[Hey! Say! JUMP] Flame of Love 01

Mar 01, 2012 00:32

Titolo: “Flame of Love” 01 - “Fighting for my heart”
Fandom: Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yaotome Hikaru, Inoo Kei
Pairing: Hikanoo
Warnings: Slash, AU, Mini-long
Word Count: 1.770 fiumidiparole
Rating: G
Prompt: “21. Pelle”
NdA: Storia scritta per la challenge mezza_tabella. Il titolo della storia è omonimo del solo di Yaotome Hikaru, quello del capitolo è tratto da “Ultra Music Power” degli Hey! Say! JUMP.



- Flame of Love -

01 - Fighting for my heart

Hikaru si guardava intorno con aria annoiata.

Non sapeva come fosse finito in mezzo a quella serata. Non sapeva che cosa ci facesse lì, con tutte quelle persone che si divertivano a chiamarlo ‘amico’, ubriache da far schifo.

Un suo collega si sarebbe sposato pochi giorni dopo, e lui era stato invitato a prendere parte ai festeggiamenti per l’addio al celibato.

Per tutta la sera era rimasto in disparte, guardandoli bere come delle spugne, urlare a squarciagola, provarci con le povere cameriere malcapitate, incluso il futuro sposo.

Avrebbe fatto qualche commento sul fatto che di lì a quarantotto ore sarebbe stato vincolato per il resto della vita, e che non gli sembrava il caso di star lì a molestare ragazze, ma tacque.

Non sarebbe servito a niente discutere quando loro erano in quello stato pietoso.

E lui poi, era l’ultimo a poter mettere bocca sulla gestione di un perfetto menage matrimoniale.

Fissò per l’ennesima volta il martini fra le sue mani, cercando di decidersi a scolarlo per ordinarne un altro, sperando che l’alcool potesse aiutarlo ad entrare un po’ di più nell’atmosfera della festa.

Ma c’era qualcosa che lo tratteneva.

Da circa un’ora, nel bar era entrato un gruppo di ragazzi più o meno della sua età.

Si erano seduti ad un tavolo poco lontano dal bancone dove si trovava lui.

Uno di loro, si era accorto da un po’, non smetteva di fissarlo.

Era giovane, probabilmente di poco più piccolo di lui.

Non si permise di indugiare troppo con lo sguardo su di lui, ma gli parve anche parecchio bello.

Sentiva i suoi occhi scuri addosso, e fremeva.

Avrebbe voluto alzarsi e andargli a chiedere che cosa avesse tanto da guardare, ma non si fidava eccessivamente del suo tono di voce, non in quel momento.

E poi, non poteva negarlo, quello sguardo gli piaceva.

Gli piaceva sentirsi oggetto delle attenzioni di quello sconosciuto, gli piaceva avere i suoi occhi addosso, gli piaceva immaginare che cosa stesse pensando in quel momento.

Lanciò uno sguardo ai suoi colleghi, assumendo un’espressione disgustata, poi il suo sguardo cadde ancora sullo sconosciuto, e lo vide ridacchiare.

Si alzò lentamente dallo sgabello su cui aveva preso posto, in disparte rispetto agli altri, e si sporse verso Takaki, l’unico che sembrasse essere, se non lucido, quantomeno in possesso delle proprie facoltà mentali.

“Vado a fumarmi una sigaretta, Yuuyan” gli disse, a voce alta abbastanza da sovrastare le grida dei loro colleghi.

“Vuoi che venga con te?” chiese l’altro, alzando un sopracciglio con espressione implorante.

Hikaru lanciò un’occhiata sopra la propria spalla, come a voler controllare che il ragazzo fosse ancora lì.

“Per questa volta passo, grazie. Tu rimani pure a divertirti, torno al massimo fra dieci minuti” gli disse, con un sorriso che aveva un che di maligno, afferrando la propria giacca e dirigendosi fuori dal locale, senza dare a Takaki il tempo materiale di rispondergli.

Una volta fuori, si accese una sigaretta e attese.

Conosceva quel tipo di sguardi, sapeva a cosa portavano.

Sapeva che non avrebbe dovuto attendere ancora a lungo.

A conferma della sua tesi, pochi minuti dopo la porta si aprì.

Sorrise, approfittando dell’improvvisa vicinanza e della luce chiara dell’illuminazione stradale per guardarlo meglio in viso.

Non si era sbagliato.

