Dopo quattro ore di lavoro sotto un cielo che sembrava dovesse piovere proprio quando t'eri appena acceso da fumare, D'Ambra finalmente ebbe modo di fermarsi per qualche minuto. Si trovava in una zona del cantiere dov'erano circondati da terra rilevata in grossi cordoni che parevano anch'essi, come le nuvole, sul punto di smottare tra cinque minuti neanche. Dalla sommità delle creste scivolavano brevi rigagnoli di sassi.
Alla sigaretta in ogni caso D'Ambra decise di dar il fuoco, che se fosse stato ancora lì a guardare in alto cosa faceva con la pioggia, non si sarebbe più tolto la voglia. E la voglia opprime, rende alla fine di poca reattività... come se già non bastasse il poco sonno di tutte le mattine.
Se ne ristette così in piedi a guardare il portante che stavano lavorando a porre dentro a quelle fondamenta, il calcestruzzo magro gittato alla base, lo scafo di tondini come embricato tutto attorno.
Era da dirsi un lavoro fatto bene.
Fumando a D'Ambra venne l'occhio anche alla punta delle polacche antinfortunistiche che aveva ai piedi, di come infine si fossero fatte di una cartapecora creata da un impasto di schizzi di calce con l'intonaco.
Prima o poi o finisce che si rompono come pane e mi ci scasso i piedi contro una barra di ferro che viene fuori da terra, pensò.
D'Ambra guardava dappertutto per non vedere da nessuna parte: ad esempio la mano intorno all'elsa della paglia -la bragia inerte nelle volute di fumo- con appunto la mano che s'era fatta di quel colore tra il bianco e il violetto degli inverni, quando il freddo vorrebbe aprirsi nel corpo potendo rompere l'epidermide, mentre invece soltanto si limita a saggiarne la resistenza o a inciderla qua e là per via di qualche chiodo torto, una scheggia.
Infatti le palme di D'ambra erano piene di taglietti, alcuni rosati o col sangue, altri ricoperti dalla crosta. Esaminò anche quelli con annoiata curiosità, portandosi le zampe proprio davanti al viso.
Una decina di metri più in là Volodymyr, l'operaio ruteno, il biondo, stava accosciato presso una buca col metro a fettuccia che srotolava. L'altro operaio, Matita, di Romania, era fermo accanto a lui con la marra tra le mani.
D'Ambra aveva comandato loro di mettersi un attimo tranquilli, che tempo ce n’era. Quelli come sempre s'erano limitati semplicemente ad annuire come mussi nel pascolo. Che teste...
A volte per qualche malestro li insultava, e loro annuivano. Magari poi in un'altra occasione succedeva invece che glielo doveva proprio dire che ogni cosa era stata fatta per bene per cui lui in persona, il capomanipolo onniveggente, offriva da bere e fumare.
Ma anche lì annuivano e basta, uguale a quando gli diceva li morti. Con ogni evidenza c'erano momenti nei rapporti tra D'Ambra e i suoi nei quali s'impigliava una pastosa indistinzione di male/bene senza bilancio.
Formavano in tre una piccola squadra tra i ranghi della manovalanza che lavorava alla posa di grandi prefabbricati di cemento in un'area edificabile dove prima, per quanto constava a D'Ambra, c'era solo del terreno per uso agricolo. Adesso, morto l’erpice, le squadre in quella terra ci assemblavano una dietro l'altra navate e transetti e navate di muro da vendere per l’insediamento industriale. Mettevano i montanti e le coperture eccetera.
'Riprendiamo!' gridò D'Ambra ai suoi.
Più tardi gli suonò il telefono. Benché facesse assai freddo, era sudato. Per rispondere si tolse il casco di sicurezza.
Era Milesi, il capocantiere.
'Venite di qua?' domandò.
'Tutti?' rispose D'Ambra, ma come sempre, e d'istinto, prendeva tempo.
'Sono con gli impiantisti'.
'Ma ti servo io?'.
Milesi non rispose, si sentì nel sottofondo qualcuno che gli si rivolgeva e allora lui toglieva la voce da D'Ambra e la dava a questa persona. Come quando l'attaché arriva dall'ambasciatore con la firma da apporre a qualche documento importante, così che quello deve mettere in attesa il suo interlocutore. Scusami un momento, dice l'ambasciatore, ho qui una questione importante.
Milesi però aveva questione soltanto dei diametri delle tubazioni da interrare.
'Che mi dicevi?' riprese poi.
'Se devo parlare io con gli impiantisti, che gli dico?' disse D'Ambra.
Prendeva tempo.
'Eh... ma no, che hai capito. Ti chiedevo se venivate qua a mangiare, che ho mandato a pigliare la pizza al trancio. Dai venite, il ragazzo tra poco ritorna. Gli ho detto di andare vicino allo scalo, che c'è un posto che la fanno veramente buona cazzo' s'infervorò Milesi, anche se non si capiva il perché di quei particolari.
'Allora adesso veniamo'.
'Sì ma alla svelta, che si freddano in un minuto'.
'Veniamo subito, allora'.
Chiuso il telefono, D'Ambra si volse verso i suoi operai.
'Dice Milesi che ha mandato a prendere la pizza... non chiedetemi perché. Bisogna andare' fece grattandosi il cranio. Peraltro l’idea della mozza calda sul pomodoro non gli dispiaceva affatto. Può essere che c'avevano fatto mettere anche le acciughe
Fu allora che vide che Matita stava già masticando il suo consueto panino con il prosciutto cotto e gli sgombri. Dover interrompere un’intrapresa siffatta poteva riuscirgli ma neanche inammissibile, forse addirittura un’offesa diretta. Infatti mise uno sguardo torvo.
