Titolo: The sweetest perfection
Verse: It's later than you realized
Fandom: Supernatural
Rating: Verde
Personaggi/Pairing: Dean Winchester, Sam Winchester, John Winchester
Tipologia: One shot
Lunghezza: 2349 parole
Avvertimenti: Linguaggio Colorito, accenni al mpreg, werewolf e werecat, AU
Genere: generale
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Eric Kripke e Warner Brothers che ne detengono tutti i diritti e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Supernatural, appartengono solo a me. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Credits: Il titolo è ripreso dall'omonima canzone dei Depeche Mode, mentre il nome del verse viene dalla canzone “Of wolf and man” dei Metallica.
Note dell'Autore: se pensate sia colpa di
sepherim_ml che mi bulleggiava e mi chiedeva Dean mamma, be', avete indovinato. Insomma, andatela a cercare perché fomenterà anche questo verse... e voi non volete che io scriva.
Introduzione alla Fan's Fiction: Siamo in un mondo particolare, in cui non importa che tu sia uomo o donna: se sei un gatto, potrai avere dei cuccioli, se sei un lupo sei il dominante della coppia e fecondi.
John è un lupo e ha due figli, il giovane Sam, un lupo, e Dean, un gatto. Alla morte della moglie Mary, parte con i propri figli in cerca di vendetta. Purtroppo portarsi dietro un gatto come Dean non è facile.
Questa storia fa parte del verse It's later than you realized
La seconda parte del verso, una long fiction, potete seguirla sul mio archivio privato
quiI lupi sapevano essere delle vere teste di cazzo e John Winchester lo aveva imparato ben presto.
Quando il suo primogenito era nato, John Winchester aveva visto le cose più preziose e delicate della sua vita distese sfinite tra le candide lenzuola di un letto d'ospedale, circondate da cuscini e coperte colorati che avevano richiesto giorni di preparazione.
John aveva sorriso dalla soglia, osservandoli muoversi appena. Mary, la gatta che aveva rubato il cuore del povero marine appena tornato dal Vietnam, e Dean, suo figlio, un gattino dal pelo biondo il cui miagolio somigliava ancora allo squittio di un topolino terrorizzato, erano stesi in quel mare soffice, gli occhi socchiusi e il volto contratto per lo sforzo appena compiuto.
La stanza era in penombra per non disturbare gli occupanti e John si sarebbe volentieri allontanato per lasciarli riposare, ma appena avvertì dei passi, Dean annusò un poco l'aria, muovendo appena le vibrisse per captare la nuova presenza, strisciando poi sulle coltri e miagolando nella sua direzione per richiamarlo, quasi avesse intuito che il nuovo arrivato era qualcuno di importante, qualcuno capace di proteggerlo e di dargli le attenzioni di cui aveva bisogno.
Ancora non lo sapeva, sarebbe stata la prima delle tante notti in cui quel miagolio lo avrebbe intrappolato.
Sarebbe dovuto uscire prima che arrivasse qualche infermiera e lo cacciasse dal reparto, invece John si avvicinò al letto e, sedutosi accanto alla moglie, si posò in grembo il gattino, carezzandolo e guadagnandosi delle sonore fusa e delle piccole zampate sul dorso della mano. Probabilmente non l'avrebbe ammesso, nemmeno sotto le peggiori torture, ma quella piccola palla di pelo non aveva ancora aperto gli occhi e già lo teneva fra i suoi piccoli, affilati artigli.
La fioca luce del corridoio lasciava appena intravedere l'andirivieni di infermiere e culle che caratterizzava quel reparto. Da quando aveva messo piede nell'ospedale aveva visto decine di bambini, eppure era sicuro che nessuno potesse competere con la bellezza del suo piccolo Dean.
Merda, pensò, passando due dita sulla schiena del piccolo. Se Dean somigliava anche solo lontanamente alla sua mamma, sarebbe stato capacissimo di mettere al tappeto qualsiasi lupo con una mano sola, ma il suo aspetto ne avrebbe attirati troppi perché John non volesse imbracciare subito il fucile.
Forse per questo, quattro anni dopo in una camera del tutto simile, sperò di aver trovato un alleato in Sammy.
