Titolo: Not so canon, after all
Fandom: Harry Potter
Beta:
zuccheroamaroPostata il: 01/08/2007
Personaggi: Sirius Black, Remus Lupin, Joanne Rowling (mi perdoni); nominati gli altri Marauders e Severus Snape.
Pairing: Remus/Sirius
Rating: Pg13
Conteggio Parole: 2.020 (W)
Avvertimenti: Slash, Meta-fic, Commenti non proprio carini sul suddetto libro, sulla signora Rowling e su Ninfadora Tonks.
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
~ La storia, come avrete inteso, è una Meta-fic e contiene commenti ironici e davvero poco carini sul libro, sulla Rowling stessa e, beh, persino su Tonks. Potete non essere d’accordo, certo, ma prendete tutto ciò come una piccola parodia e con leggerezza (che poi io pensi davvero quello che ho scritto, è un altro conto xD).
~ Medesimo 'verse di
Be canon, per intenderci, ma sono completamente indipendenti l'una dall'altra.
Not so canon, after all
Remus si guardò intorno attentamente. Il salotto sembrava deserto, ma accertarsene era la cosa migliore per non correre rischi. Una controllatina sotto la poltrona, una dietro il divano, un’altra sotto il tavolo da caffé.
Nessuna traccia, pensò e, con un sospiro, si lasciò cadere sulla poltrona. Da sotto il mantello, tirò fuori un libro dalla copertina rigida e colorata, lo aprì al capitolo trentacinque e, dopo un’altra occhiata a tutta la stanza, si immerse nella lettura.
C’era un posto, però, in cui Remus non aveva controllato. Uno sportello dell’enorme mobile del salotto si aprì leggermente ed un occhio grigio fu visibile dallo spiraglio.
L’occhio ringraziò Merlino per la scelta della poltrona (se Remus si fosse seduto sul divano, non avrebbe avuto la stessa visuale; ma, in fondo, lui conosceva bene il suo lupo) e si fissò sul licantropo, esaminando prima l’espressione concentrata e poi quel poco che riusciva a vedere della copertina del libro.
Poco davvero, ma quanto gli bastava per riconoscere il romanzo in questione. La bocca sotto l’occhio ghignò e, in silenzio, l’individuo che possedeva sia l’occhio che la bocca continuò ad osservare il proprio compagno.
Dapprima, l’espressione di Remus si mantenne neutrale, solo concentrata. Poi aggrottò le sopracciglia, storse le labbra in una smorfia e tornò neutrale. Trascorse ancora qualche minuto, un altro paio di pagine voltate, e Remus sollevò gli occhi al cielo e sbuffò, scuotendo la testa in gesto che era chiaramente di disappunto. Sembrò quasi sul punto di chiudere il libro e lasciarlo lì sulla poltrona e Sirius (che, ripetiamo, conosceva bene il suo lupo) pensò di aver colto il momento giusto.
Con uno sbang prodotto dall’urto dello sportello contro il resto del mobile, Sirius saltò fuori e, puntando un dito contro Remus, “Ah-ah!” esclamò.
Il licantropo sobbalzò e, per poco, non lasciò cadere il libro. Poi, dopo aver riconosciuto la causa di quel rumore, chiuse gli occhi ed espirò a fondo.
“Non voglio sapere cosa ci facevi chiuso là dentro, Sirius, davvero. Non voglio saperlo,” disse, il tono piatto, ormai pronto ad affrontare il discorso senza senso che sarebbe stato pronunciato entro breve dal proprio compagno.
“Ah-ah!” ripeté Sirius. “Ti ho visto, Moony, non puoi negarlo. Hai sbuffato!”
“Sì, credo proprio di aver sbuffato. Quale imperdonabile errore, da parte mia,” ribatté Remus, ironicamente. A dispetto della calma che ostentava, però, si affrettò a far scomparire il libro nuovamente sotto il mantello.
Ma nulla può sfuggire alla vista di Padfoot, anche quando Padfoot non ha le orecchie a punta e la coda.
