Titolo: Perfect
Personaggi: Kamui (principalmente); Subaru.
Raiting: PG
Avvertimenti: raccolta di drabble, double-drabble e flash-fic; shonen-ai (ancora pre).
Riassunto: Quando Kamui può finalmente riabbracciare il fratello, tutto sembra perfetto.
Note: seconda parte della 'saga' che ho scritto basandomi sui prompt della
mezza_tabella. Il titolo di questa raccolta (come del resto quello della precedente) corrisponde all'omonima canzone degli Smashing Pumpkins. Come per
Tokyo - Waiting, anche qui i titoli di ogni 'capitolo' corrisponderanno ai relativi prompt.
Tempo
Era passato così tanto tempo o forse ne era passato molto poco… Kamui non sapeva quantificarlo, confuso com’era dalla felicità, dall’attesa finalmente infranta, da quei concetti di tempo totalmente estranei alla sua natura.
“Subaru!”
Correre verso suo fratello sembrò essere uno sforzo superiore alle sue capacità e, mentre lo raggiungeva, aveva l’impressione che il tempo corresse in avanti e poi tornasse indietro, per impedirgli di arrivare da lui. Allungò la mano, cercando d’infrangere quell’incantesimo, e suo fratello la prese nella sua, stringendola: il tempo tornò a scorrere come aveva sempre fatto per loro, per Kamui. E ora poteva durare l’eternità.
Amaro
Avrebbe dovuto capirlo subito, quantomeno sospettarlo: quei modi fondamentalmente erano simili a quelli di quell’uomo; poi c’erano quel falsissimo sorriso, quell’aria ostentatamente innocente e bisognava anche considerare l’immediata intolleranza di Kamui nei suoi confronti. Non poteva essere che per il fatto che, almeno a livello inconscio, Kamui avesse subito collegato Fuma a Seishiro.
A farlo scattare, però, non era stato quel nome o la preoccupazione che Fuma potesse voler portare Subaru a suo fratello; niente di tutto ciò. Kamui aveva quasi sentito il cuore spezzarsi a quella rivelazione perché credeva di conoscere Fuma, almeno un po’; credeva che l’altro non potesse mai tradirlo, mentirgli o tacergli la verità. Il fatto che non fosse così, gli aveva fatto realizzare che forse aveva visto troppo in quell’umano (un essere umano!), aveva sentito un’affinità che non c’era, un… qualcosa dentro di sé che era completamente fuori luogo, data la persona che Fuma si era rivelata essere.
Ne era perfettamente consapevole ed era felice del fatto che riuscisse a ragionarci sopra con oggettività. Ma in tutto ciò non si spiegava perché aveva quella sensazione amara che lo faceva star male, quella sgradevole impressione di essere stato tradito e di essere ancora, incredibilmente, solo.
Solitudine
Partire non era stato difficile: l’avevano fatto così tante volte che ormai era tutto una monotona routine. Certo, il fatto d’aver dovuto lasciare il suo gruppo non era stato piacevole (solo un po’ più triste di quel che aveva pensato), ma arrivati nel nuovo mondo tutto era stato lasciato alle sue spalle: nient’altro che un ricordo che, forse, con il passare del tempo di sarebbe confuso con tutti gli altri. Se non fosse stato per la presenza ossessiva di Fuma in quasi tutte le sue memorie.
All’inizio Kamui si era arrabbiato e Subaru l’aveva spinto a parlare (con quella sua adorabile insistenza ed un sorriso incoraggiante, in qualche modo rassicurante), ma non era servito a nulla, anzi, parlare con lui non aveva fatto altro che peggiorare il suo stato d’animo, perché suo fratello era sicuro che il suo star male fosse mancanza.
