[fanfiction] L'Infinito

May 24, 2011 23:14

Titolo: L'infinito
Autore: beesp 
Genere: Introspettivo, Malinconico
Livello: #15 (FUCK YEAH)
Prompt: La Stamberga Strillante.
Personaggi/Pairings: Sirius Black (POV), Remus Lupin (POV), James & Lily; Wolfstar + James/Lily
Rating: PG-13
Avvisi: Slash, Spoiler!Saga, What if...?, Afterlife!AU, Missing moments.
Ho usato l'aiuto: //
Numero di parole: 3025
Riassunto: La Stamberga Strillante. Di nuovo. Remus vi si sveglia con dolori acuti. E' proprio come la ricorda. I suoi sensi debilitati, però, non si accorgono della presenza alle sue spalle...
Note: Probabilmente sembrerà affrettata. E non piacerà. Sarà banale. Ma è ciò che ho sempre pensato di scrivere, sin dall'inizio, per questo livello. All'inizio volevo ispirarlo a "Stairway to Heaven" ("And if you listen very hard / the tune will come to you at last / when all are one and one is all / to be a rock and not to roll") però poi alla fine ho deciso di ispirarla - anche se poi è stato più uno scrivere e poi pensare all'Infinito - al "L'Infinito" di Leopardi. [SPOILER FIC]Perché l'Infinito è in concordanza con i temi della reincarnazione o della vita dopo la morte, comunque si voglia interpretare questa storia. Io ho deciso di credere alla reincarnazione dopo aver scritto questa storia. Perché ho deciso che le anime gemelle esistono e che ciclo dopo ciclo si rincontrano, con qualsiasi forma abbiano assunto.[/SPOILER FIC] Niente, sono contenta di essere arrivata fin qui, sono contenta che miki_tr  e zia_chu  abbiano dato a tutte noi la possibilità di scrivere QUINDICI fic (non sono poche, anzi) su qualcosa che amiamo tanto - altrimenti non saremmo qui. Sono contenta di aver portato a termine il progetto. Sono contenta di aver partecipato. E penso che le migliori cose scritte da me facciano parte de "La scalata". Quindi, senza ulteriori indulgi, introduco "L'Infinito".
Link alla scalata: Quiii.

« Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare ».
Giacomo Leopardi, L’Infinito