“Fermo lì!” strillò, infatti. “Tira fuori quel libro e raccontami perché hai sbuffato.”
Remus eseguì gli ordini, appoggiando l’oggetto della contesa sul tavolino da caffé. Sospirò ancora.
“Se vuoi sapere cosa succede, Sirius, leggilo e non chiedermelo ogni due secondi.”
“Non se ne parla neanche! Non leggerò quella roba nemmeno sotto Cruciatus. È scritto male e quella bionda da strapazzo mi sta antipatica.”
“Lo so che è scritto male, ma la tua continua curiosità è irritante. Dovresti proprio leggerlo.”
“No, non lo farò. E so perché lo stai dicendo, razza di un Moony! Semplicemente non vuoi ammettere che sei morto!”
Sirius saltellò sul posto e ululò di fronte all’espressione scoraggiata di Remus, prima di cominciare a ripetere, freneticamente, “Sei morto, sei morto, sei morto!”
“Sirius! Sirius, piantala!”
“Oh, avanti Remus! Non c’è niente di male ad essere morti… Io lo sono da ben due libri!”
“Non è questo, non stavo sbuffando per…”
“Remus! Tu. Sei. Morto. Ripeti con me, sono morto, ripetilo, avanti!” lo interruppe e attese finché anche Moony non ebbe pronunciato le parole: “Sono morto, contento Sirius?”.
“Ah-ah! Te l’avevo detto che sarebbe successo, ricordi? Cosa credevi, di essere il Malandrino Immortale?!” ed esplose in una delle sue risate canine, tenendosi la pancia.
Moony si prese la testa fra le mani e respirò a fondo, rinunciando alla possibilità di zittire Sirius e di calmarlo prima che giungesse alla domanda da mille galeoni. In silenzio, guardò il compagno riprendersi dalla risate e riguadagnare fiato.
“Devo dirlo a James. Prongs deve sapere che anche tu sei giunto nell’aldilà insieme a noi…”
“Non lo troverai,” disse, bloccando la sua corsa verso il camino. Sirius gli lanciò un’occhiata interrogativa, con la testa piegata di lato.
“Anche lui ha letto il libro. E adesso, se lo conosco bene come credo, sarà fuori casa di Severus a urlare che Lily è sua, solo sua, e ama lui, solo lui, e ah-ah, Snivellus non può farci nulla.”
“Saggia decisione,” convenne Sirius. “Ho sempre sospettato che quel viscido volesse mettere il suo lungo naso addosso a Lily.”
Poi, andò a sedersi sul divano, ritrovandosi poco distante da Remus e, con un gomito poggiato sulla coscia e il mento poggiato sul palmo, gli occhi fissi in quelli nocciola dell’altro, riprese a parlare.
“Allora, chi è stato? Non Peter, mi auguro, sarebbe persino più umiliante di quello stupido velo!”
Remus espirò aria per la milionesima volta e decise che, per uscire ancora sano di mente da quella conversazione, doveva assecondare Sirius. E sperare, pregare, che tale conversazione si chiudesse prima di giungere alla Domanda.
“No, non Peter. Dolohov.”
“Oh, Moony,” gemette Sirius. “Ti meriti un Abbraccio Consolatorio, per questo. Quel cattivone di un Mangiamorte!” e, dicendo ciò, si alzò per risedersi sul bracciolo della poltrona di Remus e lo strinse tra le braccia, senza dimenticare di mordicchiargli il collo per rimarcare tutto il suo amore.
Il grazie di Remus fu per lo più soffocato dalla maglietta di Sirius, che nell’atto di stritolamento gli era finita dritta in bocca. Quando sentì che il soffocamento era in agguato dietro l’angolo, Sirius allentò la presa, pur rimanendo con le braccia attorno al corpo di Remus e il mento appoggiato alla sua spalla.
“Anche Peter è già morto, comunque,” riprese il licantropo, appena sentì la propria riserva d’ossigeno al sicuro.
