Titolo: Surprise, sometimes, will come around
Fandom: DC Comics, new gen
Beta:
namidayumePrompt: "Ciao, campagnola." "Ciao, troia." "O_O" @
OTWMPersonaggi:
Lena Luthor, (OC) Serenity Kent,
Mario RossiRating: Pg13
Conteggio Parole: 2.129 (W)
Avvertimenti: Linguaggio colorito
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori (cioè noi, per quanto riguarda Serenity e Mario XD), che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• Ambientata nel
lovvoverse. Serenity è la figlia di Clark Kent e Lois Lane - ma per grazia di Nami divina ha preso più da sua madre che da suo padre. Inizialmente volevamo sterminare i Supes, ma poi è spuntata lei e si è rivelata un personaggio stupendo (sempre per grazia di Nami XD) e bon, adesso abbiamo una Supergirl part-time.
• Dedicata a Namida che me l’ha richiesta al One True Writing Meme! *_*
• Titolo da Untitled degli Interpol.
Surprise, sometimes, will come around
Non le importa di lei, all’inizio. Serenity Kent è un pesce troppo piccolo, una povera ragazza di campagna che non ha visto nulla del mondo oltre a Smallville e lo apprezza così poco da tenersi completamente in disparte - non si avvicina ai Teen Titans, né ai suoi cugini Zatara, né prova a seguire le orme del proprio padre, accettando, solo dopo mille insistenze, appena qualche sparuta collaborazione con l’Infinity Inc.
Lena, quindi, non la tiene nemmeno d’occhio; si limita a guardarla a distanza, distrattamente, lasciando che Mario le dia qualche notizia su di lei di tanto in tanto. È quando viene a sapere che la ragazza sta iniziando a collaborare con qualche giornale locale attraverso il college di Metropolis - dimostrando di apprezzare più il lavoro di sua madre che quello di suo padre -, col suo nome che comincia ad essere ripetuto in giro, che si decide finalmente ad incontrarla.
*
«La troverai nella sala studio della facoltà di giornalismo,» le annuncia Mario, tornando alla macchina dove lei lo stava aspettando. Le apre la portiera e le porge una mano per aiutarla ad uscire, dopodiché la scorta all’interno del campus, la pistola nascosta nella tasca interna del cappotto e lo sguardo attento, pronto ad individuare il minimo movimento sospetto.
I tacchi di Lena rumoreggiano sul selciato del sentiero, e poi sul pavimento dell’interno, e tutti si girano a guardarla: alcuni sembrano ammutoliti - dallo spavento o dall’ammirazione -, altri si scambiano commenti tra loro, altri ancora si dileguano; uno prova ad avvicinarsi per stringerle la mano, ma basta una sola occhiata dell’autista perché indietreggi e se la dia a gambe levate.
Quando aprono la porta della sala studio, cinque dei sei occupanti si alzano in tutta fretta e se ne vanno. Serenity, le spalle all’ingresso e il volto chino su un taccuino, nemmeno si muove o dà segno di averli sentiti.
«Aspetta fuori,» ordina a Mario, facendogli intendere che nessuno dovrà mettere piede all’interno. Poi - il ticchettio dei suoi passi che risuona preciso come un orologio - si avvicina al tavolo, fino a portarsi di fronte all’altra ragazza.
«Ciao, campagnola,» esordisce, il tono vagamente canzonatorio e un mezzo sorriso sul viso, già pregustando la reazione irritata dell’altra.
Ma Serenity nemmeno solleva la testa dai foglia di carta, quando risponde, «Ciao a te, troietta.»
La risposta la spiazza, persino più a lungo di quanto la propria posizione possa concederle, e poi il suo istinto reagisce e le dice di mettersi sull’attenti. Forza una risata, inclinando la testa quasi stesse tentando di comprendere un quadro troppo astratto, e commenta, «Meraviglioso, sei più rozza di quanto pensassi.»
Serenity incrocia il suo sguardo in quel momento, infine, mimando una risata a sua volta. «Che c’è?» chiede. «Ti aspettavi il tappeto rosso e una leccaculo come il servetto che hai lasciato fuori?»
«Sapevi che stavo arrivando,» constata Lena e incrocia le braccia al petto quasi con un moto di stizza. Il pensiero di aver fatto male i conti le balena in mente, ma si permette ancora un po’ di ignorarlo.
L’altra ragazza scuote la testa sinceramente divertita. «Avanti, Lena, ho il superudito.»
Ed è a questo punto che non può più ignorare quel pensiero, che l’errore le si para davanti chiaro e netto, prendendo pian piano forma nella voce della figlia di Superman.
«Solo perché non mi piace girare con i supereroi, o perché non indosso una calzamaglia e un mantello rosso, non vuol dire che non sappia usare i miei poteri.» Serenity si sporge in avanti, fissando gli occhi sul volto dell’altra senza esitazioni, e continua, «Ho sentito ogni informazione su di me che ti ha passato il tuo pinguino, ho sentito gli ordini che gli hai dato, ho persino sentito i tuoi bei piedini toccare il pavimento, stamattina, quando ti sei alzata dal letto. Quindi sì, direi proprio che sapevo che stavi arrivando.»
