Titolo: Lullaby
Autrice:
arial86Beta:
hilkail ♥
Rating: NC17
Sommario: “Stai per diventare padre. Sono… in dolce attesa. È questa l’espressione, giusto?”
[...]“Cristo Iddio,” sussurrò il cacciatore, “non stai scherzando. Co-come è possibile? Arrivate forse in dotazione con un fottutissimo utero?”
La vostra classica eggpreg. Più o meno.
Pairing: Destiel
Wordcount: 2854
Note: Dedicata a
hikaruryu ♥
L’appello di Sam giunse qualche giorno più tardi, inaspettato e quanto mai tempestivo.
Il ragazzo era accanto alla pira e sfiorava i capelli del fratello. Il corpo di Dean era ancora caldo, il suo volto florido e sereno, la ferita rimarginata. Sembrava dormire.
Castiel non era riuscito a salvarlo, ma ne aveva preservato l’immagine in vista di quel preciso momento. Per Sam, per se stesso, non avrebbe saputo dirlo.
All’arrivo dell’angelo, il cacciatore non si voltò. “Potresti riportarlo in vita, vero?” chiese, la voce poco più che un sussurro. “Il suo corpo, almeno.”
“Sì, potrei,” rispose Castiel. “Ma non sarebbe più lui.” Scosse la testa, nonostante l’altro non potesse vederlo, ricordando la disperazione e l’ostinazione, la ferocia con cui Dean aveva cercato di ridare l’anima al fratello. Senza, gli uomini non erano che gusci vuoti, guidati dall’istinto e dalla cupidigia. “Vorresti che lo facessi?” domandò, infine, scoprendosi a desiderare nient’altro che quello. Riavere Dean, i suoi sorrisi, la sua tenacia e la sua gioia di vivere, il suo contagioso amore per le piccole cose. Poter fingere, anche solo per un istante, che dietro quella splendida facciata ci fosse l’anima fatta di luce che aveva fatto sottosopra il suo universo, senza mai scusarsi e senza mai abbandonarlo lungo il cammino.
“No, non lo vorrei,” ammise l’altro. “Ho solo pensato che dovessi esserci anche tu.”
Tirò fuori un accendino, avvicinandosi maggiormente alla pira cosparsa di sale e benzina. Con mano tremante, lo tenne sospeso sopra il fratello. Gli occhi che mai lasciavano il suo viso, memorizzandone i tratti, bevendone ogni dettaglio per l’ultima volta, Sam allentò la presa e lo zippo gli scivolò fra le dita. In meno di un istante, Dean fu avvolto in uno scintillante sudario. Le fiamme danzavano sul suo corpo, consumando quel che restava di lui in avidi e roventi respiri.
Il ragazzo fece un primo passo indietro, e un altro ancora. Nell’aria satura di fumo e crepitii, le sue lacrime e l’accorata preghiera affiorata sulle labbra dell’angelo si confusero in un indistinto mormorio, subito trascinato via da un pietoso alito di vento.
Era finita, anche se in un certo senso non era ancora cominciata.
“Sam,” disse Castiel, richiamandolo dal tiepido torpore in cui si era lasciato cadere, “ho bisogno del tuo aiuto. Per il bambino,” aggiunse, con la praticità che gli era solita.
Il giovane sorrise, senza alcuna allegria. “Ovviamente,” replicò, laconico. “Ti serve forse anche la mia di anima, mammina?”
“Sì,” rispose questi, con semplicità. “Solo un’anima umana potrebbe aiutare il piccolo a svilupparne una sua. Per quanto lacera e segnata, la tua non avrà problemi a nutrirlo.” Abbassò gli occhi a terra, le labbra che si incurvavano in un mesto sorriso. “E sei quanto di più vicino a Dean gli sia rimasto,” concluse.
Sam annuì. “Cosa devo fare?”
L’angelo sollevò una mano e se la portò al petto, dove ristette un momento. “Chiudi gli occhi,” ordinò, e l’altro obbedì.
Esercitò una pressione maggiore e le dita si immersero nella carne; lacerando tessuti e muscoli, si stringevano senza posa intorno a un sottile e fragile guscio. Lo maneggiarono a lungo, finché non gli ebbero donato una consistenza che giudicarono soddisfacente; dopodiché lo estrassero, in un trionfo di sangue e piume e grazia.
