Titolo: “Betsu no tsumi” (Un altro peccato)
Fandom: Mou ichido kimi ni, propose
Personaggi: Tanimura Yuki, Miyamoto Haru
Pairing: Haruki
Warnings: One Shot, Slash
Word Count: 1.420
fiumidiparoleRating: NC-17
Prompt: Lussuria
NdA: Storia scritta per la challenge
think_angst, per il set Stati d’animo.
- Betsu no tsumi -
Haru non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una situazione del genere.
Quando quella sera era ritornato a casa dal lavoro, si era sentito particolarmente stanco.
Aveva tirato una birra fuori dal frigo e si era seduto sul divano, poggiando la testa contro lo schienale e sospirando.
Non era il lavoro in fondo, e lo sapeva.
Era da settimane che era stanco, era da settimane che non riusciva a riposare né a dormire come in realtà avrebbe dovuto.
Era stanco mentalmente, e ne comprendeva perfettamente le ragioni.
Stava pensando a cosa fare per rendere un po’ meno deprimente la sua serata, quando sentì il campanello suonare.
Un po’ titubante, e valutando chi potesse esserci dall’altra parte della porta, andò ad aprire.
Fra le varie opzioni che aveva preso in considerazione, di certo Yuki non era fra queste.
Non sapeva come fossero finiti in quella situazione, ma avrebbe se non altro dovuto immaginare che la presenza del ragazzo in quella casa non poteva portare a niente di buono.
Aveva ceduto, e per quanto volesse continuare a dire a se stesso che l’aveva fatto solo perché colto alla sprovvista, non poteva negare quanto gli stesse effettivamente piacendo quella situazione.
Yuki lo stava toccando.
Piano, quasi come se avesse paura.
Lo toccava sui fianchi, oltre la maglietta, con carezze leggere e le dita che gli sfioravano la pelle quasi come se temesse un rifiuto da un momento all’altro.
E Haru vorrebbe davvero riuscire a non pensare in quel momento, ma non può fare a meno di notare come tutta la spavalderia di Yuki, tutta la sua presunzione e persino la sua espressione costantemente accigliata siano sparite, lasciando il posto ad un ragazzino impaurito.
Non dovrebbe Haru, davvero.
Ma gli piaceva il tocco di quelle mani, gli piacciono quegli occhi esitanti, gli piace il modo in cui il ragazzo sembra non avere il coraggio di osare di più, e rimane lì ad accarezzarlo come in attesa di una sua mossa.
E Haru lo accontentò, perché per quanto potesse pensare che meritasse la sua provocazione, non riusciva nemmeno a pensare di poter resistere, non in quel momento, non quando tutto quello a cui riusciva a pensare erano quelle mani addosso, e che non avrebbe voluto che smettessero.
Lo spinse verso il tavolo del salotto, facendocelo sbattere contro e posando le labbra sulle sue, con un gesto deciso, quasi brutale.
Non avrebbe davvero voluto, né dovuto, farlo, ma c’era qualcosa in Yuki in quel momento che lui trovava irresistibile, senza nemmeno sapere cosa fosse.
E probabilmente avrebbe anche dato poco peso a quel desiderio, dicendosi che era soltanto parecchio tempo che non faceva sesso, ma non sarebbe bastato a giustificare quell’urgenza che sentiva, quella voglia di toccarlo e spogliarlo e farlo suo, quella lussuria che l’aveva preso nel momento esatto in cui il più piccolo aveva palesato le sue intenzioni.
Prese a sbottonargli la camicia, seguendo con la bocca il percorso delle mani, baciandolo lungo la linea dello sterno, spostandosi a leccare un capezzolo, scendendo sempre più in basso, andando a slacciare la cintura e alzando poi lo sguardo in sua direzione.
Yuki fremeva, e sembrava a disagio nel guardarlo negli occhi.
Ma protendeva i fianchi in sua direzione, quasi inavvertitamente, e Haru poteva sentire la sua erezione oltre la stoffa dei pantaloni, l’accarezzò piano, prima di liberarlo anche da quelli e dai boxer, mentre l’altro pareva non essere in grado di staccargli gli occhi di dosso.
Poi sembrò acquistare coraggio e si mise in piedi, invertendo le posizioni e ripetendo su di lui ogni singolo gesto appena ricevuto, fino a ché Haru non fu anche lui privato del tutto dei vestiti, e poi scivolò piano con le ginocchia sul pavimento, prima di prendere un respiro profondo e passare la lingua sul suo sesso, in un tentativo maldestro ma più che efficace.
Miyamoto chiuse gli occhi e si morse un labbro, lasciandosi andare alla sensazione della bocca del più piccolo su di lui.
Aveva bisogno di concentrarsi su di essa, aveva bisogno di non pensare a quello che stava facendo, alle implicazioni, a come si sarebbero poi guardati negli occhi una volta che tutto fosse finito.
