Titolo: The World Is Not Enough
Fandom: Harry Potter
Beta:
iosonosaraPostata il: 29/11/2007
Personaggi: Albus Dumbledore, Aberforth Dumbledore, Ariana Dumbledore, Gellert Grindelwald
Pairing: Gellert/Albus
Rating: Pg15
Conteggio Parole: 2.432 (W) (mi faccio paura, a volte)
Avvertimenti: Opinioni offensive sull’omosessualità, da cui l’autrice prende le dovute distanze (ma siamo nel 1900, gente, non potevo fare altrimenti), e CANON SLASH, SI’, CANON SLASH.
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note: Oh, la-là, finalmente questa fic è arrivata. Ci ha messo secoli, ma eccola qui.
Prima cosa: è tutta per
vedova_nera e per il suo compleanno (29/11/2007). Lei l’ha richiesta e a lei è dedicata, con tutto il mio affetto. Spero ti piaccia, cara. ♥
Seconda cosa: il titolo viene dall’omonima canzone dei Garbage, che è loro. È loro, punto.
The World Is Not Enough
La notte è buia e, benché sia estate, fresca. Aberforth cammina senza vedere a un palmo dal proprio naso, ma, fortunatamente, conosce tanto bene i boschi intorno a Godric’s Hollow da non averne bisogno.
Tenta di non sentire l’insicurezza farsi strada dentro di lui. Ha lasciato sola Ariana e sta seguendo suo fratello: nessuno dovrebbe arrivare a tanto, a fidarsi così poco del suo stesso sangue. Il nodo alla gola si stringe, i suoi pugni anche, ma gli basta sentire le loro voci in quell’esatto momento per dimenticare tutto e procedere.
Ariana sta dormendo, si dice. E Albus, ultimamente, non ha fatto proprio nulla per meritarsi quella fiducia.
Così si avvicina ancora alla radura, si accuccia dietro alcuni cespugli e osserva suo fratello parlare vivacemente con quel Gellert Grindelwald. Si sono visti a lungo, nel pomeriggio, ma eccoli di nuovo lì, a discutere delle loro… stupide ambizioni. Aberforth tenta di avvicinarsi maggiormente per ascoltare meglio, ma la notte è troppo silenziosa e non gli conviene rischiare di essere scoperto.
Li guarda, due figure scure che si muovono nel buio: Grindelwald gesticola animatamente, come se non riuscisse a contenersi; Aberforth ha assistito altre volte ad un comportamento simile, e non è difficile immaginare che qualche grande idea lo sconvolga. Probabilmente si tratta di una nuova scoperta riguardante i loro piani di conquistare il mondo. Folli che non sono altro.
L’atteggiamento di suo fratello, però, lo stupisce.
Albus è fermo, immobile; sembra comunque in ascolto, ma non ha reazioni. Normalmente, al solo sentire parlare di quei progetti, il ragazzo si anima, si entusiasma come raramente Aberforth l’ha visto fare prima dell’arrivo dell’altro. Eppure, adesso, le spalle di Albus sono rigide, le braccia tese lungo i fianchi, quasi non avesse l’energia di replicare, e tutto ciò lo confonde e incuriosisce. Che sia così terribile, quello che Grindelwald gli sta dicendo, da lasciarlo interdetto? Che suo fratello sia finalmente rinsavito e abbia compreso i suoi sbagli?
Ma poi ogni domanda nella testa di Aberforth viene cancellata, lasciando il posto al vuoto, all’impossibilità di articolare un pensiero coerente. Perché Gellert ha mosso qualche passo avanti, ha afferrato Albus per le spalle e l’ha baciato. E ora Aberforth sta guardando il proprio fratello baciare un altro ragazzo e non sa come agire, mentre l’ira e il disgusto si mescolano rischiando di farlo esplodere. Stringe i pugni, forzandosi a stare in silenzio, a non rivelare la propria presenza ora più che mai, e continua ad osservare la scena.
Albus, dopo qualche attimo in cui è rimasto inerte, solleva le mani e le appoggia sul torace di Gellert, staccandosi da lui bruscamente. Scuote la testa e indietreggia, dicendo qualcosa che Aberforth non riesce di nuovo a sentire; poi si allontana rapidamente nella direzione che porta alla loro casa, lasciando Grindelwald a fissare la radura ormai vuota per qualche secondo.