“Ecco,” mormorò, senza fiato, e cadde in ginocchio. Carezzò un’ultima volta la lattea superficie dell’uovo e lo posò fra le mani giunte di Sam.
Immediatamente, una sorta di connessione parve instaurarsi fra il cacciatore e la creatura non ancora nata. “È davvero minuscolo,” commentò Sam, gli occhi lucidi, sulle labbra un pallido sorriso. “Per quanto…”
“Dipenderà esclusivamente da te,” disse Castiel, sfinito e tremante. “Sarà il tuo amore a nutrirlo, Sam.”
E senza dargli la possibilità di replicare, riportò tutti al motel, che aveva reso inaccessibile a qualsiasi altro angelo.
“È una precauzione necessaria,” spiegò. “Sono troppo debole per proteggervi e i nephilim non sono mai stati visti di buon occhio, in famiglia.”
Con un sospiro esausto, si distese sul letto più vicino alla porta, quello di Dean, e scivolò in un’incoscienza tranquilla e senza sogni…
Riprese i sensi poco a poco. La testa leggera, le membra pesanti, Castiel socchiuse le palpebre. Una piccola abat-jour soffondeva di un gentile chiarore la stanza, immersa in un silenzio interrotto a tratti dalla voce calda di Sam.
Addossato allo schienale del letto, l’uovo nell’incavo del palmo, il ragazzo modulava una canzone. E l’angelo sorrise. Sam era stonato, persino per un orecchio abituato al fragore delle battaglie e agli alti lamenti dei morenti, ma qualcosa nel suo tono stringeva il cuore di Castiel.
Non conosceva molte canzoni, era vero, ma nella dolcezza di questa c’era qualcosa che l’allontanava da quelle che aveva amato Dean. Era pervasa di nostalgia, di una malinconia tenue e impalpabile. Parlava di una ragazza; la incoraggiava ad andare avanti, a non arrendersi e a vedere la bellezza in ogni cosa. L’angelo si domandò se Jude avesse infine trovato qualcuno che l’accompagnasse con la sua canzone, poi Sam tacque.
“Sai,” disse il giovane, rivolgendosi alla creatura che stringeva fra le mani, “sono sicuro che te l’avrebbe cantata.” Sorrise, commosso e vagamente esasperato. “Ovviamente, la tua ninna nanna ufficiale sarebbe stata ‘Enter Sandman’, ma un sentimentale come il tuo papà non avrebbe mai dimenticato quella della sua mamma…”
A disagio, Castiel tossicchiò un paio di volte. “Mi dispiace,” mormorò, sentendosi in colpa per essere stato suo malgrado spettatore di un momento di tanto intima vulnerabilità. “Non volevo ascoltare. Vi lascio soli.”
Sam scosse la testa. “È a me che dispiace,” ribatté. “Conosco mio fratello, e conosco te: non avrei mai dovuto dire certe cose.” Fissando tristemente il guscio nella sua mano, lo sfiorò con la punta delle dita. “Resta,” disse ancora. “Dean ti vorrebbe accanto alla sua famiglia. È questo il tuo posto.”
“Grazie. Davvero,” fu tutto quello che riuscì a replicare l’angelo. Si mise faticosamente seduto e prese un respiro profondo. “Quanto ho dormito?” chiese, senza sollevare lo sguardo dalle sue mani giunte.
“Un paio di giorni,” rispose il cacciatore. “Il piccolo è già cresciuto molto. Guarda.” Tenendolo al sicuro contro il suo petto, Sam gli mostrò l’uovo, che aveva ormai le dimensioni di una palla piuttosto grossa. “Sembra ansioso di venire al mondo, vero?” mormorò, le labbra distese in un sorriso malinconico e fiero.
E Castiel si unì a lui. “Il merito è tuo,” disse, con semplicità. “È il tuo amore ad averlo nutrito, Sam. Non dimenticarlo.”
Fu allora che, sotto i loro occhi stupefatti, una lunga crepa si disegnò sul bordo superiore del guscio.
Trattenendo il fiato, il giovane si rimise in piedi e colmò la breve distanza fino al letto dell’angelo. Un lucente filo di grazia venato di rosso scivolava già lungo l’uovo, che fremeva nella lenta stretta di Sam. “È normale?” domandò quest’ultimo, un tremito di incertezza nella voce.
