[Hey! Say! JUMP] Flame of Love 02

Mar 09, 2012 15:48

Titolo: “Flame of Love” 02 - “Nazuru samayoi mayou” (Tradendo, vagando, perdendomi)
Fandom: Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yaotome Hikaru, Inoo Kei
Pairing: Hikanoo
Warnings: Slash, AU, Mini-long
Word Count: 1.966 fiumidiparole
Rating: NC-17
Prompt: “45. Illusione”
NdA: Storia scritta per la challenge mezza_tabella. Il titolo della storia è omonimo del solo di Yaotome Hikaru, quello del capitolo è tratto da “I, Texas” di Yamashita Tomohisa.



- Flame of Love -

02 - Nazuru samayoi mayou

Inoo l’aveva chiamato quella mattina.

“Ci hai messo ben due giorni... mi sembravi così eccitato all’idea di telefonarmi che pensavo l’avresti fatto non appena arrivato a casa” gli disse, a bassa voce, cercando di non farsi sentire da nessuno.

Era in ufficio, in uno dei corridoi, e per quanto fosse deserto non voleva correre rischi.

Kei, dall’altra parte del telefono, aveva riso.

“L’avrei fatto, ma mi sono illuso per un po’ che l’avresti fatto tu. Avrei aspettato fino a domani, ma stamattina ho finito di lavorare presto e mi sono ritrovato senza niente da fare, con il cellulare in mano e la voglia di telefonarti” rispose, senza alcuna remora, senza frenarsi.

Era anche quello che aveva affascinato Hikaru.

Quella sua capacità di dire le cose come stavano, senza sentire il bisogno di mascherarle con quegli obblighi imposti dalla morale o dalla società.

Sorrise, pensando che loro due non potevano essere più diversi.

“E quindi... avevi progettato di dirmi qualcosa in particolare, una volta telefonato?” insistette, continuando a ripetersi nella mente che avrebbe dovuto troncare quella conversazione prima che arrivasse su un terreno pericoloso.

“Certo. Avevo un piano ben preciso. Tu mi avresti detto che è dall’altra sera che non potevi fare a meno di pensarmi e io mi sarei schernito un po’, poi ti avrei detto che anche io avevo pensato a te. Non eccessivamente, soltanto quel tanto che basta per farmi sentire la voglia di chiamarti. Oh, e poi avrei accettato subito quando mi avessi chiesto di vederci oggi.” concluse, e Hikaru se lo immaginò perfettamente con un’aria sorniona, con le sopracciglia alzate, mentre aspettava la sua risposta.

Mentre era certo di ottenere quello che voleva.

E per quanto volesse mostrargli di aver torto, per l’ennesima volta non si era saputo trattenere.

“Mi dispiace di aver deluso le tue speranze. Come posso farmi perdonare?” domandò, allusivo.

“Puoi invitarmi a pranzo. E poi puoi passare il pomeriggio con me. Devi lavorare?” gli chiese, diretto.

“No, finisco di lavorare verso l’una. Dove ci vediamo?”

Si misero velocemente d’accordo, poi chiusero la conversazione.

Kei l’aveva lasciato con un “Non vedo l’ora” dal tono poco fraintendibile.

E lui di nuovo, per quella che gli parve la milionesima volta, disse a se stesso che non c’era niente di male nell’incontrarlo, che non significava niente, che era solo un pranzo.

Eppure lo sapeva; sapeva quello che provava, sapeva dell’illusione che si stava costruendo intorno, sapeva che l’altro gli stava tessendo addosso una tela e che lui l’avrebbe lasciato fare più che volentieri.

E sapeva che anche lui non vedeva l’ora, e quel pensiero un po’ gli fece paura.

********

Hikaru gemette.

La lingua di Kei intorno alla sua erezione lo stava facendo letteralmente impazzire.

Gli passò una mano fra i capelli, tirandoglieli, cercando invano di dettare il ritmo.

Avrebbe dovuto sapere che l’altro non gliel’avrebbe lasciato fare.

Inoo gli mise le mani sui fianchi, passandogli lascivamente la lingua su tutta la lunghezza, tenendolo fermo, esasperandolo.

Quando alla fine si rialzò, lentamente abbastanza da fargli sperare che non lo facesse, Hikaru vide che sorrideva, trionfante.

Si mise a sedere sul letto prendendolo per le spalle e spingendolo fin quando non si ritrovò con la schiena contro il materasso.

“Non mi provocare” mormorò, scendendo con la bocca sul suo petto, mordendogli piano un capezzolo.

Kei gemette, ma poi tornò a sorridere.