Aberforth avverte un miscuglio di sensazioni contrastanti agitarsi dentro di lui. Dovrebbe sentirsi tradito o rincuorato dal rifiuto di suo fratello? Dovrebbe apprezzare il suo tirarsi indietro o incolparlo di quello che è accaduto?
Attende che Grindelwald se ne vada e allora, finalmente, si rimette in piedi e si allontana anche lui, immergendosi nel buio della foresta. Non vuole tornare a casa, perché, anche se non è sicuro di cosa dovrebbe provare, sa che, al momento, odia Albus come non ha mai fatto.
~
“Dov’è Aberforth?” chiede Ariana per la terza volta di fila nel giro di pochi minuti.
Albus respira profondamente prima di rispondere, ancora, “Non lo so, ma tornerà presto, non preoccuparti.”
La ragazzina annuisce con sguardo triste e riprende a giocare con la sua bambola, mentre il fratello lancia un’occhiata fuori dalla finestra, sperando di veder arrivare il membro mancante della famiglia.
È stanco e la preoccupazione sicuramente non gli rende le cose più facili; una notte completamente insonne, tutti quei pensieri, Aberforth che non rincasa e poi Gellert… già, soprattutto lui. È così stanco che vorrebbe lasciar perdere tutto e andare a letto, ma poi il suo sguardo scivola sulla sorella, sulla cucina in disordine che nessuno ha ancora ripulito dalla cena della sera precedente, e cancella il proposito. Il senso di costrizione che quella casa esercita su di lui preme sulle sue ossa e sembra quasi sempre sul punto di sgretolarle.
Chiude gli occhi e sospira, cullato dalla filastrocca infantile che sua sorella sta cantando alla bambola. I pensieri scivolano da soli fino ai ricordi della notte precedente. Ripercorre le parole di Gellert, la sensazione delle sue labbra premute contro le proprie, e lo stomaco gli si contrae, mentre il sangue affluisce sulle sue guance, rendendogli la testa pesante.
Lo ha allontanato senza rifletterci troppo e, al momento, è sicuro di aver fatto la cosa giusta, di dover necessariamente riflettere sulla questione, mettere in ordine i pensieri e lasciar domare i desideri dalla ragione.
Ci è sempre riuscito; eppure, l’ultimo mese sembra aver sancito la sua sconfitta, perché mai si è lasciato andare così tanto come sta facendo con Gellert. L’altro ragazzo rappresenta tutto ciò che lui può volere, tutto ciò che gli mancava prima di conoscerlo, e, ad un tratto, il pensiero di allontanarsi da lui, di privarsi della sua compagnia, della sua presenza al proprio fianco, gli toglie il fiato.
È in quel momento che la porta d’ingresso si apre e i passi di Aberforth risuonano nel corridoio, prima che lui compaia in cucina, lo sguardo stanco - specchio esatto di quello di Albus - e le sopracciglia aggrottate, le labbra contratte, quasi contenessero qualcosa di amaro e velenoso e dovessero trattenersi dallo sputare tutto fuori.
Ariana corre da lui, appena lo vede, lanciandogli le braccia al collo e gridando: “Sei tornato!”
Aberforth ricambia l’abbraccio, evitando accuratamente di guardare suo fratello.
“Ariana, va’ a giocare fuori per un po’, d’accordo? Io e Albus dobbiamo parlare,” le dice, con un tono basso e calmo.
La bambina, indecisa, lo esamina per un attimo probabilmente alla ricerca di un indizio su ciò che sta per accadere, ma lo sguardo di Aberforth, ora che è su di lei, è affabile e dolce come tutte le volte che le parla; così si convince e annuisce, saltellando fuori di casa con la bambola stretta al petto.
Adesso che sono soli, Aberforth assume nuovamente quel contegno rabbioso e velenoso che aveva poco prima. Albus può sentire la tempesta arrivare, pronta ad abbattersi su di lui - e su lui solo, perché ha sempre la sensazione che nient’altro, in quella casa, potrà mai essere scalfito.
Stanco di attendere, gli pare che affrontare il fratello sia la mossa migliore.
“Dove sei stato?” gli chiede, il tono piatto in modo da non dargli appigli per la lite che sta cercando di provocare.
“Non sono affari tuoi,” risponde l’altro, astioso, facendo grattare una sedia sul pavimento nell’atto di spostarla per sedersi di fronte al fratello.
