Titolo: “Show me, tell me, aitaku naru” (Mostrami, dimmi, voglio vederti)
Fandom: Ninkyo Helper
Personaggi: Izumi Reiji, Takayama Mikiya
Pairing: Izukiya
Warnings: Slash, One Shot
Word Count: 1.357
fiumidiparoleRating: G
Prompt: “All you are is all I need to know.”
NdA: Storia scritta per la tabella wTunes Playlist di
diecielode.
- Show me, tell me, aitaku naru -
Mikiya guardava quel tatuaggio come se non riuscisse a comprendere.
Eppure lo sapeva.
Conosceva il significato di quel simbolo, conosceva il significato di quei kanji.
Aveva gli stessi kanji sul petto da fin troppo tempo ormai per riuscire davvero a fingere di non sapere che cosa significassero.
Quando Izumi si era tolto quel polsino, si era sentito maledettamente stupido.
Lui aveva dato tutto, per lui.
Aveva messo a rischio la sua posizione, aveva messo a rischio gli altri, aveva messo a rischio tutto il tempo passato alla Taiyou, ma l’aveva fatto perché aveva fiducia in Reiji, perché aveva fiducia nelle sue parole, aveva fiducia in lui quando gli aveva detto che non importava chi fosse.
Mikiya sapeva di non aver mai brillato per intelligenza, ma mai come in quel momento si era sentito così tanto umiliato di fronte alla prova tangibile della sua stupidità.
Aveva guardato Izumi negli occhi soltanto per un secondo, prima che entrambi distogliessero lo sguardo.
E poi era uscito da quella stanza, era scappato, perché gli era parso di non riuscire più a respirare.
Era uno stupido.
Ma non si sarebbe lasciato ancora prendere in giro, per questo.
****
Era la prima volta che entrava nell’appartamento di Reiji.
Gli piaceva, in un certo senso.
Non era grande, non era arredato in modo particolare, non aveva niente che saltasse subito all’occhio.
Eppure, lo faceva sentire come se fosse a casa, sebbene non vi avesse mai messo piede prima.
Izumi aveva dato un taglio ai suoi ragionamenti quasi immediatamente.
Gli era saltato addosso come un animale affamato, come se non riuscisse a resistere, come se non avessero il tempo dalla loro.
E Mikiya d’altro canto, non si era lamentato.
Si era lasciato baciare, toccare, leccare, mordere.
Aveva visto il più grande sfilargli la maglietta con un gesto repentino e non si era preoccupato, fino a che non si era ricordato di avere qualcosa da nascondere.
Era stata la foga a fregarlo, in quel caso.
Izumi aveva fissato il tatuaggio sul suo petto con un sopracciglio alzato ed un’espressione puramente d’attesa, mentre qualsiasi aspettativa sessuale sembrava essere sparita.
Mikiya si era fissato il petto a sua volta, e poi aveva alzato lo sguardo su di lui, come a voler chiedere pietà.
“Non fare domande. Ti prego.” aveva mormorato, grave, trattenendo il respiro in attesa della risposta dell’altro.
“C’è poco da chiedere, ti pare?”
****
Izumi non aveva voluto sapere niente, e lui ne era stato felice.
Si era convinto del fatto che non gli importasse di quel tatuaggio, che non gli importasse del suo passato, che non gli importasse di quello che aveva fatto prima di incontrarlo, ma che lo amasse semplicemente per quello che gli aveva mostrato di essere in quei mesi.
Illuso.
Non gli importava, certo, perché lui l’aveva sempre saputo che era uno yakuza.
Non gli importava, perché sapeva che sarebbe stato maledettamente ipocrita fingere di essere sorpreso, di preoccuparsi di ciò che era, di fare domande alle quali, in fondo, conosceva già la risposta.
Mikiya si era chiuso nella sua stanza, sbattendo un pugno contro il muro, facendosi male, ma non riuscendo a pensare davvero al dolore.
Pensò a quel polsino, a come Izumi non se lo fosse mai tolto, a come lui non si fosse mai chiesto che cosa avesse da nascondere, a come non ci avesse mai nemmeno fatto caso.
Stupido, stupido, stupido Mikiya.
Sentì bussare alla porta, ma non si preoccupò di rispondere.
Quando vide Reiji entrare, nemmeno lo guardò negli occhi.
Si sedette sul letto, fissando un punto nel vuoto, deciso ad ignorarlo
E che gli desse anche del bambino, se era necessario.
Lui non era di certo migliore.
“Miki?” mormorò il più grande, con il tono di chi era giunto ormai ad una situazione che aveva sempre cercato di evitare.
Takayama non rispose. Alzò un sopracciglio, incrociando le braccia sul petto, e aspettando che l’altro continuasse a parlare.
