Special Needs (2/2)

Oct 02, 2012 00:57


Titolo: Special Needs
Autrice: arial86
Rating: nc17
Sommario: Stanco delle continue prese in giro del fratello, Sam decide di prendersi una piccola vendetta, ma le cose non vanno esattamente come aveva previsto. Con la vita di Dean ora in pericolo, Sam si ritrova costretto a prendere una decisione che potrebbe cambiare per sempre le loro esistenze.
Pairing: Dean/OFC, Dean/Sam
Note: Storia scritta per il Christmas Exchange del 2009 di spn_italia, a partire da questa richiesta: una fanfiction, Sam/Dean, Dean che sviluppa una qualche dipendenza simile a quella per il sangue di Sam. Sam gli resta accanto, ma con qualche rischio. R, angst. (sono specifica, lo so).
Che dire, acardia17? Non poteva andarti peggio >_<
(Ah, per me nc17 ed R erano sinonimi fino a cinque minuti fa, e non ricordavo che volessi una Sam/Dean. *si sente sempre più una merda*)
Spero comunque che la storia ti piaccia, nonostante 'sto ritardo che definire mostruoso è ancora poco. La dedico a ele106, l'essere più dolce e carino dell'universo: solo la tua passione e il tuo compleanno potevano spingermi a finire questa storia, dopo così tanto tempo. Ti voglio bene. ♥
Un ringraziamento particolare alla mia beta/fanartist. Sei stata fantastica, vahly ♥




Riprende conoscenza lentamente, come sforzandosi di risalire acque scure e limacciose. Socchiude le palpebre e una smorfia gli deturpa il viso. Deve avere un martello pneumatico nelle tempie.
Cerca rifugio contro luce e dolore nell’incavo del braccio e finalmente si accorge delle cinghie che l’assicurano al letto. Si irrigidisce all’istante, per poi rilassarsi di nuovo. Decido di risparmiargli la sceneggiata. “Sono stato io a legarti, Dean.”
Spalanca gli occhi, e mi sembra quasi di sentire il clic nella sua testa, quando tutti i tasselli tornano al proprio posto. “Immagino di non averti lasciato molta scelta,” mormora, improvvisamente attratto dalla federa del cuscino.
No, non lo lascerò accusarsi anche di questo.
Muovo un passo verso di lui, ma mi ferma. “Resta dove sei. È il tuo odore. Quando mi sei vicino, non riesco a controllarmi. Voglio solo… Questo non sono io,” aggiunge, la disperazione nello sguardo e nella voce qualcosa di fisico, quasi.
Questo non sono io. Non sono io.
Deglutisco. Un fuggevole sorriso a tendermi le labbra. “Ehi, tranquillo, lo so. E qualsiasi cosa ti abbia fatto quella puttana, la risolveremo, insieme.”
Annuisce, poco convinto. Lo sguardo nuovamente rivolto altrove.
“Bobby?” domanda poi.
“Gli ho lasciato vari messaggi in segreteria. Si farà vivo lui, non appena possibile.”
Stavolta non mi degna neppure di una risposta.
“Nel frattempo, ci penserà quel nerd del tuo fratellino a tenerti d'occhio.”
“A tenermelo nelle mutande, vorrai dire.” Un’altra pausa. “Hai trovato qualcosa?” La speranza che colora le sue parole a dispetto di ogni sforzo.
Scuoto la testa. “No, non ancora.”
Ma farò qualsiasi cosa per aiutarti è l’aggiunta che non ho bisogno di fare.
Sospira e affonda la faccia nel guanciale. “Ti toccherà fare tutto da solo, non sono esattamente nella posizione più comoda per leggere.”
“Scommetto che ti piange il cuore,” insinuo, con una risata.
“Cos’è che dicono dei limoni e delle limonate?”
“Quando la vita ti tira limoni, tu fanne limonate?”
L’ombra di un sorriso gli sfiora le labbra. “Sì, ecco. Ormai sono un pezzo grosso nel business delle spremute: mi godrò il riposo finché dura…”
Due ore dopo, i buoni propositi di Dean iniziano a vacillare. Continua a rigirarsi, irrequieto, per quanto le cinghie glielo consentano.
“Che ne dici di ascoltare un po’ di musica?” propongo, prima che l’insofferenza lo trasformi in un alunno di scuola elementare.
