto allenato a farsi forza e ricominciare subito a lottare, e per poter indossare così in fretta una maschera da adulto sicuro di sé tanto perfetta da sembrare vera.
Troppe, a quanto pareva, e non era bastato il padre modello di cui Blaine le aveva parlato per evitarle, proprio come non erano bastati lei e Rick per scongiurare il bullismo che aveva spinto Blaine a cambiare scuola.  Né a proteggerlo dalla violenza insensata di chi trovava normale usare i pugni su chi considerava diverso.
Solo che Blaine ora sentiva di doversi difendere anche dai suoi cari, ed era terribile che lo pensasse.
Sonia non riusciva in alcun modo a perdonarselo.
Vide suo figlio allungare le braccia e afferrare Kurt per la vita con un impeto disperato e un po’ tremante e le si strinse il cuore così forte che il dolore fu anche fisico e la costrinse a premersi una mano sul petto.
Sotto i suoi occhi velati di lacrime, Kurt si lasciò abbracciare e quando la stretta di Blaine si fece ancora più forte si chinò su di lui e, senza più badare a niente altro, gli premette una mano sulla spalla, accarezzandogli appena la nuca con l’altra.
Sonia lo sentì mormorare qualcosa che non comprese, anche perché tutto il corpo di Kurt in quel momento era chino su quello di suo figlio, come se volesse rinchiuderlo in un guscio sicuro e impenetrabile.
Non cercò di aguzzare l’udito, non le sarebbe parso corretto. C’erano istanti in cui sul serio si sentiva fuori posto e indiscreta, anche se era il suo bambino quello che stava osservando.
D’altro canto non poteva neppure dire a se stessa di aver fatto niente per meritare la già fin troppo ampia confidenza che Kurt in un certo senso le stava concedendo.
Con un labbro stretto tra i denti e gli occhi ancora lucidi rimase lì in silenzio, sentendosi comunque grata che Blaine avesse accanto una persona che lo amava così tanto.
Si sentì meglio, almeno un poco, finché non sentì la voce di Blaine, ma non fu tanto il tono quanto quel che stava dicendo a colpirla come un pugno inatteso nello stomaco.
«Scusa.» Una sola parola e a Sonia venne il capogiro. Si sentì avvampare di vergogna e anche di rabbia, contro di sé e contro il marito.
Non era Blaine quello che doveva scusarsi con Kurt. Erano lei e Rick, soltanto loro. Blaine non aveva una sola colpa al mondo.
Nell’esatto istante in cui lo pensò, Sonia si rese conto che l’avrebbe detto a Rick: gli avrebbe detto che doveva scusarsi. Non con lei, ma con Kurt e con il figlio.
Gli avrebbe detto che contava di domandare perdono anche lei, alla prima occasione.
Anzi, l’avrebbe fatto non appena avesse trovato le forze per uscire da dietro quello stupido albero, e poi avrebbe detto a Rick che non intendeva discutere di niente finché anche lui non avesse fatto altrettanto.
Forse era una pretesa troppo drastica dopo il modo in cui si era mantenuta neutrale in passato, ma era ormai chiarissimo che la sua neutralità era stata un grave errore. Sonia non intendeva ripeterlo.
In ogni caso sentire Blaine che chiedeva perdono per un torto che non aveva, e di cui era stato vittima quanto Kurt, le chiuse la gola e richiamò indietro le lacrime.
Per un istante le parve che Kurt avesse incassato il colpo tanto quanto lei. Si fissarono, al di sopra delle spalle di Blaine, e lei non fece niente per opporsi al rimprovero che avrebbe potuto scorgere negli occhi chiari che la scrutavano.
Non riuscì a trovarne. Vide solo il suo stesso dispiacere e di nuovo quel luccichio battagliero e protettivo.
Kurt prese il viso di Blaine tra le mani e gli fece sollevare il mento.
Sonia pensò che l’avrebbe baciato, forse perfino con una certa foga, e decise che mentre accadeva avrebbe chinato il capo per lasciarli liberi - era la sola cosa giusta da fare ed era quel che meritavano - ma non avrebbe chiuso gli occhi o finto che non stesse accadendo.
Non voleva più essere cieca riguardo alla vera natura di suo figlio.
Contro ogni sua previsione non ci fu alcun bacio. Se non altro, non sulle labbra.
