Feb 09, 2009 22:42
Ci sono vittorie amare come fiele. Ci sono vittorie che sono sconfitte.
Io ero tra quelli favorevoli alla sospensione dell’alimentazione ad Eluana Englaro. Per la prima volta io mi sono schierata senza remore per una posizione. Una posizione non facile.
Io trovo giusta la legge sull’aborto, anche se trovo doverosa che sia applicata a casi limite e dopo aver vagliato ogni altra decisione (e personalmente, come donna, penso che sarei devastata se dovessi trovarmi a considerare una simile decisione).
Quando ci fu chiesta di esprimere l’opinione sulla ricerca sugli embrioni, ho rispettato la scelta della maggioranza, comprendendo quel sentimento che vede in un seme della vita un’entità da rispettare (anche se, a certe condizioni, un embrione destinato a rimanere tale per sempre è per me “una non vita” e potrebbe, sotto stretto controllo, salvarne di nuove).
Ma questa volta no, mi sono schierata! Ho aderito a gruppo di discussione, ho firmato petizioni, inviato mail al Governo
Non perché io non rispetti il valore della VITA.
Ma perché rispetto anche il valore che ne è il rovescio della medaglia. Una morte dignitosa.
Una morte che era stata rimandata non per un evento di natura ma per un’accanimento terapeutico. Che aveva provocato la trasformazione di un essere umano in una sorta di bambola che andava lavata, nutrita e aiutata a respirare (perché di fatto era così).
Non sto neanche a discutere se fosse giusto o sbagliato porre fine a questa esistenza, a una vita che era fragile come quella di un fiore.
Ma personalmente non mi sembra giusto gridare all’assassinio, specialmente contro il padre.
Ancora adesso non so dire se Beppino Englaro sia uno stupido o un grande attore mediatico ma, di una cosa sono certa: ha scelto la via più lunga e sofferta. La via della legalità.
Se avesse voluto farla finita subito avrebbe potuto chiedere l’assistenza domiciliare o farla portare, che so, in Svizzera. In pochi giorni sarebbe tutto finito.
Ha voluto restare in Italia. E’ diventato un caso mediatico (e non voglio neanche menzionare le castronerie che da ambo gli schieramenti mi è toccato sentire) e perciò non gli è restata che la scelta più abominevole.
Perciò mi chiedo, possibile che non esistesse una via alternativa? Vita o non vita? Queste sono le uniche scelte concesse? Una persona non può compiere, in determinate condizioni, scelte che altrimenti riterrebbe disgustose? Siamo così certi delle nostre risposte?
Tra porre fine all’accanimento terapeutico alla selezione della razza il passo non è breve, è decisamente lungo. Tra porre fine a un’esistenza che non è vita e uccidere una persona c’è qualche distinzione? SI o NO?
Io sono rimasta sconcertata non tanto dai livelli che ha raggiunto il dibattito ma dai toni crudeli che hanno raggiunto gli scontri tra le avverse fazioni. Non tanto verso il gruppo di opinione opposta, quanto verso gli unici protagonisti (strumentalizzati fino a raggiungere temi che nulla avevano a che fare con il caso in sé).
E mi chiedo, questa ragazza (e suo padre) non si meritavano la stessa pietà che concediamo ai nostri amici cani e gatti quando sono troppo malati (e non venitemi a dire che non è la stessa cosa. Guardate negli occhi un cane e provatemi a dire che non ha un’anima!)?
Non auguro la pace a Eluana, perché sono convinta che l’abbia trovata 17 anni fa ma a suo padre: spero che ora possa finalmente elaborare il lutto e riuscire a staccarsi dallo spettro in cui era stata trasformata sua figlia.
Se qualcuno (molto pochi, visti i miei abituali lettori) sarà ferito dalle mie parole, me ne dispiace. Comunque saremmo in due.
visto e sentito