L’Infinito

Remus Lupin apre gli occhi. Nelle iridi ha ancora il riflesso di un lampo di luce verde.
Il primo elemento che nota è il soffitto: è disteso al di sotto, a un paio di metri di distanza; è di legno, delle tavole sono spezzate, altre sono cadute per intero. Si intravedono anche a quella distanza delle ragnatele appese da un lato del buco all’altro.
Sotto le mani, si accorge, c’è qualcosa di appiccicoso. Probabilmente dell’acqua mischiata a polvere, o forse del sangue. Il suo sangue?
La testa gli rimbomba d’urla e di colori abbaglianti.
Ricorda vagamente di dover avere un motivo, da qualche parte tra i suoi sentimenti, per essere triste. E arrabbiato, pieno di rimorso, rigonfio di dolore e lutto.
Per adesso, continua a tastare il parquet sotto di lui, ha deciso: è sangue. Cerca di percepire il corpo sotto la testa - deve esserci, altrimenti non ci sarebbe questo luogo o questo momento -  e una fitta acuta gli arriva dal fianco. Poi un bruciore dal ginocchio destro, e un altro al di sopra della fronte, a sinistra.
È un po’ malconcio. Le ossa gli dolgono, e suppone che si sia spezzato un paio di costole, perché respirare non è esattamente facilissimo come dovrebbe essere.
Si tasta quella che gli sembra la ferita più grave: il tessuto sul fianco è lacerato, sfiora la carne nuda, e subito ritira le dita per non rischiare di infettarsi.
Remus Lupin decide che è il momento di alzarsi e andare in avanscoperta. Se fosse in condizioni migliori, riconoscerebbe il posto e si accorgerebbe dell’altro respiro all’interno della stanza, dell’occhiata piena di sgomento e frustrazione e desiderio e paura posata sulla sua testa, sulla sua intera persona, sui movimenti fragili e incerti come quelli dei bambini che tentano di imparare a camminare.
L’altro sente il bisogno di parlare, di non permettere a Remus di tendere un solo altro muscolo.
« Fermati, Remus ». Gli impone con una voce rauca e spaventata. A Sirius Black pare di non aver proferito parola - la sua parola, un tempo tanto presente e attiva - da molto tempo. Ed esattamente da quella notte all’interno del Ministero.
Sirius Black si rende conto, finalmente, come pensa stia facendo anche Remus.
« Devo … devo tornare da Nymphadora ». Tenta di convincersi.
Non che Sirius per due anni sia rimasto nella Stamberga Strillante Alternativa senza sapere dove fosse, senza rendersi conto di essere morto, ma quando è comparso Remus - dal nulla, in effetti - si è illuso che l’anno fosse ancora il 1994.
« Siamo morti, Remus, e anche Nymphadora lo è ».
« Perché non è qui? ».
Vorrebbero dirlo entrambi - entrambi lo sanno: perché chi ha una questione in sospeso deve risolverla, prima di passare davvero oltre.
Ma tacciono. Non c’è bisogno di aggiungere altro.
« Dobbiamo andarcene ». Afferma Remus. Andato il momento di stupore e trasporto, rischiarate le idee, assume un’espressione fredda e distaccata.
« Da dove? … da cosa scappi Remus? ».
Comincia a cercare di strappare via qualche asse dai muri, il numero necessario per permettere a una persona di taglia media di uscire fuori dalla Stamberga Strillante - Alternativa. I chiodi non sono arrugginiti, il legno non è marcio.
« Dobbiamo andarcene ». Ribadisce Remus. « Devo trovare Nymphadora ».
« Lei probabilmente è già oltre ».

All’interno della casa si percepiscono i versi di alcuni animali: un paio di cani, degli usignoli, pettirossi, topi. Sembra tutto estremamente vicino: il silenzio innaturale all’interno è interrotto soltanto dal grattare sulla sedia traballante su cui Sirius si è accucciato. Di tanto in tanto, muovendosi, la fa scricchiolare o dondolare. Remus non si volta neanche più, è rintanato in un angolo, con le gambe distese sullo sporco accumulato in anni - sporco simulato? - con gli occhi socchiusi tenta di rilassarsi e riposare.
Non sa neanche perché odi tanto Sirius o abbia quel desiderio istintivo di tirargli un paio di schiaffi.
Il sole è alto nel cielo, non accenna a muoversi.
« Penso che stiamo aspettando ». Suggerisce Sirius.
Poi due tonfi pesanti. Contemporaneamente. Sono Lily e James. Scattano insieme in avanti; Remus è frenato dal male, rimane seduto, Sirius si ferma a sua volta, accovacciandoglisi accanto: « tutto bene? ».
Neanche un cenno del capo. Sirius si riavvia verso la parete comunicante e vi batte il pugno. Immagina che i due stiano dialogando, nessun rumore.
« Noi non possiamo sentire loro, loro non possono sentire noi ».
Remus annuisce e riprende a nuotare nel suo lago lontano e gelido.
Una cicala prende a cantare, seguita dalle compagne. Assomiglia a una preghiera, per quello che Sirius ricorda delle preghiere. Se si è mai piegato a chiedere qualcosa al cielo, quel Cielo deve esserselo ricordato; è di nuovo con Remus. Per un’ultima volta? È di nuovo con Remus, e al di là del muro - uno stupidissimo, sottilissimo muro, che non vale nulla rispetto a quindici anni vissuti tutti, senza riuscirne a scontare neanche uno - c’è il suo migliore amico assieme alla sua bellissima moglie. Non ricorda d’aver mai chiesto di rimanere assieme ai suoi amici per sempre, almeno non in una litania o con modi simili, ma deve essere sembrato implicito a chiunque abbia deciso di riunirli lì dentro.
E almeno un po’ è felice.