Il tono che usa vibra di pericolosità e Lena prova l’istinto di indietreggiare, si pente di non aver lasciato Mario dentro la stanza, di non aver considerato meglio la situazione, di aver sottovalutato l’altra così visibilmente. Poi, l’atmosfera cambia di colpo quando il volto di Serenity si apre in un sorriso e le sue parole si fanno cordiali. «Ma prego,» dice, indicando il posto davanti a sé, «accomodati.»
La Luthor ne approfitta. La sua mano sinistra scosta la sedia accennata e, mentre si siede, la destra sbottona il cappotto, si infila fino alla tasca interna ed estrae la piccola scatola di piombo dove conserva gli orecchini di Kryptonite che suo padre le ha regalato. La posiziona tra loro, bene in vista, tamburellando con le dita sul coperchio. «Attenta,» sibila, ma l’espressione di Serenity non muta per nulla, sembra anzi velarsi appena di scherno.
«Almeno un po’ di compiti li hai fatti,» si limita a commentare e subito dopo il suo viso torna gentile. «Voglio mostrarti una cosa,» riprende, allungando il taccuino verso di lei. Lena impiega qualche istante a decidersi, poi lo prende, fissando lo sguardo sulla scrittura lineare e precisa impressa sulla carta. Legge alcune frasi, senza capire il senso del gesto, poi sfoglia le pagine, arriva all’inizio, al titolo di quello che sembra un saggio, e si gela.
Solleva gli occhi lentamente, incrociando quelli dell’altra. Vorrebbe dire qualcosa, la sua mente lavora freneticamente per produrre una minaccia - la minaccia che la metterà in ginocchio -, ma il silenzio persiste ed è lei a sentirsi minacciata, forse per la prima volta.
«Quella è la bozza, ovviamente,» le spiega Serenity in tono pratico, ignorando il suo disagio. «Però la bella copia è già salvata sul mio computer. E in molti altri posti più sicuri, a dire il vero.» La guarda palesemente sfidandola, ma Lena ancora non dice nulla, così riprende, «Sto per laurearmi, sai? Ho pensato che farei una splendida figura con una tesi su tuo padre, soprattutto infilandoci alcune di quelle cose che nessuno ha mai osato dire.»
C’è una traccia di orgoglio nella sua voce, come se stesse davvero mostrando il proprio lavoro a qualcuno, e lo stomaco di Lena si contrae per il disgusto, per la rabbia, per sentimenti che nemmeno riconosce. «Alcune di queste informazioni sono riservate,» scandisce attentamente e c’è una domanda da intendere tra le righe.
«Che dire, internet arriva persino in campagna e sembra che un talento naturale l’abbia preso anche da mia madre.» Serenity scrolla le spalle e aggiunge, con leggerezza, «Inoltre Oracolo è una persona davvero gentile e disponibile, sai?» Il moto di rabbia che attraversa la Luthor è evidente e le provoca dell’altrettanto evidente compiacimento.
«Posso mettere insieme un fascicolo su di te, Lena, uno grosso almeno quanto quello del vecchio Lex. E posso farlo pubblicare, darlo in pasto ai curiosi, sputtanare te, la tua vita privata, le colpe di cui ti sei macchiata ai quattro venti,» riprende. «Ibn Al Xu’ffasch venderebbe suo padre per le prove che hai le mani in pasta con gli Asaro, e lui non è il solo a desiderare di vederti dietro le sbarre o peggio. Scommetto che persino il tuo fedele battista, laggiù, ha del risentimento verso di te, sotto sotto.»
Serenity sospira, quasi in modo teatrale, e quando ricomincia a parlare c’è quella che sembra compassione nella sua voce. «Dio, Lena, non immagini nemmeno quanti nemici ti sei fatta, con il tuo atteggiamento da invincibile. Ma lascia che ti sveli un segreto,» abbassa la voce in un sussurro e conclude, «tu non sei invincibile. Io lo sono.»
Il volto di Lena è una maschera che tenta in tutti i modi di tenere impassibile. Vorrebbe alzarsi e andarsene, ma, invece, tutto ciò che riesce a fare è restare nella stessa identica posizione. Serenity, al contrario, si muove di colpo, scivolando in avanti e appoggiando la propria mano su quella di lei, a sua volta posata ancora sulla scatola degli orecchini.
«Quindi, vedi…» ricomincia, battendole leggermente sul dorso. «Questa mi farebbe venire davvero un gran mal di pancia, ma non mi renderebbe innocua. Per niente.»
Avvertire il suo tocco è la goccia che fa traboccare il vaso. La Luthor si tira indietro, afferrando la scatola e alzandosi in gran fretta - quasi senza controllo, quasi rovesciando la sedia -, e il mettere dello spazio tra lei e Serenity le concede finalmente un po’ di lucidità.
