Di nuovo c'ho messo meno di un mese! Non sono estremamente soddisfatta di questo capitolo né della copertina e né del titolo (che è cambiato almeno 3 volte dall'inizio), anche perché di questo periodo sto risentendo veramente troppo della primavera, è micidiale °_° dormirei 24 ore su 24 e anche di più e non ho un minimo di concentrazione né per The Sims né per qualunque altra cosa :P Tra l'altro recentemente ho fatto un sogno molto carino che volevo riadattare per questo capitolo, ma ormai era scritto e avrei dovuto stravolgerlo troppo e di conseguenza avrei finito chissà quando, vedrò di mettere quella scena più avanti perché la vedo decisamente adatta al personaggio di Adele :)
Vi dico subito che sempre per via del mix pressione bassa + primavera non so quando riuscirò a mettermi a finire il prossimo capitolo, ma spero prima possibile! Non siate crudeli con una povera ragazza che di questo periodo ha la pressione massima a 80 :D ok, forse non così poco, ma comunque assai bassa :P
Ho anche pensato che potrei seguire l'esempio di alcune di voi e fare eventualmente anche io la pagina della legacy su facebook, così in caso di ritardi o lentezza mia vi spoilero qualcosa o vi posto qualche immagine ogni tanto... sempre se vi interessa ^^'
Beh, basta chiacchiere, a voi il secondo capitolo di questa generazione :)
Al mio risveglio sembrava tutto molto più chiaro. Le sensazioni strane del pomeriggio precedente erano state solo una cosa passeggera provocata da chissà cosa, non mi importava. Avevo voglia di rivedere Matteo come tutte le altre volte, e mi alzai in fretta dal letto per andarmi a lavare vestire e pettinare ed essere pronta il prima possibile.
“Adele” mi chiamò mio padre mentre mi pettinavo nel bagno “Posso parlarti un attimo?”
“Sì, dimmi” risposi aprendogli la porta. Sembrava preoccupato.
“Adele, senti... Tuo nonno non c’è più, è morto stanotte per un infarto”. Non me l’aspettavo. Volevo bene al mio nonno materno, non quanto a mia nonna, che da piccola mi viziava un sacco ed era sempre disposta a giocare con me, ma ne volevo tanto anche a lui, che era sempre stato tranquillo e buono come mia mamma. Non lo vedevo da un sacco di tempo ormai ma mi dispiacque tantissimo.
“La mamma come sta?” gli chiesi. Se io c’ero rimasta male, non riuscivo a immaginare come potesse averla presa lei.
“Eh, come vuoi che stia... Ma ce lo aspettavamo, aveva problemi cardiaci da tanto tempo”. Annuii, lo sapevo, ma doveva essere stato un brutto colpo. Corsi giù per le scale e la trovai seduta al tavolino in cucina che guardava nel vuoto, evidentemente sforzandosi di non piangere. Senza dire niente andai da lei e la abbracciai forte, e lei sorrise tenendo gli occhi chiusi. Sapevo che non voleva farsi vedere triste di fronte a me.
Suonò il campanello in quel momento e sentii mio padre aprire la porta.
“Oh, ciao Matteo, aspetta che ti chiamo Adele” lo sentii dire. Detti un bacio sulla guancia a mia mamma e andai in salotto, mentre mio padre tornava in cucina.
“Matt...” gli dissi appena gli fui davanti.
“E’ successo qualcosa?” mi chiese lui.
“Sì, è morto mio nonno stanotte. Forse non è il caso di uscire ora, magari più tardi”
“Certo, ripasso dopo...” iniziò a dire, ma arrivò mia madre in quel momento.
“Matteo, entra pure, che fai ancora sulla porta?” chiese ricomponendosi e sorridendogli come faceva sempre, con un po’ di occhi lucidi in più.
“Oh, no, torno più tardi...”
“Vieni pure, tranquillo” disse lei dolcemente. Scrollai le spalle, se andava bene a lei... A me di certo faceva piacere la presenza del mio migliore amico, mi teneva su il morale che prima stava scendendo, e ci isolammo in camera mia per evitare di rischiare di dare fastidio ai miei.