Solleva la testa e riserva un’occhiata profondamente scettica al mio laptop. “Non la mia,” mi affretto ad aggiungere.
Metto su una playlist dei Metallica, rimandando l’inevitabile tempesta. Sia benedetto youtube.
A Fade to black comincia persino ad accompagnare la musica. La sua voce è però appena un sussurro, roca e stentata.
Non beve da chissà quanto, realizzo d’un tratto.
Sospiro, già pronto a sorbirmi le sue obiezioni. “Hai sete, Dean?”
“Sono a posto così, Sammy,” gracchia.
Come volevasi dimostrare.
“Non sono più vicino di prima a trovare una soluzione e di sicuro non posso tenerti idratato via flebo,” annuncio, prevenendo la sua proposta.
“Ma…”
“Niente ‘ma’, Dean,” ribatto, dal bagno. “Se proprio ci tieni, puoi provare a trattenere il fiato, mentre ti sono vicino.”
L’occhiata con cui mi trapassa al mio rientro basterebbe da sola a farlo incarcerare in più di uno stato. Mi chiedo come faccia il bicchiere che stringo fra le mani a non finire in mille pezzi. Gli sollevo la testa e glielo porto alle labbra. Se le bagna, grugnendo un mezzo ringraziamento e buttando giù tutta l’acqua in due avide sorsate. Inevitabilmente, tossisce.
“Vacci piano,” commento, mezzo divertito. L’impulso di tergergli mento e collo fortissimo.
“Così va bene?” mormora, il fiato che mi solletica il polso. La bocca calda che mi sfiora la pelle.
Ecco Hyde di ritorno.
Lo allontano con delicatezza. La sua fonte brucia.
“Hai la febbre alta. E no, niente commenti.”
“Nuocerebbero al mio fascino da bello e malato?”
Malato... E se la sua febbre fosse un indizio?
Mi allontano dal letto, sforzandomi di ignorare i suoi occhi imploranti. Dean gioca sporco, ma con me non attacca. “Niente da fare, fratellone, l’ho inventato io quello sguardo.”
Un ghigno distratto e si mette nuovamente comodo, per quanto possibile. Riconosco anche questo comportamento. È come leggere un fottutissimo libro: Dean sta male e cerca di nasconderlo.
Qualsiasi cosa sia, procede alla svelta. Si comporta come un’infezione, un virus, e la febbre è il modo che ha il suo corpo di reagire.
Reimposto la ricerca tenendo conto di questo parametro e la cosa sembra dare i suoi frutti. ‘Sembra’ perché l’unico risultato diverso dagli altri è un antico documento medievale, scritto in un latino dalla forte influenza tedesca. Il riassunto iniziale è in inglese, per il resto mi trovo di fronte a un dannato rompicapo per sfigati che non hanno mai abbandonato la propria polverosa biblioteca. Fortuna vuole che una parte di me rientri nella categoria, con buona pace di mio fratello.
Si tratta di un estratto del diario di Jakob, un monaco di Lubecca mandato a occuparsi delle anime degli abitanti di un paesino dell’alta Renania. Questi si erano abbandonati alla depravazione e a terribili atti di lussuria a causa, pare, dell’intervento del demonio.
Jakob ritiene che i demoni odino copulare con gli uomini e che lo facciano esclusivamente per portarli alla dannazione. A questa affermazione, torno preda dello sconforto: questo non ha capito un cazzo. Scorgo velocemente il documento, fino a quando un frammento cattura la mia attenzione. E quando il veleno entra in circolo, neppure le parole del più pio degli esorcisti valgono a molto. Lo sciagurato morrà fra alti lamenti, e il suo sudore sarà sangue e le sue lacrime come di fiele. Un infuso preparato con radice di mandragora, famosa per le sue proprietà magiche, allevierà però le sue pene, consegnandolo fra le braccia del Padre Suo.
Jakob incomincia poi con la descrizione della pozione, un potentissimo veleno che induce il coma e la morte.
Sarebbe esattamente come andare a dormire, mi ritrovo a pensare, con un brivido. No, dev’esserci una soluzione. Deve.
Nell’ultimo paragrafo, Jakob nomina un certo Thomas, un notaio di vent’anni finito nelle grinfie della succube.
