Perché le poche volte che ripasso vengo pervasa dall'ispirazione che mi butta addosso
alister09 quando aderisce a community di scrittura tentatrici.
Titolo: Cento anni
Fandom: Heroes
Personaggi: Sylar, Claire
Rating: verde
Parole: 262
Generi: Romantico, introspettivo
Prompt: 1. Il vuoto lasciato dal tempo
Note dell'autore: Ambientato dopo - molto dopo - la fine della serie.
Ogni volta che lo guarda, vede un mostro. Claire non si è mai fatta scrupoli a nascondergli il rancore nei propri occhi, anche dopo cent'anni.
“Sylar,” sibila con ostilità quando se lo trova davanti.
“Sono Gabriel,” le ricorda lui. Sylar ha smesso di esistere da quando Gabriel ha aiutato Peter a salvare il mondo. Ma per lei non c'è mai stata differenza. “È da un po' che non ci si vede.”
Visti da lontano e da occhi sconosciuto potrebbero sembrare amici.
Claire si siede sulla panchina e posa la sua ventiquattrore sulle gambe. “Tre anni o giù di lì,” dice atona. Per due come loro tre anni sono una piccolezza.
Gabriel le si siede accanto. Claire potrebbe attaccarlo, ma ha smesso da tempo di farlo - sa che sarebbe un'inutile perdita di tempo - eppure l'istinto di difendersi sussiste quando, con sospetto, lo vede estrarre dallo zaino un mazzo di fiori.
“Sono per Peter e gli altri,” le spiega.
Peter e gli altri, pensa Claire. Sono passati cinquant'anni d'anni dalla loro morte. Il tempo si è preso la loro vita, mentre a Claire ha lasciato solo un vuoto inestinguibile. È un vuoto che, finora, ha fatto più male di tante ferite a morte a cui è sempre scampata.
“Devo tornare a lavoro,” dice. È una scusa, Gabriel lo sa, ma fa finta di nulla.
Passeranno anni, decenni, forse secoli al loro prossimo incontro: col tempo spera che Claire impari a perdonarlo, nella migliore delle ipotesi ad amarlo, e il vuoto di entrambi verrà riempito una volta per tutte.
Gabriel aspetta, come ha sempre fatto. Ha tutto il tempo a disposizione.
Titolo: Mind prison
Fandom: Silent Hill - The Room
Personaggi: Henry
Rating: rosso
Parole: 680
Generi: Horror, psicologico
Prompt: 2. Terrore nella notte
Note dell'autore: Ho sempre immaginato quel che poteva esserci, quel tocco di pazzia, prima dell'inizio del gioco; quel motivo che ha portato Henry alla rassegnazione e al distacco che lo contraddistinguono dai personaggi degli altri capitoli del gioco.
Quando apre gli occhi, il soffitto che vede non è quello di camera sua.
Le mattonelle su cui è sdraiato sono sporche e dure. Il muro è pieno di crepe. La stanza è buia. Non ci sono porte, solo lavandini e gabinetti.
A tentoni, Henry si avvicina allo specchio e apre il rubinetto. Non ricorda come è arrivato lì. Si lava la faccia, per pensare meglio.
Puzza.
Un tanfo orribile gli violenta le narici.
È viscido, denso.
Sgorga dalle dita.
Quel che esce dal lavabo è sangue.
Henry si ritrae sconvolto e chiude il rubinetto, ma il sangue continua a sgorgare schizzando a fiotti da ogni poro delle mura. In pochi minuti riempe la stanza.
Henry nuota in cerca di un'uscita. Se c'è una perdita c'è un cunicolo, pensa, e spera che sia abbastanza grosso da passarci. Tocca ogni angolo alto delle pareti, ma non trova niente. Il livello del sangue sale sempre più.
Il soffitto è a un soffio dalla sua testa. Batte tre colpi urlando aiuto. Il sangue lascia un ultimo spiraglio d'aria, poi lo racchiude in una morsa calda e asfissiante.
Henry contrae i muscoli, serra la bocca, chiude gli occhi.
Quando li riapre, si trova in camera sua.
Si alza col busto ansimando.
Era un sogno.
Si dirige in salotto e prende un bicchiere d'acqua per rinfrescarsi la gola secca. Un suono inaspettato e stridente lo fa sobbalzare: le lancette dell'orologio girano velocemente in direzioni opposte.
Prende l'orologio, batte qualche colpo per fermarlo, toglie le pile, ma le lancette continuano lo stesso a girare.
Lo butta a terra, lo fracassa a suon di calci, di pugni, di quel che trova attorno, urlando, ma le lancette continuano a girare.
Sente perdere le proprie forze. Si inginocchia a terra. Le braccia si sforzano ad alzarsi. Apre i palmi delle mani, e sono nodose e giallastre. Il viso è appesantito da rughe che aumentano d'intensità a ogni secondo.
Il cuore si ferma, i muscoli si tirano. Henry cade a terra e chiude gli occhi.