“È troppo presto,” disse Castiel, scuotendo la testa. “Troppo presto…”
Un frammento iridato si staccò dal guscio e scivolò sulla sua gamba, ma l’angelo non vi fece caso. Niente aveva più importanza per lui, in quel momento. Riusciva a sentire l’anima del suo bambino, ed era qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di stringere nuovamente fra le mani.
~ o ~ o ~ o ~ o ~
“Sammy!” ridacchiò una querula vocina. “Sammy, guarda!”
Castiel osservò il figlio correre verso il giovane, il disegno un variopinto stendardo sopra la sua testolina bionda. Inciampando più volte sulle gambe grassocce, raggiunse infine suo zio dall’altra parte della stanza.
L’avevano sgombrata totalmente. Le ali del bambino erano già piuttosto grandi e si impigliavano di continuo. Sam temeva che avrebbero compromesso per sempre il suo baricentro; senza contare che, da quando il nipote aveva cominciato a usarle per planare in giro per casa, era invecchiato di vent’anni nel giro di poche ore. Dal canto suo, l’angelo era molto più tranquillo: presto il bimbo sarebbe stato in grado di padroneggiare completamente le proprie ali e di farle scomparire a comando. Erano una parte di lui, in fondo, come le braccia e le gambe.
“Oh, ma è bellissimo, campione,” sussurrò Sam, ammirato, scompigliandogli i capelli e accomodandosi meglio sul vecchio divano in pelle. “L’hai fatto da solo?”
Il piccolo annuì. “Sì,” annunciò, tutto orgoglioso. “Ma a papà non piace,” aggiunse, un irresistibile broncio sulle labbra.
“Ti ho semplicemente fatto notare che gli alberi non sono blu,” ribatté Castiel, con dolcezza. “Amo il tuo disegno, Dean.”
La consueta ombra di tristezza passò sul viso di Sam, ma il ragazzo fu lesto a riprendersi. “Sentito, ometto?” disse. “E non ascoltare il tuo papà: sono sicuro che da qualche parte ci siano tantissimi alberi blu.”
Sollevandosi sulle punte, Dean gli posò un umido bacino sulla guancia e sgattaiolò via. “Grazie, zio,” gli gridò, a mo’ di ricompensa, e l’adulto scoppiò in una risata un po’ forzata.
Mentre il bimbo tornava ai suoi fogli e alle sue matite, l’angelo si sedette accanto a Sam. “Un giorno sarà più facile,” gli assicurò, gli occhi che mai lasciavano il figlio.
Il giovane rise, senza alcuna allegria. “Non ci credi neppure tu,” ribatté, mesto. “Mio fratello è morto, Castiel. Morto. E a questo non c’è soluzione,” disse, ormai incapace di tenere bassa la voce. “Amo il piccolo, lo sai, ma non sarà mai la stessa cosa.”
Detto questo, si rimise in piedi e in un paio di rapide falcate abbandonò la stanza, senza dimenticare di sbattersi la porta alle spalle uscendo.
L’angelo si prese la fronte fra le mani e incassò la testa fra le ginocchia. Qualche tempo dopo, una manina gli batté leggera sulla spalla e Castiel sollevò il viso. Dean.
Le lentiggini che risaltavano sulle guance pallide, gli occhi due enormi pozze verdi, si sforzava di sorridere. “Tieni,” mormorò, porgendogli un nuovo disegno, un piccolo fiore blu. “A Sammy passerà,” assicurò e lo strinse in un abbraccio. “Vero?” domandò poi, con una vocina flebile, scoppiando a piangere.
Castiel lo prese fra le braccia; sussurrando rassicurazioni e cullandolo contro il suo petto, attraversò gran parte della casa. Lunghi minuti più tardi, il bambino, stremato, si addormentò.
“Mi dispiace, Dean,” sussurrò, le labbra contro la sua fronte.
Ripiegandogli con delicatezza le ali dietro la schiena, l’angelo lo depose nel suo lettino. Gli sfiorò un’ultima volta i capelli sudati e lasciò la stanza.
La casa era inaccessibile per qualsiasi angelo non fosse lui e Dean non si sarebbe svegliato prima delle prossime ore: Castiel prese una decisione, e in un attimo fu da Sam.