… Accortomi che il ragazzo era ormai senza speranza alcuna, mi apprestai a somministrargli il misericordioso farmaco, ma quest’ultimo, senza dubbio a causa della forza infernale donatagli dal Demonio, mi sopraffece e si lanciò da una bassa finestra, scomparendo veloce alla mia vista. La caccia fu di breve durata. Lo ritrovai qualche ora più tardi, nei pressi del mulino. Aveva sedotto una giovane e cavalcava con furia il suo corpo esanime. Fui colto da un’orrida certezza: era ormai della stessa razza di colei che l’aveva infettato, giacere con quella sventurata l’aveva definitivamente condannato. Sebbene infatti la scrittura dica che la forza del Diavolo è nei suoi lombi, e il vigor suo nei muscoli del ventre, Incubi e Succubi sono sterili, e il loro numero non è affatto illimitato. Essi pertanto non insozzano soltanto l’anima delle loro vittime, abiette e miserabili creature, ma il corpo insieme, diffondendo il proprio seme e le proprie immonde secrezioni come morbo e sventura…
“È il minimo che possa capitare, a farsi così tante seghe,” commenta Dean, con scherno.
“Cosa?” domando, confuso.
Abbassa lo sguardo sulla mia mano e mi accorgo del rosso che la macchia. Sangue. Ho stretto il mouse a tal punto che più di un frammento di plastica mi si è conficcato nella carne.
“Posso baciare via il dolore, Sammy,” propone, allusivo. “O leccarlo, se preferisci.”
“Credo che passerò, grazie,” ribatto. Il tremito nella mano che rifiuta di dileguarsi.
Si lecca le labbra, ma resta in silenzio.
Torno al documento, le parole della succube che mi rimbombano nella testa. “Sai, penso di averti finalmente trovato”. Quella puttana voleva un compagno, e io gliene ho scovato uno. Se mi stancassi della caccia, potrei sempre aprire un’agenzia matrimoniale per demoni single. Problemi di cuore? C’è Sam Winchester pronto a risolverli. Sì, proprio niente male come slogan.
... ma il Padre Nostro che è nei Cieli ha benedetto i Suoi figli prediletti con più di un dono, di cui sicuramente il più splendido è il libero arbitrio. Anche in questa terribile situazione Thomas aveva infatti una scelta, quella di abbandonarsi a una lenta e cristiana agonia; egli invece si lasciò dominare dalla cupidigia sua, mietendo una vita innocente. Il veleno che doveva stroncare lui era passato, attraverso il suo seme corrotto, in quel ventre florido e sano. E come il male viene pagato col male, così l’assassinio con l’eterna dannazione. Amen.
Deglutisco più volte, eppure il nodo che mi serra la gola non si dissipa. Il libero arbitrio, gran bel dono del cazzo: quale strada dovrei intraprendere, quando so dannatamente bene che entrambe portano al mattatoio?

* * *

Allo specchio della camera sono fissati i volantini di alcuni ristoranti. Ne prendo uno a caso e compongo il numero di telefono. Ordino una pizza e riaggancio. Non che abbia appetito, Dean men che meno, ma ho bisogno che si rimetta in forze. Deve.
Nelle ultime ore, un piano ha preso forma nella mia testa. Dean non accetterebbe mai, purtroppo per lui non è esattamente nelle condizioni migliori per decidere. Già una volta le sue remore me l’hanno portato via, non lascerò che riaccada.
Bianco e nero, umano o non umano, puttanate del cazzo. Dean non morirà, non per un mio errore.
In un ospedale a pochi chilometri da qui, c’è un paziente in coma irreversibile. Non sarà molto diverso dallo scoparsi una grossa bambola gonfiabile. Lei non sentirà nulla, lui sarà salvo. Almeno, lo sarà la sua vita.
Sì, e poi? Dean mi ringrazierà per averlo reso un mostro e continueremo come se nulla fosse? Cacceremo di giorno e di notte starò attento a che non uccida nessuno, durante amplessi troppo selvaggi? No, conosco mio fratello, correrebbe a farsi ammazzare dal primo psicopatico armato d’acqua santa sulla piazza, e non potrei dargli tutti i torti. Ho provato sulla mia pelle una simile dipendenza, quella sete inestinguibile e vorace che ti divora e consuma, rendendoti semplice anticipazione e dolore e bisogno, finché non resta nient’altro che quello. Dean non vorrebbe vivere così, e la parte peggiore è che neppure io sopporterei di vederlo trasformarsi in qualcosa che di lui conserva soltanto l’aspetto… E tutto perché si era comportato da stronzetto, e da brava spina nel culo avevo deciso di fargliela pagare. Il giusto Sam e il contrappasso.
