Debito di vita

Sep 01, 2010 13:31


Titolo: Debito di vita
Personaggi: Regulus Black, Severus Snape
Rating: PG13
Parole: 3.101 (Word)
Avvertimenti: angst (ci proviamo), pre-slash (molto 'pre' e poco 'slash'), What if?
Dedica: per il compleanno di Ernil, una personacina adorabile LOL, che scrive in modo indescrivibilmente bello e che ama l'angst come me: come potevo non adorarla? Tantissimi auguri di buon compleanno, bella di zia! ♥
Note: questa storia è chiaramente un ripiego, ma fortunatamente un ripiego che ha una base. Questa base. Ho biecamente approfittato dell'interesse di Ernil per il punto 7. So che la storia non è particolarmente acuta o carina o angst, ma probabilmente ero fuori allenamento. Spero che la festeggiata sappia perdonarmi - in caso, sa lei cosa farci con la cassetta di verdura marcia che troverà a fondo fic.



Forse non si desiderava tanto essere amati, quanto essere capiti.
(1984 - George Orwell)

(1979)

La prima volta che ha aperto gli occhi non ha potuto fare a meno di sorprendersi di poterlo fare ancora, prima che dolori lancinanti gli scuotessero il corpo e la sua mente venisse di nuovo posseduta da quel male che l’aveva fatto crollare nell’incoscienza - e nelle acque fredde ed infestate della grotta.

Non ha avvertito le mani che lo stringevano, confondendo la realtà con gli incubi - Inferi, Inferi ovunque - e poi è tornato a vagare nel buio del sonno, dove almeno gli era concesso di non avvertire il dolore fisico.

Per due volte, dopo di quello, ha aperto gli occhi non riuscendo a distinguere il delirio dalla realtà; continuava ad essere preda di visioni spettrali, raccapriccianti, ricordi dolorosi e presagi amari.

Quando finalmente riprende coscienza del mondo intorno a sé, la prima cosa che fa non è chiedersi perché è ancora vivo - eppure la domanda sorgerebbe spontanea nella mente di chiunque. Il primo pensiero coerente che formula è che la stanza in cui si trova urla da ogni angolo, da ogni granello di polvere, da ogni pagina ingiallita dei libri sulle mensole il nome di Severus Snape. È una sensazione così forte, che quando sente la sua voce chiedergli se è in sé, Regulus pensa che siano state le pareti a parlare.

“Sei sveglio?” Ripete Snape e lui si volta, guardando il vecchio compagno di scuola senza riuscire tuttavia a parlare; vorrebbe rispondergli, ma la sua gola è talmente secca che anche respirare fa male - ma lui se ne accorge solo in quel momento, troppo concentrato a studiare quella stanza, così simile a lui.

Severus sembra accorgersene - o forse lo sapeva già da prima? - e gli solleva la testa, avvicinandogli un bicchiere d’acqua.

Regulus si tira indietro, istintivamente, con uno scatto violento, e l’acqua gli finisce addosso, bagnando le lenzuola e inumidendogli la pelle sotto i vestiti. È terrorizzato all’idea che qualcuno gli faccia bere qualcosa e, nonostante non riesca bene a ricordare perché, sa che ha fatto male.

“Non voglio.” Sibila, sforzandosi di parlare: le corde vocali sembrano graffiargli la gola, creando solchi sanguinolenti nella carne tenera, ma è solo una sensazione. “Basta.”

“È solo acqua.” Lo rassicura Severus - ed è bizzarro, perché non è davvero una rassicurazione, ma una semplice constatazione. Dopo aver riempito di nuovo il bicchiere con un incantesimo, ed aver asciugato il disastro di poco prima, beve un sorso e Regulus lo guarda con bramosia. Adesso che sa che è sicuro, il bisogno di bere è talmente forte che per poco non salta addosso all’altro, pur di rubargli il bicchiere - lo farebbe, se non si sentisse così debole e spossato.

Severus è costretto a ripetere l’incantesimo per altre quattro volte prima che l’altro sia finalmente sazio d’acqua; poi lo aiuta a distendersi e gli ordina di dormire.

Regulus lo guarda senza capire: ha dormito per tutto il tempo - ma per quanto tempo? - e non è davvero stanco. Riesce giusto a pensare quello, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi profondamente.

*

“Cosa è successo? A quest’ora sarei dovuto essere morto.”