Ovviamente non era così, Kamui lo sapeva. A chi mai sarebbe potuto mancare quell’arrogante? A lui no di certo! Kamui aveva suo fratello a cui badare e di certo non poteva perdersi in sciocchezze come la mancanza. E poi Subaru riempiva la sua vita come sempre aveva fatto e… C’era qualcosa che era di troppo, qualcosa che si supponeva sarebbe dovuta sparire una volta di nuovo con suo fratello affianco. Una parola che Kamui odiava e temeva e che mai, mai avrebbe voluto associare alla mancanza di Fuma.
Solitudine.
Ali
Subaru sapeva che Kamui era cambiato. All’inizio non era riuscito a capire che cosa di suo fratello non lo convincesse: si trattava di atteggiamenti appena accennati, di piccoli gesti che si adattavano perfettamente alla personalità impulsiva e tendenzialmente scontrosa di Kamui, ma che erano del tutto nuovi.
Subaru non si spiegava quel comportamento; inizialmente credeva semplicemente che suo fratello si fosse fatto più attento e ancora più protettivo nei suoi confronti, eppure c’era qualcosa che ancora gli sfuggiva. Kamui era diverso, diverso da com’era sempre stato, eppure era sempre Kamui: Subaru rimaneva l’unico capace di capirlo completamente e, viceversa, Kamui restava l’unico capace di intendere perfettamente gli stati d’animo di Subaru anche semplicemente dandogli un’occhiata.
Ma Kamui era… diverso.
Era riuscito a comprendere effettivamente cosa non quadrasse solo una sera: Kamui credeva che Subaru non fosse nella stanza e lui l’aveva sentito borbottare sommessamente qualcosa.
“Chissà se stanno bene.”
All’inizio Subaru non aveva capito a chi si riferisse; pensandoci su, però, aveva afferrato cosa intendesse Kamui, a chi si riferisse. Loro erano il gruppo di persone che avevano accolto suo fratello durante il suo lungo sonno a Tokyo; loro dovevano aver avuto un ruolo molto importante nella vita di Kamui durante quei tre anni.
Tre anni durante i quali Subaru era stato praticamente assente dalla vita di suo fratello; tre anni dei quali Subaru non conosceva che la conclusione, che includeva quasi esclusivamente la sua entrata in scena e, al contempo, la loro uscita di scena. Subaru aveva capito che per Kamui sarebbe stato difficile lasciare quelle persone, lo sapeva per esperienza personale che legarsi a delle persone che poi, inevitabilmente, si sarebbe dovuto abbandonare alle proprie spalle non era una bella sensazione.
Non che credesse che Kamui fosse invulnerabile di fronte a questo genere di sensazioni; solo che suo fratello se n’era sempre tirato fuori, ben consapevole che avrebbe sofferto, se si fosse legato a qualcuno.
Però Subaru sapeva anche che Kamui non sarebbe mai riuscito a restare completamente solo per tre lunghi anni. Non era nella natura di suo fratello, che pure sembrava un tipo tendente alla solitudine; questo era vero per un verso, ma non per l’altro. Kamui amava i suoi spazi, amava il silenzio, ma non era davvero nella sua personalità isolarsi dagli altri. La sua era una forma di protezione, uno stare in guardia costante, ma questo non voleva affatto dire che a Kamui non piacesse stare in compagnia.
Subaru lo sapeva: Kamui aveva sempre mostrato quel lato affettuoso ed anche un po’ ingenuo solo con lui, ma l’aveva più volte visto provare ad approcciarsi a determinate persone (quelle che gli sembravano più aperte, più gentili e più disponibili) con quel suo comportamento naturale.
Ed ora ci era riuscito: tre anni senza di lui l’avevano aiutato a sconfiggere quella sorta di timidezza, quella sua paura di soffrire, d’essere abbandonato.
Subaru sorrise pensoso, mentre guardava Kamui che gli dormiva accanto: suo fratello aveva finalmente spiegato le ali e lo poteva vedere volare in alto, un po’ più sicuro, un po’ più sé stesso.
Prosegue in
The infinite sadness