«Stai bluffando,» sbotta. «Là fuori c’è ancora chi crede che mio padre sia stato un buon presidente e che abbia fatto del bene al Paese. C’è chi è pronto a partecipare ai suoi programmi di esperimenti sui meta, chi lo apprezza. Tu sei solo una nullità, pensi davvero che qualcuno d’importante ti darà ascolto?»
Per un attimo cova la speranza di averle dato qualcosa su cui riflettere, ma la risata cristallina che proviene dall’altra ragazza infrange ogni minima aspettativa. «Guarda che hai passato troppo tempo lontana da Metropolis,» la avverte. «Io sono la figlia di Superman, Lena, quando indosso quel costume la gente mi venera, mi prega di tenerlo sempre, di tornare a proteggerli come faceva papà. Potrei dir loro qualsiasi cosa, in quei momenti, persino raccontare che gli asini volano e quella marmaglia non farebbe altro che tenere gli occhi fissi al cielo credendo di poterli vedere davvero.»
Quel discorso ha un senso, si ritrova ad ammettere tra sé, eppure riesce a non darlo a vedere, concentrando tutte le proprie forze nel recuperare il proprio contegno. Rinfila la scatola nel cappotto e inizia a riabbottonarlo, mentre un sorriso storto le piega le labbra. «So tutto quanto a manipolazione delle masse, credimi.» Lascia che il silenzio ristagni per un po’, fino a che l’ultimo bottone non è passato attraverso l’asola, e poi riprende, tornando ad incrociare lo sguardo dell’altra, «Ma stai attenta: potresti farti molti nemici pericolosi, con questo tuo atteggiamento da invincibile.»
Si guardano, studiandosi come tigri che stanno per saltarsi alla gola, fino a che Serenity non si alza in piedi e, sospirando, replica, «Non ho paura di farmi dei nemici, è un rischio che sono disposta a correre.» Allunga le braccia dietro la testa e si stiracchia, il suo contegno noncurante che contrasta chiaramente con la posizione tesa e pronta a scattare di Lena.
«C’è un ultimo consiglio che voglio darti, giusto per concederti un minimo di vantaggio,» ricomincia Supergirl dopo qualche istante. «Non so se sei venuta qui per spaventarmi o convincermi a passare dalla tua parte, ma tieni ben presente che io non sono Superboy. Hai avuto a che fare solo con lui, fin’ora, e posso ben capire perché mi hai presa per una sprovveduta.» Si interrompe, chinandosi sul tavolo a raccogliere il taccuino lì dove era stato abbandonato da Lena; lo stringe un po’ in mano, lo chiude e riordina, per poi aggiungere, «Vedi, la differenza sostanziale è che lui vuole disperatamente essere un eroe, ma io no. Io non ho paura di sporcarmi le mani.»
Si ferma e porge il taccuino a Lena. «Te lo regalo,» dice con un sorriso, mentre aspetta che lei lo prenda. Le loro dita si sfiorano per un breve istante quando la ragazza lo fa, per poi replicare un risentito, «Terrò a mente il tuo consiglio,» guardandola un’ultima volta, prima di darle le spalle e dirigersi verso la porta della sala.
«Ci sentiamo presto,» la saluta Serenity mentre esce, ma lei non si volta a risponderle, mentre reprime un brivido provocato dalla realizzazione di essere costantemente spiata. Non ha il coraggio di parlare nemmeno quando, nel corridoio, Mario le domanda se sia tutto a posto; si limita ad annuire e ad allontanarsi più in fretta, il taccuino stretto tra le mani, come se potesse valere davvero qualcosa.
*
Il viaggio in limousine è silenzioso, così come il rientro in casa. Non riesce a togliersi dalla testa le parole dell’altra, non riesce a mandarle giù, non riesce nemmeno ad elaborare un piano per contrastarla. Tutto ciò che avverte, oltre al costante ripetersi delle sue minacce, della sua voce pericolosa, assomiglia terribilmente alla paura, tanto che non ha la forza nemmeno di parlare, sapendo di poter essere ascoltata in qualsiasi momento.
Finisce col calmarsi solo un paio d’ore dopo, quando, rintanata nel proprio ufficio con una tazza di tè bollente tra le mani, capisce di dover agire e dover agire subito. Chiama Mario e, quando l’uomo arriva, «Dobbiamo far ristrutturare la villa,» dice, in un tono che non ammette repliche. «Voglio insonorizzare completamente ogni singolo centimetro di parete, di soffitto e di pavimento, e voglio un lavoro veloce e perfetto. Vai a bussare alla porta di Batman e chiedigli il suo bat-sistema per la sua dannata bat-caverna, se serve, ma fai in fretta.»
Mario annuisce con un breve inchino ed esce dallo studio l’attimo dopo, senza ulteriori domande. Lena chiude gli occhi e prende un profondo respiro, recuperando la calma, dicendosi che è tutto sistemato.
Eppure è certa che, in quello stesso momento, Serenity stia sorridendo - divertita da lei, dalla sua paura, vittoriosa.