Kurt si chinò e ne depositò uno leggero tra i capelli di Blaine, mentre sussurrava ancora una volta qualcosa di inintelligibile direttamente nel suo orecchio.
Fu un bacio tanto delicato da contrastare con l’espressione combattiva e fin troppo risoluta che ancora spiccava sul viso di Kurt, almeno per quel che Sonia riusciva a vedere.
Blaine ne parve rasserenato perfino più che dalle parole.
Per lei il sollievo del figlio fu come una piccola benedizione dopo il dolore di poco prima.
Cionostante le rimase in fondo al petto anche una speciale malinconia al ricordo di quante volte, quando anche lei era stata poco più che una bambina con ancora indosso l’uniforme di uno dei licei più prestigiosi di Boston,  era accaduto che fosse Rick quello che le aveva fatto rialzare il mento quando lei aveva avuto solo voglia di piangere.
All’epoca gli aveva dato retta quando lui le aveva ribadito che nessun’altra valeva tanto quanto lei, che lei era unica e speciale.
Sonia decise che avrebbe fatto qualunque cosa pur di far sì che un giorno Rick lo dicesse anche a Blaine, guardandolo dritto negli occhi, con convinzione assoluta. Fino ad allora le sarebbe quasi sembrato che a quella liceale che stava imparando a diventare americana fosse stata raccontata una marea di bugie solo per illuderla.
Si asciugò gli occhi con il dorso della mano e si trattenne dal tirare rumorosamente su col naso, non tanto perché era una signora, ma per non disturbare la calma che grazie a Kurt suo figlio pareva aver ritrovato.
Anche Blaine, dopo un breve istante, si alzò in piedi. Sonia vide che Kurt aveva iniziato a sorridergli.
Si disse che forse ora poteva raggiungerli, ma era così difficile decidersi a farsi avanti.
Cercò di nuovo gli occhi chiari del suo recente alleato e non si stupì nel constatare che Kurt la stava fissando di rimando.
Per la prima volta lo sentì parlare a voce alta, e si disse che forse quelle parole erano anche per lei, perché potesse sentirle.
«Andrà tutto a posto, vedrai. Dagli tempo.»
Non era quello che si diceva sempre in casi simili? Eppure alle sue orecchie non suonò per niente banale, e anche le spalle di Blaine si risollevarono un po’ mentre ascoltava.
Kurt lo chiuse in un nuovo abbraccio inaspettato e, con il viso seminascosto nel suo collo, ripetè di nuovo la sua confortante profezia, questa volta mentre la cercava con lo sguardo.
Anche se da quella posizione riusciva a vedere solo i suoi occhi, Sonia percepì che davvero ora stava parlando anche con lei. Le sue parole erano una rassicurazione per Blaine ma anche una richiesta nei suoi confronti.
Annuì con lentezza. Stava facendo una promessa: le cose sarebbero migliorate, avrebbe fatto in modo che tornassero come prima, ce l’avrebbe messa tutta.
D’un tratto le parve che Kurt stesse regalando un piccolo sorriso anche a lei.
Non potè vedere che un angolo tutto fossette delle sue labbra arrossate, ma il suo sguardo parve confermarle che non si sbagliava.
Sentendosi un po’ sciocca, ma non in un modo e per un motivo di cui ci fosse da vergognarsi, Sonia sorrise a sua volta, anche se non riuscì a trattenere un sospiro tremolante.
Mentre lei tornava ad asciugarsi le ciglia e le guance in maniera goffa, con la punta un po’ tremante delle dita, il viso di Kurt finì di seppellirsi nell’incavo del collo di Blaine per un lungo momento in cui le parve giusto non intromettersi. Finché durò, Sonia preferì fissare i propri piedi e il prato.
Quando l’abbraccio si sciolse, un attimo dopo, si sentì come se avesse appena avuto il permesso di farsi avanti.
Venne fuori dal cono d’ombra creato dalle fronde dell’albero e, prima che potesse aprir bocca per chiamarlo, Blaine si voltò, mentre Kurt faceva un passo indietro.
Sonia pensò che prima di tutto doveva scusarsi e poi ringraziarlo e riaccompagnarlo a casa, a meno che Kurt non fosse venuto in macchina.
Era giusto che si occupasse anche di lui, e che lo rimandasse a casa il più sereno possibile.
Poi lei e Blaine avrebbero parlato. Dovevano discutere di così tante cose.
