[Final Fantasy VII] Nessuno prega a Midgar ~ Tseng/Aeris

Jan 31, 2010 22:45

Titolo: Nessuno prega a Midgar
Fandom: Final Fantasy VII
Pairing: Tseng/Aeris
Genere: Introspettivo, Erotico, Sentimentale
Raiting: Decisamente rosso...
Conteggio parole: 5000
Note: Tante descrizioni di sesso, tanti argomenti sacrileghi più rapporto sessuale con minorenne... e va be', è il P0rn Fest, dopotutto.
Prompt: Chiese

Aeris, sorriso furbo, piccola imprudente. Ha gli occhi grandi e la bocca piccina. E' graziosa, spudorata, vacilla nell'età tra un adulto e un bambino, ha quindici anni e mezzo. A volte si balocca come una bambinetta, a volte è una signorina silenziosa e composta che coltiva i fiori con premura e altre volte è tutt'e due le cose.
Come adesso, per esempio, che gioca a fare la donna indossando una lunga gonna di raso rossa e bianca, a sbuffo, e delle scarpette di tela da ballerina che rivelano una femminilità infantile, non ancora sbocciata. Quel vestitino non è un abito elegante, le ballerine che calza non sono scarpe coi tacchi, è tutto ancora troppo frizzante e colorato per essere maturo.
Per giocare meglio a fare la donna si siede vicino a lui, sul divanetto in mogano con il tessuto verde, troppo grande per una persona e troppo stretto per due. Così accavalla le gambe per stare meglio, la gonna ricade all'indietro, svela una porzione delle mutandine a righe.
Non è un'azione deliberata, la Aeris delle strade è più pudica, cammina con estrema cautela per nascondere le gambe. Qui, invece, nel suo salone, è abituata a mostrarsi all'uomo che conosce fin da bambina. Con Tseng si permette delle libertà che non ha con nessun altro, come se tra i due intercorresse una familiarità tra consanguinei.
Tseng ha ventisette anni, al contrario di lei è già un uomo, e oggi è l'uomo che si è accorto della ragazza, della sua parte di donna, anche se solo accennata. E' uno strozzino e un sicario, ma Aeris non lo sa, non lo immagina neppure, come non immagina assolutamente quel che vorrebbe farle sul divano in mogano, quel primo pomeriggio afoso, nel solleone.
Lei ha un mandarino in mano, lo tira in aria e lo riafferra al volo un paio di volte, sbuccia lo strato più alto, ci incide sopra una stella sbilenca con le unghie.
“Non giocare col cibo,” l'ammonisce Tseng con un tono a metà tra il duro e l'indifferente, come quello di un genitore che sgrida il figlio per aderire a un obbligo comunitario, non perché gli importa veramente. Aeris arriccia il naso, impermalita per la ramanzina. Continua a fare ciò che faceva, senza dire niente.
Anche Tseng si permette certe libertà con lei, non le subisce soltanto. Le ruba il mandarino dalle mani e ne mangia due spicchi.
“Ehi!” esclama Aeris, infastidita e divertita, che allunga il braccio per riprendersi il frutto. Si tende verso di lui, verso l'uomo che frappone la mano per difendersi, istintivamente, e le tocca un seno senza volerlo.
“Scusa,” dice. Era uno scusa studiato, calcolato come la strategia di una missione, un assassinio ben congegnato. In questo modo le ha appena detto che adesso è una donna, che ha un seno, che non è più la bambina col fisico acerbo e il petto piatto, e che lui è un uomo e se n'è accorto.
Così, anche se tutto sembra tornare come prima e lei si rimette di fianco a lui, composta, qualcosa cambia.

