Titolo: Asphyxia
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: Sherlock Holmes, Jim Moriarty
Rating: Rosso
Avvertimenti: pwp, kinky!sex, breathplay
Riassunto: Sorride Sherlock, di un sorriso quasi impercettibile che gli solleva appena gli angoli delle labbra e che non è troppo diverso da quello che si dipinge sul suo volto ogni qualvolta che trova un indizio in grado di risolvere il caso di cui si sta occupando. Sposta appena le mani per avere una presa migliore sul collo altrui, i pollici scorrono appena verso l’alto e, dopo aver dato una leggera carezza al pomo d’Adamo, iniziano a premere piano contro la carotide. La forza utilizzata non è eccessiva e Jim schiude appena le labbra e inclina il capo, espone maggiormente la giugulare e mugola, chiedendo di più.
Jim è morbido e delicato per essere una persona tanto orribile.
Sul suo corpo non vi sono cicatrici di alcun genere, nessun segno oltre a quelli lasciati dai denti e dalle mani di Sherlock adorna la pelle nivea, bianca di quella purezza che James Moriarty non possiede. Le sue mani e le sue unghie sono troppo curate per essere lorde del sangue vischioso di centinaia di innocenti e i suoi movimenti sono troppo sinuosi e morbidi per appartenere ad un uomo dalla mente tanto affilata e analitica.
Jim è una contraddizione vivente: è un diamante dalle mille sfaccettature che riflette la luce in modo sempre diverso, è una combinazione unica di geni e molecole; è qualcosa di unico e senza uguali, talmente bello e insolito che Sherlock non riesce a staccargli gli occhi di dosso neanche per un istante. Vuole osservarlo come un campione su un vetrino, scoprire ogni lato della sua persona e risolvere così quell’enigma impossibile che è Moriarty. Se solo potesse lo dissezionerebbe, taglierebbe ed isolerebbe ogni strato di tessuto, in modo da arrivare al cuore della sua esistenza e riuscire finalmente a comprenderlo.
Le mani di Sherlock scorrono sul corpo di Jim, percorrono con attenzione e cura ogni singola porzione di epidermide, passano sopra ogni neo e ne memorizzano la posizione, perché tutto in Jim è ugualmente importante e degno di interesse. Jim sembra saperlo, conosce ogni pensiero di Sherlock prima ancora che quest’ultimo lo abbia realizzato veramente ed è sempre un passo avanti, consapevole di quella connessione mentale che Sherlock non ha ancora accettato davvero, troppo concentrato sulle loro differenze per vedere ciò che invece li accumuna. Jim lo guarda dal basso, grandi occhi scuri annebbiati dal desiderio, si allunga, stira ogni muscolo e si mette oscenamente in mostra, il corpo pallido e nudo che contrasta con le lenzuola di seta nera.
«Mr Holmes…» è un sussurro caldo, volgare come il modo in cui apre maggiormente le gambe quello che fuoriesce dalle labbra, colorate a causa dei morsi ricevuti. «Vuoi sapere quante persone ho ucciso oggi? Quanti capi di Stato ho minacciato? Quante bombe ho piazzato e quanti attentati ho programmato?» continua, concedendosi prima una piccola pausa per leccarsi le labbra. « O forse preferisci scoprirlo da solo, perché intrometterti nel mio lavoro e risolvere i miei piccoli puzzle ti eccita quasi quanto scoparmi?» dice, mentre sul volto si dipinge un ghigno affilato, uno di quei sorrisi che fanno venire a Sherlock voglia di picchiarlo e di fotterlo contemporaneamente. «Quasi.» aggiunge infine, in una piccola risata.
Sherlock lo guarda dritto negli occhi e cerca di rimanere freddo e impassibile, nonostante la totale mancanza di vestiti e un’erezione ormai durissima rendano la cosa un poco complicata.
«Ti hanno mai detto che parli troppo?» Mormora piano, la voce bassa e roca che riempie la camera da letto di Jim, quella dell’appartamento in cui nessun’altro oltre a loro può mettere piede.