“Non mi va di parlarne,” lo salutò quest’ultimo, blando. Poi, in tono di scuse. “Non avrei dovuto dire certe cose di fronte al piccolo.”
Il ragazzo era addossato alla parete del garage; la serranda mezzo abbassata permetteva di scorgere la lucida Chevy al suo interno e questo, se possibile, alimentò ulteriormente la furia di Castiel.
“No, non avresti dovuto,” confermò, a bassa voce. “Dean si è addormentato piangendo.” Sam sollevò uno sguardo addolorato su di lui, ma l’angelo proseguì. “Perché, che ti piaccia o meno, Dean è solo un bambino. Non è più tuo fratello né il mio ragazzo, e ha bisogno di protezione. Persino da te, se lo riterrò necessario.”
L’altro deglutì rumorosamente. “Cosa intendi dire?”
“Esattamente quello che ho detto, Sam,” ribatté Castiel, sempre calmo. “Se non riuscirai ad accettare le cose, dovrai andartene. Per il bene di Dean.”
“Perché, ovviamente, tu sai cos’è meglio per lui,” ribatté il giovane, sarcastico. “Tu non sai neppure cosa sia una famiglia.”
“Forse hai ragione,” ammise l’angelo. “Ma so che non è giusto che Dean cresca con qualcuno che lo guarda desiderando che sia un altro. Ha già trascorso una vita sentendosi inadeguato, non permetterò che lo faccia di nuovo.”
Le prime lacrime velarono gli occhi del ragazzo e Cas gli passò un braccio intorno alle spalle, furioso eppure pronto a perdonare. Sapeva di aver usato parole dure, ma questa era una lezione che Sam aveva bisogno di imparare.
“Mi manca così tanto,” singhiozzò l’altro, affondando il viso nell’incavo della sua spalla. “È Dean, però allo stesso tempo… Dio, Dio…”
Il giovane tremava fra le sue braccia, inconsolabile e disperato quanto lo era stato il piccolo, probabilmente di più.
“Lo so,” sussurrò Castiel. “So che non sarà mai come prima, ma Dean è vivo. Sta bene, è felice. Perché non può bastarti questo?”
Sam tirò su col naso e lo allontanò quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi. “E a te come può bastare?” chiese, disfatto. “Non puoi dirmi che non pensi ogni giorno a quello che hai perso, che non desideri che ricordi ogni cosa.”
E Castiel sorrise, una smorfia amara e addolorata. “Hai ragione,” concesse, “ci penso ogni giorno, e ogni giorno mi dico che sarebbe egoista togliere a Dean tutto questo, per riavere ciò che possedevo un tempo.” Gli strinse brevemente la spalla e cercò di comunicargli parte della sua fede. “Tuo fratello ha la vita che hai sempre voluto per lui, Sam. Ha quello che hai cercato di donargli gettandoti nella gabbia con Lucifer. Perché non riesci a esserne felice?”
Un’ultima lacrima scivolò lungo il viso di Sam; il ragazzo prese un breve respiro, poi rispose con un soffio di fiato. “Perché non posso accettare che tutto quello che eravamo non esista più,” confessò, tremante.
“Esisterà sempre, Sam,” assicurò l’angelo, posandogli un casto bacio sulla fronte. “Esisterà finché sarai tu a ricordarlo… Allora, siamo intesi?”
Il giovane annuì. Un momento più tardi, rientrarono entrambi in casa.
~ o ~ o ~ o ~ o ~
Nel guarirlo, l’anima di Dean si era spezzata. Di essa erano rimasti solo sbiaditi frammenti, che avrebbero dovuto spegnersi come un astro morente e che, invece, la vita dentro di lui aveva accolto. Oh, non gli era difficile immaginare quelle meteore smarrite irresistibilmente attratte da una luce che era anche la propria. Così, cullato dalle protettive fiamme della sua grazia e nutrito dall’amore del fratello, Dean era rinato. E qual era stata la sorpresa di Castiel quando, allo schiudersi dell’uovo, a legarglisi indissolubilmente era stata l’anima del suo cacciatore. Non si era neppure reso conto di quell’unica lacrima che gli solcava il viso, finché Sam non gli aveva chiesto, in un attonito sussurro, se il piccolo fosse vivo o meno.
