[KAT-TUN/Kis-my-ft2] Don't you ever stop 02 - Kokoro ni nanika ga tsumatte

Aug 07, 2012 13:15

Titolo: “Don’t you ever stop” 02 - Kokoro ni nanika ga tsumatte (Qualcosa è bloccato nel mio cuore)
Fandom: KAT-TUN/Kis-My-Ft2
Personaggi: Tamamori Yuta, Kamenashi Kazuya, Fujigaya Taisuke, Tanaka Koki
Pairing: Katama
Warnings: Slash, Chaptered
Word Count: 1.538 fiumidiparole
Rating: G
Prompt: “You may be a sinner.”
NdA: Storia scritta per la challenge diecielode per la tabella wTunes Desires. Il titolo del capitolo è tratto da “Kizuna” di Kamenashi Kazuya.



~ Don’t you ever stop ~

02 - Kokoro ni nanika ga tsumatte

Kame non aveva voglia di parlare.

E lo trovava alquanto strano di per sé, perché nel bene o nel male lui aveva sempre voglia di parlare.

Tuttavia era intelligente abbastanza da rendersi conto di quando la cosa potesse ritorcerglisi contro, ed erano quelli i rari momenti in cui avrebbe preferito rimanere in silenzio.

E in quei momenti, era Koki che si premurava che ciò non accadesse.

Era seduto sul divano di casa sua, con lo sguardo perso nel vuoto; quando Koki gli aveva detto di andare a cena da lui avrebbe dovuto immaginare che ci fosse qualcosa che non andava, ma non aveva fatto troppe domande e si era presentato comunque.

Ora, fra sé e sé, si pentiva di non essersi fermato a ponderare meglio su quella decisione.

“Kame... dobbiamo parlare.”

E lui si era sentito come un bambino di fronte alla madre: aveva fatto una smorfia ed era andato a sedersi sul divano, docile, in attesa della ramanzina.

“Andiamo Koki, che cosa ho fatto questa volta?” gli chiese, con tono alquanto spazientito, dato che il più grande sembrava non volersi decidere a parlare.

“Ho parlato con Taisuke” gli rispose questi, afferrando la birra sul tavolino di fronte a lui e dando un sorso, guardando l’amico con espressione eloquente.

Kazuya aveva capito dove andasse a parare il discorso, e d’altro canto se l’aspettava anche.

Scelse, tuttavia, di fingere di non comprendere.

“E allora? Che cosa ti ha detto?” domandò, alzando un sopracciglio. Tanaka gli scoccò un’occhiataccia, protendendosi in avanti a posando i gomiti sulle ginocchia, prendendosi poi la testa fra le mani.

“Devi chiudere con Tamamori, Kame” fu diretto, forse anche più di quanto Kamenashi si sarebbe aspettato.

Non gli rispose subito.

Fece un sorriso sarcastico, scuotendo la testa e incrociando le braccia sul petto, fissando l’altro con espressione quasi assente.

“Non vedo perché dovrei.” si limitò a dire, sbuffando poi leggermente. “Non so che cosa ti abbia detto Fujigaya, ma le cose fra me e Yuta vanno benissimo, per cui non vedo per quale ragione io e lui ci dovremmo lasciare” concluse, con una scrollata di spalle.

Koki alzò un sopracciglio, posando nuovamente la propria birra.

“Kazu, parliamoci chiaro... tu non lo ami” gli disse, e il tono era già meno accusatorio, quasi... compassionevole.

E Kame non voleva la sua compassione, né vedeva per quale ragione avrebbe dovuto meritarsela.

“Certo che lo amo, o altrimenti non ci starei insieme. E comunque, anche se fosse, non vedo come la cosa possa riguardare te o Fujigaya.”

Quell’ultimo commento probabilmente colpì Koki, il quale si alzò con uno scatto dal divano, per andargli più vicino.

“Fujigaya vuole bene a Tamamori, e gliene voglio anch’io. È affar nostro nel momento in cui tu decidi di stare con lui sapendo che ti ama mentre stai ancora pensando a Jin” sibilò, a soli pochi centimetri di distanza dal viso del più piccolo.

Kame rimase impassibile, e non avrebbe saputo dire se fosse per choc o per reale indifferenza.

Non gli piaceva sentirlo nominare.

Eppure non faceva alcuna differenza. Che lo si nominasse o meno, che vedesse qualcosa che glielo ricordasse o meno, ci pensava in continuazione.

Pensava a lui anche mentre era con Tamamori, su questo Koki aveva perfettamente ragione, ma non lo faceva mai di proposito.

Semplicemente sentire delle mani addosso, sentire delle labbra sulle proprie, sentirsi così vicino a qualcun altro, gli richiamava alla mente ogni singolo momento che aveva passato con Jin, perché lui era stato tutto quello che conosceva prima di Yuta, perché lui c’era sempre stato, perché lui sarebbe sempre rimasto una parte di sé, che lui lo volesse o meno.

E, tutto sommato, forse lo voleva.

Forse voleva continuare a pensarlo, forse non voleva ancora separarsi dal ricordo di ognuno di quei momenti passati insieme. Ed era certo che fosse proprio quello che Koki volesse fargli pesare.

“Se Yuta a qualcosa da dirmi” rispose dopo qualche minuto di silenzio, quando fu certo che il suo tono sarebbe risultato sufficientemente indifferente. “Dovrebbe essere lui a parlarmene, non credi?”

Koki fece un verso sarcastico, scuotendo ripetutamente la testa.

“Andiamo Kazu, sappiamo benissimo entrambi che non lo farebbe mai. Perché ti ama, nel caso in cui ti fosse sfuggito questo dettaglio. E non è giusto che tu te ne approfitti unicamente per questo” gli disse, con aria quasi disgustata, e fu questo quanto bastò a Kame per fargli definitivamente perdere la pazienza.