Le mani, prima ferme sui fianchi altrui, ora salgono lentamente: le dita lunghe ed affusolate carezzano leggere l’addome, delicate come un battito d’ali di farfalla continuano a muoversi, passano sui pettorali, sullo sterno e tracciano appena le clavicole prima di posizionarsi alla base del collo di Jim.
«Non proprio. Tu sei l’unico a poterlo fare.»
Quelle semplici parole hanno su Sherlock l’effetto del dirty talking. Sapere di essere l’unica persona al mondo in grado di vedere James Moriarty, la più grande mente criminale al mondo, in situazioni come quella è sufficiente a mandargli una scarica di piacere.
Sorride Sherlock, di un sorriso quasi impercettibile che gli solleva appena gli angoli delle labbra e che non è troppo diverso da quello che si dipinge sul suo volto ogni qualvolta che trova un indizio in grado di risolvere il caso di cui si sta occupando. Sposta appena le mani per avere una presa migliore sul collo altrui, i pollici scorrono appena verso l’alto e, dopo aver dato una leggera carezza al pomo d’Adamo, iniziano a premere piano contro la carotide. La forza utilizzata non è eccessiva e Jim schiude appena le labbra e inclina il capo, espone maggiormente la giugulare e mugola, chiedendo di più.
A Jim piace essere strangolato. Sherlock lo aveva vagamente intuito durante il loro primo vero incontro, quello della piscina - quando John aveva cercato di bloccare il criminale, strattonandolo e stringendogli il collo usando il braccio, Jim sembrava un po’ troppo a suo agio - ma aveva archiviato il pensiero in uno dei cassetti del suo palazzo mentale, bollandolo come poco importante. Non poteva sbagliarsi di più.
Non è la prima volta che usano l’asfissia controllata in camera da letto. Sherlock è perfettamente cosciente dei rischi che una simile pratica possiede, sa che se effettuata in modo sbagliato essa può persino portare alla morte: eppure i pro sembrano più dei contro, perché vedere Jim che si arcua sempre di più e geme con voce strozzata chiedendo una pressione sempre più forte è eccitante tanto quanto vedere per giorni interi l’impronta delle proprie dita sulla pelle diafana dell’irlandese. Quest’ultimo la pensa come lui al riguardo: prima di sperimentare ne hanno parlato e si sono entrambi documentati a dovere.
Sherlock lo guarda dritto negli occhi, incapace di distogliere lo sguardo. C’è qualcosa in quelle iridi scure che lo attira inevitabilmente: ogni volta che si perde in quei buchi neri, talmente profondi e assoluti da inghiottire qualunque cosa, Sherlock si sente un po’ sull’orlo di un precipizio, una falena attratta da quella fiamma che diventerà la causa della sua morte. Forse è anche per quello che Jim gli piace tanto.
«Di più.» Dice semplicemente e Sherlock obbedisce, la mano destra che stringe maggiormente ed esercita una pressione tale da far fuoriuscire un gemito strozzato dalle labbra di Jim. La mancina intanto si sposta, lascia il corpo dell’altro per raggiungere il flacone di lubrificante già appoggiato sul letto.
Solo allora rompe ogni tipo di contatto. La presa si allenta fino ad annullarsi completamente e Sherlock provvede a spargersi il gel sulle dita, distogliendo momentaneamente lo sguardo. Jim emette un verso contrariato a metà tra un rantolo e un mugolio di fronte a quella carenza di attenzioni, ma il suono viene completamente ignorato. Sherlock non risponde in alcun modo, continua a scaldare il lubrificante tra le dita e una volta compiuta l’operazione ripristina la stretta e torna a stringergli il collo, mentre il medio dell’altra mano inizia a farsi strada tra le natiche di Jim, che si inarca appena ed emette un gemito teatralmente esagerato. Il dito si muove piano, entra e fuoriesce dall’orifizio con una lentezza eccessiva: Jim non è stretto e Sherlock usa quella cura minuziosa unicamente per provocarlo, per dargli qualcosa che non è lontanamente abbastanza e che lo fa mugolare di frustrazione mentre si contrae intorno alle falangi.