Sullo stesso divanetto in mogano, giorni dopo, Tseng riposa, gli occhi chiusi, rilassati. Viene svegliato da lei, che sorride smaliziata e non ha un mandarino con cui giocare, quindi si è messa a cavalcioni su di lui, come faceva da piccola.
“Non ti ho invitato a casa per farti dormire,” gli dice. E' una frase ambigua, può voler dire che l'ha invitato per stare con lui e può voler dire che con lui vuol fare dell'altro. La piccola canaglia è una bambina sfrontata e una donna provocatrice.
L'uomo, allora, sta al gioco, ma solo velatamente. Si stiracchia, stende il braccio e la mano, di nuovo, si posa sul suo seno.
“Scusa,” le dice, proprio come la prima volta, ma ora Aeris non è sprovveduta, ha aspettato che questo accadesse già preparata per potergli rispondere:
“Non importa.”
E non è un non importa vero, ma un non importa che vuol dire che non le dispiace, che le piacerebbe che continuasse. La piccola è nell'età della curiosità, la scoperta della sessualità. Non sa cos'è una tastata di tette. Lo scopre con la mano di Tseng, che è di nuovo su di lei, grande abbastanza da prenderle tutto il seno, sodo, acerbo, come una pera raccolta troppo presto.
Aeris sente la porta cigolare e salta in piedi. Sua madre è di fronte a lei che la trova ritta e irrigidita. Poi, guardando a sinistra, si accorge del Turk seduto sul divanetto in mogano.
“Aeris, va' in camera,” le dice Elmyra, prima che la figlia potesse anche soltanto salutarla.
“Perché?” domanda la ragazza indispettita.
“Va' e basta,” la intima la madre perentoria. Aeris fa una smorfietta da bambina, serra i pugni e si avvia per le scale. Quando Elmyra sente la porta della sua camera chiudersi rivolge al Turk uno sguardo significativo, pieno di collera e sgomento.
“Perché è a casa nostra? La ShinRa le ha permesso anche questo, adesso? Si spinge a tanto pur di spiare mia figlia?”
“Non sono ordini impartiti dalla ShinRa,” risponde soltanto Tseng.
“Allora non venga più qui. Non voglio di nuovo vederla in casa mia.”
L'uomo annuisce soltanto, esce in giardino e la porta viene chiusa alle sue spalle.
Arrivato alla staccionata di legno sente il fruscio di alcune foglie. Lassù, sulla parete gialla della casa, c'è una rampicante che si agita a scossoni e sopra di essa, aggrappata in equilibrio precario, Aeris sta scendendo dalla finestra del primo piano. Quando con un salto un po' goffo arriva a terra, si avvicina al Turk e lo bacia sulla bocca sollevandosi sui piedi. E' ancora un po' bassa, non ha raggiunto l'altezza che avrà a diciotto anni, ma di questo lei se ne compiace, in punta di piedi fa somigliare la scena a quella di un film d'amore classico, di quelli in bianco e nero.
E il bacio di lui è lungo, incandescente, che toglie il fiato, proprio da cinepresa.

La prima volta che Tseng le infila una mano sotto le mutandine è nel giardino di lei ed è sera. Per Aeris è tutto inaspettato, nuovo, abbarbicata al muro di casa, che trema come una foglia per il timore e l'eccitazione. Lui capisce che per lei è la prima volta, che mai nessuno le ha infilato una mano lì sotto, così decide che è troppo presto per penetrarla, lascia che le dita le sfreghino il clitoride. Sa dove toccare senza bisogno di guardare, lui, che a ventisette anni ha già avuto le sue svariate esperienze sessuali, non come i ragazzi delle amiche di Aeris che raccontano sempre di dita troppo incerte e troppo violente, di fessure troppo strette. Pensando a ciò lei si sente fortunata, perché ha trovato qualcuno che sa come trattare una donna, e le piace quest'uomo, questo suo essere maturo ed esperto riguardo al sesso. Il timore è scomparso, ora c'è solo l'eccitazione.
Comincia ad ansimare sotto il suo tocco, le sue dita, e non aveva mai provato nulla di simile, non sapeva neppure dove cercarlo qualcosa di simile. Si aggrappa alla spalla di Tseng, lo avvicina a sé, guancia contro guancia. Ed ecco che le gambe si irrigidiscono, tremano, e geme nell'orecchio di Tseng, un gemito che è in realtà un gridolino trattenuto quando arriva finalmente all'orgasmo.
Il Turk le toglie la mano dal sesso, si discosta da Aeris e la guarda, vede il volto arrossato dell'estasi.
“Torna a casa,” le dice, e qui, in questa premura paterna, lei si rende finalmente conto di quanto sia strano quell'uomo, di come riesca a incarnare il ruolo di padre e amante allo stesso tempo.