È passato un altro giorno dall’episodio dell’acqua e Regulus è finalmente in grado di parlare decentemente, di stare seduto a letto e di ragionare. C’è qualcosa nella sua testa che non va completamente bene, forse, ma non si può lamentare: è vivo, contro ogni logica e ogni previsione.

“Ti ho seguito.” Risponde Severus, semplicemente, mentre gli avvicina alla bocca un cucchiaio di una qualche brodaglia molto calda e poco saporita; pare che però gli serva, quindi Regulus manda già e basta.

“Te l’ha chiesto Lui?”

La domanda è secca, l’aria si tende, ma niente nei loro gesti sembra tradirlo: il giovane Black continua ad ingollare il brodo che gli propina Snape senza fare un fiato di protesta.

“No. Lui non ne sa nulla.”

“Bene. Non deve saperne nulla il più possibile.”

“Sono fin troppo coinvolto.”

“Avresti dovuto portarmi da Lui subito.”

“Non l’ho fatto, evidentemente.”

Dopo questo scambio intenso, pregno di parole implicite, rimangono in silenzio per qualche minuto. Il brodo è quasi finito e non è più tanto caldo.

“Per quanto tempo?” Domanda Regulus, guardando ancora la stanza di Severus. Ormai la conosce bene, centimetro per centimetro: l’ha osservata ogni volta che riusciva a tenere gli occhi aperti abbastanza a lungo da memorizzare ciò che vedeva; conosce i titoli di tutti i libri sulla prima e sulla seconda mensola nella parete di fronte al letto - e sono mensole molto lunghe, quelle - e sta pian piano memorizzando quelli del terzo ripiano. Fra le letture del suo amico c’è un po’ di tutto: racconti babbani, magici, saggi sugli incantesimi, libri di pozioni… Lui è così, in fondo: c’è molto sotto la superficie.

“Due settimane. Pensano che tu sia morto. La settimana scorsa c’è stato il funerale.”

Nonostante la voce di Severus non trasmetta nulla, Regulus non può non notarci una traccia d’ironico divertimento; e inizia a ridere.

“Spero sia stata una bella funzione.” Ironizza, fra un singhiozzo e l’altro e non è nemmeno sicuro del motivo per cui sta ridendo; se sia per il fatto che il funerale sarebbe stato dannatamente giusto se lui fosse morto come doveva succedere; o se sia per il fatto che è ancora vivo e qualcuno glielo sta raccontando.

Il suo ospite e salvatore non risponde, ma mette via la ciotola ed il cucchiaio, aspettando che finisca la sua risata. E Regulus vorrebbe smettere, sul serio, ma non ci riesce; non fino a quando non sente altre domande premere contro la sua bocca per uscire; così asciuga le lacrime e si stende, stanco per il troppo ridere.

“Perché?” Domanda e basta. Sa che Snape capirà.

“Odio la stupidità e la tua mossa è una delle cose più stupide che io abbia mai visto fare.”

“La mia non sarebbe stata una morte stupida, però. Una morte eroica, ecco cosa.” Risponde sorridendo e ripensando al suo piano. Buffo che non abbia calcolato quell’incognita, quell’imprevisto che avrebbe potuto cambiare tutto. “Kreacher è…”

“Ha eseguito i tuoi ordini, immagino. Non l’ho fermato.”

“Era tutto calcolato. Ma non ho inserito te nell’equazione; tu cambi sempre tutto e così hai rovinato la mia morte eroica.” Si lamenta, rassicurato sul destino del medaglione.

“Una morte stupidamente eroica. Mossa poco Serpeverde, la tua.” Considera Severus, alzandosi per poi uscire dalla stanza: Regulus si è di nuovo addormentato.

*

Dopo una settimana, Regulus riesce di nuovo a camminare e a muoversi autonomamente. Questo è sicuramente un miglioramento, pensa Black, ma è anche un peggioramento: vuol dire che il momento di andar via è sempre più vicino.

Severus non può continuare a nasconderlo. Non vorrebbe nemmeno, perché semplicemente non è fatto per stare insieme ad altre persone, anche se quella persona è Regulus.

Lui lo sa, come sa anche che ci sono domande alle quali Snape non risponderà mai; tipo per quale motivo non ha avvertito Voldemort del suo tradimento - ma è semplice immaginarlo, perché non si espone un compagno traditore - oppure perché lo ha accudito per tutto il tempo che c’è voluto per guarire.

