Personaggi: Pete Wentz/Gabe Saporta
Rating: PG
Warnings: Abbastanza fluff da farvi venire le carie.
Disclaimer: Tutti i personaggi sono realmente esistenti, ma non si intende dare rappresentazione veritiera di eventi/caratteri/orientamenti sessuali. Il titolo è una citazione di Pablo Neruda. (Che spero mi perdoni per averlo scomodato per una cosa del genere.)
Note: La mia giustificazione è che sono fondamentalmente più melensa di un barattolo di miele quando si tratta di fare le coccole a Pete.
Duérmete sobre mis dolores, si mis dolores no te queman.
Gabe guarda di nuovo l'orologio, accigliato. Non che non sia normale per Pete, arrivare anche con ore di ritardo in qualsiasi posto, qualsiasi sia l'occasione, ma Gabe non è un tipo paziente. E quell'uomo vive appiccicato al suo sidekick, non dovrebbe essergli possibile non rispondere alle chiamate.
Sbuffa vedendo il ritardo farsi di un'ora tonda. Beh, non ha alcuna intenzione di aspettare, ok, pensa, alzandosi. Pete non abita poi così lontano.
Quando dal pianerottolo sente il pianto di un bambino uscire dalla casa, Gabe quasi ride a quanto banale e domestico sia il motivo del ritardo di Pete. Conoscendolo, si aspettava qualcosa di ben più strano e drammatico. Suona il campanello stupido dell'appartamento, componendo il volto in un'espressione oltraggiata.
L'espressione gli scivola via quando la porta si apre. Pete ha la barba sfatta e il volto stanco, gli occhi grandi e liquidi, quasi fosse ubriaco, quell'aria che ha a volte, quando non dorme da giorni e sente di non poter reggere il mondo esterno un minuto di più. Ha Bronx in braccio, che sembra minuscolo, ed anche lui sembra più giovane, infagottato in una vecchia maglietta troppo larga che, nota Gabe guardando meglio, è di Patrick. Sospira.
"Oddio, sono le nove passate...?", mormora Pete, cercando di fare una battuta, un sorriso storto.
"Sei un danno, Wentz.", esorta Gabe entrando nell'appartamento, lanciando un'occhiata al disordine di giocattoli e asciugamani e vestitini per bambino sparsi sul pavimento.
Bronx, che per un attimo si era quietato, osservando il nuovo arrivato, torna a piangere a pieni polmoni, contraendo il visino e stringendo i pugni.
"Ssh, ssh.", gli sussurra Pete, cullandolo. "Non riesco a calmarlo. Gli manca Ashlee."
"Dov'è Maria?", dice Gabe, visto che gli sembra piuttosto assurdo che la tata di cui Pete ed Ashlee hanno decantato le lodi e ripetuto a chiunque quanto stesse salvando loro la vita, lo abbia lasciato solo.
"Mh. Abbiamo discusso.", dice Pete, con aria colpevole. Piega un piede per terra, come fa a volte, e Gabe scuote la testa, porgendo le braccia a prendere il piccolo. Pete glielo passa con cautela, non più così piccolo da doverlo maneggiare come se potesse rompersi da un momento all'altro, ma ancora abbastanza da sembrare fragile. Gabe lo prende in braccio come fosse fatto di vetro.
"Hey, niño. Ssh, no llorar, no...", gli mormora, asciugandogli le lacrime, e Bronx apre gli occhi grigi attento, come a cercare di capire le nuove parole.
Gabe inizia a cantare sottovoce qualcosa in spagnolo che Pete non capisce, ed il bambino smette di piangere, ascoltando la canzone familiare. Dopo un po', fa un sorriso. Pete si passa una mano sul viso, chiudendo gli occhi ed assaporando il silenzio. Si sente esausto, e non ha idea di come ce la stia facendo. Non ce la sta facendo, in realtà, non da solo, come sempre.
"Quant'è che non dormi?", gli chiede Gabe sottovoce, continuando a cullare Bronx ma guardando il padre con aria d'accusa.
"...Ashlee non c'è.", dice Pete come risposta, scrollando le spalle.
"Vai a letto. Qui ci penso io."
Si morde l'angolo della bocca, e inizia: "Non..."
"Vai."
Pete sorride del suo tono autoritario, un sorriso vero, questa volta, e si muove verso la camera, i piedi nudi che lasciano passi leggeri sulla moquette.