Yuki lo prese del tutto in bocca, e se nella sua mente c’era stato spazio per qualche pensiero residuo, in quel momento sparì del tutto.
Portò la mano fra i capelli del ragazzo, protendendo i fianchi verso le sue labbra, gemendo piano mentre lui si muoveva, sempre a tentativi, ma riuscendo a fargli perdere fin troppo presto il controllo.
Stava quasi per venire, quando lo scostò con un movimento brusco.
Gli sorrise, rimettendosi in piedi e riportando le posizioni a quelle originarie, portandogli le dita sulle labbra e spingendo perché le schiudesse, perché cominciasse a leccare i polpastrelli e le falangi, fino a che Haru non lo ritenne abbastanza e non gliele sfilò di bocca, guardandolo dritto negli occhi mentre portava la mano fra le sue gambe.
“Farà... ecco, farà male.” gli disse, aggrottando le sopracciglia, mentre il più piccolo lo fissava con aria sprezzante.
“Muoviti.” sibilò in tutta risposta, aprendo leggermente le gambe per dargli più agio di muoversi.
Quando il primo dito scivolò dentro di lui fece una smorfia infastidita, ma non emise un suono.
Haru continuò a prepararlo lentamente, cercando di non fargli male, ma non era poi così semplice quando tutto quello di cui aveva voglia era di prenderlo in quell’istante, fregandosene del suo dolore, fregandosene di quello che provava, e trovando soddisfazione in quel corpo.
Ma non l’avrebbe fatto. Non era ancora a quel punto, non aveva ancora raggiunto il suo limite.
Finito di prepararlo, si spinse dentro di lui lentamente, lasciando che il più piccolo gli mordesse una spalla per soffocare un gemito di dolore, senza fermarsi fino a quando non fu del tutto dentro di lui, fino a quando non si sentì quasi soffocare dal calore del suo corpo.
Non gli diede che pochi minuti di pace prima di cominciare a muoversi, dapprima lentamente, con spinte regolari e ponderate, poi sempre più in fretta, mentre l’urgenza e la lussuria tornavano a fare da padrone, e la voglia di raggiungere l’orgasmo si faceva sempre più impellente.
Yuki gemeva, quasi urlava ad un certo punto, e spingeva i propri fianchi contro i suoi, come a cercare un contatto sempre maggiore, come se non riuscisse a fermarsi.
Haru avvolse la sua erezione con la mano, iniziando a muoverla a ritmo sin da subito frenetico, ansioso, continuando a spingersi dentro di lui con foga, fino a quando l’altro non parve riuscire più a trattenersi e raggiunse l’orgasmo, gettando indietro la testa e lasciandosi andare ad un gemito più alto dei precedenti.
Continuò muoversi, fino a quando anche lui non sentì di non riuscire più a resistere e venne a sua volta, svuotandosi nel corpo del ragazzo.
Rimasero immobili, poi, ansimando e cercando di riprendere fiato, senza guardarsi negli occhi.
Haru poi si sfilò da dentro il suo corpo, raccattando i propri vestiti da terra e coprendosi alla bell’e meglio, mentre si mordeva un labbro e si azzardava a rivolgere il suo sguardo verso Yuki.
“Che cosa significa tutto questo?” gli chiese, ben conscio che fosse una domanda che avrebbe dovuto fare all’inizio, prima di perdere il controllo, prima che accadesse l’irreparabile.
Ma era ancora preso dall’euforia dell’orgasmo, e per quanto potesse provarci non riusciva a sentirsi in colpa.
“Io... ne avevo voglia, tutto qui.” Yuki scese dal tavolo, cominciando a sua volta a rivestirsi. “E poi è stato utile, no? Almeno ho capito quanto davvero tu poco ci tenga a Kanako, se non ti crei poi così tanti problemi a scoparti suo fratello alla prima occasione disponibile.”
Haru spalancò gli occhi.
Lo sguardo sul volto di Yuki era tornato il solito, quello astioso, quasi cattivo, quello che gli aveva sempre rivolto da che si conoscevano.
Era tutto lì, allora?
Era per dimostrare qualcosa a se stesso, a lui, alla sorella?
“Vattene” mormorò soltanto, sentendosi sul punto di perdere la calma per essere caduto in quella trappola così male organizzata.
Yuki sorrise, mefistofelico.
“L’ho sempre saputo, in fondo” gli disse, piano “Che sei soltanto un animale.”
Poi si avviò verso la porta, sbattendosela alle spalle, lasciando Haru fermo in mezzo alla stanza, con il peso delle sue colpe e niente per alleviare quel senso di colpa che, alla fine, era riuscito a raggiungerlo.
E forse Yuki aveva anche ragione.
Era un animale lui, no?
Forse tutto quello che gli era successo, in fondo, era la giusta punizione.
Ora non aveva altro che un altro peccato da espiare.