Perché qualsiasi cosa faccia finisce poi per mordermi i coglioni in questo modo?
“Dannazione!”
Mi accorgo di aver lanciato il cellulare contro lo specchio solo quando questo finisce in mille pezzi. Alcuni frammenti restano attaccati alla cornice di compensato, continuando impietosi a rimandare il mio riflesso…
“Sappi che non sarò io a pagare la cauzione per questo.”
Dean. Si è svegliato.
“Avevo bisogno di sfogarmi,” ribatto, senza voltarmi.
“Non stento a crederlo,” concede, un sorriso nella voce. “Ascolta, Sam…”
Ci siamo, la diga è crollata. “No.”
“No? Non ho neppure aperto bocca.”
Certo, come se non conoscessi già parola per parola il discorsetto che ha in mente di fare. “Puoi andare avanti da solo, sei più forte di me, ti affido la mia piccola… bla bla bla.”
“Hai dimenticato ‘non scopare demoni’, fratellino. Considerala un po’ la regola aurea,” sibila.
Due colpi secchi alla porta mettono fine alla discussione, prima che questa degeneri ulteriormente.
Infilo la pistola nei pantaloni e vado ad aprire. Sulla soglia, il ragazzo delle consegne.
“La tua salame e funghi,” annuncia, fissandomi con uno sguardo da triglia.
“Tieni pure il resto.”
Faccio per porgergli le banconote, ma la mano martoriata mi tradisce. Mi chino a raccogliere i soldi caduti, e gli occhi del pesce lesso si posano su Dean. Mi spinge contro il muro e si avvicina al letto.
“Dieci minuti con la puttana e siamo a posto,” assicura, al mio indirizzo. “Legato e pronto a essere farcito.” La voce roca, le mani già alla cintura.
Per un istante, pondero l’idea di far fare a questo coglione la fine che merita, solo la vista di mio fratello mi spinge ad agire: gli occhi sbarrati, la lingua tenuta a freno esclusivamente dal terrore di respirare la stessa aria della merda e perdere il controllo...
Poggio la canna della pistola contro il collo dell’animale. “No, non sono affatto felice di vederti,” mormoro. “Adesso voltati e vattene. Parla a qualcuno di questa storia e mi assicurerò personalmente che tu non possa farcire più nulla, intesi?”
Annuisce, con cautela.
Lo riaccompagno all’uscio, abbassando l’arma solo quando questo è fermamente chiuso dietro di me.
“La prossima volta, take away,” tento di sdrammatizzare.
Il volto di Dean è livido, le sue labbra tremano. “Ho solo il sex appeal di quella troia o c’è dell’altro, Sam? Sono…”
“Pericoloso? No, non lo sei.” La mia risposta è calma, sicura, e Dean è tanto fuori di sé da bersi qualsiasi frottola. “Hai il suo veleno in circolo, per questo stai così male, ma sto lavorando a una soluzione…”
“Basta che non si tratti del solito antidoto al sapore di piscio.”
Sorride, apparentemente stanco di discutere. Affonda nel cuscino, e sventolo il cartone della pizza. “Devi cercare di mandar giù qualcosa, sei sotto antibiotici.”
“Non sono affamato, davvero.”
Però magari Hyde lo è…
Mi siedo al suo fianco, il cartone sulle ginocchia. “Neppure se ti imboccassi, Dean?”
“Che dia…” Il suo sguardo cambia, il ghigno ferino nuovamente al suo posto. “Niente posate,” ordina, sapendo di avere il coltello dalla parte del manico.
Realizzo alcuni bocconi - un frammento di pasta, del salame, in cima un fungo - e li dispongo ai bordi del contenitore.
“Stai tagliando una pizza, non affrescando la Cappella Sistina. C’è gente che si fa curare per meno,” considera mio fratello.
“Sono meticoloso.”
