[KAT-TUN/Kis-my-ft2] Don't you ever stop 03 - Kizu iyasu kusuri kimochi ii no

Aug 14, 2012 19:16

Titolo: “Don’t you ever stop” 03 - Kizu wo iyasu kusuri kimochi ii no (È così bella la droga che cura le mie ferite)
Fandom: KAT-TUN/Kis-My-Ft2
Personaggi: Tamamori Yuta, Kamenashi Kazuya, Fujigaya Taisuke, Tanaka Koki, Akanishi Jin
Pairing: Katama, Akame
Warnings: Slash, Chaptered
Word Count: 1.713 fiumidiparole
Rating: R
Prompt: “Your innocence is mine.”
NdA: Storia scritta per la challenge diecielode per la tabella wTunes Desires. Il titolo del capitolo è tratto da “1582” di Kamenashi Kazuya.



~ Don’t you ever stop ~

03 - Kizu wo iyasu kusuri kimochi ii no

Kame si sentiva bene.

Bene come non si sentiva da mesi.

Quando Jin gli aveva aperto la porta, era stato come se tutti i giorni passati a piangere, come se tutto il dolore e tutto il male che gli aveva fatto, fossero improvvisamente spariti.

Jin gli aveva sorriso, l’aveva abbracciato.

Gli aveva detto che gli era mancato, e lui aveva scelto di credergli, perché gli faceva più comodo così.

Non gli aveva lasciato nemmeno il tempo di chiedergli nulla, prima di baciarlo.

Si era lasciato baciare. Ovviamente.

Aveva lasciato che lo toccasse, che lo portasse in camera da letto, che lo spogliasse e lo facesse ricadere sul materasso.

L’aveva guardato e aveva sorriso, e se anche Kazuya avesse avuto delle remore, in quel momento sarebbero del tutto sparite.

“Dio, Kazu... quanto mi sei mancato.”

E ancora gli aveva creduto, ancora aveva deciso che non gli importava che cosa era successo a loro due, né del fatto che Jin fosse un uomo sposato, che aspettasse un figlio.

Quello non era il suo Jin, continuava a ripetersi.

Il suo Jin era quello che lo stava toccando, che lo stava facendo eccitare, come soltanto lui era in grado di fare.

Il suo Jin era quello che lo prese senza quasi prepararlo, brutale, e lui non perse neanche tempo a lamentarsi, perché in fondo quella brutalità era ciò che gli serviva per sentire davvero che erano insieme, di nuovo, che tutto quello che era accaduto non aveva nemmeno scalfito il loro legame che, Kame aveva sempre pensato, era più profondo delle stronzate di Akanishi.

Era così, in fondo, che l’aveva sempre vista.

Aveva sempre pensato che anche Jin lo amasse, ma che semplicemente non fosse tagliato per il rapporto di coppia.

Gliel’aveva detto infinite volte.

Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo.

Così tante che alla fine si sarebbe sentito pazzo a non crederci.

Così tante che non gli importava di quanto gli altri gli dicessero che l’aveva sempre e solo preso in giro, lui voleva crederci, perché loro non erano lì in quel letto, loro non c’erano stati quando lui e Jin erano stati felici, insieme.

Loro non lo conoscevano così come lo conosceva lui.

Per questo Kame riusciva ancora a stargli accanto e ad averne sempre più voglia, e riusciva a passare oltre le peggiori cose che il più grande potesse fargli.

Perché, in fondo, sapeva che loro due si amavano, punto e basta.

Ovunque fossero, con chiunque fossero.

Jin era sempre da lui che tornava.

Era così da dieci anni, da quella loro prima volta ad Okinawa, da quando Kazuya aveva intossicato la propria vita con la sua presenza che andava avanti in questo modo, e non avrebbe gettato al vento dieci anni della sua vita e tutto ciò che lo rendeva felice soltanto perché Akanishi non era in grado di stargli accanto come lui avrebbe voluto.

“Jin, io non... non lo so se sono sicuro.” il più piccolo stava seduto in un angolo della tenda, tenendosi le ginocchia strette al petto, come per coprirsi.

Non si piaceva, del resto.

Non gli piaceva il proprio corpo ossuto, non gli piaceva il proprio viso dai lineamenti così squadrati.