Forse avrebbe dovuto dire qualcosa fin da subito. Se solo il suo bambino non l’avesse fissata in un modo così intenso…
«Amore!»
Fu la sola parola che Sonia riuscì a pronunciare, prima di scoppiare di nuovo in lacrime.

*

«Andrà tutto a posto, vedrai. Dagli tempo.»
Non lo diresti mai alla leggera.  Mai. Per nessun motivo.
Blaine forse sarebbe capace di dirlo a te, se fosse al tuo posto. Non perché sia superficiale, ma perché, in un certo senso, è più ottimista di te, anche se a volte ti sembra che in fondo sia più fragile, più facile da convincere che non è vero che le cose andranno meglio.
Ma quando siete insieme ci crede. E ci ha sempre creduto per te, fin dal primo giorno che vi siete conosciuti, quando ti ha detto che potevi fuggire, come aveva fatto lui, oppure restare e combattere.
Se tu non lo conoscessi penseresti che certe volte è solo sciocco e incosciente, invece è fatto così e, forse, confida più nelle risorse altrui che nelle proprie.
Ha solo bisogno di rendersi conto che anche lui può tornare indietro e lottare, a cominciare da questa specifica battaglia che in fondo è la più importate.
È la sua famiglia! Al diavolo gli stupidi, gli ignoranti e qualunque idiotissimo bullo, questa è la sua famiglia.
Vorresti avere la certezza assoluta e inconfutabile che non ti stai sbagliando nell’incoraggiarlo e nell’essere tanto rassicurante, e invece non la possiedi, ma rimani convinto che è una battaglia che Blaine può vincere. Ha solo bisogno del giusto sostegno.
Forse tuo padre in questo ti ha influenzato fin troppo perché, anche se dovresti, specie dopo la scenata a cui hai appena assistito, non riesci a convincerti che un padre possa davvero non amare il suo unico figlio.
Sai che invece a volte succede eccome ma, malgrado oggi e nonostante tutto, di solito Blaine non si comporta come un figlio mai amato.
E gli occhi di sua madre parlano chiaro: lei di sicuro è disposta a qualunque sacrificio per far funzionare le cose. Lo vedi da come ti guarda che vuole farlo e che non mollerà finché non ci sarà riuscita.
Lo ripeti anche a lei, che si sistemerà tutto, perché in fondo hai bisogno che il suo sguardo te lo riconfermi, altrimenti non sai se riusciresti a lasciare andare Blaine, e a restituirglielo perché rientri a casa con lei.
Il tuo primo pensiero, in effetti, è stato di dirgli che poteva venire a stare da te per un po’, se non se la sentiva di rientrare, ma anche un cieco vedrebbe che sua madre ha ogni possibile intenzione di proteggerlo e che all’idea di perderlo le si spezzerebbe il cuore.
Puoi capirla, anche se dubiti che lo ammetteresti a voce alta.
Così ora avete un patto, a quanto pare. Tu tra un istante le restituirai Blaine e lei in cambio farà in modo di non fare di te un bugiardo, dato che mentre l’abbracciavi più stretto gli hai sussurrato per l’ennesima volta: «Andrà tutto bene».
È l’ultima cosa che gli diresti tanto per dire ed è l’ultima sulla quale vorresti mentirgli.
Gli affondi il viso nel collo e pensi che lo ami, e che sei fortunato, più di quanto a volte credi tu stesso. Molto fortunato e non solo ad avere lui.
«C’è tua madre, Blaine» gli sussurri piano in un orecchio, sapendo che lei non può sentirti. «È qui da un po’, sai? È una brava mamma. Sul serio. Dalle un po’ tempo.»
Non hai bisogno di sentirlo ribattere o di vederlo annuire. Ti stringe più forte e gli sfugge un altro singhiozzo. Uno che conta quanto mille risposte.
Blaine ce la può fare. Può davvero vincere, ora che ha i giusti alleati.
Adesso che ci credi davvero puoi scioglierlo dall’abbraccio e renderlo a sua madre perché lo riporti a casa. Perché sei certo che sia la cosa giusta da fare, che ne valga la pena e che, malgrado tutto, quella di Blaine è e resterà sempre una vera famiglia. E le famiglie vere sono come le battaglie giuste: non si perdono mai.

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rating: pg, warning: angst, pairing: blaine anderson/kurt hummel, warning: slash, warning: homophobia, warning: h/c, - fanfic, fandom: glee, recipient: chibi_saru11

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