Quando camminano per strada non si baciano mai, non si toccano neppure, anche solo per prendersi per mano. Sono distanti come lo sono sempre stati. E' nel giardino di lei, la sera, che tutto cambia. Lì non sono più il sicario che sorveglia la ragazza e l'Ancient braccata dalla ShinRa, il lavoro di Tseng finisce alla soglia di casa Gainsborough, e allora diventano amanti.

E' la stessa ora, lo stesso giardino, un giorno diverso. Lei è di nuovo addossata al muro con le gambe leggermente divaricate, il dito di lui che stavolta va più a fondo, s'intrufola nel sesso, nella cavità stretta e vergine della ragazza. E' un estraneo fastidioso, all'inizio, poi Aeris si abitua anche a questo, all'altro dito e alle spinte veloci della mano.
Una scossa di piacere attraversa la schiena di Aeris. L'orgasmo è diverso da quello avuto la prima volta.
L'indice e il medio del Turk, usciti da lei, sono bagnati dei suoi umori e del suo sangue. L'uomo se li pulisce con un fazzoletto cacciato dalla tasca.
E' abituato alle macchie di sangue e sa come levarsele, ma non sono quasi mai derivate dalle rotture di un imene. E' una conseguenza del suo lavoro. La persona che uccide bene sa anche mascherarlo bene.
La ragazza rimane un po' scossa da quella strana scoperta rossa tra le dita del Turk.
“E' normale,” le spiega Tseng. “Ti ho fatto male?”
“No,” risponde lei, poi, sorridendo, pensando già ad altro, fa:
“Mia mamma non è ancora tornata.”
La piccola imprudente segue il percorso dei bottoni sulla giacca dell'uomo col dito, cominciando dal colletto fino al lembo, poi giocherella con la cintura dei pantaloni. C'è una curiosità anelante e un po' indecente che attraversa con un lampo i suoi occhi.
“Come si fa la stessa cosa a un uomo?” chiede. Il Turk si slaccia i pantaloni, agguanta Aeris per il polso e porta la sua mano all'interno di essi, al proprio sesso. Le dice di chiudere le dita, di stringere di più, e lei fa, rafforza la presa. Tseng le muove il braccio in su e in giù, lentamente, e quando sente Aeris muoversi autonomamente le libera il polso, lasciandola continuare da sola.
La ragazza è perspicace, capisce tutto senza bisogno di sapere altro, che dopo una decina di minuti velocizza i movimenti per provocargli più piacere. La mano adesso è agile, sicura. Si blocca solamente quando sente aprirsi e richiudersi improvvisamente la porta d'ingresso di casa alla parete opposta, ma riprende quasi subito, senza badarci ulteriormente.
“E' arrivata tua madre,” le dice Tseng credendo che non se ne sia accorta. In risposta Aeris lo bacia sul collo, salendo sulla linea della mandibola che sa di dopobarba, percorrendola tutta fino al mento. Avverte l'affanno incontrollato del Turk che le solletica la fronte, e se ne rallegra, le piace l'idea di procurargli questa strana euforia.
Intanto Elmyra è entrata a casa, vede le luci spente, non trova la figlia e la chiama a voce alta dal salone, ma la piccola snaturata, anche se la sente, non le risponde, non smette per un attimo di trastullare l'uomo che ha davanti.
“E' rischioso...” le dice Tseng, bloccandola per il polso.
Aeris si svincola bruscamente dalla stretta del Turk e, sorridendo, ricomincia a muovere la mano, riuscendo addirittura a trarre del divertimento dalla pericolosa situazione. E' una piccola canaglia, pensa lui, proprio una piccola canaglia.
Elmyra, allarmata e incollerita, lontana sei pareti più in là e che non riceve risposta, richiama la figlia una seconda, una terza, una quarta e una quinta volta.
Alla sesta Tseng raggiunge l'orgasmo. Emette un gemito più forte degli altri, stringe la ragazza attorno alle spalle con il braccio e le viene nella mano. Aeris si limita ad osservarlo per un attimo con la coda nell'occhio, un misto di stupore e soddisfazione, sguscia dalla sua presa e scappa veloce a casa.
La madre la vede di sfuggita che corre in bagno, la segue a grandi falcate, abbassa la maniglia della porta e si accorge che è chiusa a chiave.
“Dov'eri?!” le chiede adirata da dietro il battente. La figlia non risponde.
“E allora?!”
“Guardavo i fiori, mamma.”
“A mezzanotte?!”
Al silenzio prolungato della ragazza, Elmyra si spazientisce.
“Sei una bugiarda! Che hai fatto fino ad ora?!” urla infuriata. Aeris non dice nulla, non adesso che, molto più importante, è impegnata a levarsi le prove di dosso. Il getto d'acqua del rubinetto è assordante, prorompente, come quella sensazione strana e vischiosa sulla sua mano ancora sporca di sperma.