Remus non lo accetta. È impossibile morire in un modo tanto assurdo, senza neanche ricordarsi, come ultima immagine, il viso di sua moglie. Non ricorda quando, dove o come ha trascorso il suo ultimo respiro, anche se immagina che sia stato nella Sala Grande di Hogwarts.
Lo sai, Sirius, chi è stato a uccidermi? Lo scruta, quando è distratto, con odio.
È colpa sua: si cerca il colpevole, e alla fine tutte le strade portano a Sirius. (Per Remus tutte le strade, anche quelle non dei colpevoli, raggiungevano sempre e solo Sirius). Magari ha desiderato talmente tanto di riavere i suoi amici che ha ottenuto di rivederli. Durerà soltanto un paio di giorni. Potrebbe accadere di peggio: potrebbe cercare di ricordare il passato.
Un brivido gli scorre lungo la schiena - Remus sapeva fin dall’inizio che a un certo punto sarebbe successo. Sente le labbra di Sirius salirgli lungo il braccio, il collo, la guancia. Le labbra. Le labbra di Sirius non erano mai screpolate, la pelle era liscia - si radeva impeccabilmente. Le mani di Sirius sullo stomaco, le mani bagnate d’acqua di Sirius lungo la schiena. I muscoli sodi di Sirius - la posizione di ogni minima porzione di pelle, tutti i nei - l’inarcarsi flessuoso del dorso.

« Cosa dia- … ? ». Sirius balbetta - Sirius non balbettava mai - con gli occhi sgranati.
Oh, merda, se penso qualcosa che lo riguarda, lo sa.
Se pensa qualcosa che mi riguarda, lo so. « Ah ».
Vorresti ridere, vero? Ridi. Mi hai ridotto così. Dopotutto, anche se indirettamente, mi hai causato tu queste ferite.
« Non voglio che tu pensi di starla tradendo. È successo tanto tempo fa, Nymphadora era una bimbetta, allora ».
Le immagini non vanno via. Remus stringe i pugni. Era Sirius quello tanto rabbioso da graffiarsi con le unghie i palmi delle mani, senza neanche accorgersene.
Lo facevo di proposito.
« Davvero? ».
Non voglio che soltanto tu ti senta vulnerabile.