Quando era entrato nella stanza d'ospedale con Dean tra le braccia, Mary si era appena appisolata con il nuovo cucciolo uggiolante adagiato sopra l'addome. Cristo, il loro primogenito era una cosetta minuscola alla nascita, ma partorire quel grosso cucciolo che era Sam sembrava aver stremato la sua donna e John non se la sentiva di svegliarla, non per uno stupido mazzo di fiori che poteva darle l'indomani.
Stava giusto per uscire per lasciarla tranquilla, quando Dean decise di trasformarsi e raggiungere la sua mamma per fare la conoscenza del suo fratellino.
John sospirò, cercando di non arrabbiarsi troppo.
Avrebbe dovuto riprendere quel gattino, portarlo a casa e fargli una bella ramanzina per aver disturbato la sua povera madre, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Sammy stava già annusando il collo del suo fratello maggiore e, dopo qualche rapida leccata, gli stava passando una zampa sulla schiena, quasi per tenerlo vicino a sé, digrignando i piccoli dentini appena John tentò di avvicinarsi.
Perfetto, aveva pensato, ora poteva solo sperare che Dean rinunciasse spontaneamente e con le buone alla morbida coperta che gli stava facendo fare le fusa per seguirlo a casa.
John si chinò sul letto, incrociando lo sguardo assonato del figlio. « Dean... »
« John » borbottò Mary, socchiudendo appena gli occhi e lanciandogli un'occhiata raggelante. « Lascia Dean dov'è. È la prima volta che Sammy sta zitto ».
E lui poteva essere un lupo e il capofamiglia, ma Mary era una gatta stanca che aveva appena messo al mondo un cucciolo di oltre cinque chili che non la lasciava dormire nemmeno un minuto, decisamente troppo pericolosa da sfidare... peccato fosse il solo ad averlo capito. Ancora sorrideva ripensando al medico che entrò pochi minuti dopo, un lupo sopra la quarantina, che si guadagnò una stretta alle palle molto vicina alla castrazione per una battutina sulla fragilità dei gatti e la loro natura di puttane. E gli artigli di Mary erano sempre affilati.
Sì, aveva più volte avuto le prove che i lupi potevano essere delle vere teste di cazzo, e quelli che si trovavano al bar quella sera non erano un'eccezione.
John strinse la presa intorno alla bottiglia e un braccio intorno alla vita di Dean, mentre Sam faceva scudo all'altro lato del fratello. Dannazione, era troppo chiedere di godersi una birra dopo aver arrostito un fantasma?
« Papà... »
« Silenzio, Dean » ordinò tra i denti, lanciando occhiate intimidatorie ai pervertiti che per tutta la sera erano rimasti incollati al culo del suo ragazzo. « Sam, prendi le nostre cose. Torniamo al motel ».
« Hey, amico, hai troppa fretta » biascicò uno degli idioti che affollava quella bettola, passando la mano sulla coscia di Dean. « Vogliamo solo divertirci con la gattina. In fondo l'unico posto dove stanno bene queste troiette è sulla loro schiena... »
L'idiota non finì mai la frase perché si ritrovò non solo le dita strette nella morsa di un Sam lupo adolescente, ma con le palle artigliate dalla “gattina” e una pistola puntata alla tempia da un John Winchester decisamente incazzato.
Per quanto schifo potesse fare come padre, non aveva mai permesso a nessuno di toccare i suoi cuccioli.
« Vedi amico, dovresti ringraziarmi » ringhiò, togliendo la sicura. « Se lasciassi l'arma al mio ragazzo » continuò, indicando Dean con un cenno del capo. « Non sopravviveresti. Dieci centri su dieci, ad una distanza di cento metri, praticamente un killer nato ».
Le gambe del vecchio ubriaco tremavano come foglie e il sudore colava copioso lungo la sua fronte. Nel locale era calato un silenzio teso e carico di attesa.
« Sammy » riprese ancora John, indicando il suo secondogenito. « Sammy non arriva alla media di suo fratello. Solo nove centri su dieci e da appena sessanta metri ».
Il battere dei denti era quasi insostenibile e la puzza di piscio nel locale si era notevolmente intensificata. John cercò di trattenersi dal ridere per la magra figura che il lupo faceva davanti a suo figlio e agli altri gatti.