Ma dopo poco bussò mia madre chiedendomi se poteva dirmi un paio di cose. Uscii lasciando solo Matteo e la seguii sul pianerottolo.
“Adele, devo andare un paio di giorni dalla nonna per aiutarla a sistemare un po’ di cose e per... il funerale”. Annuii. “E vorrebbe venire anche papà, è un problema se ti lasciamo sola? Tanto ormai sei maggiorenne e te la sai cavare benissimo”
“Ma non dovrei venire anche io?”
“Ma no, chi te lo fa fare? Non preoccuparti, non sarà divertente e nessuno se la prenderà se non ti vedrà là, tanto meno io o la nonna. Queste situazioni non sono mai belle” aggiunse con una smorfia.
“Sei sicura di non avere bisogno di aiuto?”. Sorrise. Non sarebbe stata la prima volta in cui l’avrei aiutata, e lei lo sapeva, tante volte la coccolavo come se fosse una sorella, non mia madre.
“Sì, sono sicura. Resta qua e bada alla casa e a Tristano. Noi partiamo dopo pranzo, e torniamo tra due giorni, ti faremo sapere le cose per telefono, comunque”.
La abbracciai di nuovo e tornai in camera, dove trovai Matteo che mi guardò come se avesse combinato qualcosa che non avrei dovuto beccarlo a fare e un vago sorriso sulle labbra che però nascose subito.
“Che succede?” gli chiesi sospettosa.
“Niente, ti aspettavo” rispose con noncuranza. Lo guardai storto per un paio di secondi, poi decisi di lasciar perdere temporaneamente e gli raccontai della partenza dei miei. Ma mi stava nascondendo qualcosa, niente di grave, ma qualcosa c’era, ne ero certa. Ed ero altrettanto certa che l’avrei scoperto presto. Lo conoscevo troppo bene ormai.
“Mi spiace che tu debba rimanere sola per due giorni” mi disse alla fine “Ti terrò compagnia, finché sarò qua, promesso”
“Affare fatto, allora” gli risposi stringendogli la mano e sorridendo “Ci conto, eh!”.
Durante il pomeriggio uscimmo un po’, dovevo portare fuori Tristano e prendermi qualcosa per la cena.
“Lunedì te ne torni all’università, vero?” gli chiesi.
“Sì... Abbiamo ancora due giorni per stare insieme” rispose. Dovetti ammettere a me stessa che in quel momento mi sentivo più triste all’idea di dover salutare per almeno due o tre mesi Matteo che a quella di aver perso mio nonno. Ma era perfettamente logico per me, almeno in quel momento: Matteo era il mio migliore amico, il fratello che non avevo mai avuto, la versione umana del mio Tristano. Non mi assomigliava, era troppo più tranquillo di me, ero sempre io a trascinarlo ‘sulla cattiva strada’, come la definiva lui prendendomi in giro, ma gli volevo un sacco di bene. Non che non volessi bene ai mie nonni, ma non li vedevo quasi mai, non avevo un gran rapporto con loro e, be’, mio nonno aveva comunque i suoi ottanta anni.
“Stasera ceni da me, vero Matt?” dissi avviandomi verso una pizzeria. Non era una domanda vera e propria, ma quasi un ordine, e lui lo sapeva.
“Certo, come potrei fare altrimenti, capo?” rispose ridacchiando.
Dopotutto fu divertente avere la casa tutta per me e cenare insieme a Matteo, per poi dopo sbracarci sul divano a guardare un film e a fare videogiochi. Purtroppo la fine della serata arrivò troppo in fretta.
“Non puoi proprio restare un altro po’?” gli chiesi sulla porta.