“Mia mamma si è infuriata per l'altra volta e mi ha proibito di uscire la sera,” gli dice Aeris lungo i vicoli stretti e pieni di botteghe del Settore 6.
“Ha scoperto qualcosa?”
“No,” risponde la ragazza, poi, riflettendo un po', esclama briosa:
“A casa tua nessuno ci disturberà!”
“Casa mia è nell'edificio della ShinRa.”
Aeris si fa seria e arriccia il naso, contrariata.
“Perché sei così ripulsiva? Il Presidente sarebbe contento che tu ci dessi finalmente una mano, lo sai che non è mai troppo tardi per cambiare idea.”
“Non parliamo di questo,” ribatte seccamente la ragazza. Odia quando i loro ruoli diventano quelli del Turk e dell'Ancient.
Per un po' non si dicono più nulla.
Quel pomeriggio Aeris decide di prendere una strada diversa, tanto per fare qualcosa di nuovo, per compensare il fatto che la sera non potrà più stare da sola con lui e tutti i suoi giorni saranno uguali, si susseguiranno come le lancette di un orologio procedendo con un ritmo, una direzione e un moto che non varieranno mai.
La sorpresa arriva per sbaglio, in una stradina polverosa, tra grossi tubi di scarico e baracche disabitate. Lì c'è una chiesa, alta, maestosa, un po' fatiscente.
“Entriamoci!” afferma Aeris concitata indicandola col dito, che si avvicina al portone chiuso e lo spinge con tutte le forze. L'uomo appoggia la mano destra sulla grande anta per aiutarla, e finalmente, con uno scricchiolo sofferto, la porta si apre. La chiesa è costituita da un'unica navata, le colonne ai lati sono robuste e binate, i lampadari di ferro sul soffitto arrugginiti e spenti, in disuso da molto tempo.
“E' gigante,” valuta sbalordita Aeris, sondandola con lo sguardo dal portone d'ingresso fino all'altare in rovina. Tseng mugola apatico, prende una sigaretta dal pacchetto nella tasca della giacca e l'accende.
“Non si fuma in chiesa!” lo rimprovera la ragazza togliendogli immediatamente il rotolino di tabacco dalla bocca.
“Tu non vuoi mai che io fumi,” ironizza l'uomo.
“E' perché non mi piace baciarti quando sai di fumo,” confessa la ragazza, che forse, già grandicella ma non abbastanza, non conosce il significato adulto e istituzionalizzato del termine sacrilego. Così riflette l'uomo, che rimane seriamente sorpreso quando si sente dire, dopo, con un'affermazione che le esce dalla bocca come una normale costatazione:
“E poi, se mi baci in quel posto, saprò di fumo anche lì.”
Tseng ride, una delle poche volte che lo fa di gusto. “Questo non è mai successo.”
Lei sorride, un sorriso che è studiato per sedurre, per provocare, ma che è al contempo il sorriso genuino dei bambini compiaciuti di aver fatto divertire un adulto. Piccola e grande, Aeris è un conglomerato di entrambe queste prerogative, le indossa alla perfezione, senza che una spicchi di più sull'altra, come se facessero parte di un naturale equilibrio che la rappresenta, semplicemente, diversa da ogni altra. E' a questo che pensa Tseng mentre le prende il viso tra le mani.
“Potrei seriamente innamorarmi di te,” le dice in tono di battuta, ma diventa spaventoso per lui realizzare quanto la realtà rincorra lo scherzo in modo fin troppo ravvicinato. E' uno stupido languore, un benessere che non ha un'origine vera e propria, un sentimento che non vorrebbe mai provare per lei, la piccola imprudente e canaglia, che adesso ride anziché rispondergli, come divertita da quell'affermazione.