Un paio di ragazzini si erano stretti intorno al jukebox e fissavano bramosi i due lupi fare mostra della propria forza e autorità. Anche se erano dall'altra parte della stanza, John poteva sentire distintamente l'odore dei loro feromoni e, se le narici dilatate di Sam erano un segnale, non era il solo.
« Quanto al loro vecchio... » riprese, cercando di non pensare a quanto avrebbe voluto seppellirsi fra le cosce di quei due. « Be', diciamo solo che la mia media da marine è andata persa con l'età » disse con noncuranza, premendo ancora di più la pistola contro la tempia « Appena otto centri su dieci, e da cinquanta metri ».
E non era certo per sminuirsi, purtroppo da anni Dean lo prendeva letteralmente a calci in culo con qualsiasi arma si ritrovasse tra gli artigli. Poi faceva le fusa accoccolato contro il suo fianco per ore per farsi perdonare, giocando ancora a fare il gattino di papà, ma questo era un altro discorso.
Il vecchio aveva ancora gli occhi sgranati e tremava come una foglia davanti a quel trio e alle loro armi. Sam aveva appena lasciato la sua mano e aveva imbracciato il fucile, guardando in cagnesco tutti gli occupanti del locale, ringhiando a quegli intraprendenti che avevano osato toccare il fratello poco prima.
John fece cenno ai due di uscire, prima di rinfoderare la pistola. « Vedi, sei fortunato che io non lasci le armi al mio gattino » concluse, avvicinandosi lentamente alla porta. Era sicuro che almeno un paio di quei coglioni avessero dei coltelli addosso, ma almeno i ragazzi erano già usciti. « Lui non è paziente quanto me ».
Se anche c'era stata una qualche reazione, John non era certo rimasto per assistervi. I suoi ragazzi lo aspettavano appoggiati all'Impala, le mani nelle tasche delle giacche e l'aria annoiata. Almeno, Dean aveva l'aria annoiata, Sam sembrava semplicemente furioso.
Appena lo vide, Dean cercò di dire qualcosa, probabilmente di scusarsi per la situazione, ma John non lo permise. « In macchina, ragazzi. »
« Papà... »
« Ho detto in macchina, Sam ».
E questo avrebbe indubbiamente portato ad una litigata, ma ora gli premeva solo portare Dean lontano da quella massa di idioti, prima che il ragazzo decidesse che quelle avance non gli davano poi così fastidio.
Dannati gatti, visti i cuscini che aveva accumulato in camera, avrebbe dovuto raddoppiare la sorveglianza del suo ragazzo.
Il viaggio fu teso e silenzioso e nemmeno il ritmo dei Metallica riuscì a spezzare l'effetto di quei pochi minuti passati nel bar. Cristo, Sam nemmeno protestava per la scelta della musica.
Se John aveva sperato di poter calmare i suoi ragazzi e ristabilire una certa tranquillità con un paio di birre e due tiri al biliardo, ora doveva ricredersi.
Quando le luci del motel gli accolsero, John ringraziò per non dover ancora sentire lo schioccare della lingua di Dean o i rimbrotti di Sam.
Il proprietario era ancora dietro al bancone, la televisione accesa su un pessimo telefilm e diverse riviste aperte dinnanzi a sé. John avrebbe volentieri evitato di far passare Dean davanti alla guardiola, soprattutto se quell'odore di feromoni non era solo un residuo del puzzo del bar.
Sam aveva già passato un braccio intorno al collo del fratello e gli stava mordicchiando la gola, scoprendo ogni tanto i canini e ringhiando ai rari lupi che passavano vicino all'Impala, magari arrischiando una timida occhiata nell'abitacolo. John ormai aveva perso le speranze per la gelosia di quel ragazzo: nemmeno le più belle gatte che aveva conosciuto era servito a distrarlo dal fratello.
Rassegnato scosse la testa, spegnendo il motore e lasciando improvvisamente la macchina piena solo delle fusa del suo primogenito.