“Però funziona, vero?” chiese, protendendo i fianchi verso le mani dell’altro, il quale era andato ad accarezzargli lievemente l’erezione, per poi spostarsi lungo la sua apertura.

Hikaru alzò un sopracciglio, e mentre faceva scivolare il primo dito dentro di lui, annuì.

“Eccome se funziona” sussurrò, prendendo a muovere velocemente la mano, ad aggiungere un secondo ed un terzo dito, a soffocare i suoi gemiti con la propria bocca.

Quando ritenne che fosse pronto, gli fece allargare leggermente le gambe, portandosi in mezzo e poggiandosi contro di lui.

Lo guardò in viso per qualche secondo.

Era maledettamente impossibile, pensò, che quel ragazzo che conosceva appena lo attraesse così tanto.

Ma non era più il tempo di giocare, non era più il tempo di fingere che così non fosse, non era più il tempo di illudersi.

Entrò dentro di lui, con una spinta secca, quasi brutale, come se volesse fargli pentire di essere così bello, così allettante.

Come se, in fondo, fosse colpa sua.

Si mosse dentro di lui a ritmo serrato, affondando il viso nell’incavo del suo collo, con i suoi gemiti nell’orecchio e il suo odore nelle narici, e sembrava non averne mai abbastanza, come se il profumo di quella pelle potesse superare quello di quella stanza di un comunissimo love hotel, che lo faceva sentire maledettamente a disagio.

Aveva bisogno di sentirlo vicino, ed era un bisogno che non era in grado né di spiegare né di controllare.

Lo sentì artigliargli la schiena con le unghie, e questo lo spinse ad affondare colpi sempre più brutali dentro di lui, sentendosi più vicino a raggiungere il proprio limite di sopportazione.

Portò la mano fra i loro corpi, prendendogli in mano l’erezione dura fino all’inverosimile e cominciando a muoversi a ritmo delle proprie spinte.

Kei non impiegò molto a venire, arcuando la schiena, spingendosi verso di lui, soffocando un grido contro la sua spalla.

Hikaru sentì il suo corpo stringersi ancora di più intorno al proprio, e stava quasi per raggiungere l’orgasmo, quando lo sentì sfilarsi da sotto di lui con un gesto repentino.

Gemette di disappunto, guardandolo male.

“Che cosa diavolo...” cominciò a dire, ma l’altro non lo lasciò finire.

Lo spinse con la schiena contro il materasso, tornando sopra di lui e prendendogli nuovamente in bocca l’erezione.

Hikaru smise istantaneamente di lamentarsi.

Spinse i fianchi verso di lui, come se la sensazione della sua bocca e della sua lingua su di lui non fossero mai abbastanza.

Non impiegò troppo tempo prima di raggiungere l’orgasmo; gli tenne una mano sulla testa, avvicinandolo a sé il più possibile, e si svuotò dentro la sua bocca con un grido strozzato.

Quando allentò la presa, vide l’altro rialzarsi e guardarlo, sorridendo mentre si passava il dorso della mano sulle labbra.

“Ho avuto un’ulteriore conferma: voi impiegati di banca non avete affatto un brutto sapore” gli disse, alzando un sopracciglio.

Hikaru avrebbe voluto ribattere a tono.

Avrebbe voluto dire qualsiasi cosa, pur di non rimanere lì fermo, a guardare Kei come se fosse la cosa più bella del mondo.

Ma in quel momento, era così che si sentiva.

Aveva voglia di rimanere in quella stanza per sempre, con lui, senza pensare a quello che accadeva fuori da quella porta, senza pensare di avere qualcuno ad attenderlo a casa.

Senza pensare a niente, solo crogiolandosi nell’illusione che tutto quello che stava facendo fosse giusto.

Anche quando sapeva che non lo era.

Si sentì improvvisamente prendere dal panico.

Che cosa stava facendo?

Perché era stato così difficile sfuggire alle avance di quel ragazzo, perché non era stato in grado di dirgli di no, perché si trovava così maledettamente attratto da lui?

Si mise velocemente a sedere, tirandosi le lenzuola intorno ai fianchi, guardando Kei come quello sconosciuto che, in effetti, era.

Gli sarebbe piaciuto chiudere gli occhi e, una volta aperti, scoprire che era solo il frutto della sua immaginazione.

Sapeva che ne sarebbe rimasto deluso, ma in fondo era quello che meritava.

Inoo alzò un sopracciglio in sua direzione, confuso da quel suo improvviso atteggiamento ritroso.

“Che cosa c’è?” gli chiese, avvicinandosi lentamente verso di lui e prendendo ad accarezzargli un braccio con la punta delle dita.

Hikaru prese un respiro profondo.

Si sarebbe dovuto alzare.

