you forget so easy

Sep 02, 2005 00:59



La radio trasmetteva in sordina quel programma di varietà. La voce di una donna, contenuta e riflessa, riusciva
a rinnovare quel vecchio motivo della caduta angelica. Erano nientepiù che le stesse canzoni ascoltate qualche mese addietro, e la porta si aprì. Entrò una piccola donna, piccolissima. Non parve sopreso di vederla. Indossava una semplice veste rossa aperta sul davanti. Un poco abbronzata, africana, non truccata, non ingraziosita, ma talmente ben fatta.
Si sedette veloce al tavolo e si versò del liquore dai riflessi gialli, poi prese un dolcetto.
"Ne vuole?" propose.
"Volentieri."
Egli si alzò piegandosi per prendere la tazza, di porcellana scalfita dal tempo, che lei gli porgeva.
"Un dolcetto?"
Egli accettò, si mise a bere sorbendo nel modo più lento che la carne suggeriva in quel momento.
"Da dove viene lei di fatto?"
Posò la tazza sul vassoio, al limite del bilico.
"Da lassù, è successo così."
Indica il soffitto con un gesto vago.
"E' la caffetteria che mi ha chiamato, fumava."
La ragazza assentì.
Rossa dalla testa ai piedi, la femminetta. Eccetto i capelli, biondi. Azzurri gli occhi invece, d'un bel taglio a goccia, come se qualche liquido rappreso avesse considerato forme poco dimenticabili, appena allungati. Le sopracciglie erano corte, folte senz'essere troppo, delineate senza artefatto. Bocca sottile, ma ben fatta, faccia da triangolo poco acuto. Ma un corpicino meraviglioso costruito su chissà quale dimenticato modello di sartoria. Da trarre profitto in seguito. Mica reale, una roba così.
Colpa di internet.
"Non si è annoiato durante la discesa?" chiese lei.
"No..c'erano molte cose da vedere."
"Di che genere... ?"
"Semplici....ricordi" disse "Sbirciavo in certi parole dalle finestre aperte."
"Fa molto caldo, tutte le finestre sono aperte" disse lei con un sospiro
"Ho guardato dentro solo ogni parola, ma non sono riuscito a vederci molto."
"Non ha guardato bene, non si applica."
"Come fa a saperlo?"
Lei non rispose subito. Le sue dita, lunghe e intricate da geometrici fili di vena, arrotolavano meccaniche l'orlo della veste.
"Avrebbe visto" continuò "passando davanti alla finestra aperta, diversi libri, tra cui uno senz'altro aperto su una pagina
a caso, con delle righe scritte furiosamente, in velocità."
"Tutto qua..?"
"Avrebbe visto anche dell'altro..."
"Non ho avuto il coraggio, le grafie altrui sono così scomode e intime da decifrare. Tuttavia di solito..."
Lei si fermò.
"...A che serve leggere se non sai sentire?"
Egli poneva la domanda a mezza voce, quasi fra sè, forse interpellando qualche divinità auscultante.
Ma non serve a nulla. dio non serve a niente quando è della gente che si ha paura.
"Suppongo" disse la ragazza "che certe persone non possano farne a meno. In ogni caso, è più facile non farlo."
"Di sicuro è inutile se non si vuole leggere."
"Nessuno parola muore involontariamente", concluse la femminetta", C'è sempre un essere vivo e uno morto
che vi ci spingono. E' per questo che abbiamo bisogno dei libri e che li conserviamo negli scaffali."
"Non è esattamente evidente" disse lui.
"La cosa non le appare chiara?"
Egli sprofondò nella poltrona poco più dentro. Sentiva tutto più secco. Non la voglia di piangere che era già andata,
qualcosa di differente, sempre con le lacrime di mezzo.
"Vuole qualcosa di un po' più forte?"
"Volentieri."
Intanto che s'alzava, la veste fluttuava rientrando nelle ombre del corpo . Tirò fuori una bottiglia di uno strano
liquore rosso.
"Mi fermi quando basta" disse lei...
La bloccò con un gesto imperativo. Lei gli porse il bicchiere.
"E lei", egli disse, "lei guarderebbe attraverso le finestre ?"
"Non ne ho bisogno", disse la ragazza, "c'è sempre la stessa visuale."
"Non è vero" disse lui.
"Colpa della luce, l'ha abbagliata." Gli si sedette accanto. "Le parole sono sempre le stesse." aggiunse.
"Ma non era uguale qui... C'erano cose piacevoli.. differenti... Qui è diverso."
"Era la stessa cosa. Bisognava fermarvisi."
"Allora il sole mi trae in inganno" disse "e non dovrei vedere neanche lei,"
"Lei non mi vedrebbe comunque, ma..." Non termino la frase e, sul volto, le comparve un leggero sorriso.
Gli stava vicinissimo e lui poteva sentire il profumo, verde sul corpo sulle braccia, miele secco, più d'erba
il tepore secco attorno alla gola, più zuccherino.
"Il sole in fondo, è vita" concluse dopo un momento "Non è vero che somiglio a un sole rosso con quest'abito?"
"Se restassi qui" mormorò lui.
"Qui?"
Lei inarco le sopracciglia.
"Qui"
"Non può restare", disse semplicemente, "è troppo tardi"
A fatica, si strappò dalla poltrona. Lei gli posò la mano sul braccio.
"Un secondo", disse.
Egli sentì il contatto delle mani fresche. Vide da vicino gli occhi cielo, gli zigomi acuti, i denti umidi e lucenti.
Gustò per un secondo la pressione tenera delle labbra socchiuse, per un secondo ebbe tutto contro di lui
il corpo e già era solo nel suo sogno.


forget, racconto

Previous post Next post
Up