Nonostante le apparenze, il sole sta calando. Si muove più lentamente di quanto dovrebbe, ma sta calando. Le foglie sono tinte di luce arancione, i suoni della foresta, i fruscii, gli squittii, stanno aumentando.
Silenzio. Ore intere senza aprire bocca; altrove sarebbe stato imbarazzante, sarebbe sembrata una situazione insostenibile.
« Dobbiamo organizzarci per la notte ». Remus annuisce. « E tu devi sistemarti in qualche modo ».
Sirius si avvicina a un’asse: la solleva, al di sotto raccoglie due paia di pantaloni, due camice e dei calzini puliti. Ci sono anche delle garze e dell’alcol. « Sai - sorride gentilmente, leggermente, educatamente facendosi largo oltre la coltre d’irritabilità dell’amico - ho capito che se hai bisogno di qualcosa basta cercare qui sotto ».
Sirius si sistema accanto a Remus che di scatto si ritrae per poi distendersi, imbarazzato.
« Se vuoi, io … ».
« No, per piacere - gli stringe il braccio, ritirandolo via subito, colpito dall’occhiata di Sirius - non ce la farei da solo, sento male ovunque ».
Sirius annuisce. Scosta il busto di Remus dalla parete - Remus ancora con quelle smorfie di dolore, come da giovane - e gli sfila la parte superiore della tunica dalle maniche, abbassandogliela. Remus è più robusto, non è più gracile come lo ricordava. Un po’ di pancia in più e i muscoli delineati - dalla guerra, forse. Gli fascia il torace, gli sistema quattro giri di garza sulla carne nuda al fianco dopo averci passato tre volte l’alcol. Lega la garza e gli chiede di chiudere gli occhi e tirarsi indietro i capelli - sono ingrigiti: « perché? ».
« La ferita sulla fronte ».
Gli getta dell’altro alcol sulla testa, le gocce scivolano lungo la fronte, verso gli occhi, le guance. Con la manica della tunica gli pulisce la faccia.
Si concede un istante per osservarlo con attenzione. Non è cambiato poi molto.
« Penso che per quelle sulle gambe dovremo prima sciacquarle, sono impolverate ».
Remus attende che sia lui a muoverlo. Gli infila la camicia, abbottonandogliela come farebbe una madre - o una moglie - con attenzione e calma.
Altrimenti Remus si accorgerebbe del tremolio alle mani.
Gli infila un braccio sotto l’ascella e lo solleva. « Male? ».
« Non più di prima ». Zoppicando, Remus viene guidato fino al bagno, una porta lontana un paio di metri. Per fortuna non è lontana, pensa.
Sirius lo fa sedere sul water: incredibilmente le porcellane dei servizi igienici sono linde. Deve essere stato Sirius a pulirle. Appoggia il piede destro sulla vasca da bagno. Sirius con un bicchiere di vetro riempito d’acqua del rubinetto pulisce la ferita di Remus sul ginocchio e le escoriazioni vicine, gettandoci poi metà della bottiglietta d’alcol.
« Dovrebbe andare bene così ». Remus ha le lacrime agli occhi: doveva essere molto sporca, sente friggere la carne. Remus fa cenno a Sirius di avvicinarsi: deve togliersi i pantaloni per poter usare la garza. « Per favore, cerca di non guardare ».
Sirius, con lo sguardo diretto verso le piastrelle sulla vasca da bagno, fa scivolare la tunica di Remus sul pavimento, risistemandolo sul gabinetto. Più velocemente che può, senza sollevare gli occhi, sistema la garza, per poi infilargli il paio di pantaloni nuovi.

Prende un paio di coperte da sotto l’asse e trovatovi un libro lo porge a Remus: è disteso sul suo giaciglio, cercando di non distrarsi di continuo deconcentrandosi dal racconto - del quale le ultime righe lette (ovvero i primi due paragrafi) sono stati pressoché imcomprensibili. Sirius scruta l’oscurità e cerca di percepire rumori dall’altro lato della casa, dove sono rintanati - chissà in che stato e per quale ragione - Lily e James.
« È come se non ci fossero ».
« Lo so, ma cercavo di trascorrere il tempo … fra poco andremo a dormire, sei stanco. Forse dovresti star già dormendo ».
« Dobbiamo parlare ». Remus sistema il libro accanto al cuscino, Dostoevskij. L’ha tranquillizzato profondamente. Non si sente più un animale in gabbia, può ragionare - quindi - da essere umano.
Sirius si accomoda sulle sue coperte, le ginocchia sotto il fondo schiena, la schiena ben dritta. « Mi dispiace che tu sia qui ».
« Mi dispiace per come mi sono comportato. Io non ti odio ».
« Mi dispiace di non averti detto d’essere il custode segreto ».
« Mi dispiace di aver dubitato di te quand’eri ad Azkaban invece di cercare di farti uscire ».
« Non ci saresti riuscito e saresti stato rinchiuso anche tu ».
« Era mio dovere tentare ».
« Remus, non essere sciocco. Questo è il tipo di frase che direi io, non tu ».
« Soltanto tu hai il diritto d’essere eroico, irresponsabile e irriflessivo? Come quella notte quando sei andato a cercare Peter invece di avvisarmi? … avrebbe potuto essere tutto diverso ».
« Come se non sapessi perfettamente che è colpa mia! ».
« Non dire idiozie, la colpa è di Peter, tu hai soltanto reagito da Sirius ».
« Da deficiente ».
« Da leale amico passionale quale sei ». Concede Remus.
« Cosa facciamo? ».
« Cosa hai fatto tu per tutto questo tempo? ».
« Qui i giorni sono scorsi diversamente. So quanti anni siano stati in realtà, ma a me sono sembrati due mesi. … ho riflettuto e ho immaginato un presente e un futuro diverso ».
« Credo che per andarcene di qui dovremo accettare la nostra morte e trovare una soluzione ».
« Per cosa? ».
« Per convivere con il nostro dolore. Era quello che dovevamo fare sulla terra, e non ci siamo riusciti. Questo è il risultato. I debiti si pagano, prima o poi. Ma non è una punizione, è per il nostro bene ».
« Sì ».