Aveva i lineamenti delicati, piacevoli. Gli occhi erano piccoli e allungati, scuri, penetranti, corredati da delle sopracciglia arcuate in un’espressione... divertita, avrebbe detto.

Hikaru soffermò lo sguardo sulle labbra solo per qualche secondo, e sentì un fremito.

Non avrebbe dovuto pensarci troppo, ne era consapevole.

“Mi stavi aspettando?” chiese lo sconosciuto, sorridendogli.

“Che cosa te lo fa credere?” ribatté lui, dando un tiro alla sigaretta e cercando di agire con indifferenza.

“Mi hai guardato prima di uscire, credevo che fosse un invito a seguirti. Ma se mi sono sbagliato, allora torno dentro” disse, in chiaro tono provocatorio.

Hikaru esitò per qualche secondo.

Avrebbe dovuto dirgli di tornare dentro allora, sia per mantenere un minimo di dignità sia perché era la cosa giusta da fare.

Ma c’era qualcosa in quel ragazzo che lo attraeva terribilmente; non avrebbe saputo spiegare il perché, ma non voleva che tornasse dentro, non voleva che se ne andasse.

Sospirò, scuotendo la testa.

“Nessuno ti obbliga a rientrare” tentò, sperando che l’altro non insistesse oltre.

Ma non fu così fortunato.

“Allora chiedimi di restare” disse, con un sorriso aperto e vagamente malizioso.

Hikaru si morse un labbro, maledicendolo dentro se stesso.

Tutto quello non era normale.

Non era normale parlare con uno sconosciuto in quel modo, non era normale l’atteggiamento che stavano tenendo entrambi e non era normale che lo affascinasse così tanto.

“Resta” bofonchiò alla fine. Prese il pacchetto di sigarette dalla tasca e glielo porse. “Ne vuoi una?” chiese, come per togliersi dall’impaccio, per superare il disagio.

L’altro scoppiò a ridere, ma annuì, prendendo una sigaretta e accendendola.

Di nuovo, gli occhi di Hikaru si soffermarono su quelle labbra, mentre vi si posava sopra il filtro, mentre aspiravano, mentre la lasciavano andare.

Sentì il fiato farsi corto e, di nuovo, distolse gli occhi, per riportarli su quelli del ragazzo.

“Yaotome Hikaru” si presentò come rendendosi conto solo in quel momento del fatto che non sapeva nemmeno come si chiamasse.

Gli dava la strana sensazione di conoscerlo da sempre.

“Inoo Kei” rispose l’altro, distrattamente, senza mai smettere di guardarlo. “Allora?” chiese poi, alzando un sopracciglio.

“Allora cosa?”

“Avevi in mente qualcosa in particolare da fare mentre aspettavi che io venissi fuori, o no?” gli domandò l’altro, e Hikaru si sentì confuso come non mai da quel fiume in piena che pareva essere Inoo.

Spalancò gli occhi, alzando le spalle come per dire che non aveva la minima idea di cosa l’altro volesse sentirsi rispondere.

Lo vide ridere, poi tutto d’un tratto gli afferrò il polso, leggendo l’ora sul suo orologio.

Non appena ebbe fatto, lui ritrasse il braccio, come se la pelle dell’altro scottasse.

Come se, dopo quel semplice e normale contatto, scottasse anche la sua.

“Ancora è solo mezzanotte. Possiamo andare da qualche parte a fare un giro, che te ne pare?” gli chiese, con tranquillità.

Hikaru tentennò.

Avrebbe mentito se avesse detto che la cosa non lo allettava.

Ma, ripensando a mente fredda alla situazione in cui si trovava, ebbe almeno la decenza di rendersi conto che in mezzo alle cattive idee di quella serata, accettare sarebbe probabilmente stata la peggiore.

“Mi dispiace, ma sono con dei miei colleghi di lavoro. È l’addio al celibato di uno di loro, non posso andarmene adesso” gli spiegò, senza nascondere il disappunto nel proprio tono di voce.

Kei annuì un paio di volte, come a dire che capiva.

Poi dalla tasca della giacca tirò fuori un biglietto da visita, e glielo porse.

Hikaru lo scrutò per qualche secondo, sorridendo.

“Fotografo?” chiese poi, non troppo sorpreso.

Guardandolo, gli sembrava che fosse un mestiere che gli si addicesse.