« Ragazzi, portate le cose in camera e filate a letto » abbaiò, raccogliendo il diario e la pistola. Il direttore del motel fissava troppo interessato la loro auto, esattamente come da tempo fissava la finestra della loro stanza e girava intorno alla loro porta, cercando uno spiraglio per entrare e avvicinarsi al “nido” che il gatto della famiglia si creato.
Cristo, non si sarebbe mai abituato ad unire l'immagine di un nido con quella del suo soldato,non con Dean che lottava meglio di tanti lupi che aveva conosciuto nell'esercito, ma quando finalmente raggiunse i suoi ragazzi in camera, John non poté trattenere un sorriso.
Dean si era già spogliato e ora giaceva raggomitolato sulla piccola montagna di cuscini e coperte che si era preparato qualche notte prima e faceva le fusa, mentre il fratello lo osservava dalla porta del bagno, accarezzandosi distratto.
« Ne ha aggiunti altri » mormorò Sam, fissando la muscolatura forte delle sue cosce. « Il calore deve essere vicino ».
« Domani andrò a prendere i soppressori... »
« E se facesse una cucciolata? » Al suo sguardo perplesso, Sam continuò con più vigore. « Voglio dire, non dovrebbe essere un estraneo. Potrebbe essere uno di noi due, non sarebbe così insolito. Ho letto che quella roba a lungo andare potrebbe fargli del male e sopprimere continuamente il suo istinto lo porterà ad una depressione... »
Ma John non lo lasciò finire e lo afferrò per le spalle, inchiodandolo al muro sotto lo sguardo esterrefatto e preoccupato del maggiore, improvvisamente vigile.
« Papà?! »
« E tu credi che tuo fratello lascerebbe crescere il suo bambino per strada? » ringhiò, facendogli sbattere ripetutamente la schiena contro il muro. « Ragazzo, hai forse dimenticato del demone che ha ucciso la tua povera madre? »
No, Sam non aveva dimenticato, non aveva mai potuto dimenticare, non gli era stato permesso. Lui aveva conosciuto una sola mamma, Dean, e spesso si chiedeva perché non poteva dare al suo gatto quello che il suo corpo richiedeva da troppo tempo, un cucciolo o un gattino da coccolare e crescere.
Dean li guardava ancora, la preoccupazione ben evidente in volto. « Papà? »
« Dimmi, Sam, vuoi vedere anche tuo fratello su quel soffitto? Vuoi seppellire anche lui? »
Le labbra di Sam erano contratte, in parte per la rabbia, in parte la paura che quell'immagine gli aveva infuso.
Inutile dire che non aveva nemmeno preso in considerazione un'eventualità simile; nei suoi sogni c'era sempre una vita normale in cui lui e Dean mettevano al mondo due o tre cuccioli e vivevano sereni in una casa con steccato bianco. Tutto questo John lo sapeva fin troppo bene da troppi anni.
Lentamente, John lo lasciò andare. « Domani andrò a prendere i soppressori. E tu Dean li prenderai, ci siamo capiti? » tuonò, voltandosi verso il ragazzo sul letto.
Gli occhi di Dean erano umidi e la sua espressione stanca diceva molto della loro situazione: da così tanti anni era costretto a stare nel mezzo nei loro litigi e doveva sottomettersi alle richieste dell'uno o dell'altro. Tutto per la famiglia, come sempre.
« Allora? »
Dean abbassò il capo, probabilmente per nascondere l'ennesima delusione e si portò una mano al ventre, ormai perennemente vuoto. « Sì, signore » mormorò, prima di raggomitolarsi nuovamente fra i cuscini e le coperte.
« Bene » ansimò John, dirigendosi a passo di marcia verso il bagno. Anche allontanandosi poteva sentire i singhiozzi di Dean, i tentativi di Sam di calmarlo e di nuovo il soffiare del suo primogenito.
Vent'anni, vent'anni erano l'età perfetta per mettere al mondo un cucciolo o un gattino e il corpo del suo piccolo lo stava urlando a gran voce da tempo.
John colpì forte la parete, ascoltando distrattamente quanto avveniva nell'altra stanza e le maledizioni che Sam gli lanciava. Non c'era bisogno in fondo che quei due sapessero quante volte aveva sognato una cucciolata per Dean in quegli anni, bastava lui a portare il peso di quel fallimento.