Oct 09, 2007 16:46
Oggi all'uscita da scuola hanno cercato di farmi paura. "Ehi, tu, brutta emo di merda!" mi hanno urlato. Non mi sono fatta spaventare, di emo come me in quei dintorni ce n'era più di uno. Ma no, loro volevano me: quella un po' meno emo degli altri, ma abbastanza da fargli girare quelle due cose rinsecchite che hanno e che chiamano palle.
Ho cercato di fare finta di nulla, urlare e scappare sarebbe stato la cosa più inutile del mondo: quattro chili di cartella e molti menefreghisti avrebbero solo aiutato ad aumentare la dose di botte che mi avrebbero dato. Sicuro. Soldi non potevano togliermeli, perchè non ne ho, e a meno che non fossero interessati al mio mattone di anatomia, c'è proprio poca trippa per gatti con me.
Ho fatto qualche altro passo, testa bassa, sguardo assente, così come dice mio padre: se sembri incazzata non ti disturbano. Ma loro erano tre, il mio doppio in altezza e la mia metà in cervello, e alla faccia incazzata non guardavano.
"Ehi, tu, brutta emo di merda!" ...Ancora. Cintura in bella vista e maglioncini da figlio di papà. Occhiali da sole, mai visti in vita mia, ci sono due licei l'uno attaccato all'altro ed una filiale dell'UNIBO: impossibile ricordare tutti i visi.
Ho continuato a muovere i miei passi, normale, non allungati o capiscono che te la stai facendo sotto. Mani incrociate davanti al petto, stretta nel giubbotto, testa giù, sempre giù, osservare il cemento.
Mi seguono.
Con quella camminata cafona che detesto e quell'aria scanzonata che avrei voluto toglier loro dalla faccia a graffi. Ma non potevo girarmi e picchiarli, sarebbe stato come vedere Jared Leto a metà campo nel mezzo di una partita di football americano.
Meglio vivere un giorno da leoni che cento da pecora.. ma se si può evitare una scazzottata, si bela volentieri.
Continuo a camminare, loro dietro. E' orribile tornare a casa da sola. Per fortuna passo davanti al bar dell'angolo: colpo di genio. M'infilo dentro e mi dirigo tranquilla e beata al bancone, ordino un bicchier d'acqua. Del rubinetto, che costa meno. Spulcio i soldi avanzati dalla merenda e mi siedo ad un tavolino. Col mio bicchiere d'acqua e la gazzetta dello sport.
Tranquillità totale. Mando un messaggio alla zietta col cellulare, tutto tranquillo, tutto solito. E siccome ho lo schermo del telefonino che fa da specchio, guardo fuori.
I tre cafoni sono ancora lì che si consultano. Cercano di fare un neurone con tre teste. Non sanno che fare. Non ho pianto, non ho urlato, non ho reagito, non sono corsa via. Mi sono infilata nel bar e leggo la gazzetta dello sport. Quella rosa, che macchia le mani di inchiostro.
Basket... ancora fuori. Pallavolo.. ancora fuori. Calcio, Milan, calciomercato.
Se ne vanno.
Dopo un quarto d'ora se ne vanno, nella direzione opposta a quella di casa mia. Tattica vincente.
Mi tolgo il giubbotto, lo piego nella cartella, tiro su i capelli, metto il cappuccio della felpa e gli occhiali da sole (vedi che a dimenticarseli in cartella ogni tanto serve?)
Col giubbotto in mano e la cartella su una spalla sola (dolore boia, ma meglio quello che un pugno) esco dal bar e mi avvio a casa. Tengo il cellulare a portata di mano, non si sa mai.
Questa brutta emo di merda vi ha fatto le scarpe.
ordinary life