Donati Legacy gen. 1.7 - Imprevedibile

Mar 12, 2010 15:05

Prima di tutto scusate se ci ho messo così tanto... Sapete dei problemi che ho avuto col gioco e sapete anche che sono lenta già di mio, quindi... :P volevo aggiornare già stanotte ma ho finito alle 4 di fare le foto e poi non ce la facevo più a tenere gli occhi aperti... Vi lascio al settimo capitolo ^^ spero vi piaccia, a me ancora non convince del tutto ma mentre lo scrivevo più ci pensavo e meno idee per modificarlo mi venivano :P





Mi lasciai cadere sul divano, con la testa fra le mani. Daniele era ancora immobile e guardava dritto davanti a sé, apparentemente nel vuoto, evidentemente ancora scioccato dalla notizia. Mi sentivo la nausea, sapevo che lui non voleva quel bambino e che aveva ragione quando diceva che non ce lo saremmo potuti permettere.



Passarono almeno cinque minuti, dopo di che finalmente Daniele si mosse. Si voltò verso di me, guardandomi come se mi vedesse sotto una luce nuova. Mi fissò per un po’.
“L’hai fatto apposta?” fu la prima cosa che disse.
“Cosa?! Certo che no!” risposi sconcertata. Ovvio che non l’avevo fatto apposta, come aveva potuto anche solo pensare che avessi potuto smettere di prendere la pillola per rimanere incinta a sua insaputa? Non avrei mai osato ingannarlo a quel modo.



“Bene” Sembrava convinto dalla mia risposta, si alzò in piedi, guardandosi intorno indeciso, e si lasciò di nuovo cadere senza dire altro su una sedia di fronte a me. “Bene” ripeté qualche minuto dopo “Com’è successo allora?”
“Non lo so” ammisi “Forse un giorno ho dimenticato di prendere la pillola ed è saltato il ciclo. Non lo so davvero”
“Bene” disse di nuovo.



Non mi piaceva il suo sguardo. Sembrava al tempo stesso arrabbiato, spaventato e indeciso. Sentii una lacrima calda scendere lungo la mia guancia ed ebbi un piccolo singhiozzo. Daniele si voltò in fretta verso di me e cambiò espressione di colpo, mettendone su una preoccupata. Mi guardò negli occhi per qualche secondo poi si alzò, mi venne vicino mi abbracciò.
“Shh, amore, stai tranquilla” mi disse piano, abbracciandomi.



“N-non l’ho fatto apposta” gemetti contro la sua spalla. Non rispose, continuò a tenermi tra le sue braccia.
“Cosa vuoi fare ora?” disse incerto dopo un po’.
“In... In che senso?” risposi guardandolo negli occhi. Non ci fu bisogno di altre parole. Io capii cosa intendeva. Tenere o no il bambino. Lui capì cosa volevo io. Tenerlo.
“Va tutto bene, amore” mi disse stringendomi mentre tremavo per l’angoscia. “Va tutto bene”. Sospirò “Ce la faremo” e mi diede un bacio sulla fronte.



Quella notte non riuscii a dormire granché. Nonostante le ultime parole di Daniele sapevo della sua paura e della sua incertezza. Ma nemmeno lui dormì molto, lo sentii alzarsi a notte fonda e uscire fuori, rimanendo sull’ingresso di casa nel fresco della notte. Avrei voluto rassicurarlo e convincerlo che ce l’avremmo fatta, ma non ci riuscivo. Forse perché anche io in fondo non ne ero del tutto convinta.



Quando alla fine riuscii ad addormentarmi era praticamente già l’alba, e mi svegliai che Daniele era già andato al lavoro. Feci una cosa che mi aveva sempre rilassata: stare con gli occhi chiusi sotto al getto caldo della doccia, facendomi scorrere l’acqua addosso, come se potesse aiutarmi a pulirmi di tutte le mie paure e a riuscire a concentrarmi solo su quello che serviva. E mentre con una parte della mia mente continuavo a preoccuparmi, con un’altra non riuscivo a fare a meno di pensare a come organizzare il futuro: mentre riflettevo sul fatto che ingrandire la casa iniziava a essere necessario, possibilmente prima della nascita del bambino per evitargli la confusione dei lavori, mi preoccupavo per i soldi in meno che avrei guadagnato durante i mesi di maternità. Poi tornavo a pensare alla cameretta, quindi di nuovo ai problemi economici. Di che colore avrei fatto le pareti? ... quanto in meno avrei guadagnato in quei mesi? ... sarà un bambino o una bambina? ... e se Daniele ci avesse ripensato? E se avesse deciso di lasciarmi?