“Senti, ci sto provando, ok?” urlò, passandosi le mani fra i capelli. “Ci sto provando a fare il fidanzatino perfetto, ci sto provando a non farlo soffrire, sto...” sospirò, mordendosi un labbro. “Sto provando ad amarlo. Ma non è così semplice, e lui questo lo sapeva perfettamente quando abbiamo iniziato ad uscire insieme, per cui adesso l’ultima cosa di cui ho bisogno è che mi si faccia la paternale sulla mia vita e sulle mie scelte. Yuta ha accettato il rischio, e sa come mi sento. Per cui... beh, è affar suo se ha scelto di rimanere comunque con me. Se lo fa sentire felice, meglio per entrambi, non ti pare?”

Koki non gli rispose.

Rimase a guardarlo con quell’espressione di puro disprezzo, limitandosi a scuotere la testa di tanto in tanto.

Kame detestava quello sguardo accusatore, e detestava la sola idea di quello che l’amico stesse pensando di lui.

Si diresse verso l’ingresso, afferrando la propria giacca ed aprendo la porta, rimanendo in attesa qualche secondo che l’altro cercasse di fermarlo.

Koki invece lo raggiunse lentamente, rimanendo distante da lui, senza smettere di squadrarlo.

“Vorrei solo che ti ascoltassi quando parli, Kazu” gli disse, quasi sconsolato.

Il più piccolo non trovò necessario commentare oltre.

Uscì da quell’appartamento, chiamando un taxi e facendosi poi portare a casa di Yuta.

Aveva bisogno di vederlo. Aveva bisogno di quella sua espressione rilassata quando erano insieme, aveva bisogno di sentirlo accanto, di vedere la felicità sul suo volto, che fosse reale o meno.

Aveva bisogno di credere che quanto gli aveva appena detto Koki non fosse la verità.

***

Kame non avrebbe dovuto nemmeno pensarci.

Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva ad allontanare la propria mente da quel chiodo fisso.

Continuava ad avere in mente le parole che Koki gli aveva detto pochi giorni prima, e non poteva fare a meno di odiarsi perché i fatti non stavano facendo altro che dargli ragione.

Quando aveva letto la mail si era sentito schifosamente felice.

E per quanto continuasse a ripetersi che era sbagliato, che non era così che doveva sentirsi, che avrebbe solo dovuto ignorarlo, non ci era riuscito.

Jin era a Tokyo.

Jin era a Tokyo, gli aveva mandato una mail, gli aveva chiesto di vedersi e...

E lui avrebbe voluto dire che non sapeva cosa fare e come comportarsi, ma la realtà era che da mesi si era quasi consumato nella voglia di vederlo, e ora che ne aveva la possibilità non se ne sarebbe privato solo per fingere di avere un orgoglio.

Non gli importava di quanto gli aveva detto Koki, non gli importava di quello che sarebbe accaduto dopo, e si era rifiutato di pensare a Yuta, convinto che dopo avrebbe fatto i conti con la propria coscienza.

Ma dopo, sarebbe successo tutto poi, perché in quel momento tutto quello che desiderava era vedere Jin, toccarlo con mano, vederlo di fronte a sé dopo tutto quel tempo e capire che cosa era successo, che cosa li aveva allontanati, cosa...

Rigirandosi fra le mani il cellulare, con ancora la mail di Jin aperta, Kame sospirò.

Non aveva bisogno di fare domande, in fondo.

Non ne aveva bisogno perché Jin non avrebbe risposto, e perché in fondo sapeva anche quali queste risposte fossero.

E non aveva voglia di sentirsele sbattere in faccia, così come il più grande si era sempre divertito a sbattergli in faccia la verità quando non aveva più avuto bisogno di lui.

E ancora non gli importava, e ancora non ne aveva avuto abbastanza, perché c’era sempre e solo stato lui, e Kazuya non avrebbe ascoltato nessuno, perché sapeva già cosa gli avrebbero detto e non se ne sarebbe comunque curato.

Che si sarebbe fatto del male. Che Jin l’avrebbe solo usato, come al solito, e che poi sarebbe nuovamente sparito.

Che loro poi non avrebbero raccolto i cocci.

E questa volta avrebbero aggiunto che avrebbe ferito Tamamori, e pur disgustato da se stesso Kame non riusciva a pensare nemmeno a questo come a un deterrente.

Voleva bene a Yuta, gliene voleva davvero. E aveva anche cercato di imparare ad amarlo, ma non sarebbe mai stato per lui una droga come invece lo era Akanishi.

Kame aveva bisogno di lui come dell’aria che respirava, ed era disposto a sacrificare tutto ciò che aveva per averlo, a diventare un peccatore, a ferire tutti coloro che gli erano stati accanto.

Perché lui era tutto quello che contava, ed era stato Jin stesso ad insegnarglielo, un insegnamento di cui portava ancora le cicatrici, ma che era rimasto impresso nella sua mente negli ultimi dieci anni, e niente ormai l’avrebbe estirpato.

Fece più fermamente presa sul cellulare, leggendo la mail per l’ennesima volta, e ritrovandosi contro ogni previsione a sorridere.

Arrivo. scrisse soltanto.

E da quel momento non sarebbe più esistito nulla per lui.

Stava andando dall’uomo che, nonostante tutto, avrebbe per sempre amato.

group: kat-tun, group: kis-my-ft2, pairing: katama, kis-my-ft2: tamamori yuta, challenge: diecielode [wtunes desires], kat-tun: kamenashi kazuya

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