“Come vuoi,” Albus espira, già stanco di quel breve scambio di battute.
Cala il silenzio, su di loro e sull’intera stanza; è un silenzio pressante, che tante volte ha avvolto le loro vite dalla morte della madre. Albus ricorda un tempo in cui non era così, in cui lui e Aberforth erano davvero due fratelli e non due estranei costretti a vivere nella stessa casa e ad occuparsi di Ariana. Quando gli accade di ripensare a quei momenti, vorrebbe sorridere, voltarsi verso l’altro e dire Ti ricordi…?, ma quando alza lo sguardo, tutto gli appare più che mai fuori luogo, quindi desiste dal proposito e tace ancora.
“Vi ho visti, ‘stanotte,” dice finalmente Aberforth, guardando dritto davanti a sé.
Albus sente lo stomaco sprofondare e contrarsi. La bocca diventa secca e la gola gratta quando chiede: “Visto cosa?”
Aberforth gli rivolge per la prima volta lo sguardo, anche se il gelo e il disappunto annidati nei suoi occhi non lo rendono affatto piacevole.
“Sai di cosa sto parlando,” scandisce.
Albus si fissa le mani, incapace di sostenere l’occhiata del fratello per la vergogna. C’è ancora un attimo di silenzio, poi si arma di coraggio e tenta di parlare.
“Senti…” comincia, non sapendo nemmeno come continuare la frase.
Aberforth solleva una mano e lo interrompe. “No, non riempirmi di chiacchiere, non mi interessano,” dice, brusco. “Voglio solo che tu smetta di vederlo. Subito.”
La richiesta appare ad Albus immediatamente crudele, non ha nemmeno bisogno di rifletterci troppo. Sa già che non potrà mai eseguire qualcosa del genere, ci ha pensato tutta la notte e altre notti prima di questa, esattamente in ogni occasione in cui ha avuto paura di essersi lasciato coinvolgere troppo da Gellert, fin dalla prima volta che ha avvertito il suo sguardo bruciare come fuoco sulla pelle.
E la risposta è sempre stata la stessa; ed è la stessa che dà a suo fratello, adesso.
“Non posso, Aberforth.”
“Non puoi? Non puoi?!” l’altro ormai urla, senza più controllarsi. Chiude gli occhi, tentando di non lasciarsi scalfire. “Certo, puoi mandare all’aria la tua famiglia, ma non puoi non farti trascinare in questo… schifo!”
Aberforth si alza e comincia a camminare in preda all’ira. “Dovresti essere grato che ti abbia visto io, Albus. Cosa sarebbe successo se si fosse trattato di Ariana? O, peggio, qualcuno del villaggio?!” si preme una mano sugli occhi ed espira a fondo. “Merlino, non puoi ficcarci anche in questo!”
Il tono è disperato e Albus non può evitare un destabilizzante senso di colpa, che gli causa una fitta di dolore al cuore.
“Voi non siete coinvolti, non c’entrate nulla. È una cosa mia, solo mia…” tenta di dire.
“La gente parla, Albus!” urla ancora il fratello. “Non posso credere che non ti renda conto di quanto certi tuoi impulsi possano mandarci in rovina per sempre. Abbiamo già abbastanza problemi, d’accordo? Potevo chiudere un occhio sulle tue-- le vostre manie di grandezza, ma non di fronte a questo… questa cosa disgustosa. Gellert Grindelwald deve sparire dalle nostre vite, prima che ce le rovini per sempre,” conclude, puntando un dito contro di lui.
Albus si alza in piedi, gira attorno al tavolo e si posiziona di fronte ad Aberforth.
“Ascolta,” comincia, appoggiando le mani sulle sue spalle. “Io non sono come te, a me non basta… questo,” e, con un gesto della mano indica ciò che hanno intorno. “Non posso accontentarmi come fai tu. Gellert può… noi, insieme, possiamo raggiungere i nostri scopi, diventare qualcuno d’importante. Possiamo creare un mondo migliore, in cui nessuno di noi maghi dovrà più nascondersi, nemmeno Ariana,” il suo sguardo diventa speranzoso, sognante quasi, e poi il suo tono ottiene una sfumatura calma e ferma, quando pronuncia l’ultima frase. “Lui non uscirà dalla mia vita, non mi interessa quante volte me lo chiederai.”