“E’ quasi l’una, ho detto ai miei che non sarei tornato troppo tardi a casa, se non torno poi si preoccupano... Non sanno ancora che sei da sola”
“Domani sera puoi restare di più? Magari anche a dormire”. Volevo aggiungere uno scherzoso ‘Ti metto a dormire nella cuccia di Tristano’ ma mi sentivo troppo dispiaciuta per la sua partenza così vicina e per la morte di mio nonno per mettermi a prenderlo in giro.
“Domani vediamo... Provo a chiedere, ma lo sai, sono gli ultimi giorni che passo a casa...”
“Eccome se lo so” risposi guardando per terra. Mi dette un abbraccio veloce e scappò verso casa.
Ma la mattina seguente iniziò con un’altra cattiva notizia: per una modifica all’orario delle sue lezioni Matteo sarebbe dovuto partire il giorno successivo, quindi ci restava una giornata da passare insieme, invece dei due giorni di cui ormai pensavamo di poter approfittare.
Lo aiutai a preparare la valigia e poi andammo a fare la nostra ultima passeggiata sulla spiaggia dove ci eravamo conosciuti, ovviamente accompagnati come sempre dal mio Tristano e dalla sua Morgana. Stavolta il clima era decisamente diverso rispetto a quando ci eravamo parlati per la prima volta: sole caldo, brezza piacevole e un’inconfondibile aria primaverile; mentre le nostre sensazioni erano l’opposto, allegre come la primavera la prima volta, e invece che tendevano a essere malinconiche e autunnali in quel momento.
“Mi raccomando, fatti sentire spesso” gli dissi quando eravamo ormai arrivati al momento dei saluti, anche se ci saremmo rivisti per qualche minuto la mattina successiva, prima della sua partenza.
“Dai, passeranno presto questi due mesi. E poi tanto avremo un bel po’ di distrazioni, con tutto quel che dovremo studiare”
“Bella roba. Preferirei mangiare cavolo lesso per una settimana intera che studiare così tanto, se potessi scegliere” gli risposi ridendo.
“Alla fine hai deciso cosa farai dopo la maturità?”
“Voglio provare a farmi assumere al giornale per cui lavora papà”. Era vero, già da un po’ di tempo ormai mi frullava in testa quell’idea, avevo sempre scritto bene e mi piaceva conoscere le storie altrui, perciò mi era sembrato un buon compromesso. Non sarei neanche dovuta stare necessariamente troppo tempo dietro a una scrivania a stagionare, avrei dovuto girare abbastanza. O almeno lo speravo.
“Se tu avessi deciso di continuare a studiare ci saremmo potuti vedere più spesso...” disse lui guardando malinconicamente verso l’orizzonte.
“Lo so, ma proprio non ce la farei”
“Che so, magari potevamo anche affittare le nostre camere nella stessa casa...” disse lentamente continuando a guardare verso il mare e giocherellando con l’orlo della sua maglietta “E vederci tutti i giorni...”
“Già”. Appoggiai la testa sulla sua spalla “Oppure avresti potuto trovarti tu un lavoro e restare qua. So che cercano un sacco di bagnini di questi tempi” commentai ridacchiando.
“Già” ripeté lui sorridendo “Ho capito, non c’è soluzione”
“Mi mancherai” lo abbracciai “Sei il mio scienziato preferito, Matt”. Rise e ricambiò l’abbraccio.
“Ne manca di tempo prima che possa definirmi scienziato”
“Sei il mio pandoro zuccherato preferito, allora”. Ancora ce lo chiamavo dopo le nostre battaglie a palle di neve dei mesi precedenti. Rise di nuovo:
“E poi, te lo dico per l’ennesima volta, non chiamarmi con quel nomignolo, che mi sembra di essere un personaggio di un telefilm americano!”
“Come, Matt?” iniziai a prenderlo in giro.
“Sì!”
“Matt, perché non vuoi che ti chiami Matt?”
“Basta o ti ricopro di sabbia!”
“Ma no, dai, Matt, non essere cattivo con me, Matt, io non ti ho fatto nulla, Matt! Sono una dolce pulzella!”
“Dolce pulzella un accidente!” e iniziò a farmi il solletico “Sei una vipera, sei!”