Non sentivo scorrere le lacrime calde sulle mie guance, si confondevano prima con l’acqua ancora più calda della doccia. Quando sentii suonare il mio cellulare mi decisi a uscire dal bagno e andai a vedere chi mi aveva cercata: Alice. La richiamai:
“Nicoletta, ciao, volevo solo chiederti se ti sei ricordata di prendere tutto per venerdì...”. Venerdì? Venerdì! Accidenti, mi ero dimenticata dell’arrivo dei miei genitori.
“Ehm, sì, certo” risposi mentre correvo a prendere i primi vestiti che trovai nell’armadio “Vado ora”
“Prima ho visto Daniele, aveva un’aria un po’ strana, è successo qualcosa?”
“E’... Ni-niente di...” balbettai “... grave. Ti racconto poi”.



Con tutte le preoccupazioni che avevo mi ero dimenticata dei miei genitori: sarebbero venuti a trovarmi quel fine settimana e stavolta avrebbero dormito in un albergo. Perciò stavolta avrei dovuto parlarci, raccontargli della gravidanza... Non potevo tenerglielo nascosto, non se li avessi visti di persona, soprattutto ora che ne avevo parlato con Daniele.
Corsi fuori per andare a fare la spesa prima del mio turno di lavoro, e per un po’ riuscii a tenermi la mente occupata.
Temevo il momento in cui avrei rivisto Daniele quella sera. Lo temevo eppure mi sembrava di non aspettare altro, soprattutto quando ormai era vicina l’ora in cui sarebbe rientrato. Avevo paura di rivedere quella stessa espressione nervosa e forse anche arrabbiata che gli avevo visto la sera precedente, avevo il terrore che mi dicesse che non voleva più stare con me, o, peggio, che non voleva quel bambino... Sì, peggio. Perché ora che gli avevo rivelato della gravidanza era come se fosse diventato tutto più vero, sembrava molto più reale rispetto a sole ventiquattro ore prima, quando lo sapevo solamente io e non volevo dirlo a nessuno.
Ma quando rientrò sembrava meno agitato, meno... spaventato. Più deciso. Chiuse la porta, mi guardò un po’, sospirò e poi venne verso di me e mi prese le mani tra le sue.



“Nicoletta, senti, ci ho riflettuto bene oggi e...” nel secondo che passò tra la fine di quella frase e la successiva sentii un’ondata di panico senza precedenti e iniziai a sudare freddo, se fosse durato un attimo di più probabilmente le mie gambe non avrebbero retto e sarei caduta a terra... Iniziavo a sentire anche la nausea che avevo avuto la fortuna di non aver quasi mai provato durante quelle settimane “E, be’, possiamo farcela”
“Po-possiamo farcela?” ripetei, inebetita. Voleva davvero dire quello che avevo capito? Voleva davvero continuare a stare con me e tenere il bambino? Non ebbi tempo per riflettere su quelle sue parole perché aggiunse:
“Sì. Chiederemo un prestito per ingrandire la casa, magari cercherò di fare gli straordinari al lavoro, possiamo farcela. Non sarà facile, non era previsto e non era neanche il caso, ma è successo e mi fido di te quando mi dici che non l’hai fatto apposta. Possiamo farcela” ripeté per la terza volta, dandomi l’impressione che stesse più che altro cercando di convincere se stesso.



“Sì” dissi piano, perché la voce mi era quasi andata via. Lui mi abbracciò e io riuscii di nuovo a dire soltanto un soffocato “Sì”.
“E a proposito di sì...” disse, e dal suo tono di voce probabilmente stava sorridendo “Sto ancora aspettando la risposta a una domanda che ti ho fatto ieri sera...”.
Ricambiai l’abbraccio, lo strinsi forte e dissi per la terza volta “Sì”, scoppiando a piangere e sorridendo contemporaneamente.



Non che fosse tutto risolto, Daniele aveva ancora paura, e anche io non ero da meno, ma ormai avevamo intenzione di portare avanti la gravidanza, insieme, e tutto mi sembrava più bello.
Il giovedì pomeriggio, prima dell’arrivo dei miei genitori, avevo di nuovo una visita e la prima ecografia subito dopo l’orario di lavoro. Mi ero portata dei vestiti di ricambio al ristorante così da non dover neppure ripassare da casa. Ma appena aprii la porta trovai Daniele appoggiato alla macchina.



“Ho preso un paio d’ore di permesso e sono uscito prima” mi disse accennando un sorriso. “Ho pensato che fosse il caso di andare insieme alla prima ecografia”. Gli sorrisi in risposta, continuando però a studiarlo temendo ancora una sua fuga a gambe levate. Sembrava sempre nervoso, ma non arrabbiato, più che altro preoccupato, e continuava a tenere un sorriso un po’ forzato. Non parlammo granché lungo il tragitto, e quando eravamo nella sala d’attesa il suo sorriso era già svanito e sembrava sempre più in ansia.
“Cosa hai?” gli chiesi alla fine
“Niente” rispose nervosamente. Non osai chiedergli altro, ormai ero sopraffatta dalle emozioni, tra la paura che lui scappasse da me e l’emozione del poter finalmente vedere per la prima volta il mio bambino.