'Cazzo, ti puoi mangiare i tuoi pesci e pure la pizza! Non diciamogli di no a Milesi, che non capita sempre che è messo così in buona. Oh!' si spazientì D’Ambra a quell’occhiata.
Volodymyr invece era già contento. 'Doppio formaggio?' chiese mettendo le dita a forma di V.
'Ma che cazzo ne so...'.
D'Ambra aveva già i suoi pensieri di suo, ed esulavano dalle questioni di lavoro. Sterri, scavi... nello smosso c'era materia fertile perchè in qualche maniera non si desse pace, anche se era sereno da giorni.
Però a Matita lo dovette spingere. E quando arrivarono c’erano già i cartoni aperti fumanti nell'aria fredda dentro al fabbricato loro dove avevano spazio comune e spogliatoi. La mozzarella, ancorché non doppia, s'era come un po' incollata al coperchio di cartone e faceva la barba mentre Milesi personalmente sprimacciava le fette, che quello con la ruota in pizzeria non le aveva veramente separate bene. Ti pareva.
''Sto zingaro e rottinculo...' chiosò il capocantiere.
'Oh oh oh' emise sorridente Volodymyr mentre s'avvicinava alla pizza fregandosi le mani per la soddisfazione.
Mentre tutti mangiavano si poteva vedere Matita che addentava leonino una fetta grande così. Scomparso il cipiglio, dalla tasca gli spuntava morsicato il panino prosciutto e pesciacci.
****
Quando la sera D'Ambra tornò a casa aveva la pelle ruvida della strigliata che s'era dato nelle docce del cantiere. Intorno alle unghie permaneva il residuo pastrocchio dello stucco, datosi che non c'era modo di tirarlo via definitivamente se non lasciando che si facesse lamina.
Dalla cucina ecco alzarsi nell'aria il suono sfrigolante della roba in padella.
D'Ambra appese il giaccone all'attaccapanni mentre, da una stanza all'altra, traverso il corridoio, sbucava la figlia, chinata, tenendo per le mani alte suo figlio piccolo per aiutarlo a camminare. Traballava di poco appoggio il bambino, con la circospezione inconsapevole chi cammina sulla banchisa in punto di rompersi.
'Ma cosa abbiamo qui?' sorrise D'Ambra accosciandosi.
Allungava le braccia e prendeva il nipote. Oh finalmente.
'Siamo passati a salutare. Tra poco ci viene a prendere Francesco' disse la figlia guardandoli.
Il bambino ciangottava appresso al nonno che lo sollevava verso il soffitto. Lo alzava e lo abbassava, lo alzava e così via.
Dalla cucina si affacciò anche la moglie di D'Ambra, col grembiale annodato ai fianchi.
'Ciao!' disse forte.
'Vi fermate qua a mangiare?' chiese lui alla figlia.
'No, Francesco vuole essere a casa presto perché c'è la partita'.
'Quale partita, oggi che siamo a mezza settimana?'.
'C'è l'anticipo. Sai com'è, Francesco dice che è per la coppa. Poi lui è fissato con questa cosa... la coppa, la partita. Finisce che sono diventata esperta anch'io'. La figlia rise di codesta anomalia nel loro piccolo cosmo.
Il nonno pensò invece che suo genero Francesco era un coglione.
Si distolse subito dal pensiero col fare versi uguali a quelli che gli faceva il nipote in braccio, ma ancora più inarticolati e barbuglianti, perché quella sua lingua d'infante non l'avrebbe mai imparata per davvero, come capita a chi rimane straniero irrimediabilmente.
'Ma che glielo dici a fare a tuo padre...' ribatteva intanto la moglie di D'Ambra 'che a lui lo sai che gli interessa vedere soltanto il pugilato'.
Quello giocava col bambino, e pareva non ascoltasse.
Successivamente, in un farsi quotidiano, indistinto, gli pervennero frasi che s'accavallavano su cosa c'è stasera per cena; Francesco si mette sempre a dormire già alle dieci sul divano ché lavora troppo e allora secondo lui si vede che non abbiamo niente da dirci; il bambino che gli ho provato la febbre con l'istrumento che s'infila nell'orecchio ed è molto più comodo così anche se a comprarlo costa abbastanza; tuo frate Cosimo che adesso, veramente, va bene. Ma davvero? Sì veramente benissimo che ancora guarda non ci credo, col lavoro e tutto e poi tuo padre lo conosci, gli sta addosso... Quanto ci ho penato io. Lo so lo so.
'Cosimo ha telefonato?' chiese allora D'ambra. Poi ancora. 'Nel cantiere mentre ancora stavamo nella fondazione capitava che non riceveva. Magari ha telefonato qui...'. Inoltre. 'Tu che gli fai da mangiare stasera Maria? Hai visto la tabella per la dieta eh...'.
'Ma non è possibile che lo devi tenere a balia questo figlio tuo. E comunque no, non ha telefonato... che doveva telefonare poi, che stasera sta agli allenamenti, lo sai' sbottò alla fine la moglie.
D'Ambra fece come un gesto di accigliata noncuranza.
'Dio che ansia: chiede sempre la stesse cosa, ma scusa' disse ancora la moglie all'indirizzo della figlia.
Il bambino rimesso a terra, ma sempre tenuto braccia in alto.
(fine della prima puntata)