“Matt, non farlo, Matt!” ma ormai stavo ridendo troppo anche per poter continuare a prenderlo in giro e non ce la facevo più. “Va bene, basta, basta” ansimai.
“Dobbiamo tornare a casa” disse tornando improvvisamente serio. Ma io non riuscivo ancora a essere del tutto seria.
“Torna presto, Matt, ti aspetto” gli dissi, e gli stampai un bacio sulle labbra, prima di correre via lasciandolo lì.
Non so perché l’avessi fatto. Smisi di correre solo quando arrivai davanti a casa e mi toccai le labbra. L’avevo baciato. Avevo baciato Matteo. Perché l’avevo fatto? Mi piaceva? Be’, il bacio mi era piaciuto, e, a dirla tutta, avrei voluto dargliene altri e non limitarmi a dei casti bacetti sulle labbra, ma continuare a sentire la sua bocca sulla mia, le sue labbra, la sua lingua... Sì. Eccome se avrei voluto. E quindi mi piaceva Matteo, era la spiegazione più ovvia. E soprattutto era vero, così chiaramente vero.
Mesi passati accanto a lui e non l’avevo capito? Che tonta. Mi serviva un mezzo addio per rendermene conto? Sì, a quanto pareva sì.
E l’avevo pure lasciato correndomene via, chissà come aveva reagito. Forse avrei dovuto chiamarlo... No, non l’avrei fatto. Non mi andava di parlarne al telefono, avrei aspettato la mattina successiva.
Non sapendo decidere tra l’essere triste per la sua partenza o felice per aver scoperto che mi piaceva decisi di non lambiccarmici troppo il cervello, cenai e andai a dormire non molto dopo, addormentandomi con un vago sorriso malinconico sulle labbra.
Terzo risveglio in tre giorni con una novità che mi rese tutt’altro che felice:
“Adele, è l’alba e parto ora, non ti chiamo per non svegliarti. Scusa. Ci sentiamo dopo.” recitava un sms di Matteo inviato diverse ore prima. Ecco, se un attimo prima ero felice perché l’avrei rivisto di lì a poco ora ce l’avevo con lui.
“Avresti dovuto svegliarmi invece, brutto scemo. Sei arrivato?” gli risposi subito, senza starci a pensare. Ero senza la macchina e sicuramente senza il permesso dei miei, che tra l’altro non sarebbero stati certo dell’umore giusto per farmela passare liscia, altrimenti sarei partita subito e l’avrei raggiunto per dirgli di non osare più farmi una cosa del genere. Magari gli avrei anche mollato uno schiaffo. Ci tenevo a salutarlo, non poteva non saperlo. E ci tenevo a rivederlo per confermare le mie scoperte del giorno precedente. Non era stato niente per lui quel bacio?
Mi alzai dal letto, dovevo mettermi a fare qualcosa per sbollire il nervoso, non ce la facevo a stare ferma. Fu in quel momento che vidi sulla scrivania un foglietto che il giorno prima non avevo notato.
Non ce l’avevo messo io. Era infilato quasi del tutto sotto a un mucchio di quaderni, da cui ne spuntava però un angolo ripiegato; lo tirai fuori e lo lessi:
“Ti voglio bene. Ci sarò sempre per te, te lo prometto, ricordatelo :)
Matt.”
Ecco cosa aveva fatto di nascosto due giorni prima mentre parlavo con mia mamma, ecco il perché di quel vago sorriso, ecco perché non voleva dirmi niente e, anzi, probabilmente aveva fatto di tutto per non farmelo notare subito, e anche io come avevo potuto non accorgermene? Lo lessi di nuovo e improvvisamente sentii di non avercela più con lui. Che tenero che era stato a scrivermi una cosa del genere per farmi sentire meglio, e che tenero a ricordarmi che mi sarebbe stato vicino. E mi voleva davvero bene, se si era firmato così, con quel nomignolo che diceva di non sopportare. Matt.
Ma ora non c’era più.