A nessuno era sfuggita la tragica ironia della cosa, che Sam aveva definito l’edipica presa per il culo del destino: Dean era morto per il bambino in cui si era reincarnato, impedendo di fatto a suo figlio di venire al mondo; Sam si era ritrovato a dover cambiare i pannolini al suo fratellone; e Castiel faceva ora da padre al padre del suo piccolo.
“Ci sarà mai qualcosa che voi Winchester farete alla maniera tradizionale?” aveva sussurrato Bobby alla creaturina grinzosa e sonnolenta che stringeva fra le braccia. “Ti avviso, piccolo delinquente, non azzardarti a farmi strappare quei pochi capelli che mi restano, una volta cresciuto.” E, commosso, l’aveva cullato per ore.
Era proprio quella stessa commozione che Castiel gli leggeva sul viso e nell’animo adesso, mentre Dean scartava il suo regalo di compleanno. Un guantone da baseball.
“È bellissimo,” esclamò il bimbo, raggiante. “Giocherai con me, zio Bobby?”
“Certo, campione,” sorrise il vecchio, sfiorando distrattamente il cappello malandato che aveva sulla testa. “Appena avrai mangiato la tua torta.”
Sam tossicchiò un paio di volte, nel tentativo di richiamare l’attenzione del bimbo. “Non dimentichi qualcosa?” domandò, serio.
Dean annuì. “Grazie, zio Bobby,” disse, tutto compito. Poi sorrise, e la stanza parve illuminarsi.
“Prego,” borbottò il diretto interessato, grattandosi imbarazzato la barba e scoccando un’occhiataccia a Sam. “Sembri tuo padre,” sussurrò.
E il giovane scoppiò in una risata. “Dio, spero proprio di no.” Sedendosi accanto al nipote, lo osservò scartare il suo regalo.
Il piccolo se lo rigirò fra le mani, squadrandolo con confusione crescente e piegando deliziosamente la testolina di lato. “Grazie, Sammy,” disse alla fine. “Dopo tirerò questo allo zio Bobby.”
Sam inorridì e si riprese il suo dono per meglio proteggerlo. “Non è una palla, Dean,” protestò. “È un programma per colorare al pc, non puoi lanciarlo.”
“Ma ha la forma di un disco,” si intromise Castiel, schierandosi dalla parte del figlio. “Sei sicuro che non sia quello il suo utilizzo?”
“Lo stai rovinando,” sospirò il giovane, passandosi una mano fra i capelli. “E va bene, lanciatelo pure,” concluse, rassegnato. Detto questo, si gettò su una poltrona e attaccò la sua fetta di torta con più passione del necessario.
“E il tuo regalo, papà?” domandò Dean, saltellando da un piede all’altro in un modo che non smetteva mai di allarmare suo zio: poteva infatti significare semplice eccitazione, ma anche un mare di pipì.
“È vero, dov’è il tuo pacchetto, Cas?” si intromise Sam.
L’angelo si limitò a scuotere la testa, inginocchiandosi accanto al piccolo e mostrandogli le mani vuote. “Sembra che non abbia niente da farti scartare, Dean,” disse, con un sorriso. “Puoi perdonarmi?”
Il piccolo annuì. “Sì,” aggiunse, posandogli un bacio sulla guancia. “Ti sei dimenticato perché sei più vecchio dello zio Bobby?” domandò, genuinamente curioso.
“Io non dimentico le cose,” lo rimbrottò il cacciatore, burbero. Ma Dean non aveva occhi che per il padre.
“No, non l’ho dimenticato,” rispose l’angelo. “Ho solo pensato a qualcosa di diverso.” Carezzandogli la chioma bionda, sostenne per un minuto buono lo sguardo del figlio. “Ti andrebbe una lezione di volo, Dean?” chiese.
Per tutta risposta, il bimbo gli gettò le braccia al collo, dimentico della torta e dei giocattoli. “Sì!” grido, al settimo cielo.
E mentre portava entrambi lontano, fingendo di ignorare le minacce di morte di uno spaventatissimo Sam, Castiel rifletté che la sua vocazione non era affatto cambiata: rendere felice Dean, proteggerlo, era ancora la cosa più importante per lui. Nonostante tutto, restava l’angelo custode che era sempre stato, e non poteva chiedere di più.