Uscire da quel letto, rivestirsi, tornare a casa e non pensare mai più a lui.

Spezzare quell’illusione, perché sapeva che il suo posto non era quello, non era accanto a lui, non era in quel letto, in quel love hotel che improvvisamente gli parve squallido.

Avrebbe dovuto.

“Sono sposato” mormorò, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.

Il silenzio che ne seguì gli fece più male di quanto si sarebbe aspettato.

Non osò guardare Kei, per paura di trovare sul suo volto un’espressione di disgusto.

Tacquero entrambi per un tempo che a lui parve infinito.

Alla fine, Kei scoppiò a ridere.

Rise, quasi con le lacrime.

Si gettò sul letto, portandosi una mano davanti al viso.

Hikaru credette seriamente che fosse impazzito.

Quando si fu ripreso, lo guardò con gli occhi bene aperti, fin troppo seri per quanto la sua reazione potesse far pensare.

“Sei sposato, eh?” ripeté, come se non riuscisse a convincersene. “E non sono cose da dire dopo mesi di lunga e tormentata relazione? Quando io comincio a chiedermi che cosa tu faccia mentre non sei con me e tu inventi bugie su bugie per giustificarti quando la sera sei con tua moglie e non puoi rispondermi al telefono?” lo prese in giro, senza mai tuttavia perdere quell’aria compita. “Detto così presto, dopo la prima volta che facciamo sesso, la notizia in sé perde tutto il suo pathos” concluse, scrollando le spalle.

Yaotome alzò un sopracciglio, fissandolo con aria interrogativa.

Non sapeva che cosa pensare di una reazione del genere.

Poche sere prima, tornare a casa e addormentarsi nel letto accanto a Mitsuko, sua moglie, era stato orribilmente difficile.

Si sentiva estraneo a quel letto, a quella casa, a quella donna... si era sempre sentito estraneo, ma mai come in quell’occasione.

Aveva passato gli ultimi due giorni a rimuginarci sopra, a riflettere su cosa dire a Inoo nel caso in cui l’avesse chiamato, e nel togliersi quel peso si era sentito meglio.

La sua reazione invece, lo fece sentire incredibilmente stupido.

“Non ti importa che io sia sposato, quindi?” gli chiese, con un filo di voce.

Kei piegò il capo da una parte, scrollando le spalle.

“Se vuoi che m’importi, me lo farò importare. Ma... non mi lascerò fermare da una fede che non porti al dito, Hikaru” gli disse, semplicemente.

“E non ti interessa sapere perché adesso sono qui, con te? Perché io abbia sposato una donna, quando direi che è più che palese che mi piacciano gli uomini? Perché io ti abbia detto che sono sposato, quando avrei potuto benissimo continuare a tacerlo?” gli chiese, con tono di voce sempre più alto, come indignato dalla sua mancanza d’indignazione.

L’altro sospirò, smettendo di accarezzargli il braccio.

“Ci conosciamo da tre giorni, Hikaru. Questa è la seconda volta in cui ci vediamo, e tu sei venuto a letto con me.” disse, come a voler riepilogare. “Mi interessi e io interesso te, altrimenti saremmo ancora fermi in un bar a parlare del più e del meno. E voglio continuare a vederti, se è quello che vuoi anche tu.” gli sorrise, incoraggiante. “Per le spiegazioni, avremo tempo, ti pare?” concluse, con un’alzata di spalle.

Hikaru prese un respiro profondo.

Una, due, tre volte.

Avrebbe voluto che Inoo non fosse così sicuro di quello che stava accadendo.

Che fosse incerto, un po’ spaventato, esattamente come lo era lui.

Che gli dicesse che quello era un tradimento, che non era giusto che lui si trovasse lì in quel momento. Che gli faceva schifo quello che aveva fatto.

Ma Kei sembrava invece incarnare alla perfezione quell’illusione che lui voleva vivere. Come se fosse fatta esattamente per lui, la calzava a pennello.

E Hikaru non ce la fece a ribattere.

Si distese in quel letto, lasciando che l’altro gli cingesse i fianchi con un braccio, poggiandogli la testa sul petto.

Continuava a pensare che avrebbe dovuto scappare via, ma c’era qualcosa che lo teneva incatenato a quel corpo, a quell’odore, a quella sensazione di felicità che l’altro sembrava emanare.

E sapeva che avrebbe potuto davvero essere felice con lui, se solo non si fossero incontrati nel momento e nel contesto sbagliato.

Ma Kei aveva ragione.

Per sbagliato che fosse, lui non si sarebbe tirato indietro.

E per le recriminazioni e la sofferenza, c’era ancora tutto il tempo.

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