Dean solleva un sopracciglio, scettico. Il sorriso beffardo che mi sfida a provarglielo. Avvicino il cibo alla sua bocca, e questa si schiude, invitante, accogliendo le mie dita insicure nel suo umido tepore. Quando provo a ritrarle, mi ricorda gentilmente della presenza dei denti, mentre la lingua lava via ogni traccia d’unto in lenti circoli. Ancora qualche istante e le lascia andare. Un suggestivo plop a sugellare la loro liberazione.
“Immacolate,” sussurra. “Pare che la meticolosità corra in famiglia.”
Gli sfioro il mento, le labbra tumide. Abbassa le ciglia, il più disperato dei gemiti che gli sale dalla gola. Mi chino su di lui in una speculare imitazione del suo abbandono, la mano che corre al suo collo... Una gelida patina di sudore e il suo cuore impazzito mi riportano però alla realtà. Distolgo lo sguardo, furioso. Le lenzuola strette nel pugno.
“Sono pieno,” annuncia Dean, stanco del gioco. “Se non vuoi scopare, tanto vale che mi faccia dormire.”
Quando richiudo la porta del bagno dietro di me, i suoi respiri si susseguono ormai lenti e profondi.

* * *

Dopo solo poche ore, le condizioni di Dean sono drammaticamente peggiorate. È caduto in un sonno profondo, cullato dalla febbre sempre più alta. Ho provato ad abbassargliela con un antipiretico e della penicillina, ma temo non ci siano abbastanza antibiotici al mondo per contrastare l’infezione che sta combattendo il suo corpo. Il diario di Jakob è stato chiaro in merito: Dean perderà, è solo questione di tempo.
Gli sfioro le braccia, la sua pelle accaldata trema al contatto col panno imbevuto d’alcol. Arrivo al viso, e ve l’affonda con un sospiro. C’è qualcosa di così familiare e sbagliato in quest’immagine da stringermi il petto. Della nostra infanzia, questo è forse uno dei ricordi più nitidi che conservo: il benefico gelo degli impacchi, il pungente odore dello spirito, il tocco rassicurante della sua mano.
Dean socchiude le palpebre, ma nei suoi occhi brucianti manca un effettivo riconoscimento. Gli sollevo la testa e avvicino un bicchiere alle sue labbra riarse. Manda giù un paio di sorsi, e subito una tosse violenta gli toglie il respiro. “Piano, fa piano,” dico, in un sussurro.
“Ti prego, Sammy,” mormora, gli occhi due brillanti pozze verdi. “Ne ho bisogno…”
La mia risoluzione si infrange del tutto. È troppo tardi per la giovane in coma, ma ha sempre me, il fratellino col sangue di demone… Dean non mi perdonerà mai, lo so. Ma sarà vivo, e questo mi basta. E se si sparerà un colpo in testa non appena scoperto il mio cadavere, be’, questa volta non sarò io a raccogliere le sue interiora dal pavimento. Mi dispiace, è il mio turno di essere egoista. E in fondo, non è neppure detto che a Hyde importi qualcosa...
Mi chino su di lui e gli sfioro le labbra con le mie, succhiando avidamente le goccioline che ancora le bagnano. Impaziente, si schiude al tocco della mia lingua. Con mani tremanti, mi cinge il viso, intonando una disperata litania di “Sam, Sammy, Sam,” che si spengono nella mia bocca.
Corro alla sua cintura e l’allento, le dita che percorrono febbrili e veloci quella fornace che è il suo corpo. Dean solleva appena la schiena, permettendomi di liberarlo dalla costrizione di jeans e boxer.
Il suo membro è duro, rosso. Bagnato.
Mi sbarazzo a mia volta dei vestiti, e prendo il tubetto di lubrificante che Dean tiene sempre nel comodino. Mio fratello protesta per l’interruzione, ma lo zittisco con un bacio. Lascio cadere una generosa quantità di liquido sul palmo della mano e la chiudo sulla sua erezione. Faccio su e giù un paio di volte, e Dean sembra già pronto a venire. “Ehi, non vorrai mettere fine così alla tua leggenda, fratellone?” chiedo, con un sorriso.
Dean trae un debole respiro e scuote la testa. Le pupille dilatate, la bocca leggermente dischiusa, un lieve rossore sulle guance: sono io quello che rischia di venire come un ragazzino alla prima scopata, e senza neppure essere toccato.