Le cicale ancora cantano. I grilli si sono uniti al coro. Un paio di lupi hanno ululato alla luna, Remus ha sorriso amaramente. Deve essere notte fonda. Eppure la stanchezza è andata via.
Remus temeva all’inizio che avrebbero ricordato il passato, e ora che lo stanno facendo non ha più paura. Si sente riscaldato. Dall’interno. Non ha più vergogna di mostrarsi a Sirius, è quasi come se gli anni non fossero mai trascorsi e fossero nascosti nella Stamberga Strillante in una delle notti in cui i dormitori stavano loro stretti.
« Sai, Sirius? Io ho sentito ogni ora da quando sei morto passarmi sul corpo. Calpestarmi. Tutto il tempo era come l’hai percepito quando sono arrivato: un fisico che si ribellava, e ricordava. Il calore, il tepore, la tua forma. L’avvallamento sul mio letto a baldacchino a Hogwarts, e poi su quello del mio appartamento. L’odore di bagnoschiuma permeato nella tappezzeria del bagno, il tuo dopobarba soffocante impregnato su qualsiasi superficie. La tua voce che arrivava da ogni camera, rimbombando e facendo un mucchio di casino. Tutto percepivo, poi mi voltavo per trovarti, e il vuoto - strozzante, mi toglieva il respiro - mi sovrastava. Mi sono rinchiuso nel mutismo, poi è arrivata Nymphadora. E sono stato convinto di poter essere felice. L’ho lasciata un paio di volte, ma lei ha continuato ad aggrapparsi a me, ed io ad aggrapparmi falsamente a lei: mi costringevo ad amarla, e una parte di me mi odiava, perché era impossibile non amarla e, allo stesso tempo, non ferirla. Deve essersi accorta dei miei sforzi. Ma ho amato sul serio nostro figlio, per quanto questo non sia sufficiente. Mi devo essere lasciato andare, a un certo punto. Quando sono stato sicuro che morire nella battaglia finale era la cosa giusta da fare. Devo aver sorriso prima di abbandonarmi, convinto che ben presto ti avrei rivisto. Mi sarebbe bastato anche un istante. E invece! … mi sento meglio, ora. Meno appesantito, meno lontano da te ».
Sirius gli sfiora la mano. Remus non si ritrare. Gliela prende tra le sue. « Prima o poi, usciremo da qui … ».
Sirius vorrebbe dargli spazio, allontanarsi. Ma continuando ad arretrare, si ritrovano contro il muro. Remus è a pochi centimetri da lui.
« Tu non hai paura, vero? ». Sussurra sulla sua faccia Remus.