Guarda suo fratello negli occhi, mostrandogli tutta la sua determinazione. Aberforth, al contrario, arriccia le labbra e lascia che traspaia il disgusto dal suo atteggiamento; poi, si scosta bruscamente dal Albus, indietreggiando di qualche passo.
“Come ti pare,” commenta, gelido. “Come ti pare, Albus. Ma ti avverto, tieni me e Ariana fuori da tutto questo. Non voglio saperne più nulla di te… di voi!” fa per uscire dalla cucina, scuotendo la testa, ma si ferma poco prima di aver varcato la soglia, voltandosi a guardare il fratello da sopra una spalla. “Non darmi un motivo per sbattere fuori di casa te e le tue putride abitudini,” minaccia, per poi girarsi e uscire definitivamente dalla stanza.
“Non puoi sbattermi fuori di casa, sono sempre io, il maggiore!” gli grida in risposta Albus, decisamente rabbioso, anche se sa che è perfettamente inutile.
Aberforth non lo ascolterà, come sempre.
Si lascia cadere su una sedia e si prende la testa fra le mani, per un attimo sconfitto da tutti quei pensieri che sembrano avergli succhiato via ogni energia vitale.
Dapprima, pensa sia giunto finalmente il momento di riposare e dimenticare ogni cosa, ma poi si rende conto che ha un desiderio più forte che preme per essere soddisfatto: vuole incontrare Gellert. E, visto come si sono messe le cose, non ha più nessuna intenzione di impedirselo.
~
Considerando il modo in cui Albus è andato via la notte precedente, Gellert suppone che non lo rivedrà molto presto, a meno che non lo cerchi personalmente. E non vuole, non questa volta, perché si è già esposto troppo, ha già compiuto il suo primo passo e, ora, decisamente tocca all’altro.
Eppure, la sua assenza pesa; la stanza - quella che occupa a casa di zia Bathilda e dove di solito si riuniscono - sembra vuota e Gellert non è riuscito a chiudere occhio per tutta la notte - o quanto ne restava -, continuando a fissare il soffitto bianco.
“Beh, non ha importanza. Se fugge come un vigliacco è lui a perderci,” ha pensato ad un tratto, aggiungendo di poter benissimo raggiungere i propri obiettivi da solo, avendone certamente le capacità.
Solo che con Albus accanto sarebbe tutto diverso; il ragazzo rappresenta esattamente ciò che gli manca, ciò di cui ha bisogno. È, in un certo senso, il suo complementare - e Gellert lo vuole così tanto.
Ha appena smesso di rigirarsi tra le lenzuola pregiate del proprio letto sfatto, che un leggero ticchettio alla finestra attira la sua attenzione. Salta in piedi, con il cuore in gola, e corre ad aprire al gufo che conosce fin troppo bene.
Quando legge il messaggio di Albus - che lo invita ad incontrarsi al solito posto -, un ghigno gli increspa le labbra. Sapeva che non avrebbe resistito a lungo.
~
“Non mi interessa di loro,” sussurra Albus, sulle sue labbra, prima di baciarlo ancora. “Li terremo fuori, perché non sono rilevanti, vero? Nulla è rilevante per noi,” continua.
Gellert gli appoggia una mano sulla schiena, attirandolo più vicino. “Nulla,” concorda, e lo bacia ancora.
Adesso, sotto le sue mani, sotto i suoi tocchi, sente che finalmente Albus gli appartiene. Lascia che le mani di Gellert vaghino sul proprio corpo, senza più fermarlo, semplicemente rilassandosi tra le sue braccia e mormorando il suo nome come una litania.
Ad un tratto si ferma, staccandosi da lui quanto basta per guardarlo negli occhi e parlare.
“Grindelwald e Dumbledore, gli invincibili signori della morte!” esclama con tono solenne. “Conquisteremo il mondo,” aggiunge poi, scoppiando a ridere subito dopo e nascondendo il viso nell’incavo tra il collo e la spalla dell’altro.
Gellert chiude un attimo gli occhi, ascoltando il suono di quella risata, avvertendo il fiato dell’altro ragazzo solleticargli il collo e il calore del suo corpo premuto contro il proprio, e si sente potente, la persona più potente del pianeta.
Riapre gli occhi e sorride. “Il mondo? Il mondo non è abbastanza per noi, insieme avremo molto di più,” sussurra al suo orecchio, per poi baciarlo di nuovo.