«Datti una mossa, non sono un verginello» sospira e Sherlock sorride, si avvicina, gli regala un bacio tutto denti e ride appena sulle sue labbra mentre inserisce l’indice, così Jim lo stringe forte a sé e muove il bacino, gemendogli direttamente in bocca.
Le dita ora si muovono più velocemente e dopo qualche decina di secondi iniziano ad allargarsi, in modo da poterlo preparare meglio: la premura utilizzata in precedenza è scomparsa, perché per quanto Sherlock possa punzecchiarlo, la pazienza del detective non è così grande come gli piace far credere.
«Sai che potrei ucciderti, vero?» Domanda in un sussurro, applicando una pressione appena maggiore. Jim lo guarda e non sa se gemere e ridere, così opta per un verso strano che è una via di mezzo tra i due.
«Non lo faresti mai.» Risponde e per una frazione di secondi il suo volto si fa freddo e serio in un modo che ammutolisce Sherlock. Jim ha ragione e lui lo sa perfettamente: nonostante abbia più volte giurato di distruggerlo e di fermarlo, non pensa che riuscirebbe mai mettere fine alla vita del criminale. Non perché considera l’uccidere un’azione moralmente sbagliata ed imperdonabile - non starebbe con Jim se la pensasse in quel modo - ma perché non riesce ad immaginare una vita senza Moriarty, perché ha bisogno di lui, ha bisogno di avere una persona uguale ed opposta allo stesso tempo, qualcuno capace di sfidarlo e comprenderlo in ugual misura. Una vita tranquilla e tradizionale non è e non sarà mai abbastanza per Sherlock. Ha bisogno di Jim nella sua vita.
Il detective decide di non pensarci. Non gli piace seguire quella corrente di pensieri, perché essa lo porta alla realizzazione che tra di loro una conclusione è inevitabile e che più la loro relazione prosegue e più sarà dura calare il sipario. Irrigidisce dunque i lineamenti del volto ed infila con forza il terzo dito, in modo da zittire la propria mente con il gemito che strappa dalla gola di Jim. Ha bisogno di prenderlo subito.
«Devo lasciarti per qualche altro istante.» Sussurra, muovendosi dentro di lui ancora per un poco prima di estrarre le dita e lasciargli il collo. Afferra nuovamente il flacone e inizia a lubrificarsi l’erezione, fino a quel momento ignorata, con movimenti rapidi, più meccanici e funzionali che devoti a provocare piacere. Jim lo osserva con attenzione e si lecca le labbra, ma non dice nulla e si tiene ogni commento per sé. L’operazione non dura troppo e non passa molto tempo prima che le mani di Sherlock siano sui fianchi altrui.
Entra dentro di lui con un’unica spinta. Jim è caldo intorno a lui e, per la prima volta da quando l’amplesso è iniziato, Sherlock socchiude gli occhi e si concentra sulle sensazioni da lui provate. Non vi sono frasi interminabili ed analitiche a descrivere ciò che Sherlock sente, nessun termine scientifico o fredda osservazione, soltanto un miscuglio di frasi sconnesse che messe insieme non hanno un senso compiuto. C’è soltanto Jim, il suo calore e il modo in cui si contrae intorno alla sua erezione, bramoso di un movimento che ancora non ha avuto luogo. Le mani di Sherlock nel frattempo scorrono nuovamente sul corpo altrui, ma la forza e il desiderio con cui risalgono il torace sono ora maggiori. Non c’è nulla di delicato nel modo in cui i polpastrelli segnano l’epidermide e le unghie si conficcano nella carne.
Le dita si stringono intorno alla gola per l’ennesima volta. La pressione esercitata sulla vena della carotide è più intensa, blocca ogni passaggio d’ossigeno e Jim annaspa, le labbra spalancate e gli occhi ora chiusi, emettendo versi strozzati che suonano tanto come “oh sì, di più”, “Sherlock, ti prego” e “finalmente”. Sherlock conta mentalmente fino a cinque e rilascia la presa. Gli concede giusto un paio di secondi e poi inizia a muoversi. Le spinte hanno un ritmo regolare ma non colpiscono la prostata di Jim, che continua ad andargli incontro con il bacino.