Provava un vago senso di nausea ogni qualvolta in cui si guardava allo specchio, ed era per questo motivo che si mostrava così ritroso.

Ma Jin, d’altro canto, non vi aveva mai fatto troppo caso.

Gli prestava attenzioni, gli diceva sempre che gli piaceva, e Kazuya si era quasi convinto che fosse sincero.

Quando quella sera gli aveva detto che voleva fare un passo avanti nella loro relazione, tuttavia, aveva avuto paura.

Non gli aveva mai chiesto se avesse già fatto sesso, ma supponeva di sì.

Temeva di essere inadeguato. Temeva di non essere abbastanza per lui, temeva che lo lasciasse, che gli dicesse che, in fin dei conti, non gli interessava come pensava.

Eppure Jin insisteva, e gli sorrideva, e...

“Kazu, sta tranquillo. Vedrai che andrà tutto bene.” l’aveva rassicurato, e quella era stata la prima volta in cui Kame aveva portato se stesso a credergli.

Si era lasciato abbracciare, e toccare, e passato il disagio iniziale si era reso conto di quanto gli piacesse in effetti avere quelle mani addosso.

Si era lasciato andare, semplicemente.

Aveva trattenuto le lacrime quando il più grande era entrato dentro di lui, e aveva cercato di sopportare stoicamente il dolore, perché non voleva che Jin ne ridesse.

Ma gli era piaciuto.

L’aveva fatto sentire come se lo amasse davvero, come se esistessero soltanto loro due al mondo, come se tutto cominciasse e finisse lì, in quella tenda troppo stretta dove Akanishi doveva per forza stringersi a lui, tenerlo vicino a sé.

Gli aveva dato quell’innocenza di cui non aveva mai sentito la necessità, gliel’aveva data perché non c’era altra persona al mondo che avrebbe voluto se la prendesse.

Voleva che la propria innocenza fosse sua, perché credeva che questo in qualche modo li legasse per sempre.

A Kame, tutto il resto non importava.

Kazuya ripensava spesso ad Okinawa, forse più di quanto non avrebbe dovuto.

Era stata la prima volta che lui e Jin avevano fatto sesso, e la prima volta che gli aveva detto che lo amava.

E per quanto ora fosse tutto diverso, lui continuava a sentirsi quel ragazzino inadeguato che era allora, perché anche Jin, in fondo, era sempre lo stesso.

Si spostò dalla sua parte del letto, posandogli il mento sul petto e sorridendogli, sincero dopo mesi.

“Sei sempre uguale, Kazu” gli disse il più grande, accarezzandogli lentamente la testa, ridacchiando quando lo vide chiudere gli occhi e crogiolarsi in quel tocco.

“Mi sei mancato. Tutto qui” gli rispose l’altro, mettendosi più comodo su di lui, cercando il maggior contatto possibile con quella pelle ancora leggermente sudata.

Rimasero in silenzio per svariati minuti, fino a che Kame non alzò la testa, guardandolo con aria quasi nervosa.

“Jin... perché mi hai chiamato, oggi?” gli domandò allora, decidendo che voleva sapere.

Non che volesse qualcosa di brutalmente sincero.

Aveva chiesto perché sapeva che Jin non l’avrebbe ferito, perché sapeva che non era sua intenzione farlo.

Non in quel frangente, almeno.

“E tu perché sei venuto?” ribatté, alzando un sopracciglio. “Ora ti frequenti con Tamamori, no?” chiese, corredando il nome del più piccolo con un verso sarcastico.

“Lui non conta” fu lesto nel rispondere Kazuya. “Voglio dire... mi piace, Yuta. Mi trovo bene con lui e tutto il resto, ma... non è te” si affrettò a precisare, mordendosi un labbro. “Ti amo Jin, e non posso amare lui.”

Akanishi si passò una mano davanti agli occhi, muovendola in cerchi concentrici sulle tempie come per prevenire un’emicrania.

“Smettila, Kazu. Non dire cose di cui poi potresti pentirti” lo avvisò, mettendosi più comodamente a sedere e facendolo così spostare.

“Non mi potrei mai pentire di dirti che ti amo, perché è così” insistette l’altro, testardo.

Jin annuì, piano, come se prendesse atto della cosa.