Quando li riapre, si trova in camera sua.
Ha caldo ed è sudato. Forse è stato l'incubo. Si avvicina alla finestra e prova ad aprirla, ma è bloccata. Si dirige in salone per uscire dalla porta d'ingresso sforzando la maniglia, ma ogni apertura è inaccessibile.
Bussa forte alla finestra della terrazza chiedendo aiuto. Prende la sedia e la getta addosso al vetro, poi il tavolino, ma non lo scalfisce minimamente. Decide di gettarsi lui stesso. Si graffia le spalle, grida, e finalmente riesce a rompere la finestra.
Cade.
Si rialza, e palazzi, macchine, persone, tutta la città è sparita. Tasta del terriccio. Attorno, sagome di alberi alti e sottili. Si trova in un bosco. Qualche metro da lui, un uomo sta tagliando la legna.
Lo raggiunge, mantenendosi la spalla trafitta da schegge. Potrà aiutarlo, o anche stare solo con lui, in silenzio. Così è tutto più sopportabile.
L'uomo lo nota, sorride, e Henry si sente finalmente rassicurato.
Lo sconosciuto gli trancia la caviglia con l'ascia. Henry cade a terra terrorizzato. Fa male. Fa male da morire. È un dolore lancinante, mai provato prima.
Henry cerca di alzarsi appoggiandosi al tronco di un albero. Si allontana saltellando con un solo piede, ma l'uomo lo segue camminando dietro di lui.
Lo ferisce con un altro taglio profondo alla schiena. Henry cade a terra. Struscia in avanti con le braccia, mentre l'uomo lo calpesta e poi lo volta a pancia in su sorridendo.
“Non puoi scappare,” dice. Alza il braccio. La lama dell'ascia brilla sotto i raggi della luna. Lo colpisce allo stomaco, ed Henry urla e piange e sputa sangue. Le radici si aggrappano a lui trascinandolo dentro la terra. Chiude gli occhi.
Quando li riapre, si trova in camera sua.
Rimane per un po' sul letto senza pensare, poi si reca ciondolando verso l'ingresso. Prova ad aprire la porta, senza troppi sforzi, e non si sorprende quando scopre che è chiusa. Lo sconforto lascia spazio a una rassegnazione che gli toglie ogni forza. Si getta di peso sulla poltrona, e con lo sguardo spento di un vecchio apatico guarda oltre la finestra. Aspetta che il sole sorga, ma la notte non finirà mai.
Titolo: Coca Cola
Fandom: Lolita
Personaggi: Lolita, Charlotte, Humbert
Rating: verde
Parole: 218
Generi: Fluff, quotidiano
Prompt: 7. Ghiaccio nero
Note dell'autore: Visto che il libro è quasi tutta sofferenza e ironia, ho voluto trovargli un momento fluffo. Comunque amo quel libro proprio per la sua sofferenza e ironia.
“La Coca Cola no!” urla Charlotte, “è tutta una robaccia chimica che fa gonfiare la pancia! Vuoi diventare grassa?!”
Dal tavolo della cucina, all'angolo più lontano, Humbert Humbert mette lo zucchero nel caffè e guarda Lolita arrovellarsi con un ciuffo attorcigliato al dito.
“Come sei pallosa.”
“Dolores, ragazzaccia indisponente, sai soltanto imbestialirmi!”
“Non ne compri mai. Una volta ogni tanto non fa mica male.”
“A casa nostra non le voglio le schifezze, solo cibo sano!” urla chiudendo con impeto il frigo. “E ora va' a studiare!”
Humbert vede sparire Lolita dalla cucina, e le parole dispiaciute e affettuose di sua madre - anche la carezza che gli lascia sulla spalla - non distolgono il suo sguardo amareggiato dal corridoio vuoto.
Quando finisce il caffè e Charlotte se n'è andata, Lolita si affaccia sotto lo stipite della porta.
Apre il freezer e prende il contenitore del ghiaccio. I cubetti all'interno sono neri come il caffè.
“Mamma guarda soltanto nel frigo,” dice con una nota di divertimento.
Ragazzaccia, pensa con felicità Humbert. È una peste dal corpo troppo giovane e tornito per occuparsi delle preoccupazioni adulte di celluliti e pance gonfie.
Si infila un cubetto di Coca Cola in bocca e sorride.
Humbert gira il cucchiaino nella tazzina fingendo che il caffè non sia finito, solo per vederla masticare goffamente e divertirsi.
Titolo: L'ultimo saluto
Fandom: Corto Maltese
Personaggi: Corto Maltese, Shanghai Lil
Rating: verde
Parole: 178
Generi: romantico, triste
Prompt: 9. Sensazione di perdita
Le risaie dell'Indocina si innalzano sopra i suoi occhi. Era da diversi anni che Corto Maltese non ci tornava.
Lei è tra lui e il panorama, Shanghai Lil, ancora più piccola e minuta con le spalle incurvate in avanti.
“E ora che un'altra avventura è finita, che farai, Corto?”