Tseng decide che è arrivato il momento di dare un taglio al loro gioco. Tutto dovrà tornare come una volta, prima che sia troppo tardi.

Ma non ci riesce, ed è più forte di lui, nonostante se lo ripeta ogni giorno. E' perché Aeris sorride in quel modo, dice cose che nessuno dice mai, ingenua, birichina, spontanea, prepotente. E' la maniera in cui si pulisce la gonna impolverata alzandola tutta di lato e aderendola alle gambe, in cui gli riempe le tasche degli iris del suo giardino, in cui cammina strascicando stanca alle cinque del pomeriggio, in cui si inginocchia di fronte a lui davanti all'entrata del retrobottega di un negozio isolato, una mattina più umida e calda delle altre, per prendergli il sesso già stimolato in bocca, fino in fondo, aggrappandosi al lembo della sua giacca con le unghie laccate di smalto rosa chiaro e adornate di fiorellini colorati. La testa si muove avanti e indietro, i ciuffi sopra la fronte oscillano e nascondono il viso dell'Ancient dallo sguardo di Tseng. Gli ricorda un pomeriggio di sette anni fa, quando al tempo era solo al primo mese di sorveglianza, mentre la vedeva dondolare sull'altalena del parco giochi malandato e trascurato di Midgar. Le sue ciocche si agitavano in aria proprio così.
All'orgasmo l'uomo mugola di piacere, se lo concede visto che nessuno sente nulla in mezzo a tutto quel vociare indistinto di persone lontane due isolati. Aeris si allontana da lui, si pulisce le labbra e il mento col braccio e sorride, quel modo di sorridere che scaturisce qualcosa dal profondo di Tseng. Ogni residuo di lussuria è scomparso, andato via con il seme nella bocca di lei. E' un altro tipo di esigenza che lo smuove.
Aiuta la ragazza ad alzarsi in piedi, la rivolta al muro e le sfila veloce le mutandine, quasi strappandogliele. Aeris si domanda perché mai debba toglierle tutto per ricambiarle il favore come di consuetudine, poi si risponde da sola e, turbata, afferra l'uomo per la spalla.
“C'è... tanta gente qui,” dice, intimorita. Ma il timore non è derivato solo da questo. Tseng intuisce di essersi spinto troppo in là e di essere stato impulsivo. E adesso, lui se ne rende finalmente conto, è davvero troppo tardi. Aeris è il ragno, ma la rete se l'è creata da solo e non può più uscirne. Non può più scappare da quella scomoda verità.