“Mi ci diletto, diciamo così” si schernì l’altro, poi rimase in attesa per qualche secondo. Alla fine, capendo che non avrebbe ottenuto niente dall’altro senza chiederlo direttamente, gli sorrise, malizioso. “Se adesso rientriamo dentro, tu torni dai tuoi colleghi e io dai miei amici, passerai il resto della serata a convincerti che anche solo il fatto di parlarmi sia stato un grosso errore, e non mi telefonerai mai.” tese la mano di fronte a sé. “Il tuo biglietto, grazie” aggiunse poi.

Hikaru arrossì, ma di nuovo non poté negare che l’altro avesse ragione.

Tirò fuori dal portafoglio un biglietto da visita, porgendoglielo con una certa titubanza.

Non appena l’ebbe letto, Kei sospirò.

“Impiegato in banca, eh?” gli disse, mettendogli amichevolmente una mano sulla spalla.

Hikaru fremette, di nuovo. “Allora hai decisamente bisogno di goderti un po’ la vita, immagino” lo prese blandamente in giro, palesemente provocatorio.

Yaotome si stizzì, sottraendosi alla presa.

“Cosa, pensi che io passi tutta la mia giornata dietro una scrivania, con completi gessati e la cravatta stretta fino a strangolarmi? È quello che faccio, non quello che sono” ribatté, cercando di darsi un tono.

Inoo scoppiò a ridere. Lo squadrò per qualche istante, poi gli si fece ancora più vicino.

Troppo per i gusti di Hikaru, il quale sembrò cominciare ad avere qualche difficoltà nel respirare.

L’altro gli mise una mano sul nodo della cravatta, effettivamente troppo stretto, sciogliendolo leggermente.

Poi gli mise una mano dietro il collo, attirandolo leggermente verso di sé e posando le proprie labbra sulle sue.

Fu solo un secondo, poi si separò e leccò il labbro inferiore, pensieroso.

“Pensavo che gli impiegati di banca avessero un brutto sapore, ma mi sbagliavo” gli disse, con un sorriso, come se fosse soddisfatto. Hikaru lo vide gettare a terra il mozzicone e schiacciarlo, prima di tornare verso la porta. “Allora ti chiamo... Hikaru” aggiunse, tornando dentro.

L’altro rimase immobile.

Poi, lentamente, si portò una mano sulle labbra.

Avrebbe voluto evitare di sorridere, perché sapeva che non era il caso, ma non ci riuscì.

Sorrise, perché la sensazione del suo tocco su di lui, della pelle delle sue mani che ancora sembrava bruciare sulla sua, del suo bacio, gli avevano lasciato addosso una sensazione che non provava da anni, ormai.

Sorrise, perché il sapore di Inoo Kei gli era piaciuto, ed era certo che ci si sarebbe facilmente potuto abituare.

Smise di sorridere, perché sapeva che tutto quello era solo una bella fantasia, che non si sarebbe trasformata in realtà.

Eppure, aver avuto i suoi cinque minuti di gloria gli sembrò un ottimo risultato, per quella serata.

*****

Tornò a casa più di due ore dopo.

Rientrato dentro il bar, Inoo aveva evitato il suo sguardo, e così aveva fatto lui.

Nessuno dei due aveva dato mostra di quanto fosse accaduto poco prima.

Takaki l’aveva guardato perplesso, chiedendogli più volte che cosa fosse successo, ma lui si era rifiutato di rispondergli.

Non era necessario che sapesse e, anche nel caso in cui avesse voluto renderlo partecipe di quegli ultimi minuti, non avrebbe comunque saputo cosa dirgli.

Davanti alla porta di casa, sospirò.

Non voleva rientrare.

Avrebbe voluto prendere il biglietto da visita che era ancora nella sua tasca, afferrare il cellulare e comporlo, senza nemmeno pensare a che cosa avrebbe detto a Inoo se avesse risposto.

Pensavo che gli impiegati di banca avessero un brutto sapore, ma evidentemente mi sbagliavo.

Sorrise.

Mise velocemente la mano in tasca, deciso nel seguire quel momento di follia che lo avrebbe portato a chiamarlo.

L’avrebbe fatto davvero, se la sua mano non fosse entrata in contatto con qualcosa che aveva cercato di dimenticare per tutta la serata.

Sospirò.

Sentì una fitta al cuore.

Perché mentre si rimetteva la fede al dito, non poté fare a meno di pensare alla sensazione della pelle di Inoo Kei addosso a lui.

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