“Fantastico! Allora stasera si va tutti al Paiolo Magico a farci una bella bevuta per festeggiare la morte dei Malandrini. Che gli è toccato? Uno dell’Ordine?”
Remus non avrebbe voluto dirlo; avrebbe voluto risparmiare questa umiliazione al povero Pete, ma tenere Sirius occupato con discorsi del genere era l’ideale per far sì che non si ricordasse. Dunque parlò.
“La sua, sai, mano d’argento. Lo ha strangolato quando ha esitato ad uccidere Harry.”
Sirius scoppiò in un’altra delle sue risate-latrato che gli rimbombò nell’orecchio e lo fece traballare tutto, visto che il cagnaccio gli stava ancora appiccicato. Non che gli dispiacesse, certo.
“Incredibile! Alla fine quello che ha avuto la morte migliore sono io!”
“Sei caduto, Sirius. Oltre una tenda sporca.”
“Con stile, Moony. Ricordi? Il corpo piegato in un arco elegante, il sorriso ancora sul volto… La mia morte è stata poesia!”
Remus gli rifilò una leggera gomitata che lo fece ridere ancora, con la bocca sui suoi capelli, aggrappato alle sue spalle. Anche lui rise, fino a che non sentì Sirius smettere e raddrizzarsi e seppe che il momento era arrivato.
“Moony,” cominciò l’Animagus. E, se in quel momento avesse avuto le orecchie, sarebbero state appuntite e dritte. “E quella sciattona di Ninfadora cos’ha fatto, quando sei morto?”
Il cuore di Remus scattò sull’attenti e salì nella sua gola. “Uhm. Beh, lei… lei è morta, sì, anche lei è morta.”
“Bene!” esclamò Sirius. “Quindi la vostra presunta storia d’amore è scomparsa per sempre?”
Remus si irrigidì. “Sì, cioè, sì, ma…”
“Ma?!”
“Ehm… ma.”
“Remus. Stai blaterando. E non è mai un buon segno, quando blateri.”
Remus prese un profondo respiro e, mentalmente, si preparò al peggio. Non c’era più modo di sfuggire al Disastro, tanto valeva affrontarlo da uomo. Beh, sì, da uomo-lupo, se si voleva essere precisi.
“Cisiamosposatieabbiamoavutounbambino,” fu la sua ammissione.
Cadde il silenzio. Le mani di Sirius allentarono la presa sulle spalle e il suo corpo si allontanò leggermente. Il licantropo non voleva girarsi, non voleva guardarlo. Sapeva, ad ogni modo, quello che avrebbe visto: lo sguardo vacuo e fisso su un punto a caso della stanza, le labbra serrate e, se ci fossero state, le orecchie ancora dritte e a punta, mentre il suo cervello, a piccoli passi, elaborava la frase appena pronunciata e ne sviscerava ogni possibile significato.
L’elaborazione giunse al suo termine.
“COSA?!” strillò Sirius, prima di indietreggiare troppo e cadere dal bracciolo dritto sul pavimento.
Remus strinse gli occhi e si affacciò a guardarlo dalla poltrona. “Padfoot,” tentò, senza successo.
“Sposati… un figlio… sposati. Marito e moglie. A letto insieme! Un figlio!” continuava a ripetere Sirius, lo sguardo ancora vacuo e perso nel vuoto.
Poi, con un gesto lento, sollevò il capo fino a guardare Remus, ancora abbarbicato al bracciolo della poltrona.
“E come si chiama la creatura?” riuscì a dire, in un filo di voce.
Moony si strinse nelle spalle. “Ted Remus Lupin. Che, beh, poi diventa Teddy. È orribile, Pad, lo so, è orribile.”
A dispetto di ogni aspettativa, però, ciò sembrò dargli nuova forza. Sirius saltò in piedi e, agitando il pugno in aria, “Non Sirius?!” urlò, il tono scandalizzato per sottolineare la propria indignazione. “Moony! Non hai chiamato tuo figlio ‘Sirius’? Come hai potuto farmi questo?!”