Gabe abbassa di nuovo gli occhi su Bronx. E' bellissimo. Forse è qualcosa che si dice di tutti i bambini, ma Gabe lo pensa davvero, e la maggior parte delle volte deve trattenersi dal dirlo ad alta voce, questo e quanto somigli a Pete in certe espressioni. Apre e chiude gli occhi, come se stesse lottando contro il sonno, e Gabe continua a cantare, modulando la voce in modo dolce, come se fosse una canzone d'amore.
Aspetta che il piccolo si sia completamente addormentato, prima di deporlo con cura nella culla. Tira fuori il cellulare e guarda l'ora: le dieci passate, ma non ha niente da fare che non possa aspettare fino a dopo pranzo, decide spegnendo il cellulare e posandolo sul tavolino.
Si avvicina alla stanza di Pete, la porta semi-aperta. La camera è illuminata, le tapparelle non del tutto chiuse e il sole filtra forte attraverso le fessure, disegnando righe di luce sul letto e su Pete, sdraiato sulle coperte con la schiena rivolta alla porta, immobile.
"Sei del tutto sveglio, non prendere per il culo."
L'altro non si muove, e lui sospira appena. Scalcia via le scarpe e si infila nel letto, sdraiandosi dietro di lui e tirandosi su un gomito, per poterlo guardare in faccia dall'alto. Ha gli occhi spalancati.
"Salve."
Gli strappa un sorrisetto.
"Quando il bimbo dorme, il papà dorme, non ti ricordi?"
"Non posso."
"Taci.", gli dice, sdraiandosi, il viso contro il cuscino così morbido, sentendosi di colpo anche lui vagamente insonnolito. Passa un braccio attorno alla vita di Pete, abbracciandolo piano, sentendolo ancora teso.
"Se hai qualcosa da fare---"
"Non ho dormito stanotte. Quindi ora dormi, tonto."
Può vedere il suo sorriso, anche se gli da le spalle. Lo sente nel suo corpo che si rilassa contro il suo. Si gira fra le sue braccia, accomodandosi addosso a lui e spingendo il viso contro il suo petto, nascondendo gli occhi dalla luce.
"Spero volesse dire 'tesoro mio' "
Gabe ride appena, accarezzandogli i capelli troppo corti e la nuca. Continua a disegnargli cerchi distratti sulla schiena, fino a quando non sente il suo respiro farsi un po' più pesante, mentre anche Pete gli si addormenta fra le braccia. Lo prenderà in giro per ore, dopo.
Chiude gli occhi, e lascia che il sonno prenda anche lui.
Non si è davvero reso conto di aver dormito, quando Pete si muove contro di lui, svegliandoli entrambi, mentre si stiracchia con gli occhi chiusi. La luce è un po' cambiata, è più forte. Probabilmente hanno dormito più di quanto avrebbero dovuto, pensa Gabe, ignorando la possibilità di alzarsi e lasciando che Pete si metta più comodo addosso a lui, con il suo respiro contro il proprio collo. Gli sembra siano passati secoli dall'ultima volta che hanno dormito in questo modo. Ha appena chiuso gli occhi di nuovo, quando sentono Bronx piangere dalla stanza accanto, reclamando attenzione. Pete si tende subito, alzandosi a metà, e Gabe lo tira giù, soffocando uno sbadiglio.
"Vado io.", gli dice, non aspettandosi del tutto che Pete lasci placare la sua ansia con così poco. Invece lui sbadiglia a sua volta, mezzo addormentato, e biascica un "Grazie.", e si avvicina appena al suo volto, e posa le labbra sulle sue per qualche secondo, in un bacio dolce. Si allontana subito dopo, guardandolo con gli occhi dorati improvvisamente svegli.
"Umh. Scusa. Abitudine.", dice quasi imbarazzato, il bambino improvvisamente silente nell'altra stanza.
Gabe ride, e si solleva un po', posando la mano sulla guancia di Pete, che non si allontana. O forse, si avvicina appena. Il bacio è ancora più breve.
"E questo?", sorride appena Pete, spostandosi per lasciarlo alzare.
Gabe scrolla le spalle, alzandosi e guardandolo con un sorriso sghembo. "L'abitudine, no, sweetheart?" Pete ride, una risata piccola ma sincera, e Gabe esce dalla stanza con un sorriso.