Dal momento che non può più fare altrimenti, Tseng decide di assecondare il desiderio e farla sua. Ma non ci sono occasioni per rimanere soli, Aeris torna a casa prima delle sette di sera e le strade di Midgar non sono mai vuote, c'è spazio solo per qualche ferrovia abbandonata, che pullula spesso di barboni e poveracci d'ogni genere. In fondo chi abita a Midgar è quasi sempre un morto di fame.
Don Corneo, il maiale più conosciuto della metropoli, controlla tutto il giro dei motel ed è una spia in incognito della ShinRa. Per qualche puttana in più andrebbe dal Presidente a dirgli che il sicario della sua azienda se la fa con l'ultima degli Antichi nei suoi letti a due piazze.
Tseng sbuffa e gira veloce il volante, la macchina sterza bruscamente alla ventisettesima strada del Settore 5.
“Eeehi...” fa Reno in tono significativo e divertito dal sedile posteriore, che si sporge in avanti appoggiandosi con le braccia sugli schienali dei posti anteriori. “Quando lo faccio io mi dici sempre di smetterla. Bell'esempio che dai ai tuoi sottoposti, Grande Capo.”
“Penso che dovremmo convincere il Presidente a esonerare Don Corneo dal suo compito di spia,” esordisce Tseng laconico.
“Perché? La miglior compagnia l'ho sempre avuta da lui!”
“Ti piace Don Corneo?” domanda il capo dei Turk con ironia. Il rosso fa una smorfia che è meta divertita e metà indispettita.
“Mi piacciono le donnine di Don Corneo.”
“Fermati là,” si intromette austeramente Rude rivolgendosi a Tseng, indicando un punto della strada col dito. La macchina parcheggia in un vialetto stretto e poco illuminato, poi i tre scendono dalla vettura. Per lo meno il lavoro distrae un po' dai problemi, pensa Tseng mentre toglie la sicura della sua pistola.
Quando entrano al negozio di materie è Reno il primo a sparare. Colpisce il venditore che cerca di scappare dalla finestra, facendolo accasciare sul davanzale, il sangue che sgorga verso l'interno dell'edificio. Rude becca il secondo bersaglio vicino agli scaffali dei prodotti, dritto al cuore. Il terzo lo scova Tseng dietro a una porta chiusa. Un colpo sulla fronte, in mezzo agli occhi, come sa fare meglio.
Ne rimane solo uno, un cliente sfortunato, che si inginocchia terrorizzato a terra abbandonando la merce appena acquistata ai propri piedi.
“Tseng, lui non c'entra niente, vero?” chiede Rude avvicinandosi al disgraziato.
“No,” risponde il capo mentre gira un cadavere a pancia in su per cercare nelle sue tasche.
Reno ripone la pistola nella fondina dei pantaloni, si avvicina al sopravvissuto e gli porge il sacchetto con le materie. “Ti conviene smammare, o gli sbirri ti incrimineranno.”
Ma quello non si muove di un muscolo, paralizzato dal terrore. L'unica cosa che riesce a fare è cantilenare qualcosa tra i denti, ad occhi chiusi, con la voce che gli trema, tesa e vibrante come la corda di una chitarra.
“Ehi, capo!” esclama poi Reno con aria sinceramente sorpresa, ridendo, “questo qui sta proprio pregando! E' la prima volta che becco qualcuno pregare a Midgar!”
Tseng rivolge al collega rosso uno sguardo luminoso, che sa di rivelazione. “E' vero, nessuno prega a Midgar...”
Nessuno prega a Midgar.

Mezz'ora dopo Tseng è già da lei, nel suo giardino di fiori. Aeris si raddrizza con la schiena appena lo vede, con l'annaffiatoio ancora tra le mani. La sta guardando in un modo insolito. Quell'uomo, sempre così sicuro di sé, solenne come una scultura di marmo, ha uno sguardo indeciso.
“Mia mamma è a casa,” lo avverte Aeris. Posa l'annaffiatoio e si avvicina al Turk infilandogli le mani sotto la giacca, arridendo divertita. “Se ti vede qui si arrabbierà di nuovo.”
“A Midgar nessuno va in chiesa,” proclama Tseng. Lei lo fissa facendosi seria, con lo stesso sguardo luminoso che ha utilizzato l'uomo quella mattina.
“Vuoi tornarci con me?” chiede poi il Turk. Aeris capisce le intenzioni dell'uomo, sa che se accetterà dovrà andare fino in fondo, che non sarà come in strada o nel suo giardino dove tutto si riduce a un frettoloso amplesso a metà, non dopo l'episodio al retrobottega di tre mattine prima.
La piccola imprudente non ci mette molto a decidere e si fa strada un sorriso, un po' più smanioso del solito. Le risposte di Aeris sono quasi sempre dettate da sorrisi o bronci. L'uomo racchiude le mani della ragazza nelle proprie e la trasporta con sé, arridendo a sua volta.
E' così bella e adorabile la sua canaglia, grande ma non abbastanza da conoscere il significato adulto e istituzionalizzato del termine sacrilego.