Remus deglutì rumorosamente. “Il padre di Ninfadora era appena morto,” cominciò a spiegare. “E poi, non l’ho… beh, non l’ho propriamente deciso io. Quel Remus lì,” e indicò il libro con un gesto rapido. “Non sono io, deve essere qualche strana specie di licantropo con le mestruazioni che mi assomiglia. Non mi sembra proprio di essere così lunatico!”
La comprensione attraversò il volto di Sirius, che si illuminò come una lampadina. Gli era venuta un’idea, e Remus temette davvero il peggio.
“Hai ragione!” esclamò, ancora con la mano in aria. “Hai proprio ragione! Non è con te che devo prendermela, non sei tu, quello,” continuò, indicando di nuovo il libro. “Tu sei qui con me,” si posò la mano sul petto e fece una pausa.
Moony pregò che fosse tutto finito lì, ma, in realtà, sapeva di sbagliarsi. Il peggio non poteva essere evitato, non questa volta.
“Bene, dov’è la mia bacchetta?” e, pronunciando queste parole con un tono leggermente isterico, Sirius si allontanò a grandi passi in direzione della loro camera da letto.
Remus osservò per un attimo, come intontito, la sua schiena sparire dalla stanza e poi ragionò che, per quanto non fosse d’accordo con l’Autrice, era suo dovere almeno provare a fermarlo.
“Pad! Aspetta, aspetta, che vuoi fare?! Pad!” urlò, caracollando giù dalla poltrona e seguendo Sirius nel corridoio.
***
A qualche decina di chilometri di distanza, in una splendida villa a quattro piani, con parco interno e stalla con cinque cavalli purosangue, nella periferia di Londra, Joanne sedeva su una sdraio nei pressi della propria piscina olimpionica. La donna era allegra, sorseggiando il proprio cocktail alla frutta, e rifletteva su quanto fosse stata accorta a decidere di regalarsi quella villa per celebrare la fine della saga di Harry Potter.
Nulla sospettava, nella grande calma che la circondava, della tragedia che, quel settimo libro, aveva portato nella vita di molte persone.
Un gufo nero di piccole dimensioni sbucò nel giardino l’attimo dopo e, con grande rapidità, lasciò cadere una piccola pergamena ripiegata su se stessa sulle gambe della bionda scrittrice.
Joanne dispiegò il foglio e, con curiosità, cominciò a leggere.
Cara, CARA, Joanne.
Spero che tu stia bene, anche se non so quanto questa condizione di salute potrà durare.
Chi ti scrive è il tuo caro AMICO Sirius Black; sì, quello che hai ucciso nel quinto libro, brava.
Ebbene, Joanne, alcuni miei informatori mi hanno raccontato cosa accade nel settimo e ho sentito l’estremo bisogno di mostrarti quello che ne penso. Sai, ritengo che tu non mi conosca bene, Joanne, perché, beh, ti deve essere sfuggito un elemento cruciale della mia personalità.
Sirius Black è un uomo geloso, un uomo MOLTO geloso, che non ama affatto vedere il proprio compagno copulare e procreare con stupide donnine in rosa.
Ed è in ottimi rapporti con Kingsley, lassù, al Ministero.
Quindi, suppongo sia un ottimo atto di cavalleria, da parte mia, donarti cinque minuti di vantaggio (il tempo esatto per collegare CASA TUA a CASA MIA via Metropolvere) prima di farti una visita.
Armato.
Con immenso affetto,
Sirius Black.
E, il momento dopo, fu panico.
Note due:
Chi ha letto il libro, ha sicuramente notato che il Capitolo Trentacinque non è quello in cui Remus muore, ma “King’s Cross”. Infatti, il suo disappunto non è dettato dalla scoperta della propria dipartita, come crede erroneamente Sirius, ma dalla lettura del capitolo più brutto e assurdo e noioso di tutto il libro. Se non siete d’accordo, pazienza; sono solo i pensieri di Remus. E, beh, anche i miei.