Una folata di vento freddo lo percuote, ma Corto rimane con la schiena ritta e le braccia conserte, nella contegnosa eleganza che lo distingue sempre.
“Un'altra avventura, suppongo,” dice sorridendo. “Altri nemici e tesori da scovare. Sono un gentiluomo di fortuna, questa è la mia vita.”
Una sua stessa smorfia gli ricorda che l'ultimo tesoro gli è scivolato dalle mani qualche giorno prima, ma che importa?, il mondo ne è pieno, e quelli perduti possono essere rinvenuti in qualunque momento.
Ma qualcosa, ora lo sa, andrà perduto per sempre.
Shanghai Lil volta lo sguardo verso suo marito, che le fa cenno di seguirlo. Saluta il marinaio chiudendosi in un abbraccio infreddolito, e per la prima volta le gambe di Corto Maltese vacillano.
Lei era forse il tesoro più inestimabile di tutti, e non tornerà più.
Titolo: Un ramo spezzato
Fandom: Mulan
Personaggi: Shang, Mulan
Rating: G
Parole: 219
Generi: introspettivo, romantico
Prompt: 8. Realtà mozzafiato
Note dell'autore: Ambientata dopo l'attacco agli Unni, al risveglio di Mulan.
È una donna. La notizia gli affonda nell'animo come una stalattite inaspettata nel ventre.
Mulan lo guarda mestamente forse scongiurandogli un perdono, forse cosciente di non meritarlo.
Si inginocchia nascondendosi su se stessa con le braccia nude che si districano dal freddo della neve. Somiglia a un ramo spezzato in mezzo a una bufera.
Shang la guarda, e non trova le parole. La spada in mano sta per potare l'ultimo ramoscello marcito.
È un disonore, una donna che combatte una guerra fatta di soli uomini. La lama trema verso l'alto, aspetta di cadere e assettare tutte le ignominie.
Ogni cosa dovrà tornare pulita come la neve che sta cadendo.
La spada gli scivola dalla mano di fronte a Mulan, che alza di nuovo lo sguardo strabuzzando gli occhi.
“Una vita per una vita,” le dice Shang. Lei sembra più sorpresa che riconoscente.
I capelli si spettinano al suono del vento e una smorfia colma di troppe emozioni le scompone il viso stanco, prima che il generale le dia le spalle incamminandosi alla capitale.
Shang sa che di Mulan non rimarrà che un'anima in pena sotto i panni del vecchio Ping, eppure, su quel ramoscello rinsecchito e rattrappito, gli sembra di aver visto un bellissimo fiore di ciliegio aprirsi davanti ai suoi occhi, scaldandogli il cuore come nessuna primavera era riuscita prima.
Titolo: La montagna che cammina
Fandom: Avatar - La leggenda di Aang
Personaggi: Zuko
Rating: verde
Parole: 319
Generi: introspettivo
Prompt: 13. Lasciato indietro
A Zuko suo padre sembra una montagna maestosa e insormontabile. Dal piccolo dei suoi sette anni riesce a scorgergli solo la schiena larga, il chignon impreziosito di gioielli e la grande mano che sfiora sempre la testa di sua sorella. Anche lui vorrebbe essere toccato.
Ozai e Azula camminano l'uno di fianco all'altra. Lei riesce a tenergli il passo, perché lui che è più grande no?
Il tintinnio degli orecchini di sua madre, il suono più gentile del giardino, si avvicina a Zuko; due braccia sottili lo sollevano fino a trasportarlo al petto.
La donna gli sorride e lo accompagna da suo marito.
Sono insieme, adesso, anche se Ozai non lo guarda.
Tutti e quattro insieme, come una famiglia.
Ora che la madre se n'é andata, Zuko ha qualche anno di più, le gambe più lunghe e tornite, eppure suo padre è ancora a venti passi da lui. Non riesce neppure a sentire quel che si dicono lui e Azula.
Gli fanno male i piedi, sebbene le passeggiate ai giardini sono meno estenuanti degli allenamenti.
Si ferma davanti alla fontana, soffocando un gemito di fatica, e li guarda andarsene via.
A volte, nel silenzio della natura che dorme, gli sembra di sentire il tintinnio degli orecchini di sua madre.
Stringe i pugni, le gambe scattano e lo fanno correre come un disperato. La via acciottolata in discesa lo fa inciampare e ruzzolare lungo tutta la collinetta.
Quando cade a terra sbucciandosi le ginocchia, Ozai finalmente lo nota e non nasconde il disgusto per quel volto sporco, la goffaggine del figlio e i vestiti impolverati. Non lo rimprovera né lo aiuta ad alzarsi: torna semplicemente a passeggiare con lo stoicismo di qualche secondo prima, celando di nuovo a Zuko quegli occhi che, anche se colmi di disprezzo, per il figlio sono ciò che si trova oltre la montagna.
Zuko trattiene le lacrime, si pulisce il naso col braccio e ritorna a camminare.