Quando sono dentro la chiesa si toccano ancor prima di baciarsi, senza dirsi nulla. Sono impazienti, la stessa impazienza che ha fatto sveltire i loro passi appena hanno avvistato il tetto spiovente dell'edificio sacro. Stavolta la fretta non è una necessità derivata da un'imposizione esterna come nel giardino di casa Gainsborough, è una smania forte e incontrollata che viene dal loro intimo.
Addossata al confessionale di legno in fondo alla navata, con la mano di Tseng sotto il vestito già sbottonato, Aeris avverte il tocco diretto delle sue dita, i polpastrelli che le tastano e le stuzzicano il seno da sotto il reggiseno. La libera anche di quello, della biancheria intima, e lei ora è nuda, scoperta. L'uomo le vede i seni per la prima volta. Somigliano ai calici di un fiore che deve ancora sbocciare, piccoli e rotondi. Basta una mano per racchiuderne interamente uno, mentre la bocca ne ricopre gran parte. Aeris reprime un gridolino di piacere quando Tseng le prende un capezzolo tra le labbra. Affonda la mano tra i suoi capelli neri e lo stringe a sé, spostando le dita sul colletto della giacca per levargliela di dosso. Adesso gli sbottona la camicia, lui l'aiuta, poi si slaccia i pantaloni.
E' la prima volta che Aeris vede il petto di Tseng, così com'è stato per lui con lei. Quel Turk, che agli occhi della ragazza è sempre stato un tutt'uno con la sua divisa blu, a torso nudo è un'altra persona. E' diverso e virile. Aeris ne rimane inaspettatamente estasiata.
Quando sono entrambi completamente nudi non ci sono ruoli, mestieri o discendenze di stirpi estinte, sono solo un uomo e una donna, meglio di come potevano esserlo nelle strade di Midgar tra una palpata fugace e un bacio rubato.
Lui distende la ragazza sulla propria giacca blu abbandonata sulle travi scricchiolanti di legno. Per la prima volta Aeris è in difficoltà. Non sa cosa fare, come comportarsi. Divarica leggermente le gambe e aspetta la mossa dell'uomo. E' come in una dama senza damiera e senza turni, dove c'è solo una giocata ed è quella di Tseng. Una sola azione e verrà inesorabilmente mangiata.
Le infila le dita nel sesso e con la bocca le stuzzica di nuovo i seni. Ha subito capito cosa le piace. Quando dopo un po' le dita del Turk escono bagnate da lei, lui capisce che è pronta. L'uomo si allontana ergendosi col busto e la osserva per qualche secondo, inginocchiato a gambe aperte.
E' difficile dire cosa si aspettasse. In effetti non cercava alcunché, nessuna parola, nessuna reazione. Le ha solo lasciato una sorta di pausa di riflessione nel caso avesse voluto tirarsi indietro, un'occasione per scappare. Ecco, era proprio il niente che lui aspettava e auspicava.
Così, senza più alcun indugio, Tseng la penetra. Aeris si curva in avanti contraendo il volto. Non è come quando le ha infilato le dita nel sesso la prima volta, è un fastidio decisamente più prepotente, quasi doloroso.
“Devi rilassarti,” dice Tseng, e lei ci prova, ci riesce quando lui, per farla sentire più a suo agio o qualcosa di simile, le bacia il collo e i seni. I muscoli di Aeris si distendono man mano e ora Tseng può muoversi dentro di lei.
Di solito si riconoscono nella loro intimità con il rumore delle zip dei pantaloni e delle gonne slacciate tra un movimento e l'altro della mano, nel fruscio agitato dei vestiti o delle giacche che strusciano sul muro. Ora non indossano niente, non ci sono indumenti che intralciano o disturbano il loro atto, c'è solo il suono della carne che sbatte sulla carne.
Tseng agguanta Aeris per i fianchi per avvicinarla maggiormente a sé e muoversi più velocemente. Il loro fiato è incontrollato, agitato, diventa ingovernabile persino per mantenere un minimo di compostezza. E appunto, ora che ha l'uomo così vicino a sé come non era mai capitato, con il busto addossato al suo, lei si accorge che non c'è più contegno in lui. Il suo volto non è più irrigidito e spento come di consuetudine - un comportamento scaturito da una forma di professionalità fin troppo diligente, di buoncostume o in piccola parte, semplicemente, da un suo naturale atteggiamento - ora lei vede un uomo rilassato, estatico, con gli occhi socchiusi annebbiati dal piacere, coperti da ciuffi neri e sottili che ricadono in avanti e rovinano l'acconciatura sempre perfetta e pettinata all'indietro. La ragazza gli prende il viso tra le mani, quel viso trasparente che non nasconde più niente, e lo bacia nella bocca, rubandogli i sospiri e facendoseli rubare, confondendo i respiri.
Aeris viene in quell'istante, emettendo un gridolino a singhiozzo più forte degli altri, a metà tra quello di una donna e un bambino. Tseng la segue qualche minuto dopo, uscendo velocemente da lei e schizzando sul suo ventre.
Il Turk rimane fermo com'è, sovrastandola a gattoni. Le ciocche dei suoi capelli ricadono sul viso di Aeris, che ne prende una tra le dita, si volta con la testa per osservarla più da vicino e manda lo sguardo oltre i ciuffi neri, in direzione di un buco nel pavimento di legno vicino all'altare.
“C'è un fiore,” dice col fiatone ancora in corpo. E' un iris giallo un po' rinsecchito e sbiancato.