“Le cose sono diverse ora. Ho delle responsabilità. Possiamo... possiamo vederci, di tanto in tanto. Possiamo fare sesso. Ma non possiamo avere una relazione, Kame. Questo è tutto quello che posso offrirti” gli disse, come se stesse contrattando.

Kazuya aveva voglia di piangere, ma non lo fece.

Era ancora quel ragazzino che non voleva deludere Jin con sentimentalismi inutili.

Era ancora quel ragazzino che piangeva quando lui era lontano, che smetteva di mangiare, che si faceva del male per superare quello che era l’altro a fargli.

Era ancora quel ragazzino dipendente da una droga che non voleva sconfiggere, e ora che Jin era accanto a lui e gli offriva briciole del suo tempo, Kame non poteva fare a meno di raccoglierle come se stesse morendo di fame.

“D’accordo. Non... non è un problema. Possiamo vederci quando vuoi, io...” sospirò, passandosi la lingua sul labbro inferiore. “Sono a tua disposizione, Jin” concluse, chinando lo sguardo.

Il più grande rise, attirandolo a sé.

“Come sempre, vero Kazu?”

“Come sempre” rispose l’altro, in un mormorio.

Ed era così.

Per Jin, lui, ci sarebbe sempre stato.

***

Quando tornò a casa, quella sera, non riusciva nemmeno a pensare al fatto che Tamamori lo stesse aspettando.

L’aveva quasi dimenticato.

Aveva dimenticato della sua esistenza, aveva dimenticato di quella strana relazione, e aveva dimenticato di sentirsi in colpa.

Perché doveva?

Era felice, e questo gli era sufficiente per dimenticare tutto il resto.

Quando entrò in salotto, trovò il più piccolo accovacciato sul divano, le ginocchia strette contro il petto e lo sguardo fisso nel vuoto.

Non lo posò su di lui nemmeno quando gli si mise di fronte.

“Ho provato a chiamarti, ma avevi il telefono staccato. Dove sei stato?” domandò, quasi assorto.

Kame riuscì a malapena a scorgere la sua espressione, e non gli piacque affatto.

Non gli avrebbe mentito, non poteva.

Non avrebbe avuto senso, perché Yuta sapeva che cosa aspettarsi, era sempre stato chiaro in merito, e non meritava anche le sue menzogne.

“Sono stato da Jin” gli rispose allora, lasciandosi ricadere sulla poltrona del salotto.

Il più piccolo aggrottò le sopracciglia, e anche così non riuscì a mascherare di avere gli occhi lucidi.

“Oh.” disse soltanto, per poi annuire una o due volte, come a dire che capiva.

“Abbiamo...” provò ad iniziare l’altro, venendo subito interrotto.

“Posso immaginare quello che avete fatto, Kazu. Grazie” mormorò, passandosi una mano davanti al viso.

Kame avrebbe voluto potergli dire qualcosa in più.

Avrebbe voluto potergli dire che gli dispiaceva, che non sarebbe accaduto mai più, che aveva pensato a lui per tutto il tempo, ma non sarebbe stato vero, e l’altro non gli avrebbe creduto.

Rimase in silenzio allora, a fissare lo sfacelo in cui aveva reso Tamamori, a osservarlo piangere in silenzio e sentendosi inutile perché non era in grado di fare nulla per curare quel dolore che era stato lui stesso a creare.

Dopo svariati minuti si alzò in piedi, sospirando.

“Vado a farmi una doccia. Più tardi vieni a letto?” gli chiese, quasi tentennando.

Yuta annuì, lentamente, guardandolo finalmente negli occhi.

“Certo che vengo a letto” rispose, tranquillo, come se non fosse successo niente.

Kame si diresse verso la camera da letto, e stava quasi per entrarvi quando la voce del più piccolo lo fermò.

“Io ti amo, Kazu” gli disse solo, quasi rassegnato.

Strinse la maniglia della porta, forte, fino a che le nocche non gli divennero bianche.

“Lo so, Yuta” mormorò. “Lo so.”

group: kis-my-ft2, kat-tun: akanishi jin, pairing: katama, pairing: akame, kis-my-ft2: tamamori yuta, challenge: diecielode [wtunes desires], group: kat-tun, kat-tun: kamenashi kazuya

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