Infilo due dita scivolose nella mia apertura e mi preparo ad accoglierlo. “Bene,” replico, ansante, lasciandomi lentamente scivolare sul suo pene. “Bene... Così...”
Completamente immobile, mi abituo alla sensazione di averlo dentro di me. Prendo un respiro profondo, quando Dean solleva il bacino, e un brivido mi risale lungo la schiena: ha sfiorato la mia prostata.
Mi sollevo, piano piano, e mi abbandono nuovamente. Questo affondo è più vigoroso del precedente, mi stringo involontariamente intorno a lui e il più languido dei gemiti gli sfugge dalle labbra. Le sue ciglia si abbassano, ombreggiando il liquido verde degli occhi.
“Sam, io non… è troppo,” sospira. Un singhiozzo a lacerargli la gola.
Gli libero la fronte da una ciocca umidiccia. “Ssshh… va tutto bene, Dean,” lo rassicuro, continuando a muovermi. “Ci sono io, ci sono io.”
Adesso trema vistosamente, il respiro sempre più elaborato. Aumento il ritmo, sentendo crescere la tensione nel mio ventre. Ci sono vicino. Ci siamo entrambi così vicini.
Mi basta un’altra spinta a venire. Mi stringo ancora di più intorno a lui, trascinandolo impossibilmente più a fondo. “Coraggio, Dean. Vieni, vieni per me.” Gli sfioro la bocca col pollice, e questa si spalanca in un grido muto. Serra le palpebre e si libera con violenza.
Il suo seme è gelido, polare. Mi faccio indietro con uno scatto, e il pene gli ricade in grembo con un tonfo viscoso. Il movimento improvviso mi dà le vertigini. Un freddo sconosciuto si è fatto strada dentro di me, attanagliandomi le viscere.
Posso sentire il mio cuore rallentare, il sangue raffreddarsi velocemente. Non è doloroso, non proprio. Non ancora.
Ombre nere danzano ai margini del mio campo visivo. Abbasso lo sguardo su Dean, voglio che sia lui l’ultima cosa che veda. I suoi occhi, però, sono chiusi. Il suo corpo giace nel più totale abbandono.
Porto dita tremanti alle sue labbra e i miei timori trovano conferma: Dean non respira più.
“Dean?” provo, indice e medio che percorrono il suo collo alla disperata ricerca di un battito. “Dean?”
Gli sollevo la testa, e questa ciondola mollemente da una parte.
No, non può essere. Ho aspettato troppo?
“DEAN!”
Lo scrollo con violenza, ancora e ancora. Tutto inutile. “Dean,” ripeto, un’ultima volta. Poi la mia presa si allenta, e mio fratello ricade pesantemente all’indietro. Esattamente come un cadavere.
A questa vista mi si rivolta lo stomaco. Mi sporgo e vomito sul vecchio linoleum ai piedi del letto. I conati durano a lungo. Quando finalmente si spengono, tremo incontrollabilmente.
Ormai del tutto svuotato, mi distendo accanto a Dean. Gli cingo le spalle con un braccio e poso un bacio sulla sua tempia. Poi lascio che l’oscurità trascini a fondo anche me.

* * *

Rinvengo poco a poco. Un sordo dolore alla testa, frammenti di… qualcosa che lottano per tornare a galla.
Ancora ad occhi chiusi, provo a mettermi seduto, e un debole lamento mi sfugge dalle labbra.
Una mano rovente mi sfiora il basso ventre, appena al di sopra del pube. “Ssshh, torna a riposare, Sammy.”
È Dean, deve avere ancora la febbre…
Cullato dal suo tocco e dal suo respiro, torno in quel posto buio, in cui non esistono sofferenza e preoccupazioni.
La stessa scena si ripete altre due volte, poi a Dean deve venire a noia. “Apri gli occhi,” ordina in un sussurro, le labbra contro il mio orecchio. Articolo un’incomprensibile protesta e nascondo il viso nell’incavo della sua spalla. Ricordo abbastanza di quanto è accaduto da non volerne affrontare le conseguenze. Mai. Dean sembra avere altre idee, però.
Chiude le dita sul mio pene, disegnando col pollice piccoli cerchi sulla sua sommità. I suoi movimenti sono distratti, quasi indifferenti. Mi spingo di più contro di lui e l’ennesimo brivido mi scuote, quando sento la sua erezione fra le mie cosce.