Sherlock esercita nuovamente una pressione sulla vena, della stessa intensità della precedente. Questa volta i secondi sono sette. Le palpebre si stringono con forza sopra gli occhi castani e la bocca è più spalancata ora: Jim boccheggia letteralmente, in cerca di quell’ossigeno che le dita di Sherlock impediscono di arrivare al cervello. Mai una volta però chiede all’altro di lasciarlo o fermarsi, al contrario, Jim continua a tirarselo contro, toccando e stringendo ogni parte del corpo che gli capita sottomano, che siano le spalle, le braccia o la schiena.
Quando allenta la presa, Sherlock gli bacia piano le labbra e rallenta i movimenti del bacino, per permettere a Jim di regolarizzare il respiro e farlo tornare alla normalità.
«Sheeeeerlock» lo chiama e lui capisce immediatamente ciò che Jim vuole dirgli.
Sono dieci ora i secondi e Sherlock sa che se solo indugiasse per un poco di più l’altro potrebbe perdere conoscenza. C’è fiducia nel modo in cui Jim si abbandona completamente a lui, sicuro che Sherlock non gli farà nulla, non lì, non in quel momento. È un sentimento strano, perché sono nemici, perché hanno giurato di distruggersi e non dovrebbero dipendere così tanto uno dall’altro, perché è sbagliato, non tanto per una sorta di morale imposta da altri quanto per se stessi. Sherlock però non ci pensa, perché mentre si muove con più forza dentro di Jim non c’è tempo per perdersi in digressioni simili. Il tempo ormai sta giungendo al termine e prima che possa arrivare alla decina, Sherlock si avvicina all’orecchio dell’altro e gli sussurra di venire, solo per lui.
L’orgasmo li raggiunge quasi contemporaneamente. Appena Jim viene, la presa sul suo collo scompare del tutto e Sherlock si lascia cadere al suo fianco sul materasso. Jim ha ancora gli occhi chiusi e il respiro irregolare: rimane così per un po’ e gli occhi chiari di Sherlock hanno ora tempo di guardare con attenzione le impronte delle proprie dita sulla gola bianca. Diventeranno ancora più scure e Jim probabilmente non si premurerà di coprirle, pensa distrattamente, un piccolo sorriso che compare sulle labbra nell’evocare l’immagine.
Jim si volta verso di lui e Sherlock si ritrova nuovamente immerso nelle sue iridi scure. Il criminale ricambia il sorriso e lo guarda con un’espressione divertita sul volto. Non dice nulla, si limita ad allungarsi per rubargli un bacio e si sposta un poco per riuscire a raggiungere l’interruttore della luce.
Fanno sempre sesso con le luci accese, eppure, dopo che l’orgasmo li travolge entrambi, rimangono immersi nel buio più totale. Le finestre sono completamente serrate, impediscono alla luce dei lampioni di entrare e neanche la pallida luce di una sveglia rischiara i contorni della stanza.
Finisce sempre così. Non una parola, soltanto l’oscurità più completa mentre entrambi si mettono sotto le coperte, senza preoccuparsi di andarsi a lavare. Jim gli dà la schiena e Sherlock sa già che fingerà di dormire, sa che entrambi non riusciranno a prendere sonno e penseranno alla stessa cosa, a quanto ancora la loro relazione potrà durare e se davvero valga pena continuarla pur sapendo che è destinata a finire nei peggiori dei modi, sa che prima o poi il sonno li raggiungerà e si addormenteranno, in quella camera da letto che, completamente al buio, è lontana e isolata dal mondo che li circonda.
Sherlock sa anche che si sveglieranno in quell’oscurità senza tempo e spazio completamente avvinghiati e che tutto quello accadrà ancora e ancora.