“Eccolo qua, questa figura bianca” disse la ginecologa, e indicò un punto sullo schermo “Questa è la testa, e questo il resto del corpo. E’ lungo circa quattro centimetri”.
Io ormai piangevo, cosa che dall’inizio della gravidanza mi succedeva spesso, molto più di prima, ma stavolta per la felicità e l’emozione. Daniele fissava imbambolato lo schermo.
“E questo è il suo cuore che batte” aggiunse la dottoressa sorridendo. Daniele aveva gli occhi lucidi e non riusciva a distogliere lo sguardo dal monitor.



Ma quando uscimmo fuori dalla stanza con in mano un paio di immagini stampate e il video dell’ecografia mi abbracciò stretta, mi stampò non so quanti baci su tutta la faccia e mi guardò negli occhi, e stavolta sembrava emozionato quasi quanto me.
“Congratulazioni, mamma” mi disse ridendo, con un tono assai diverso dal solito, un tono che non avevo mai sentito.
“Non hai più paura, papà?” gli risposi.
“Eccome se ne ho. Ma sono anche felice. E gli voglio già bene”. Sorrisi mentre altre lacrime continuavano a scendere.
“Smetterò mai di piangere?” chiesi ironicamente asciugandomi il viso “Stupidi sbalzi emotivi”.



Tornati a casa posai la busta con le immagini sul tavolo, lasciando volontariamente rivolto verso l’alto il lato con su stampato il nome della dottoressa e la sua specializzazione.
Alice era andata a prendere i miei genitori alla stazione, perciò arrivarono tutti insieme poco dopo. Mentre abbracciavo mia mamma lei si voltò verso il tavolo, e quando mi allontanai vidi che guardava la busta; poi mi fissò per qualche secondo con sguardo interrogativo e l’aria di un investigatore che si trova davanti al colpevole che cercava.



“Come va?” mi disse con un sorrisetto stile Ho-Già-Capito-Tutto-Io.
“Eh, tutto bene” risposi vaga.
“Già, avevi detto che dovevi raccontarmi una cosa” disse Alice. Daniele guardava il pavimento, visibilmente imbarazzato. ‘Fifone’ pensai sogghignando fra me e me.
“Be’, ecco...” temporeggiai “Ho due belle notizie da darvi” dissi alla fine guardando il muro dietro di loro, sicura di essere arrossita, senza riuscire a trattenere un sorriso. Dopo un secondo di silenzio saltarono su contemporaneamente:
“Vi sposate!” urlò Alice mentre mia madre esclamava:
“Sei incinta!”
“Sì” sorrisi “Entrambe le cose”.



Quello che accadde dopo lo ricordo con un po’ di confusione, perché passammo almeno due ore senza parlare d’altro, mentre mia mamma e Alice abbracciavano me, Daniele (che sorrideva ancora imbarazzato e aveva l’aria di voler scappare lontano) e si abbracciavano tra loro a turno, guardando e riguardando le due immagini e il video dell’ecografia. Mio padre sembrava un po’ sconvolto, e mia madre lo prendeva in giro chiamandolo “nonno”, cosa che sembrava farlo agitare ancora di più.



In poco tempo riuscimmo a ingrandire la casa anche grazie ai miei genitori che ci avevano praticamente obbligati ad accettare almeno in parte un po’ del loro aiuto. Senza di loro non saremmo mai riusciti ad aggiungere una seconda camera da letto alla casa. Accidenti se ci stava costando tanto quel bambino! Ma ne valeva la pena.



Arrivati a fine giornata eravamo sempre stremati: io continuai a lavorare fino all’ultimo e Daniele faceva sempre gli straordinari. Era faticoso, ma necessario: non ce l’avremmo fatta altrimenti, perciò eravamo felici comunque, e spaventati ed emozionati. Daniele per tutto il periodo della gravidanza aveva continuato a essere affettuoso nei miei confronti preoccupandosi continuamente che io stessi bene, ma sospettavo che stesse ancora nascondendo le sue paure per non farmi agitare troppo. Cercavo di non pensarci e di non farci caso.



Per poco non partorii al ristorante, e solo il tempestivo intervento di Daniele e la corsa all’ospedale riuscirono a farmi arrivare in tempo, perché a quanto pare, così come si era messo comodo a sorpresa nel mio utero nove mesi prima, il mio adorato marmocchietto aveva deciso di venire alla luce in modo altrettanto inaspettato. Ahi, è vispo, mi darà delle grane, fu l’ultima cosa che pensai, sorridendo tra me, mentre correvo verso l’ospedale.



Appena la presi in braccio iniziai ad adorarla ancora più di quanto avessi fatto negli ultimi mesi, anche se non l’avrei mai creduto possibile, prima. La mia piccola, adorabile, imprevedibile Adele.



generazione 1, donati legacy

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