“Vogliamo scoprire se sei ancora accogliente e bagnato, fratellino?” suggerisce, aumentando la frizione, fino a scivolarmi nuovamente dentro. Le dita a ventaglio, mi afferra il fianco e mi solleva fino a uscire quasi completamente, per poi trascinarmi verso il basso. Lo rifà, ancora e ancora. Il suo membro pulsante che colpisce la mia prostata ad ogni affondo. L’altra mano a giocare col mio glande.
Sento un violento orgasmo scuotermi sin nelle viscere, la testa insolitamente leggera. “Sai,” comincia, continuando a carezzarmi mentre gli ultimi tremiti mi abbandonano. “Se avessi perso il controllo, ti avrei ucciso. Ma non ho potuto farne a meno. Non posso farne a meno.” La sua voce si indurisce, adesso è impossibile non riconoscere la rabbia che lo divora. “Bel regalino che mi avete lasciato, tu e quella puttana.”
“Dean…” incomincio, incapace di pensare, ma soprattutto incapace di guardarlo in faccia. “Io, io…” Le prime lacrime mi bruciano gli occhi. Con un singhiozzo strozzato, le ricaccio indietro. Lo sguardo fisso sulla striscia di bianco lasciata dal mio pene, abbandonato contro la coscia sudata. Il suo ancora dentro di me che perde lentamente turgore. È una sensazione intima, bellissima, e mi ci concentro con tutto me stesso, cercando la forza di continuare. “Non potevo lasciarti morire,” sussurro, con un filo di fiato, il cuore che mi martella contro le costole.
“Lo so,” ribatte, solleticandomi il collo col suo respiro caldo. “Lo so. Ma sapere che, non fosse stato per quel figlio di puttana dagli occhi gialli e il suo sangue, ora saresti morto, mi fa impazzire.”
Scuoto la testa, senza capire. “Cosa?”
“Il sangue di demone, Sam,” risponde Dean, con l’indulgenza che si riserverebbe a un bambino mezzo scemo. “Ha combattuto il veleno della succube, finché non ho avuto la forza di strappartelo via. Ti ha salvato la vita.”
Mi volto di scatto, e scivola via da me. Rimpiango immediatamente l’assenza, ma mi concentro solo su di lui. Sul suo viso a un respiro dal mio, impossibilmente bello. Inumano.
Nelle sue iridi chiare risplende ora una tenue luce dorata: pagliuzze d’ambra incastonate in due grossi smeraldi velati da lunghe ciglia nere. I capelli, di una delicata sfumatura miele, gli ricadono in ciocche scomposte sulla fronte nivea. “Dio,” è tutto ciò che sono in grado di mormorare, dopo un lungo attimo di silenzio.
“Già,” replica Dean, le labbra piene arricciate in un sorriso amaro. Lo sguardo altrove. “Non sei più l’unico mostro della famiglia.”
È un colpo basso, uno dei peggiori che abbia mai sferrato. Eppure il dolore nella sua voce è qualcosa di così violento, così vivo, che le mie labbra cercano automaticamente le sue, come a volerlo bere direttamente dalla sua anima. “Andrà tutto bene, Dean.”
A queste parole, mio fratello crolla. Singhiozzi disperati gli squassano il petto, mentre calde lacrime gli rigano il volto. Lo stringo a me con tutto quello che ho. “Ce la faremo, Dean. Sei ancora tu, riuscirai a controllarlo.”
“No… non posso,” mormora, fuori di sé. “Ho rischiato, persino con te… Con nessun altro, con nessun altro potrei…”
Bacio i suoi capelli, avvertendovi ancora il flebile odore dello shampoo e quell’altro, quello inconfondibilmente suo che nessun demone e nessuna condanna potrebbero mai strappargli. “E non dovrai farlo, Dean. Ci sono io. Ci sono io.”
Continuo a ripeterlo per quella che sembra essere un’eternità. La voce bassa, confortante. Serena. Quando finalmente il respiro di Dean si normalizza e le sue lacrime si asciugano sulla nostra pelle, distendo entrambi su queste lenzuola ormai a pezzi e le tiro sopra di noi. Affronteremo tutto questo come abbiamo sempre fatto in passato. Insieme.




 Parte uno  

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