Guarire, poi, che parola azzardata. Regulus continua ad avere l’impressione che c’è qualcosa che non va nella sua testa - attacchi di riso improvvisi ed ingiustificati, tic che prima non c’erano, parole che gli escono di bocca senza che lui lo voglia. Severus gli ha spiegato che è per colpa di quello che ha bevuto e che poteva andargli molto peggio se lui non gli avesse somministrato un antidoto - non abbastanza potente da neutralizzare del tutto gli effetti di quel veleno, comunque.

“Cosa pensi che debba fare adesso?” Domanda all’improvviso dopo cena.
Severus è seduto sulla poltrona sulla quale l’ha sempre visto accomodato in quella settimana finalmente libero dal dover stare a letto, e lo guarda da sopra un libro.

“È una domanda stupida.”

“La tua risposta lo è ancora di più.”

“Io penso che tu sappia perfettamente bene ciò che devi fare.” Gli risponde allora il suo ospite, riponendo il libro.

È un segno di cedimento - o almeno è così che Regulus interpreta ogni piccolo gesto di apertura alla conversazione da parte di Snape; una piccola vittoria che probabilmente ogni tanto gli concede l’altro per non farlo sentire sciocco e incapace.

“Chiaro: devo andarmene, fin lì c’ero. Mi hai salvato solo per poi buttarmi in strada?” Gli domanda, con un sorriso ironico, ma se la risposta dovesse essere positiva, Regulus sa che anche quel poco di sanità che ha ancora gli verrebbe strappata. Non sa perché; Severus non è mai stato il suo migliore amico, non è mai stato altro che una conversazione piacevole nella Sala Comune, un compagno Mangiamorte meno esaltato e più sano di molti altri. Non era nemmeno un alleato nella sua personale guerra contro suo fratello - erano tutti e due troppo occupati a sopravvivere alle sue cattiverie per riuscire davvero ad allearsi.

Ma è sempre stato qualcuno che lo affascinava; Regulus ha capito molto tempo fa che avrebbe voluto essere come lui, almeno per alcune cose.

“Non ti sto buttando in strada. Tu sai che non puoi restare qui per sempre, quindi non fingere un’ingenuità che non hai mai avuto.”

“Devo andarmene, okay. Posso chiederti aiuto per il dopo?”

“Non devo saperne niente.”

Regulus stringe gli occhi e lentamente fa un piccolo ghigno. “Non devo lasciare tracce.”

Severus non annuisce, né parla; ma è chiaro che sia così.

Ed è come se fosse solo: è stato salvato, accudito, curato, ma da quel momento deve pensare a sé stesso da solo. Non ha paura di farlo, in fondo ha iniziato ben prima di tutta quella faccenda dell’Horcrux a pensare da sé alla sua sopravvivenza; ma in quel momento Severus è l’unica persona che lo può tenere ancorato alla realtà. O almeno sente che è così. Non sa spiegarlo meglio, probabilmente non ha nemmeno senso: è come se fosse tornato un neonato, incapace di parlare, di camminare, di muoversi senza farsi del male.

È strano.

“Almeno mi sono liberato.” Dice, forse più a sé stesso che al suo ospite.

Severus prende il suo libro, sfoglia qualche pagina distrattamente e poi, senza alzare lo sguardo dalla tomo, sentenzia: “Sapersi liberare non è niente: il difficile è saper essere liberi.¹”

Dopo averlo guardato con perplessità, Regulus inizia a ridere. E stavolta sa che il suo attacco d’ilarità non è tanto insensato, e che tutto quello è ironico ed è per quello che ride, ride come se non ci fosse un domani - e forse per lui non c’è.

“Forse io non ci riesco. Non sono mai stato libero…” Ragiona, non appena riesce a frenare la sua ridarella. “Ma non posso tornare indietro né continuare a nascondermi, per quanto apprezzi molto il mio attuale nascondiglio.”

Severus non coglie, o fa finta di non averlo sentito. È estremamente inopportuno per entrambi, Regulus lo sa, ma proprio non può restare in silenzio. È come se non ci fosse un filtro fra quello che pensa, quello che prova e quello che dice - la decenza e la dignità deve averle lasciate in quella grotta buia, in pasto agli Inferi.