“Guarda quanti iris sono cresciuti in un solo mese!” esclama concitata Aeris appena scorge il Turk entrare in chiesa. Vicino a lei c'è un cesto di vimini vuoto, è nuovo, appena costruito. E' stata Elmyra a realizzarglielo, fiera della sua bambina che adesso ha trovato un lavoretto tutto suo. Coltiva e vende fiori per le strade. Le piace l'idea che la piccola abbia un così forte spirito d'iniziativa e d'inventiva.
Tseng non butta neppure una sola occhiata agli iris gialli vicino alla ragazza. Li fiancheggia ignorandoli deliberatamente e raggiunge Aeris fermandosi alle sue spalle, china sui fiori con un piccolo rastrello in mano. Vista così, da uno sguardo lontano e imparziale, lei è un po' tutto e un po' niente - la sua fioraia, la sua marmocchia, il suo lavoro, la sua piccola e imprudente canaglia -, ma quando si china per baciarla sulla spalla scoperta e accarezzarle i seni diventa solo la sua donna. Lei ricambia il gesto, abbandonando il piccolo rastrello sul terriccio umido e girandosi verso di lui. Lo bacia nel modo che più le piace, aggrappandosi al suo collo e tirandolo verso sé. Una mano di lui la sta già stuzzicando da sotto la sua biancheria intima, mentre l'altra solleva il lungo boccolo che Aeris tiene costantemente davanti all'orecchio, infantile e femminile allo stesso tempo come lei.

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Dopodiché Zack cadde dal tetto e li colse in fragrante. xD Peccato che non sia accaduto...
Ok, qui sono stata un po' dura, fanno un sesso che sembra un po' fine a se stesso, ma mi piace così. Volevo creare qualcosa del genere su di loro. Tseng, caratterialmente, non è tanto lontano da quello vero. Per Aeris è diverso. Ho ripreso quella del primo videogioco, che flirtava con Cloud senza curarsene, sfacciata e diretta. Qui l'ho immaginata adolescente, il che è ancora peggio. Ma mi piace. Chissà che la riuserò così...
EDIT: mi sono dimenticata di dirlo... penso proprio che questa fanfiction col cavolo che la posto su EFP: ha abbastanza requisiti per bannarmi a vita, credo. xD

challenge: p0rn_fest, game: final fantasy vii, fanfiction, pairing: tseng/aeris

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