Più che fiato è il vento.
Il vento del mondo, le parole di tutte le persone che gli arrivano e lo riempiono.
Quella sensazione di aver dormito poco, d’essersi svegliato dopo un sonno insufficiente,  alienazione, sparisce.
Gli occhi smettono di bruciargli. Il cuore comincia a battere.
È il vento salutare delle montagne, la brezza marina. È la sabbia tiepida alle otto di sera, dei ragazzi si spogliano, corrono verso l’acqua, il tramonto di fronte a loro, oltre quella distesa di blu profondo.
È l’istante in cui si trasforma in cane, e l’anima non ha confini di spazio di tempo, è un atomo dell’universo, comprende tutto, e tutto è compreso in esso. È una stella, lontana anni luce, irraggiungibile lontana splendente.
È un pianeta, la vita vi scorre attraverso. Sente il sangue volteggiare dentro di lui, i muscoli contrarsi e distendersi, il respiro penetrare e fuoriuscire.
Percepisce la vita. Dentro di lui, dentro di Remus.

Si dissolvono in luce bianca, abbagliante: un uomo qualsiasi non potrebbe osservarla.
Loro non sono più uomini.
« Al prossimo ciclo, Remus ».
E diventa una musica lontana, di violini e pianoforti immateriali.

Una pagina viene voltata, la parola “fine” incisa a fuoco.
Un nuovo volume viene issato da una pila, e due nuovi nomi vengono vergati con il nero dell’inchiostro infinito della Storia …

La pelle calda.
Un velo grigio.
Gli occhi verdi di Lily/Harry.
Sentire la pelle lacerata dai graffi di lupo-Remus.
Le sbarre di Azkaban attraverso cui scivolare.
Muffa, freddo pungente, assenza di vita.
Una casa con la porta principale spalancata. È una casa violata quando le mura non riescono a proteggere ciò che circondano.
Un sorriso di James.
Il vestito bianco che appare liquido indosso a Lily. Non è mai stata tanto bella e raggiante.
C’è una gran confusione l’ultimo giorno di scuola.

« … SIRIUS! DIAVOLO! ».
Qualcuno sbraita da qualche parte. Lontanissima voce.
« SIRIUS! ».
Lentamente, apre gli occhi. La voce è vicina, ora. Esattamente, proviene dalla testa che si muove da un lato all’altra della stanza forsennatamente. La stanza in verità cade a pezzi. Sirius si tira a sedere.
È nella Stamberga Strillante. Vagamente, ricorda di esserne appena uscito. In un modo assurdo, ma esattamente come non gli sovviene. Nel sogno c’era anche Remus. Poi vuoto. Però sa per certo che era una storia lunghissima, e molto articolata.
« C’è Peter qui dentro? ».
« No, Peter a notte inoltrata se n’è tornato in camerata perché aveva freddo e non riusciva a dormire. Probabilmente sarà già a colazione ».
D’un tratto, Sirius ritorna con i piedi per terra. È tardi, lo capisce dall’altezza del sole. È tardi. Se perderanno la colazione, sarà molto nervoso, ma prima deve dire qualcosa ai suoi amici. È sulla punta della lingua, è una questione di vita o di morte: « non fidatevi di Peter Pettigrew ». Afferma, con un’espressione del volto e un tono di voce seri, che di solito in Sirius sono impossibili da trovare. « Siategli amici, ma non permettetegli di conoscervi mai davvero ».
Remus trattiene un sorrisetto e continua ad allacciarsi pacatamente la cravatta.
« Se lo dici tu, Sirius ».
« Per me possiamo anche ucciderlo adesso, l’importante è che ci sbrighiamo, non posso assolutamente saltare la colazione! ».
Sirius, allora, si rilassa. Quella frase non la dimenticheranno, ne è certo. E trascorso il momento, gli sembra anche che sia andato via il panico che l’aveva aggredito senza ragione. Dopotutto, è a Hogwarts, cosa mai potrebbe ferirlo?
È di nuovo il vecchio Sirius di sempre. Ma questa volta, sarà più fortunato.

periodo: post-velo, la scalata, autore: beesp, rating: pg-13, fanfic, periodo: pre-azkaban

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