“Sai, all'inizio non riuscivo ad aprire bocca se c'eri tu, ma volevo sembrarti intelligente². Così ho iniziato a leggere i libri che leggevi tu… Speravo, no, sapevo che era un modo per avvicinarmi un po’ di più.”

Quella conversazione non piace al suo salvatore; lo vede dal modo in cui tiene gli occhi fissi sulla pagina. Non sta leggendo, ma sta cercando di ignorarlo come meglio può.

Regulus inclina leggermente la testa, poi accavalla le gambe ed incrocia le dita; i suoi gesti sono tutti calcolati, posati, eleganti e lui lo sa. Sa che agli altri piace guardarlo mentre si muove aristocraticamente: come in suo fratello e nelle sue cugine, anche in lui c’è una grazia innata in tutto ciò che fa. È un dono che non tutte le famiglie Purosangue hanno, ma loro sì, ed è sempre stato motivo di vanto per sua madre.

“Pare che noi Black abbiamo… Come dire… Qualcosa che non va nella testa.” Argomenta, guardandosi intorno distrattamente. “Dev’essere una sorta di tara genetica che si trasmette da generazioni. Troppi incesti, suppongo. Dicono che sia normale con le unioni fra consanguinei…”

“Da quando t’interessi alla genetica? Si tratta di studi babbani…” Lo interrompe Severus, forse tentando di cambiare discorso. Forse è semplicemente curioso.

“Da quando ho scoperto che interessa a te.” Non gli lascia possibilità; non ha vie di fuga ed il fatto che tutto quello sia diventato una specie di caccia al topo gli piace. Anche se dubita che potrà durare a lungo, perché semplicemente Snape non è il tipo da giocare al topo.

“Vedi? Qualcosa che non va… Mia cugina Bella è un’esaltata, Cissy una donna frigida… E poi ci sono le pecore nere, Andromeda e Sirius.” Dice e si alza, spazzolandosi la vesta da polvere invisibile.

Tergiversa, si guarda intorno, è indeciso: ha capito che, non potendo essere come Severus, può almeno provare ad averlo per sé, almeno una piccola parte. Il fatto che l’abbia salvato gli dà una piccola percentuale di speranza - piccola, ma abbastanza consistente da fargli credere che la sua vita valga qualcosa per l’altro.

“Sai qual è la mia tara?” Domanda, girandogli attorno come se fosse davvero un gatto. Severus però non si scompone minimamente: lo guarda con una certa ironica curiosità.

A volte si domanda come ci riesca: come riesca ad essere sempre così controllato, sempre così impeccabilmente di pietra; sempre con quel sorriso sarcastico che sembra dover spuntare da un momento all’altro, anche quando non ve n’è traccia.

“Me lo dirai anche se non volessi sentirlo. Il vero difetto di voi Black è che siete degli egocentrici. Tutti, nessuno escluso.” Calca su quel nessuno, ma non c’è cattiveria nelle sue parole; forse un pizzico d’indifferenza.

“Chiamalo come vuoi.” Brontola Regulus, quasi sconfitto. È una gara di volontà: bisogna vedere chi è più ostinato tra i due, e nonostante sia convinto che Severus sappia essere molto ostinato, sa per certo che lui lo è molto di più. Per testardaggine ha fatto un sacco di cose, compresa quell’ultima follia che avrebbe dovuto portarlo alla morte.

Ma ora che è vivo, ora che può ancora vedere, respirare, toccare sente che vale la pena essere ostinati per vivere.

E quello è vivere.

“La mia tara è l’ossessione.” Dice, convincendosi che sta andando bene, anche se Severus non lo guarda. “Sono ossessionato da te.”

Poi segue il silenzio. Se Snape fosse un altro, una persona diversa, a quel punto riderebbe fino a farsi scoppiare i polmoni; fortunatamente per Regulus, quell’umiliazione gli è evitata.

Severus lo guarda, e non è come se si stessero scambiando uno sguardo, no; il più piccolo è sotto accusa, sotto giudizio, sotto i suoi occhi attenti e aspetta come se fosse sospeso a mezz’aria, fra la vita e la morte. Eppure sente il sangue scorrergli nelle vene così forte che sembra bruciare; essere vivi è una sensazione meravigliosa e si domanda, per la prima volta, perché abbia portato avanti il suo piano suicida. Giura a sé stesso che non rischierà mai più la sua vita, mai, mai, mai più, per nessun ideale, per nessun Bene Superiore, per nessuno.