Non che avesse davvero voglia di ascoltarlo; sapeva cosa avrebbe detto, e sapeva che nessuna delle sue parole avrebbe cancellato quella sensazione di tradimento.
Ma non si sarebbe nemmeno abbassato a parlargli, ad urlare, a dirgli di andarsene, perché non voleva più vederlo.
Attese e basta.
“Miki, mi dispiace. Lo so come ti senti, lo so che sei sorpreso e che avrei dovuto dirtelo. Ma sai bene quanto me che in una situazione del genere non potevo comportarmi altrimenti. Se l’avessi detto a te avrei compromesso...”
“Che cosa?” lo interruppe il più piccolo, con tono sprezzante. “Che cosa avresti compromesso, Reiji? Sarebbe saltata la tua copertura? Mio padre se la sarebbe presa con te? E che cosa ti ha convinto del fatto che una volta scoperto che eri uno yakuza io sarei andato immediatamente a dirlo agli altri?” si alzò lentamente dal letto, andandogli vicino e fissandolo dritto negli occhi. “Io mi sono fidato di te, Izumi. Mi sono fidato, non mi sono preoccupato di mostrarti quello che ero, perché sapevo che se quello che provavi era sufficiente, allora non dovevo avere paura di farti conoscere la verità. Non mi interessa che tu fossi qui per tenerci d’occhio, che tu sia uno yakuza o chissà cos’altro. Quello che non riesco a sopportare è che tu non abbia avuto in me la stessa fiducia.” gli disse, con tono deciso, allontanandosi leggermente.
Rimasero in silenzio per qualche istante.
Poi Mikiya scoppiò a piangere, senza poter fare niente per fermarsi.
Stava lottando da troppo contro quelle lacrime, e alla fine aveva ceduto. Diede un altro pugno contro il muro, poi un altro, poi un altro ancora, fino a che non sentì le mani di Reiji sulle proprie braccia.
Gliele avvolse fra le sue, posandogli il viso sulla schiena, senza dire niente.
Il più piccolo non disse niente.
Continuò a piangere, mordendosi un labbro e cercando di tanto in tanto di divincolarsi da quella presa forte, senza mai riuscirci.
E alla fine ci rinunciò.
Che senso aveva, in fondo?
Izumi era l’unico da cui avrebbe voluto farsi abbracciare in quel momento, e poco contava se il motivo per cui aveva bisogno di essere consolato era lui.
Si voltò, buttandogli le braccia al collo e stringendolo, tanto da pensare di avergli fatto male, ma non se ne curò più di tanto.
Se gliene aveva fatto, era tutto meritato.
“Perché, Rei?” gli chiese, cessando lentamente di singhiozzare.
“Mi dispiace.” ripeté soltanto l’altro,
Mikiya lo strinse ancora, e quando poi lo lasciò andare lo sguardo sul suo viso era più tranquillo, come se la rabbia provata fino a quel momento si fosse sciolta in quell’abbraccio.
“Voglio che tu mi dica tutto da ora in poi, Rei.” mormorò, guardandolo dritto negli occhi. “Voglio che tu mi dica quello che fai, voglio che tu mi dica quello che sei, quello che mi hai tenuto nascosto fino adesso. Tutto quello che sei è tutto quello che ho bisogno di sapere, Reiji. E non me ne frega niente dei tuoi ordini, di quello che ti dice mio padre o chissà cos’altro. Voglio sapere tutto.” concluse, arrossendo leggermente.
Izumi gli sorrise, annuendo.
Gli portò una mano sul braccio, prendendo ad accarezzarlo lievemente.
“D’accordo, Miki. Ti prometto che d’ora in poi saprai tutto di me. Tutto quello che non ti ho mai potuto dire fin’ora.” sospirò, passandosi una mano davanti al viso. “Va tutto bene?” chiese poi, e il più piccolo fece cenno di sì con la testa.
L’altro gli sorrise apertamente, cosa che Mikiya non poteva fare a meno di apprezzare, trovandola particolarmente rara.
Sperava che ci sarebbero stati più sorrisi come quello. Sperava che tolte le remore del non potergli parlare della sua vita, Reiji fosse più aperto con lui, che potesse diventare una persona diversa da quella che gli aveva mostrato di essere fino a quel punto.
Era felice, Mikiya.
Passata la rabbia per tutto quello che gli aveva taciuto fino a quel momento, poteva solo sperare il meglio per loro due. Poteva sperare, finalmente, di sapere tutto su di lui, tutto quello che si era sempre chiesto, di dare una forma a quelle ombre che aveva sempre visto dietro i suoi occhi.
Aveva bisogno di sapere tutto di Reiji, della persona che amava.
Tutto quello che era, era tutto quello che aveva bisogno di sapere per continuare ad amarlo.