“Dovrei sentirmi lusingato di questo… interesse, eppure penso che sia estremamente inopportuno.” La voce perfettamente inespressiva di Severus lo riscuote dal suo sovraccarico di sensazioni, di vitalità.

“Mi aspettavo che tu dicessi una frase simile.” Ride, appoggiando la mano allo schienale della poltrona, poi si china, posandovi il gomito. Ma l’altro è ancora fermo ed imperturbabile; sembra come se l’avessero legato a quella sedia, come se l’avessero scolpito lì, una statua di pietra con l’espressione perennemente irrigidita, tesa.

“Cosa vuoi?” Domanda, forse sperando che Regulus non osi pronunciare quelle parole.

“Lo sai. Ma non è un obbligo: tu mi hai salvato la vita, Severus, non posso pretendere altro da te.” Afferma, onesto, nonostante voglia tantissimo tutto quello che ha davanti, come un bambino che trattiene le mani dall’afferrare solo perché sa che se si comporterà bene ne avrà di più.

L’altro muove lentamente la testa - Regulus ha quasi l’impressione di trovarsi davanti ad un vero prodigio, il marmo che si muove - e lo fissa, ironico.

“Sei davvero uno stupido.”

*

“Sono pronto.” Afferma, chiudendo il cappotto ed osservandosi nei suoi abiti babbani. Se sua madre lo vedesse griderebbe le stesse parole che ha gridato a Sirius quando è scappato di casa, ma fortunatamente sua madre non è lì per vederlo diventare un Babbano.

Severus gli fa strada, accompagnandolo alla porta d’ingresso. Fuori è buio pesto, ma è tutto calcolato, tutto voluto: nessuno deve vederlo, perché Regulus Black è morto.

Quando apre la porta, il più giovane si ferma sull’uscio, voltandosi appena. “Sai, non mi hai ancora detto perché mi hai salvato.”

“Lo sai. Odio la stupidità.”

Regulus non sa se la stupidità sai il motivo o se quello sia solo un commento spregiativo nei confronti della sua insistenza; ma del resto ora che sta per andarsene non ha molta importanza. È vivo, a che serve sapere perché?

“Beh, tu mi hai salvato la vita, Severus.” Dice, cambiando discorso - o quanto meno intenti. “Adesso abbiamo un legame: ho un Debito con te.”

“Questo vuol dire che ci rivedremo?” Domanda l’altro, facendo un piccolo sorriso vagamente divertito. La sua espressione resta sempre immobile su quella specie di scherno discreto, ma visibile.

E Regulus non riesce proprio a fermarsi: si volta verso di lui, si sporge appena in avanti e gli bacia il sorriso.

“Lo spero.” Dice, rispondendo alla sua domanda. “Ma fino ad allora mi mancheranno le tue labbra e tutto quello che le circonda³.”

“Ho sempre pensato che fossi una persona… più distaccata di così.”

“Ho sempre pensato che fossi uno stronzo. Ma uno stronzo che mi piace.”

Si volta e fa un passo verso il buio; Regulus si stringe nel cappotto e si guarda intorno. Sta andando a vivere ed è una cosa elettrizzante.

“Ricordati quello che ti ho detto.” Dice, senza voltarsi.

“La parte sul fatto che secondo te sono uno stronzo?”

Sorride appena, perché sa che l’altro lo sta prendendo in giro con quel suo sorrisetto sghembo e ironico. “La parte sul mio Debito. Ricordatelo. Spunterò fuori quando meno te lo aspetti e ti salverò. Ti salverò.” Dice, e poi s’incammina lungo la strada buia, senza aggiungere altro, senza un saluto.

Va bene così: lo salverà.

(1998)

A Harry Potter

Non sorprenderti, quando tornerai, di non trovare nulla in questa stanza. Lui è salvo, ma non perdere tempo a cercarlo; se vorrà, sarà lui a contattarti.

Con questo ripago il mio Debito.

R.A.B.

Fine

¹ dal libro "L'immoralista" di André Gide.
² dal film "Se mi lasci ti cancello".
³ dal film "Elizabethtown".

Ecco qui: una cassa piena di verdure marce e puzzolenti. Fanne buon uso, tesoro ♥

one-shot, harry potter

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